Doppio binario. Processo penale e processo tributario. Spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi e anche a entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario.
Corte di Cassazione, sez. Fer. Penale, sentenza 27 agosto - 2 settembre 2013, n. 35846
Presidente Marasca – Relatore Mulliri
Ritenuto in fatto
1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - Il ricorrente è accusato della violazione dell'art. 47 comma 1 in rel. art. 40 comma 2 e 3/b d.lgs 504/95 per avere, nella sua qualità di agente rappresentante del Consorzio Agrario Interprovinciale di Catania e Messina, esercente l'attività di commercializzazione di prodotti agricoli agevolati, determinato una deficienza di kg. 26.467, sul gasolio denaturato agricolo, e di kg. 227 sulla benzina denaturata agricola, e pertanto in misura superiore al 10 % oltre il calo consentito.
La condanna alla pena di 9 mesi di reclusione e 6500 € di multa è stata confermata dalla Corte d'appello.
2. Motivi del ricorso - Avverso tale ultima decisione, il condannato ha proposto ricorso, tramite il difensore deducendo:
1) erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione da ravvisarsi nel fatto che la decisione impugnata non ha vagliato tutti gli elementi di fatto e di diritto emersi nel corso del processo e non ha tenuto conto delle argomentazioni difensive. In particolare, si richiama quanto accertato dalla sentenza della Commissione Tributaria cui si era rivolto il C. visto che la medesima vicenda aveva comportato anche la irrogazione di una sanzione da parte dell'Agenzia delle Entrate.
Il ricorrente si duole altresì del fatto che non siano stati espletati gli approfondimenti istruttori invocati dinanzi alla Corte d'appello e ricorda che la mancata verifica del calo naturale dal 2001 al 2006 ha influito sostanzialmente sul calcolo finale della quantità.
Secondo il ricorrente, la motivazione è apparente perché si basa solo sulle parole del verbalizzante che, però, sono in netto contrasto con le conclusioni della Commissione Tributaria di Catania nella sentenza 444/10 del 15.3.10 di cui il ricorrente riporta ampi stralci
2) vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge nella parte in cui il giudice ha ritenuto la continuazione tra il delitto tentato e quello consumato laddove, invece, si trattava di un unico reato complesso.
Si ricorda che, nella progressione criminosa il delitto tentato viene assorbito da quello consumato con il risultato che le condotte in esame avrebbero dovuto essere considerate come una sola.
Il ricorrente sottolinea, inoltre, che i serbatoi hanno una capienza massima di 35.000 e non 37.000 litri;
3) questione di legittimità costituzionale dell'art. 40 d.lgs 504/95 nella parte in cui prevede pene uguali per il delitto tentato e per quello consumato;
4) violazione di legge nel giudizio di comparazione delle circostanze anche in considerazione del fatto che la sentenza della Commissione Tributaria ha accertato che la deficienza di gasolio non era di kg 26.476 bensì di kg 870 sì che il giudice non avrebbe potuto applicare il comma 4 dell'art. 40;
5) vizio di motivazione per mancata conversione della pena detentiva con quella pecuniaria;
6) vizio di motivazione per mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna;
7) violazione di legge per mancata assunzione di una prova decisiva attraverso al rinnovazione del giudizio;
8) violazione di legge per il diniego delle attenuanti generiche;
9) erronea applicazione della legge penale non essendo stata raggiunta la prova della responsabilità "oltre ogni ragionevole dubbio";
10) violazione di legge per incongrua quantificazione della pena.
Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.
Con atto depositato li 9.8.13. il ricorrente ha formulato dei motivi aggiunti nei quali, in estrema sintesi si invoca:
1) una declaratoria di nullità della sentenza impugnata perché la violazione contestata in sede penale ben può essere considerata uno sviluppo di una condotta rilevante solo sul piano amministrativo ma che, per assurgere a reato, avrebbe meritato una specificazione che non vi è stata;
2) nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 606 lett. d) c.p.p. in quanto avrebbe dovuto essere disposta la rinnovazione del giudizio in appello per espletare una perizia ai fini della misurazione del serbatoio;
3) nullità della sentenza impugnata perché erroneamente è stato considerato un aumento ex art. 81 cpv. c.p.;
4) nullità della sentenza impugnata per mancata concessione del beneficio di cui all'art. 175 c.p.p.
In data 23.8.13. sono stati depositati dalla difesa ulteriori motivi aggiunti nei quali ribadisce che la violazione penale può essere considerata uno sviluppo dell'infrazione amministrativa, si duole che l'imputazione sia generica, rinnova le doglianze relative al mancato espletamento di una perizia ed al diniego dei benefici di cui all'art. 175 c.p.p.
Considerato in diritto
3. Motivi della decisione - Il ricorso è infondato e, con la sola eccezione del quinto motivo, deve essere respinto.
3.1. Il primo motivo si incentra su un tema che viene richiamato più volte anche in altre parti del ricorso e dei motivi aggiunti, vale a dire, quello della decisione assunta dalla Commissione Tributaria.
