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Sentenza

Catania: associazione di stampo mafioso. Estorsioni  in danno di esercizi commerciali e il gioco d'azzardo.
Catania: associazione di stampo mafioso. Estorsioni in danno di esercizi commerciali e il gioco d'azzardo.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    06/11/2013 ( ud. 06/11/2013 , dep.25/11/2013 ) 
Numero:
    46981

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. GIORDANO Umberto         -  Presidente   -                     
    Dott. VECCHIO  Massimo    -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. ROMBOLA' Marcello        -  Consigliere  -                     
    Dott. BONITO   Francesco M.S.  -  Consigliere  -                     
    Dott. ROCCHI   Giacomo         -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                 T.F. N. IL (OMISSIS); 
                G.G. N. IL (OMISSIS); 
                 A.A. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la sentenza n. 14133/2012 CORTE DI CASSAZIONE di  ROMA,  del 
    19/12/2012; 
    sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO; 
    Udito,  altresì,  in camera di consiglio il Pubblico  Ministero,  in 
    persona  del  Dott. Iacoviello Francesco Mauro, Sostituto Procuratore 
    Generale  della Repubblica presso questa Corte Suprema, il  quale  ha 
    concluso  per  la inammissibilità dei ricorsi e per la condanna  dei 
    ricorrenti  al  pagamento delle spese processuali e di  una  somma  a 
    favore della cassa delle ammende, 
                     


    Fatto
    RILEVA IN FATTO E IN DIRITTO

    1. - Con sentenza deliberata il 19 dicembre 2012 e depositata il 14 febbraio 2013, questa Corte suprema di cassazione - Sezione 5^ Penale, giudicando sui ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, 27 luglio 2011, da A.A., da G.G. e da T.F. (e da altri) ha rigettato il ricorso proposto da A. e ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti da G. e da T..

    1.1 - Costoro erano stati imputati, in concorso con altri, di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell'art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, "per avere L.S., Q. V., P.A. e La.El., in tempi successivi, diretto e organizzato e gli altri ( A., G., T. etc...) fatto parte di una associazione di tipo mafioso, denominata clan Bottaio-Attanasio, caratterizzata dalla forza di intimidazione dei suoi appartenenti e dalla conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, sia all'interno che all'esterno, utilizzata per la commissione di delitti e per la realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti, per il controllo del territorio e delle attività, lecite e illecite, in esso svolgentesi, per la gestione e il controllo di varie attività criminose tra le quali le estorsioni in danno di esercizi commerciali e il gioco d'azzardo. Con l'aggravante per tutti gli indagati del carattere armato dell'associazione.

    Fatti commessi in (OMISSIS) e provincia del (OMISSIS) etc...".

    1.2 - Riconosciuti responsabili della compartecipazione associativa in questione, A., G. e T. erano stati condannati dai giudici di merito alla pena della reclusione commisurata, a titolo della riconosciuta continuazione con pregressa condotta associativa giudicata, in ragione di quattro anni e sei mesi per A., in ragione di tre anni e sei mesi per G. e in ragione di tre anni per T..

    1.3 - Con riferimento ai motivi dei ricorsi e in relazione a quanto serba rilievo nel presente, ulteriore e straordinario scrutinio di legittimità, la Corte territoriale ha osservato quanto appresso.

    2. -Il ricorso di A. è infondato.

    2.1 - L'imputato ha presentato ventiquattro motivi, integrati da dieci memorie, denunziando: i) violazione dell'art. 416 c.p.p., per l'omesso espletamento dell'interrogatorio assertivamente richiesto, con dichiarazione del 4 luglio 2008, dopo l'avviso della conclusioni delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 416 bis c.p.p.; 2) violazione dell'art. 146 bis c.p.p. per la mancata possibilità di comunicare riservatamente col difensore nel corso della udienza preliminare seguita a distanza dal carcere; 3) violazione del diritto di difesa per la denegata partecipazione alla prosecuzione di udienza dibattimentale, dopo l'allontanamento per la consumazione del pasto, a fronte dell'accoglimento da parte del magistrato di sorveglianza del reclamo in proposito esperito; 4) violazione dell'art. 34 c.p.p., comma 2 in relazione alla ritenuta incompatibilità di uno dei giudici il quale in precedenza aveva concorso a deliberare sentenza nei confronti di Tr.Da., imputato di concorso nella medesima compartecipazione associativa, e aveva valutato le prove a carico del ricorrente; 5) violazione dell'art. 523 c.p.p., comma 5, in relazione alla lesione del diritto di difesa, in dipendenza della interruzione presidenziale delle dichiarazioni finali; 6) mancanza della motivazione in relazione reiezione della richiesta di posticipazione fino al 7 giugno 2007 (data della sentenza di secondo grado) alla determinazione del dies ad quem della permanenza della condotta associativa, già giudicata colla sentenza irrevocabile di condanna;

