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Sentenza

Dirigente del settore urbanistico imputato di abuso di ufficio: aveva rilasciato una concessione illegittima per violazione di legge e in particolare della normativa regionale in materia di concessioni di uso del demanio marittimo.Sequestro.
Dirigente del settore urbanistico imputato di abuso di ufficio: aveva rilasciato una concessione illegittima per violazione di legge e in particolare della normativa regionale in materia di concessioni di uso del demanio marittimo.Sequestro.
Autorità:  Cassazione penale  sez. VI
Data udienza:  22 novembre 2012
Numero:  n. 46337
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE SESTA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. AGRO'    Antonio         -  Presidente   -                     
Dott. IPPOLITO Francesco       -  Consigliere  -                     
Dott. PAOLONI  Giacomo         -  Consigliere  -                     
Dott. CITTERIO Carlo           -  Consigliere  -                     
Dott. APRILE   Ercole          -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
            D.C.M., nata a (OMISSIS); 
avverso  l'ordinanza  in  data 27/07/2012  ex  art.  324  c.p.p.  del 
Tribunale di Roma; 
esaminati gli atti, l'ordinanza impugnata ed il ricorso; 
udita  in  camera  di  consiglio la relazione del  Consigliere  Dott. 
Giacomo Paoloni; 
udito  il  Pubblico  Ministero in persona del  sostituto  Procuratore 
Generale  Dott.  Spinaci Sante, che ha concluso per  il  rigetto  del 
ricorso; 
udito  il difensore della ricorrente, avv. Bottoni Mauro, che insiste 
per l'accoglimento del ricorso. 
                 

(Torna su   ) Fatto
FATTO E DIRITTO
1. Sulla base degli elementi di conoscenza storico-documentali raccolti dalla Guardia di Finanza il procedente pubblico ministero presso il Tribunale di Velletri ha ipotizzato il reato di abuso di ufficio , in concorso con i privati beneficiari di ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dall'atto pubblico, nei confronti di R. A. dirigente del settore urbanistico del comune di (OMISSIS) per avere rilasciato la concessione demaniale n. 2/2010 in data 10.11.2010 da considerarsi illegittima per violazione di legge e in particolare della normativa regionale in materia di concessioni di uso del demanio marittimo. Provvedimento con cui era concesso agli eredi del defunto D.C.G. (la vedova T. R. e le quattro figlie, tra cui l'odierna ricorrente) l'occupazione di un tratto del litorale costiero del comune per 940 mq, di cui 330 mq edificati con un manufatto adibito a ristorante e magazzino. Provvedimento concessorio che, nella prospettazione accusatoria, era - in ragione dei suoi effetti "retroagenti" (rilascio "ora per allora": dal 1998 al 2009 con contestuale rinnovo dal 2010 al 2015) - funzionale alla costituzione di un valido titolo giuridico idoneo ad estinguere i procedimenti, penali e amministrativi, pendenti nei confronti dei D.C. a far data dal 1995 per abusiva occupazione del suolo demaniale e per contrastare le richieste erariali di indennizzo per detta occupazione. In coerenza con tale impostazione valutativa il p.m. ha altresì contestato alle destinatane e presunte titolari del provvedimento concessorio irregolare (illegittimo) il concorrente reato punito dall'art. 1161 c.n. per perdurante abusiva occupazione dello spazio del demanio marittimo oggetto della concessione.
2. Nell'ambito delle indagini preliminari relative ai descritti fatti reato il g.i.p. del Tribunale di Velletri, accogliendo la richiesta del p.m., con decreto emesso il 19.6.2012 ha ordinato il sequestro preventivo dell'area demaniale ardeatina di 940 mq concessa in uso- occupazione alla famiglia D.C. e dell'edificio ivi insistente, adibito a ristorante, deposito e ad uso "abitativo".