Esso non può, tuttavia, trovare accoglimento in quanto questa S.C. ha avuto occasione di affermare chiaramente - sia pure con riferimento ad altra situazione - l'indipendenza del giudizio penale rispetto a quello amministrativo (sez. in, 26.2.08, De cicco, Rv. 239984). Ed infatti, in quel caso, era stato detto che, ai fini dell'individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000, «spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario».
Considerate le caratteristiche del caso concreto in esame, vien fatto di affermare che il principio vale a fortiori anche perché - come giustamente hanno sottolineato i giudici di merito - la Commissione Tributaria non si è basata, nel proprio giudizio, su un accertamento effettivo, bensì su mere dichiarazioni della parte ricorrente (f. 3).
Si può, pertanto dire che la generica denuncia di vizio motivazionale e quella - non meglio specificata - di inosservanza delle norme è infondata e che il provvedimento impugnato non merita censure perché ha congruamente replicato ai medesimi argomenti difensivi qui svolti.
Ed, infatti, a proposito della mancata verifica del calo naturale dal 2001 al 2006, si fa giustamente notare che, come già fatto notare anche dal Tribunale, «le rimanenze effettive (di gasolio e di benzina) al 31.12.05, erano state rilevate sulla base del prospetto di chiusura presentato dall'imputato all'Ufficio Finanziario competente, e, dunque, sulla base proprio di quella determinata giacenza di carburante al 31.12. 2005 che era stato lo stesso C. a comunicare» (f. 3).
A ben vedere, quindi, la doglianza del ricorrente risulta, oltre che generica e ripetitiva, destituita di fondamento perché, proprio i punti qui evidenziati sono già stati esaminati compiutamente da entrambi i giudici di merito che vi hanno replicato congruamente. Da rammentare, peraltro, che la presente decisione va letta in uno con la prima dal momento che, pervenendo alla medesima conclusione, si "salda" con essa formando un unico complesso corpo argomentativo (S.U. 4.2.92, Musumeci, Rv.191229; sez. 1,20.6.97, zuccaro, Rv. 208257 Sez. I, 26.6.00, Sangiorgi, Rv. 216906).
Le censure odierne, tra l'altro, sono da disattendere anche per la semplice considerazione che cercano di introdurre valutazioni che attengono esclusivamente al merito.
È, invece, del tutto fuor di luogo cercare di coinvolgere nuovamente questa S.C. in questioni afferenti il calo ponderale ovvero porla a confronto con dati numerici circa la capienza dei serbatoi come se questa S.C. potesse riesaminare le prove ed, eventualmente, trarne conclusioni diverse. Giova rammentare, infatti, che «l'accesso agli atti del processo, non è indiscriminato, dovendo essere veicolato in modo "specifico" dall'atto di impugnazione (sez. VI, 15.3.06, casula, Rv. 233711; sez. VI, 14.6.06, Policella, Rv. 234914) anche, eventualmente attraverso opportune allegazioni. Queste ultime, però non possono - e non devono - tendere ad ottenere una rilettura degli atti e delle prove acquisite perché, in tal caso, si violerebbe il raggio di azione del giudice di merito (Sez. VI, 20.3.06, Vecchio,Rv. 233621; Sez. Il, 5.5.06, Capri, Rv. 233775; Sez. V, 22.3.06, Cugliari, Rv. 2337780; Sez. V, 22.3.06, Blandino, Rv. 234095).
Sterile, quindi, da parte del ricorrente, il richiamo dell'attenzione di questa S.C., ad esempio, alla circostanza che i serbatoi avrebbero una capienza massima di 35.000, e non di 37.000 litri trattandosi di circostanza di fatto sulla quale nessuna verifica può essere fatta in questa sede e che, comunque, è stata già oggetto di accertamento e valutazione da parte dei giudici di merito con motivazione congrua e non manifestamente illogica.
3.2. Anche il secondo motivo non può essere accolto perché infondato e, probabilmente, frutto di un fraintendimento della pronuncia impugnata. Le condotte contestate per le quali il ricorrente è stato punito, infatti, sono entrambe consumate.
Il riferimento al delitto tentato è solo quoad poenam perché, come spiega il Tribunale, l'art. 47 stabilisce che, se la deficienza è superiore al 10% oltre il calo consentito, si applicano le pene previste per il tentativo di sottrazione del prodotto al pagamento dell'accisa e la sanzione prevista a riguardo dalla lett. b) della medesima norma al comma 3 prevede una pena uguale a quella del reato consumato. Vi è da dire, però, che trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore, essa è pienamente legittima e non viola alcun principio costituzionale di uguaglianza. A tale stregua, è manifestamente infondata (se non addirittura inammissibile per la sua sostanziale genericità ed assertività) anche la eccezione di incostituzionalità svolta nel terzo motivo.
Peraltro, è ben vero che, nel concorso tra delitto tentato e consumato, ricorre una figura criminosa complessa,ma ciò vale con riferimento alla medesima condotta. Nella specie, invece, si è al cospetto di più condotte "più condotte fatti di reato, in sé compiutamente definiti e ripetuti in un arco temporale di tre mesi" (f. 4). La questione posta dal ricorrente risulta, quindi, teorica ed irrilevante.