    7) mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ricostruzione di "vari episodi"; 8) manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione come dirette, anzichè de relato, delle dichiarazioni dei collaboranti; 9) mancanza della motivazione in ordine alla valutazione della attendibilità delle dichiarazioni dei collaboranti; 10) mancanza e 11) manifesta illogicità della motivazione circa la valutazione della testimonianza del direttore del carcere (di Viterbo) in ordine alla possibilità di inviare ordini all'esterno in occasione dei colloqui intramurari con i familiari; 12) manifesta illogicità della motivazione e "travisamento dei fatti" in ordine al divieto di utilizzare elementi non pertinenti al periodo in contestazione; 13) violazione dell'art. 495 c.p.p., comma 2, e mancanza della motivazione in ordine al "quadro probatorio, ulteriormente avallato dal contenuto di alcune lettere"; 14) mancata assunzione di prova decisiva in relazione alla denegata ammissione del teste D. B.; 15) manifesta illogicità della motivazione e "travisamento del fatto" con riferimento alla valutazione della lettere inviate da l.G. e 16) da G.G.;

    17) mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione degli scambi epistolari, ritenuti veicolo di comunicazioni colla organizzazione criminale; 18) "travisamento dei fatti" in ordine al ritenuto contenuto della condotta associativa;

    19) violazione di legge in ordine alla "aggravante di cui all'art. 416 bis c.p., comma 2 mai contestata". 20) manifesta illogicità della motivazione circa la dosimetria della pena e violazione dell'art. 81 c.p. in ordine alla commisurazione dell'aumento a titolo di continuazione; 21) violazione dell'art. 133 c.p.; 22) mancanza della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio; 23) ancora violazione dell'art. 81 c.p.: 24) violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3; 25) mancata assunzione di prova decisiva con riferimento alla reiezione delle richieste di ammissione del teste Ge.

    M. e di acquisizione del registro modello I.P.l matricola del carcere di Milano - Opera; 26) violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, per aver la sentenza impugnata acriticamente riprodotto le considerazione espresse dal giudice di primo grado, senza dar conto delle obiezione dell'appellante; 27) violazione degli artt. 191 e 195 c.p.p. in relazione alla dichiarazioni di V.P.; 28) violazione di legge in relazione alla modificazione della composizione del collegio giudicante alle udienze del 28 settembre 2009 e 22 marzo 2010; 29) violazione dell'art. 27 Cost. in relazione al trattamento sanzionatorio; 30) violazione dell'art. 34, comma 2, in relazione all'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a), in relazione alla partecipazione al giudizio di primo grado di altro Magistrato, ritenuto incompatibile.

    2.2 - Il ricorrente ha prodotto processo verbale del 6 dicembre 2012 relativo all'esame del collaborante L.S. e stralci di ordinanze di custodia cautelare in carcere (con memoria del 31 dicembre 2011); certificati di matrimonio e di famiglia (con memoria del 12 gennaio 2012); copia della sentenza della Corte suprema di cassazione n. 38.766/2008 (con memoria del 12 gennaio 2012);

    provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (con memoria del 3 dicembre 2011).

    2.3 - Orbene occorre considerare, una volta per tutte, in relazione alla ricorrente denunzia operata dal ricorrente di "travisamento del fatto", che la censura è inammissibile, in quanto non è consentito dedurre col ricorso per cassazione il ridetto travisamento, dappoichè al giudice di legittimità è preclusa la sovrapposizione della "propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito".