Il g.i.p. ha rilevato l'esistenza, in termini di astratta configurabilità, di indizi di reato ex artt. 110 e 323 c.p. e art. 1161 c.n. nei confronti degli eredi di D.C.G. (fumus commissi delicti) in riferimento all'abusiva occupazione del demanio marittimo convalidata da un provvedimento amministrativo illegittimo sotto plurimi profili. Premesso che l'area demaniale risulta occupata sine titulo fin dal 1961 (epoca della prima istanza di concessione, disattesa, del defunto D.C.G.), gli occupanti avendo conseguito soltanto autorizzazioni sanitarie e amministrative (per altro anch'esse non regolari) per l'esercizio dell'attività di ristorazione, il g.i.p. ha rilevato che - alla stregua degli accertamenti della G.d.F. (informativa 18.4.2012) - almeno tre condizioni o presupposti del rilascio della incriminata concessione demaniale n. 2/2010 del 10.11.2010 debbono ritenersi contra legem: l) è arbitrariamente qualificata come "procedimento pendente" a fini concessori in rapporto alle ridette autorizzazioni temporanee la "pratica" (recte: lo stato di fatto di abusiva occupazione) correlata all'avvenuto rilascio della concessione in palese elusione di delibera della giunta regionale del Lazio 30.7.2001 n. 1161 connessa al disposto della L.R. Lazio n. 13 del 2007, art. 47; 2) la concessione viola detto L.R. Lazio n. 13 del 2007, art. 47, prefigurando la necessaria rinnovazione di un inesistente "titolo occupazionale scaduto" e non rinnovato dalla competente Capitaneria di Porto (prima del trasferimento delle relative competenze ai comuni), il comune di Ardea essendo comunque privo di un piano di utilizzo delle aree demaniali marittime (P.U.A.) e tale "titolo" non potendo per certo ravvisarsi nelle autorizzazioni temporanee e "gratuite" rilasciate ai D.C. negli anni 2001-2004 per noleggio di attrezzatura balneare e occupazione dell'area prospiciente il ristorante familiare; 3) non è veritiero (id est falso) l'assunto indicato nella concessione, indirettamente evocato nell'atto di "diffida" degli occupanti (per "regolarizzare" la concessione), secondo cui sarebbero stati versati i canoni erariali per occupazione di suolo demaniale nel periodo 1998-2009, avendo la G.d.F. accertato che risultano versate soltanto somme per indennizzi a titolo diverso dall'occupazione di area demaniale. La palese illegittimità della rilasciata concessione si coniuga al dato oggettivo delle plurime comunicazioni ex art. 347 c.p.p. emesse dall'autorità marittima ( Ufficio Locale Marittimo di Torvaianica) negli anni dal 2002 al 2009 per violazione degli artt. 54 e 1161 c.n., che hanno dato luogo al altrettanti procedimenti penali e amministrativi connessi all'abusiva occupazione demaniale.
Attività di controllo che l'illegittima concessione con i suoi postumi effetti "sananti" sostanzialmente vanifica con evidente ingiusto vantaggio patrimoniale per gli occupanti dell'area litoranea. Con il che diviene palese, per il decidente g.i.p., il fumus del connesso reato di abusiva occupazione di spazio demaniale ex art. 1161 c.n. ascritto ai soli eredi D.C., il loro insediamento di fatto essendo privo di una lecita concessione demaniale, atteso che quella loro rilasciata il 10.11.2010 (n. 2/2010) è tamquam non esset perchè frutto del reato di cui all'art. 323 c.p..
Da quest'ultima deduzione, evidenziandosi che il giudice penale può considerare inesistente una concessione quando sia plausibile - come nel caso di specie - che il provvedimento sia frutto di collusione criminale tra il privato e il pubblico ufficiale autore del provvedimento illegittimo, scaturisce l'ulteriore passaggio della rilevata sussistenza dell'altro requisito strutturale del sequestro preventivo rappresentato dal pericolo concreto e attuale di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato (periculum in mora), atteso che "i beni potrebbero essere utilizzati con conseguente occupazione arbitraria dello spazio del demanio marittimo senza il rispetto di quanto prescritto dalla legge".