Resta da rimarcare che, anche in questo caso, ci si imbatte in uno strisciante tentativo di coinvolgere questa corte di legittimità in una valutazione di fatto.
3.3. Tale ultimo difetto del ricorso si rinviene anche nel quarto motivo ove - nuovamente evocando la decisione della Commissione Tributaria - si sostiene esservi stato errore nell'applicazione della norma al momento di effettuare la comparazione delle circostanze. L'argomento è fallace, non solo, perché, come si diceva, usa un parametro di riferimento discutibile e, comunque, ininfluente in sede penale, ma, soprattutto, perché denuncia un vizio che sussisterebbe solo nella eventualità, ad esempio, fosse stata dichiarata una prevalenza non consentita o comunque il giudizio fosse stato effettuato al di fuori delle situazioni consentite.
Invece, qui la doglianza aggredisce il merito della decisione che sarebbe errata perché il giudice non avrebbe potuto applicare il comma 4 dell'art. 47 in quanto, quest'ultimo ricorre solo quando gli oli minerali siano superiori a 2000 kg. Tale eventualità, per il ricorrente, sarebbe stata, invece, esclusa dalla decisione della Commissione Tributaria. A prescindere da tutto quanto già detto circa la irrilevanza dell'argomento, vi è da soggiungere che il giudizio di bilanciamento, come pure il riconoscimento o il diniego di circostanze, sono espressione di un potere discrezionale che diviene inoppugnabile nel momento in cui il giudice abbia dato conto, con motivazione non manifestamente illogica, del proprio ragionamento.
3.4. Si accennava, invece, inizialmente, al fatto che il quinto motivo di ricorso è fondato. Esso ripropone esattamente quanto invocato nel quinto motivo di appello ma non risulta che la Corte vi abbia dato replica.
Il vizio è però emendabile, ex art. 619 c.p.p., direttamente, da questa S.C.. Pertanto, nell'annullare la sentenza impugnata limitatamente alla parte in cui non ha provveduto richiesta di conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, la prima (pari a 9 mesi di reclusione) può essere rideterminata in € 20.250 e, così complessivamente (tenuto anche conto della multa già inflitta, in € 26.750.
3.5. Nessun difetto motivazionale si rinviene nella decisione della Corte di non riconoscere il beneficio della non menzione della condanna. Esso, infatti - sia pur sinteticamente - è stato negato con il richiamo ai parametri dell'art. 133 c.p. A tale stregua è infondato il sesto motivo che, in ogni caso, si pone ai limiti dell'ammissibilità per la sua totale genericità e mera assertività. Analogo rilievo deve essere mosso con riguardo ai restanti motivi (settimo, ottavo, nono e decimo) dal momento che, in essi, ci si duole, puramente e semplicemente, della decisione assunta, sulla base di mere asserzioni di "erroneità" ovvero di "vizio motivazionale" non meglio specificati.
Orbene, per quel che attiene alla pena ed alle circostanze (ottavo e decimo motivo), vale quanto detto in precedenza a proposito del fatto che si tratta di apprezzamenti rimessi all'apprezzamento del giudice di merito ditalché, in sede di legittimità, corre il solo obbligo di verificare che la decisione sia stata assunta con una motivazione valida che escluda il timore di essere al cospetto di arbitrio. È, quindi, improprio parlare di "violazione di legge" come fatto dal ricorrente perché l'eventuale vizio motivazionale non dà mai luogo a tale vizio (se non nella eventualità - che però qui non ricorre - che la motivazione sia del tutto assente o apparente).
Quanto alla mancata rinnovazione, (settimo motivo) si può anche soggiungere che esso (Sez. V, 16.5.00, Callegari, Rv. 217209; Sez. V, 21.4.99, Jovino, Rv. 213637; Sez. VI 15.3.96, Riberto, Rv. 205673) è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti sicché non può essere censurata la sentenza nella quale - come qui avvenuto - siano indicati i motivi per i quali la riapertura dell'istruttoria dibattimentale non si reputi necessaria.
Infine, non vi è molto da soggiungere di fronte alla mera asserzione (decimo motivo) secondo cui la responsabilità dell'imputato non sarebbe stata provata visto che si baserebbe solo sulle dichiarazioni dei verbalizzanti e non sarebbero stati fatti i dovuti accertamenti. La censura non fa altro che reiterare, in modo generico il tema costante dell'intero ricorso incontrando, perciò, le risposte già date a proposito dei primi due motivi.
Resta solo da soggiungere che una certa tendenza alla ripetitività, da parte del ricorrente, la si riscontra nell'esame di tutti i motivi aggiunti che non fanno che ribadire, senza nulla aggiungere, punti già svolti (e qui trattati) nel ricorso principale.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p..
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata conversione della pena detentiva e ridetermina detta pena in € 20.250 e, così complessivamente, in € 26750. Rigetta nel resto il ricorso.
04-09-2013 21:12
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