Esportazione illegale di alcolici tra Italia e Germania. Competenza del giudice italiano a jurisdicere.
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 3 - 6 settembre 2013, n. 36719
Presidente Dubolino – Relatore Andreazza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 22/07/2013 la Corte d'Appello di Torino ha disposto la consegna di D.V.E.B. all'autorità giudiziaria della Repubblica Federale di Germania in esecuzione del mandato di arresto Europeo emesso dalla Procura della Repubblica di Norimberga - Furth in data 12/07/2013 per i reati di associazione a delinquere e di evasione delle imposte sugli alcolici.
2. Ha interposto ricorso l'imputato tramite il proprio difensore.
Con un unico sostanziale motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 18, lett. o) e p) l. n. 69 del 2005 e, in ogni caso, mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Premesso che l'autorità giudiziaria tedesca ha richiesto la consegna per una serie di reati fiscali commessi nell'ambito di una associazione a delinquere e che presso l'autorità giudiziaria italiana pende procedimento per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali nonché per i singoli reati fine, rileva che la Corte d'appello ha escluso una piena coincidenza tra i fatti di cui al m.a.e. e quelli perseguiti in Italia, sia in relazione al numero sia in relazione all'obiettiva diversità, avendosi rispettivamente riguardo all'evasione delle imposte tedesche di alcolici e all'evasione delle imposte italiane.
Ciò posto, rileva che la condotta illecita tenuta è avvenuta in ambito associato e preordinato con mezzi e risorse operanti sia in Italia che in Germania e precisa che la consegna deve per legge essere rifiutata qualora per lo stesso fatto che è alla base del m.a.e. sia in corso un procedimento penale in Italia; sicché la Corte ha omesso ogni verifica in merito alla circostanza che i fatti di cui ai due diversi procedimenti siano frutto di una condotta unica non essendo necessaria la commissione di fattispecie di reato necessariamente identiche; del resto la necessità di ulteriori accertamenti sul punto, imposta dall'articolo 6, comma 2, legge citata, deriverebbe dalla stessa motivazione della sentenza laddove si afferma, con riferimento ai reati fiscali, che non è dato sapere se le merci sulle quali è stata evasa l'imposta italiana siano le stesse di cui al m.a.e. Ricorda inoltre che la condotta contestata nel procedimento italiano è consistita nell'attività di esportazione verso la Germania, in cui è risultata coinvolta anche la società tedesca Beit Gmbh risultante essere di proprietà di B.L. e di cui è risultato essere socio di fatto il D.V. , di prodotti alcolici in evasione di accisa in quanto fatti figurare, per il tramite di una falsa attestazione di uscita della mercé dal territorio dell'Unione, come esportati in Albania; precisa quindi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che ha individuato unicamente le 18 esportazioni ascritte direttamente a D.V. , tutte le esportazioni del capo di imputazione italiano, ovvero 85, sono state avviate in ..., essendovi dunque piena coincidenza cronologica con i carichi descritti nel mandato tedesco e riferiti sempre alla struttura organizzativa di cui faceva parte D.V. .
Rileva quindi che l'associazione criminosa è sempre stata la medesima e i fatti costituenti i singoli reati, ossia i transiti da Italia a Germania e viceversa, sono legati da un indubbio concorso formale; la lettura atomistica dei singoli reati-fine commessi in Germania operata dalla corte territoriale, non può essere avulsa dal più ampio disegno criminoso posto in essere dall'associazione senza considerare che l'inizio della condotta delittuosa è avvenuta in Italia, ove sono stati consumati tutti reati costitutivi del disegno criminoso. Sottolinea che non solo vi è stata, con riguardo ai due procedimenti, identità dei soggetti partecipi, ma, sia per il giudice tedesco, sia per quello italiano, l'associazione ha avuto carattere transnazionale e ha operato tramite il medesimo meccanismo attraverso le stesse persone giuridiche (tra cui Beit) nel medesimo periodo. Del resto l'associazione per delinquere è reato a carattere permanente sicché, ove sia stato commesso in parte all'estero, la competenza deve essere determinata a norma degli articoli 8 e 9 c.p.p., con conseguente competenza del giudice italiano, avendo avuto tra l'altro inizio in Italia la consumazione. Sottolinea inoltre che dalla lettura del capo di imputazione per il reato di cui all'articolo 416 di cui all'ordinanza di custodia cautelare italiana si evince che l'attività dell'associazione prevedeva l'impiego di risorse anche all'estero, mentre dall'ordinanza di custodia cautelare tedesca si apprende che la società Beit Gmbh fu iscritta nel registro delle imprese il 28 settembre 2011 in epoca coeva all'inizio del reato associativo contestato e che effettivo compratore e titolare era D.V. perseguito nell'ambito di altro procedimento penale. Inoltre il promotore ed i partecipi dell'associazione perseguita in Italia risultano essere i medesimi indicati nei capi d'imputazione del procedimento tedesco e, come riconosciuto dalla stessa Corte d'appello, una volta evase le imposte italiane attraverso false spedizioni in XXXXXXX, gli alcolici venivano portati nel Nord Europa per l'immissione sul mercato nero.
Rileva infine che l'unicità dell'associazione è evincibile anche dalla semplice lettura dei capi d'imputazione laddove il giudice tedesco ha qualificato D.V. come membro di una organizzazione operante a livello internazionale e il gip di Alessandria ha ritenuto il sodalizio di carattere transnazionale.