3. Adito dall'impugnazione ex art. 322 c.p.p. della coindagata D. C.M., amministratrice della società "Peppe il pescatore" s.a.s. titolare della concessione demaniale n. 2/2010 del comune di Ardea, il Tribunale di Roma, con l'ordinanza del 27.7.2012 indicata in premessa, ha confermato la misura cautelare reale applicata all'area demaniale individuata come oggetto degli ipotizzati reati di cui agli artt. 110 e 323 c.p. e art. 1161 c.n., valutando infondati i rilievi critici espressi in tema di fumus commissi delicti e di periculum in mora con peculiare riguardo all'assunto della D. C. di essere (in proprio o per conto della indicata società) già "concessionaria di demanio marittimo sin dal 1960".
Tesi destituita di qualsiasi pregio per non essere mai stata l'occupazione demaniale esercitata dalla D.C., dalle sorelle, dalla madre e dal defunto genitore sorretta da valido titolo concessorio, tale non potendosi qualificare la concessione n. 2/2010 rilasciata dal dirigente del settore tecnico del comune di Ardea, diretta appunto a "sanare" surrettiziamente in violazione della vigente normativa regionale la preesistente assenza di un valido titolo per l'occupazione dell'area demaniale sfruttata economicamente dai D.C..
Ribadito che in tema di riesame di provvedimenti di sequestro e altre misure cautelari reali il giudice del riesame non dispone di piena cognitio sui fatti reato che sono condizione della misura ablativa, dovendo limitarsi - pena l'impropria anticipazione del coevo o susseguente giudizio di merito sui tali fatti- a verificare la loro astratta corrispondenza con le ipotizzate fattispecie criminose, il Tribunale ha osservato che nella vicenda cautelare ricorrono ampie tracce del reato di abuso di ufficio e del connesso reato di cui all'art. 1161 c.n., il concorso criminoso della D.C. e delle sue coindagate familiari nel reato proprio dei funzionari comunali R.A. e Ro.Ma. essendo suffragato dai dati agevolmente desumibili dalla informativa della Guardia di Finanza del 18.4.2012 e dagli indizi che sostanziano il fumus della collusione criminosa tra parti private interessate al provvedimento concessorio e pubblico ufficiale emittente il provvedimento illegittimo.
Al riguardo il Tribunale sottolinea che: la concessione del 10.11.2011 è stata inopinatamente rilasciata senza il previo necessario svolgimento di alcuna attività istruttoria, che avrebbe consentito l'immediata verifica della risalente invalidità dell'occupazione demaniale dei D.C., privi dei requisiti di legge per il presunto rinnovo di una inesistente concessione scaduta;
la concessione è stata rilasciata sulla base di più false rappresentazioni delle situazioni di fatto e di diritto sottostanti alla occupazione dell'area demaniale ed ascrivibili agli stessi D. C., sì da farli apparire non soltanto sicuri partecipi del reato di abuso di ufficio , ma altresì indiretti promotori dello stesso attraverso tali false rappresentazioni (non a caso l'informativa della G.d.F. ha ipotizzato ipotesi criminose di falsità attribuibili agli indagati che il procedente p.m. non ha, allo stato, approfondito).
Quanto alle esigenze cautelari (periculum in mora), il Tribunale ha ritenuto conclamata la sussistenza concreta e attuale del pericolo di aggravamento degli effetti dei reati ipotizzati dalla pubblica accusa, pericolo in re ipsa, avuto riguardo alla natura permanente del reato di cui all'art. 1161 c.n. (stante la necessità di impedire il protrarsi della illecita occupazione del suolo demaniale, "che si realizzerebbe senz'altro se si lasciasse la libera disponibilità dell'area in capo all'indagata").