    2.4 - E destituito di fondamento l'assunto difensivo (a sostegno del primo motivo di ricorso col quale è stata eccepita la nullità del procedimento per violazione del diritto di difesa) circa la errata verbalizzazione della richiesta di interrogatorio assertivamente occorsa il 4 luglio 2008 nella compilazione del registro modello I.P.l matricola.

    La Corte territoriale ha verificato la conformità della copia dell'atto inoltrato al Pubblico Ministero con l'originale, recante soltanto la generica istanza dell' A. "di conferire (col Pubblico Ministero) per motivi di giustizia", senza alcuna menzione della specifica richiesta di essere sottoposto all'interrogatorio in relazione alla comunicazione della conclusione delle indagini preliminari.

    A. ha, peraltro, debitamente sottoscritto l'atto compilato dall'agente della polizia penitenziaria addetto alla matricola del carcere.

    Nè è plausibile che il ricorrente, avendo dimostrato "oltre che discreta cultura generale anche una buona conoscenza di quella giuridica", potesse non comprendere "la ben diversa natura dell'atto che si chiedeva di compiere rispetto all'interrogatorio".

    Ininfluente è, infine, la sottoposizione a processo penale, per il delitto di falso del verbalizzante agente della polizia penitenziaria, N. (in seguito alla denunzia di A.).

    Il N., infatti, è stato assolto.

    Pertanto, in difetto della specifica richiesta di essere interrogato ai sensi dell'art. 415 bis c.p.p., l'eccezione di nullità, fondata sulla mancata assunzione dell'interrogatorio, deve essere disattesa.

    2.5 - Priva di fondamento è la doglianza, proposta col secondo motivo di ricorso, sotto il profilo che non era stata assicurata la possibilità di comunicare riservatamente col difensore in occasione della udienza preliminare, celebrata a distanza in videoconferenza.

    Il motivo (al pari di quello analogo di appello) è inammissibile.

    Nell'atto di gravame A. si era limitato a lamentare soltanto "il mancato funzionamento delle cabine (telefoniche) riservate", senza denunziare la "impossibilità concreta di conferire in maniera riservata col difensore".

    Comunque, l'imputato è legittimato a dolersi della violazione dell'art. 146 bis c.p.p., comma 4, soltanto se la "inosservanza (della disposizione) abbia cagionato una concreta e specifica limitazione dei suoi diritti difensivi", laddove, nella specie, l'asserzione "di non aver potuto conferire in via riservata col proprio difensore (..) risulta del tutto generica e sfornita di prova".

    2.6 - Neppure merita accoglimento la ulteriore eccezione di nullità, formulata col terzo motivo del ricorso, per la mancata partecipazione all'ulteriore svolgimento della udienza dibattimentale del 15 giugno 2011, dopo l'allontanamento per la consumazione del pranzo.

    Il ricorso non è autosufficiente sul punto: il ricorrente non ha indicato, innanzi tutto, quando terminarono la consumazione del pasto e la celebrazione dell'udienza (ai fini della verifica della possibilità di riattivazione della videoconferenza), nè ha illustrato "l'attività (dibattimentale) espletata nel pomeriggio" così da dimostrare il pregiudizio concretamente patito dal diritto di difesa.

    2.7 - E inammissibile la denunzia (formulata col quarto motivo di ricorso) di nullità del giudizio per la partecipazione al collegio di un magistrato ritenuto incompatibile e infruttuosamente invitato ad astenersi.

    Il motivo di impugnazione (comunque infondato nel merito, in quanto non costituisce causa di incompatibilità il pregresso apprezzamento, in altro giudizio, del compendio probatorio comune alla posizione di un compartecipe nel medesimo delitto associativo, senza valutazione della "posizione specifica" del giudicabile) è inammissibile perchè la incompatibilità del giudice deve essere esclusivamente fatta valere con l'apposito procedimento di ricusazione.

    2.8 - Il quinto motivo di ricorso, recante denunzia della violazione del diritto di difesa in relazione all'intervento del Presidente della Corte territoriale, alla udienza del 13 luglio 2011, in occasione delle dichiarazioni finali del ricorrente, è palesemente infondato.

