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Sentenza

Dirigente scolastico imputato di concorso in abuso d’ufficio e diffamazione per avere attivato la procedura di contestazione di illeciti disciplinari a carico di docente rappresentando un illecito disciplinare in realtà mai commesso.
Dirigente scolastico imputato di concorso in abuso d’ufficio e diffamazione per avere attivato la procedura di contestazione di illeciti disciplinari a carico di docente rappresentando un illecito disciplinare in realtà mai commesso.
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 11.01.2013, n. 1514

Presidente Agrò - Relatore Citterio

Considerato in fatto

1. G.C. , dirigente scolastico di un istituto tecnico commerciale di (…) , era imputato di concorso in abuso d'ufficio e diffamazione in danno di G.M. , docente del medesimo istituto, per aver promosso la procedura di rito per l'irrogazione di provvedimento disciplinare nei confronti della docente, rappresentando un presunto illecito disciplinare in realtà non commesso, consistito nell'allontanamento arbitrario dall'istituto per ragioni di salute, avvenuto il 15.4.2004, con espressioni fortemente spregiative.
Il Tribunale di Campobasso con sentenza in data 9.12.2009 assolveva l'imputato perché il fatto non sussiste, in relazione al reato di abuso d'ufficio, e perché l'azione penale non poteva essere esercitata per intempestività della querela, quanto alla diffamazione.
Adita dall'appello della sola parte civile, la Corte distrettuale con sentenza del 10.11.2011-9.1.2012 affermava la responsabilità ai fini civili del C. , per il solo illecito di abuso d'ufficio, e lo condannava al risarcimento del danno ed alla rifusione parziale delle spese di difesa in favore della parte civile, che contestualmente determinava e liquidava.
1.1 La Corte d'appello argomentava che effettivamente il contenuto della nota con cui il dirigente scolastico aveva segnalato il presunto illecito disciplinare della docente era risultato non corrispondente al vero, perché sul punto la procedura disciplinare aveva attestato essere stato legittimo l'allontanamento dell'insegnante dalla scuola (per “violentissima ed improvvisa cefalea”, come comunicato dalla M. al dirigente per iscritto) per recarsi dal proprio medico di fiducia in un'ora nella quale la stessa non era in servizio (risulta dalla sentenza che il dirigente aveva richiesto alla docente di farsi visitare in istituto da un medico del servizio 118, come già accaduto in precedente occasione e come riferita sua prassi). Secondo la Corte distrettuale, la proposta di “sanzionamento disciplinare” doveva pertanto considerarsi in violazione di legge, perché basata sull'”inesatta qualificazione di ingiustificatezza dell'assenza dal servizio dell'insegnante” e quindi nella mancanza dei presupposti di fatto che consentono l'azione della P.A., tenuto conto che l'allontanamento era avvenuto in ora non di servizio e che il dirigente aveva taciuto pure l'avvenuta presentazione di successiva certificazione medica, del medesimo giorno e redatta nel medesimo orario “libero”, attestante infermità necessitante di riposo e cure per 3 giorni (dal ricorso si evince che il certificato pervenne nella stessa mattinata). Che il C. avesse agito al “precipuo scopo” di arrecare ingiusto danno alla M. si evinceva, per il Giudice d'appello, dal fatto che la proposta di sanzione disciplinare era stata fatta un mese dopo i fatti (e quindi avendo avuto l'imputato ogni tempo per i necessari chiarimenti ed accertamenti) e dal fatto che i rapporti tra i due erano contrassegnati da significativa tensione.