4. Avverso l'ordinanza del riesame cautelare reale confermativa del sequestro preventivo ha proposto, mediante i difensori, ricorso ai sensi dell'art. 325 c.p.p. l'indagata D.C.M., deducendo le censure di seguito riassunte per gli effetti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
1. Erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p., comma 1e mancanza o apparenza della motivazione in riferimento al fumus commissi delicti.
Gli argomenti attraverso i quali il Tribunale ha creduto di dover confermare il ricorrere delle ipotesi di reato prefigurate dal procedente p.m. e condivise dal g.i.p. con il decreto di sequestro preventivo finiscono per rimettere la valutazione del fumus dei reati alle determinazioni dello stesso p.m., allorchè la verifica rimessa al giudice non trascenda i profili meramente formali dell'ipotesi accusatoria per spingersi ad un controllo effettivo della sussistenza dell'elemento giustificativo dell'applicazione del vincolo reale.
Poichè il sequestro incide su diritti costituzionalmente tutelati (diritto di proprietà, libertà di iniziativa economica, ecc.) e deve riconoscersi l'esistenza di affinità strutturali e funzionali tra cautele personali e cautele reali, "deve considerarsi necessaria, anche in riferimento a queste ultime, la presenza dei gravi indizi di colpevolezza". Del resto la stessa giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice del riesame nel valutare il fumus commissi delicti". non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti.
La ritenuta ravvisabilità del reato di cui all'art. 323 c.p. in capo al pubblico ufficiale R.A. è avvalorata, secondo il Tribunale, dalla falsa rappresentazione della situazione di fatto e di diritto che il dirigente del settore tecnico-urbanistico del comune non avrebbe potuto ignorare. Ma l'ordinanza impugnata (come lo stesso decreto di sequestro preventivo emesso dal g.i.p.) non precisa in cosa sia consistita tale presunta falsa rappresentazione.
La pubblica accusa ipotizza, poi, il concorso criminoso nel reato di abuso di ufficio della D.C. e dei suoi congiunti, senza indicare in qual modo si sia manifestata la condotta di compartecipazione efficiente nel reato proprio. Compartecipazione che va esclusa quando il soggetto privato si sia limitato, come la D. C. e i suoi familiari, alla "mera accettazione dell'atto abusivo vantaggioso per i propri interessi" ovvero si sia limitato "a presentare una istanza o richiesta volta a ottenere un atto che nel concreto risulti illegittimo". Le domande e i solleciti rivolti all' ufficio del Demanio Marittimo dalla famiglia D.C. - T. acquisiti dalla G.d.F. sono la prova dell'assenza di qualsiasi collusione criminale. Parimenti un tale valore deve riconoscersi anche alla richiesta protocollata il 13.3.2012 al comune di Ardea con cui la ricorrente ha sollecitato il comune a comunicare quanto dovuto a titolo di occupazione demaniale per il periodo 1.1.2003-31.12.2011.
2. Erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p., comma 1 e mancanza o apparenza della motivazione in riferimento al periculum in mora.
L'assunto dell'immanenza del pericolo di aggravamento e prosecuzione della attività criminosa espresso dai giudici del riesame deve considerarsi errato. Il pericolo che il sequestro preventivo è volto a contrastare, in quanto probabilità di un danno futuro, deve possedere caratteri di concretezza da accertarsi sulla base di elementi di fatto avvaloranti l'effettiva e non generica possibilità che la cosa di cui si intenda vincolare la disponibilità acquisisca un carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione del reato ipotizzato ovvero all'agevolazione di altri reati. Nel caso in esame, posto che la famiglia D.C. ha sempre richiesto e ottenuto autorizzazioni alle attività espletate nell'area demaniale, non è dato comprendere quali siano le conseguenze dannose per la collettività scaturenti dal persistere dell'occupazione del suolo e quale sia la stessa "arbitrarietà" della occupazione in parola.