Ritenuto in diritto
3. Il ricorso è fondato.
La Corte d'Appello di Torino, nel ritenere l'insussistenza di entrambi i motivi ostativi alla consegna invocati dall'interessato, ha fondamentalmente valorizzato la diversità delle imposte la cui evasione sarebbe stata perseguita da D.V. giacché, mentre in relazione all'ordinanza di custodia cautelare in carcere sulla cui base è stato emesso il mandato di arresto Europeo, le imposte evase sarebbero quelle tedesche, in relazione al procedimento italiano nel cui ambito è stata adottata la ordinanza di custodia cautelare in carcere del Gip di Alessandria, le imposte sarebbero quelle afferenti alle accise italiane. Tale diversità comporterebbe dunque, secondo la sentenza impugnata, che sia "i fatti" di evasione sia il fatto-reato associativo contestati nell'ambito del procedimento tedesco siano, da un lato, diversi da quelli contestati nel procedimento italiano e, dall'altro, insuscettibili di ricadere, sia pure solo parzialmente, nel perimetro della giurisdizione italiana, in tal modo dovendosi escludere la ricorrenza delle ipotesi di cui alle lettere o) e p) dell'art. 18 della L. n. 69 del 2005.
La stessa sentenza appare dare atto, tuttavia, del carattere "transnazionale" della associazione a delinquere in effetti caratterizzata, come desumibile dai capi di imputazione riportati nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, ed in particolare dal capo 20, sia pure con riferimento al reato tributario contestato a Barretta Vincenzo, dall'operatività non circoscritta all'ambito italiano ma estesa anche all'ambito territoriale tedesco, ed appare altresì dare atto della intervenuta utilizzazione, nell'ambito dei fatti "italiani", della società tedesca Beit GmbH (costituita in Italia e di cui titolare è lo stesso D.V. ) il cui utilizzo strutturale compare, in effetti, anche nell'ambito dei fatti contestati dalle autorità tedesche (si veda in particolare il capo 3 a) della ordinanza di custodia cautelare tedesca in atti).
Ora, se si considera quanto appena rilevato dalla stessa Corte territoriale, e si ricorda che questa Corte ha già affermato che la natura permanente del reato associativo, la struttura organizzata che lo caratterizza e la stabilità del vincolo che avvince i vari partecipi nel perseguimento di un comune programma impongono, in assenza di elementi che dimostrino il contrario, di considerare unitariamente i vari momenti operativi, anche se attuati su territori diversi, di non parcellizzarli e di ritenere che il fatto-reato sia lo stesso e che la partecipazione di un soggetto ad un sodalizio criminoso che ha diramazioni e centri operativi in varie parti del mondo acquista rilevanza ai fini della giurisdizione se uno o più dei centri sia operante in Italia, dovendo in tal caso il reato ritenersi interamente punibile secondo la legge italiana e ad opera dell'Autorità giudiziaria dello Stato (Sez. 6, n. 727 del 18/10/2006, Miah, Rv. 235549), divengono logicamente non comprensibili, da un lato, e con riferimento alla lett. o) della legge cit., l'affermazione secondo cui il fatto che gli alcolici sottratti al pagamento delle imposte italiane venissero poi portati nel Nord Europa per l'immissione nel mercato nero non eliderebbe il carattere autonomo di tali due tipologie di condotte, tale da configurare fatti diversi (vedi pag. 4 della sentenza), e, dall'altro, con riferimento alla lett. p), la conclusione secondo cui sarebbe "assai più verosimile" che il sodalizio criminoso operante in Germania si sia ivi costituito (vedi pag. 6 della sentenza).
Ciò tanto più che, come noto, una delle caratteristiche del reato associativo, tale da differenziarlo dal mero concorso di persone, è la indeterminatezza del programma criminoso (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 16339 del 17/01/2013, Burgio e altri, Rv. 255359; Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, Rossi e altri, Rv. 211403), essendo dunque evidentemente contrastante con un tale principio far derivare la diversità dei due sodalizi unicamente e fondamentalmente dal diverso ambito nazionale delle imposte la cui evasione viene, con l'associazione, perseguita, una volta che sia assodato che entrambi i sodalizi perseguivano comunque, in ambito internazionale, l'evasione di tributi.
Del resto, poiché la competenza territoriale a conoscere di un reato associativo si radica nel luogo in cui la struttura criminosa destinata ad agire nel tempo diventa concretamente operante, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del "pactum sceleris", per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre verificare in quale luogo si è realizzata l'operatività della struttura medesima, mentre va attribuita importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso a meno che non rivelino essi stessi, per il loro numero e consistenza, il luogo di operatività predetto (tra le altre, Sez. 2, n. 993 del 25/02/1999, Cohan, Rv. 212974; Sez,6, n. 7478 del 9 dicembre 1992, Carnana ed altro, Rv. 195046; Sez.6, n.4378 del 07/11/1997, Rv. 210812). Va aggiunto che questa Corte si è anche espressa nel senso che ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all'estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, che, se pur privo dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile collegando la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero (Sez. 6, n. 16115 del 24/04/2012, G., Rv. 252507; Sez. 6, n. 40287 del 28/10/2008, Erikci, Rv. 241519).
Sicché, in definitiva, la motivazione del provvedimento impugnato appare, per un verso, minata da intrinseche contraddizioni, e per un altro, contrastante con i principi più volte affermati da questa Corte. Si impone pertanto, in via preliminare rispetto ad ogni altra osservazione nel merito, l'annullamento con rinvio della sentenza ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per nuovo esame che tenga conto dei rilievi di cui sopra.
La cancelleria provvederà alla tempestiva comunicazione della presente decisione al Ministro della Giustizia ai sensi dell'art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, L. 22/04/2005, n. 69.
09-09-2013 21:02
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