2. Con articolato ricorso personale, il C. enuncia quattro motivi, allegando pertinente documentazione secondo l'onere di autosufficienza del ricorso.
Il primo motivo svolge censure in rito:
- omessa motivazione sull'eccezione di inutilizzabilità delle prove orali, assunte davanti a giudice diverso e senza la successiva richiesta rinnovazione, tale non potendosi considerare il nuovo esame limitatosi alla richiesta di conferma delle precedenti dichiarazioni;
- mancanza dell'effettiva lettura e della dichiarazione degli atti utilizzabili per la decisione in luogo della lettura.
Il secondo motivo lamenta la mancata motivazione sia rispetto all'effettivo contenuto della nota, che si sarebbe limitata alla mera segnalazione di fatti realmente accaduti con, accompagnata da un giudizio di valore soggettivo, priva di efficacia causale diretta rispetto alla successiva e autonoma decisione del direttore generale dell'ufficio regionale scolastico, che tale fatto aveva ritenuto rilevante ed inserito in una più ampia contestazione: la peculiare natura e la limitata valenza dell'atto sarebbero state invece espressamente considerate e valutate nella sentenza assolutoria di primo grado (p.4), sicché sul punto la Corte avrebbe omesso il necessario confronto, sia all'apprezzamento del medesimo direttore generale sentito come teste in ordine alla ritualità delle due condotte.
Il terzo motivo deduce travisamento della prova in relazione all'incidenza della richiesta di allontanamento sull'orario scolastico, perché la M. dopo l'ora di “buco” avrebbe dovuto svolgere due ore di supplenza, sicché la sua richiesta andava ad incidere con immediatezza sull'attività scolastica programmata divenendo richiesta di allontanamento definitivo, nella giornata, che doveva essere appunto formalizzata ed autorizzata. Tant'è che proprio per giustificare tale assenza successiva la docente fece pervenire già in mattinata il certificato del proprio medico curante. L'irrilevanza dell'ora di “stacco”, nella peculiare fattispecie, sarebbe stata confermata dal medesimo direttore generale regionale. Solo a seguito del travisamento della prova, pertanto, la Corte distrettuale ha potuto giudicare “ben possibile” l'allontanamento della docente nel contesto temporale e, conseguentemente, falso il contenuto della segnalazione. Anche questo aspetto era stato espressamente argomentato e ritenuto dal primo Giudice, nella sentenza di assoluzione (p.4 e 5). Il ricorrente svolge quindi deduzioni a confutazione della lettura data dalla Corte d'appello ai singoli elementi valorizzati nella sua motivazione e, poi, richiamando ancora la sentenza del Tribunale, a sostegno della non configurabilita, nella fattispecie, dell'abuso d'ufficio sotto il profilo normativo, dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo (p. 22-27).
Il quarto motivo ripropone l'eccezione relativa alle conclusioni che il procuratore generale ha presentato, secondo il ricorrente invece dovendo essere le stesse precluse, stante la sola rilevanza civilistica delle questioni trattate.
2.1 La parte civile ha depositato memoria di confutazione dei motivi del ricorso, in particolare sul punti della configurabilità dell'abuso d'ufficio e della dolosa falsa rappresentazione dell'accaduto nella segnalazione disciplinare.