5. L'impugnazione di D.C.M. deve essere dichiarata inammissibile per genericità ed infondatezza manifesta delle delineate censure.
4.1. Il ricorso ripropone le stesse argomentazioni poste a sostegno dell'istanza di riesame della misura cautelare, alle quali non si coniugano specifiche analisi critiche dei ragionamenti in base ai quali i giudici dell'incidente cautelare hanno confermato il sequestro preventivo dell'area demaniale e del manufatto edilizio su di esso presente.
Quanto ai profili giuridici degli enunciati critici esposti nel ricorso, è agevole osservare che l'ordinanza del Tribunale con pertinenti osservazioni ha valutato le emergenze processuali concludenti in termini di configurabilità degli ipotizzati reati di abuso di ufficio (commesso con il concorso dei privati beneficiari dell'atto concessorio illegittimo) e di occupazione abusiva di spazio demaniale. Valutazione compiuta in conformità ai limiti connaturati alla verifica delle condizioni legittimanti l'adottato sequestro preventivo. Limiti che, come statuito da consolidata giurisprudenza di legittimità, non consentono al Tribunale del riesame e a questa stessa Corte regolatrice di trasporre - come in definitiva con impropria prospettazione pretende la ricorrente attraverso profili censori che impingono direttamente il merito delle accuse di reato ascrittele in fase di indagini preliminari - siffatta verifica in un'anticipata o "preventiva" analisi delle questioni di merito attinenti alla responsabilità del soggetto indagato, analisi che finirebbe per trascendere il solo necessario controllo di compatibilità tra la concreta situazione fattuale (fondante la misura cautelare) e la fattispecie correlata.
Di tal che affatto incongrua e fuorviante si mostra la singolare ipotesi della ricorrente, alla cui stregua le misure cautelari reali mutuerebbero dalle misure personali l'esigenza, per una loro valida instaurazione, di gravi indizi di colpevolezza a carico del soggetto destinatario della cautela reale o a questa interessato, giacchè il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti in concreto sussistere o essere configurabile, indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, la verifica di tali dati essendo estranea all'adozione della misura cautelare ablativa (cfr.
ex plurimis: Cass. S.U. 23.2.2000 n. 7, Mariano, rv. 215840; Cass. Sez. 2, 14.2.2007 n. 12906, P.M. in proc. Mazreku, rv. 236386; Cass. Sez. 6,23.2.2010 n. 10618, P.M. in proc. Olivieri, rv. 246415).
5.2. In relazione all'apprezzamento del fumus commissi delicti le censure enunciate con il ricorso sono inconferenti e prive di pregio, facendo perno su una situazione di fatto (risalente occupazione dell'area demaniale, autorizzazioni ottenute per una serie di attività svolte nell'area) che non incide, accrescendone - anzi, se possibile - gli effetti antigiuridici, sulla genetica illiceità (o abusività o illegittimità) della attuata occupazione di suolo del demanio marittimo in difetto di qualsiasi valido titolo concessorio.
Per vero ai fini del presente giudizio sarebbe sufficiente constatare la sicura rilevanza decisoria dell'ultimo assunto dell'ordinanza del Tribunale censurata dalla ricorrente, relativo alla ipotizzabilità a carico della D.C. del reato previsto dall'art. 1161 c.n. (abusiva occupazione di spazio demaniale) e alla connessa pericolosità attuale e concreta (ex art. 321 c.p.p., comma 1) di aggravamento degli esiti di tale reato, per dedurre la generale palese infondatezza dei motivi di ricorso.
Nella riconosciuta possibilità di applicazione del sequestro preventivo ad un bene demaniale e in particolare del demanio marittimo, finalizzato ad impedire il protrarsi di una illecita occupazione di suolo pubblico e delle attività in esso svolgentisi (ex multa: Cass. Sez. 3, 15.12.2011 n. 12504/12, Di Nardo, rv.
252224), la natura permanente del reato punito dall'art. 1161 c.n. è un dato pacifico e tale da postulare per definizione il periculum che l'eventuale sequestro preventivo intende contrastare e prevenire (v.
Cass. Sez. 3,16.3.2010 n. 16417, Apicella, rv. 246765).
5.3. Nondimeno nella vicenda oggetto di ricorso il reato di occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo ex art. 1161 c.n. in tanto è ravvisabile, per gli effetti di cui all'art. 321 c.p.p., in quanto si individui l'illegittimità della formale concessione demaniale accordata dal comune di Ardea alla ricorrente.
Illegittimità delineata dalla natura "abusiva" del provvedimento amministrativo concessorio - in termini di ingiusto vantaggio patrimoniale per gli eredi di D.C.G. - per essere esso provvedimento il risultato della condotta criminosa di cui all'art. 323 c.p., che il procedente p.m. ha prefigurato nei confronti del dirigente del settore urbanistico del comune in quanto attuata con il concorso dei privati beneficiari (componenti della famiglia D.C.). Sicchè le doglianze espresse nel ricorso in tema di fumus della fattispecie di cui all'art. 323 c.p. non possono non ritenersi vanificate e assorbite dai precedenti rilievi sulla legittimità formale e sostanziale di un sequestro preventivo correlato all'ipotesi criminosa di cui all'art. 1161 c.n.. A tale riguardo non può non evidenziarsi l'inconsistenza di siffatte doglianze sotto un duplice profilo.
In primo luogo il ricorso individua in modo improprio nella sede del riesame ex art. 322 c.p.p. e nell'odierna sede di legittimità ex art. 325 c.p.p. lo spazio processuale nel cui ambito possa sottoporsi a scrutinio l'effettiva storica sussistenza del reato di abuso di ufficio ipotizzato dall'accusa nei confronti dei destinatari privati del sequestro e non già la sola sua concreta e attuale configurabilità. Il controllo di natura per dir così ontologica - non sottacendosi l'immanente fluidità dell'accusa, essendo in corso le indagini - non può che essere demandato alla piena cognizione del giudice del merito (e non al giudice del riesame della misura e, tanto meno, al giudice di legittimità). In altri termini la ricorrente tratteggia doglianze che travalicano l'area valutativa propria dell'attuale fase procedimentale, trasferendo in questa sede questioni che possono e debbono essere proposte nella sede della piena cognizione di merito. In tale prospettiva il giudice del riesame non è chiamato ad un meticoloso riscontro della coincidenza tra i fatti reato attribuiti e le concrete risultanze accusatone, ma solo a registrare l'astratta conformità all'ipotesi di imputazione del p.m., allo stato della fase processuale, dei fatti storicamente emersi o accertati fino a quel momento. Nel che consiste la verifica dell'esistenza del fumus dei reati e la sua correlazione con le esigenze di cautela reale.
In secondo luogo l'irrilevanza degli assunti critici esposti nel ricorso è fatta palese dalle tracce di "collusione criminosa", giustificante la contestazione del reato di abuso in termini di concorso tra il pubblico ufficiale e i soggetti privati beneficiari di un provvedimento amministrativo (concessione demaniale) alla cui illegittimità e penale rilevanza essi stessi hanno contribuito, ripercorse nel decreto di sequestro preventivo del g.i.p. e della ordinanza del riesame oggetto dell'odierno giudizio.