Ragioni della decisione

3.1 Le censure in rito del primo e del quarto motivo sono tutte manifestamente infondate.
Quanto alla prima, del primo motivo, il ricorrente non deduce di limitazioni occorse in relazione a domande proprie (o di altre parti); quanto alla seconda, del medesimo primo motivo, nulla è detto in ordine alla tempestività del rilievo, quantomeno in sede di conclusioni nel giudizio di primo grado e in sede d'appello.
Quanto al quarto motivo, l'art. 573 c.p.p. precisa che “l'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale”. Nel caso di specie l'appello è stato introdotto dall'impugnazione della parte civile ai sensi dell'art. 576.1 prima parte c.p.p. e trattato “con le forme ordinarie del processo penale”, di cui la partecipazione e le conclusioni della parte pubblica sono momento indefettibile (arg. anche ex Sez. 5, sent. 3096/1997).
3.2 Secondo e terzo motivo sono invece fondati nei termini che seguono.
3.2.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte suprema, la motivazione della sentenza d'appello che riformi la sentenza di primo grado, specialmente nel caso in cui affermi per la prima volta una responsabilità negata dal Giudice precedente, si caratterizza per un obbligo peculiare, che si aggiunge a quello generale della non manifesta illogicità e non contraddittorietà, evincibile dalla lettera E) dell'art. 606.1 c.p.p. (si è in proposito parlato anche di “obbligo rafforzato”: Sez.5, sent. 35762/2008).
Nel caso di riforma radicale della precedente decisione, infatti, il Giudice d'appello deve anche confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza (per tutte, Sez.6, sent. 22120/2012): non è pertanto sufficiente che la motivazione d'appello sia intrinsecamente esistente, non manifestamente illogica e non contraddittoria, supportando in tale usualmente sufficiente modo un apprezzamento di merito proprio del grado.
3.2.1.1 Tale principio rileva, in particolare, nel caso di decisione di prima condanna in grado di appello.
In questa evenienza, infatti, la ragione dell'inadeguatezza strutturale di una decisione d'appello che, pur in astratto correttamente motivata se in sé considerata, non dimostri di essersi anche confrontata con le (evidentemente) diverse ragioni della sentenza riformata, risulta dalla documentata non applicazione della regola di giudizio secondo la quale l'affermazione di responsabilità è possibile solo quando la colpevolezza risulta “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533.1 c.p.p.). Ed invero, come già precisato da due sentenze di questa Sezione (Sez. 6, sent. 40159/2011 e 4996/2011), a fronte del medesimo “compendio probatorio” la motivazione che si limiti a dare una lettura alternativa, ma non risulti “sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui ragionevoli dubbi sull'affermazione di colpevolezza”, viola quella regola di giudizio.
3.2.1.2 Va poi solo ribadito che la regola di giudizio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio” è efficace anche per l'affermazione della responsabilità ai fini civili che venga dichiarata nel processo penale, atteso il (già richiamato; contenuto dell'art. 573 c.p.p..
3.2.2 Orbene, nel caso concreto la Corte d'appello ha giudicato sussistere nella condotta del preside l'abuso d'ufficio, ritenendo integrato l'elemento costitutivo della violazione di legge in ragione del contenuto non rispondente al vero della nota che segnalava i fatti sollecitando l'esercizio dell'azione disciplinare: in particolare il rilievo del Giudice d'appello si è rivolto alla definizione di “arbitrarietà” dell'allontanamento, nonostante questo fosse avvenuto nella ed “ora di stacco”.
Ma il primo Giudice aveva evidenziato, con argomentazione con la quale il Giudice d'appello non si è confrontato (p.5), che nella medesima nota il dirigente aveva dato atto del malore asserito dalla docente e del fatto che lui stesso aveva promosso la chiamata del servizio di urgenza del 118. In sostanza, in tale nota vi erano già elementi di fatto che allertavano sulla peculiarità della vicenda e sulle asserite ragioni di salute che l'avevano determinata, sicché l'uso del termine arbitrario (nella qualificazione dell'allontanamento) costituiva commento personale di una situazione la cui peculiarità era in effetti oggettivamente mostrata con immediatezza. Se si aggiunge che - come avvertito dal Tribunale e non commentato dalla Corte distrettuale (il ricorrente, come visto, ha censurato specificamente in più punti il mancato confronto argomentativo, da parte della Corte d'appello, rispetto alla motivazione assolutoria del primo Giudice) - la docente era di servizio subito dopo l'ora di stacco (tant'è che aveva comunicato per iscritto il suo allontanamento, cosa altrimenti non necessaria, osservava il primo Giudice, se tale allontanamento e le ragioni che lo determinavano non avessero potuto influire sul prosieguo del servizio) e che in precedente analogo episodio la stessa docente, si era sottoposta all'accertamento in sede ad opera del 118, la motivazione d'appello sul punto della maliziosa falsa rappresentazione degli accadimenti si risolve in argomentazione sostanzialmente apparente, laddove non inserisce l'uso del termine “arbitrariamente” nel contesto oggettivo della nota e nella possibile lettura soggettiva del suo autore (è, ancora, dai punto di vista logico significativo che il termine della nota ripeta il termine apposto nell'immediatezza sotto la comunicazione della docente - fg. 2 alleg. ric. E p. 5 sent. Trib.).
L'annullamento della sentenza d'appello deve avvenire senza rinvio.
A fronte della motivazione del Tribunale, proprio la rilevata sostanziale apparenza della motivazione d'appello (che di fatto si fonda sulla valorizzazione autonoma ed in qualche modo decontestualizzata del termine “arbitrariamente”, pervenendo così ad una lettura del medesimo materiale probatorio solo alternativa, ma non pure “maggiormente persuasiva”, nel termini spiegati sub 3.2.1.1) attesta l'insussistenza del fatto di reato d'abuso nei termini concretamente contestati.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Depositata in Cancelleria il 11.01.2013
Avv. Antonino Sugamele

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