5.4. Non va sottaciuto in limine che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha affermato - per un verso - che il giudice penale può considerare inesistente una concessione formalmente rilasciata, quando sia verosimile che il provvedimento sia frutto di un accordo collusivo tra il privato e i competenti pubblici ufficiali o comunque di un contegno illecito di costoro riconducibile nell'area dell'art. 323 c.p. (Cass. Sez. 6, 20.9.2004 n. 39523, Scacchi, rv. 230249;
Cass. Sez. 3, 22.4.2008 n. 26144, Papa, rv. 240728) ed altresì -per altro verso - che il privato la cui attività costituente reato (nella specie art. 1161 c.n.) sia stata autorizzata con atto amministrativo illegittimo risponde penalmente, anche se non sia provata la sua collusione con l'organo amministrativo, degli illeciti (nella specie il reato permanente di cui all'art. 1161 c.n.) compiuti in virtù di quell'atto, purchè sia consapevole della sua illegittimità o che di questa si renda conto, tanto più in ragione dell'assorbente rilievo che in riferimento al reato ex art. 1161 c.n. la stessa S.C. ha chiarito che l'occupazione dello spazio demaniale marittimo è arbitraria quando non sia legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio (Cass. Sez. 3, 24.1.2007 n. 16570, Ricchiuto, rv. 236492; Cass. Sez. 3, 23.9.2008 n. 40029, Sarrecchia, rv. 241294; Cass. Sez. 3,23.6.2009 n. 35210, Di Paolo, n.m.).
Ora nella vicenda per cui è processo non sembra revocabile in dubbio che la ricorrente indagata sia stata perfettamente a conoscenza dell'inesistenza di un titolo concessorio che la facoltizzasse all'occupazione dell'area demaniale, non foss'altro che per il mancato accoglimento delle richieste di concessione formulate almeno tre volte prima del 2010 e per l'esistenza - come puntualmente precisa il decreto di sequestro del g.i.p. richiamato in parte qua dall'impugnata ordinanza del riesame - di decreti di sgombero dell'area occupata e di ripristino dello stato dei luoghi emessi nel 1987 e nel 1993 dalla Capitaneria di Porto di Roma.
Ma v'è di più.
A prescindere dal facile rilievo (segnalato dagli accertamenti della G.d.F. ricordati dal g.i.p. e dal Tribunale del riesame) che il rilascio della concessione (illegittima) del 2010 non è stato preceduto da alcuna doverosa verifica documentale e normativa dell'ente comunale, che avrebbe permesso senza difficoltà di constatare l'oggetti va e perdurante abusi vita dell'occupazione demaniale attuata dalla famiglia D.C. in totale difetto dei presupposti suscettibili di operarne una postuma "sanatoria" (ostandovi il disposto della L.R. Lazio n. 13 del 2007, art. 47 e della ulteriore disciplina regionale di settore), del tutto pertinenti appaiono le deduzioni del g.i.p. disponente la misura cautelare reale e del Tribunale del riesame in ordine agli indici di "collusività" significativi agli effetti del concorso nel reato di abuso ex art. 323 c.p. configurato nei confronti della ricorrente e degli altri indagati "privati". Indici desumibili dalla falsità rappresentativa delle varie situazioni che caratterizzano e costellano l'occupazione dell'area demaniale. In proposito è sufficiente segnalare, tra le diverse evenienze, che la concessione illegittima è stata rilasciata anche sul presupposto, addotto dai richiedenti coeredi D.C., dell'avvenuta "corresponsione all'erario degli importi dovuti a titolo di canone demaniale per gli anni 1998-2009". Dato non veritiero, come ha invece accertato la G.d.F., giusta quanto precisano il decreto del g.i.p. e l'ordinanza del riesame e come deve evincersi senza incertezze dalla richiesta, singolarmente messa in risalto nell'odierno ricorso, avanzata dai D. C. soltanto il 13.3.2012 (quando sono già noti gli accertamenti della G.d.F. riportati nell'informativa del 18.4.2012), con cui si chiede l'indicazione dei canoni dovuti titolo di occupazione demaniale per il periodo 2003-2009. Con ciò avvalorandosi l'omesso pagamento degli stessi, come invece sostenuto in precedenza a supporto dell'invocata concessione.
Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, il cui importo si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille).
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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