    Risulta dal verbale stenotipico che, avendo A. incoato la "lettura di un documento relativo a questione non strettamente connessa con la contestazione", il presidente lo invitò "ad attenersi all'oggetto della imputazione", consentendogli, comunque, "di continuare a rendere dichiarazioni spontanee pertinenti alla imputazione".

    Peraltro il ricorrente ha omesso di indicare "la parte di difesa asseritamente decisiva ai fini della invocata assoluzione", che non potè esporre.

    2.9 - Infondate sono la denunzia del vizio di motivazione e della violazione di legge, formulate col sesto motivo del ricorso, in ordine alla determinazione del dies ad quem della permanenza dalla pregressa condotta associativa (oggetto della condanna irrevocabile).

    La Corte territoriale ha puntualmente spiegato che la ridetta permanenza fu giuridicamente interrotta il 1 dicembre 2005 colla pronuncia della sentenza di condanna in primo grado "nel procedimento Lybra".

    E, in ordine alla questione di diritto, la decisione è corretta alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità.

    In ogni caso la censura è irrilevante in quanto soccorrono "plurimi elementi da cui desumere che, anche dopo il 2007, A. permaneva all'interno della associazione con il ruolo di vertice già ricoperto in precedenza".

    2.10 - Il settimo motivo di ricorso è inammissibile, il quanto il mezzo non reca la denunzia di specifici vizi della motivazione, bensì sollecita una alternativa interpretazione delle prove, non consentita nella sede di legittimità.

    Mentre la Corte territoriale con motivazione "approfondita, congrua e logica" ha dimostrato la responsabilità penale di A. alle pagine da 22 a 45 della sentenza impugnata, "evidenziando plurime fonti di prova, tra loro assolutamente convergenti e non smentite da elementi di segno contrario". Nè è, peraltro, necessario che il giudice di merito analizzi dettagliatamente e confuti ogni singola deduzione o produzione difensiva, essendo ben sufficienti "la valutazione globale (..) delle risultanze processuali" e la spiegazione delle "ragioni che hanno determinato il convincimento", sicchè "devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata".

    2.11 - L'ottavo motivo di ricorso di censura della valutazione della Corte territoriale in ordine alle dichiarazioni dei collaboranti, ritenute dirette e non de relato, è generico e manifestamente infondato.

    Sotto il primo profilo, il ricorrente non ha indicato a quali dichiarazioni faccia riferimento.

    Sotto il secondo profilo, la Corte di appello, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, ha negato che siano de relato le dichiarazioni dei collaboranti in merito a fatti e circostanze concernenti la vita e le attività della associazione, loro note quali compartecipi, trattandosi del "patrimonio conoscitivo derivante dal flusso circolare di informazioni relativamente ai fatti di interesse comune agli associati".

    2.12 - E' palesemente infondato il nono motivo di ricorso circa la valutazione della attendibilità delle dichiarazioni dei collaboranti, in quanto l'apprezzamento positivo risulta implicito alla stregua della concordanza delle chiamate in correità e del concorso di ulteriori "elementi di natura oggettiva", costituiti esemplificativamente dalla corrispondenza inviata dal carcere, con contenuti anche minatori, e dall'"importo elevatissimo" dello "stipendio" percepito.

    Inammissibili sono, infine, le ulteriori censure consistenti nella rivalutazione delle dichiarazioni dei collaboranti (riportate nel ricorso) e nella correlata pretesa di inferire "fatti diversi da quelli accertati, nell'ambito dei loro poteri discrezionali, dai giudici di merito".

    2.13 - Il decimo e l'undicesimo motivo di ricorso sono inammissibili.

    Le deduzioni del ricorrente sono generiche e non consentite in questa sede di legittimità, consistendo nella rivalutazione del merito delle prove in modo diverso da quello dei giudici territoriali.

    Nè, in presenza della "doppia pronuncia conforme" può farsi questione di travisamento della prova (peraltro neppure specificamente dedotto).

    2.14 - Generico e manifestamente infondato è il dodicesimo motivo di impugnazione, di censura per la utilizzazione di elementi di prova non pertinenti cronologicamente all'arco temporale di permanenza della condotta associativa contestata.

    La Corte territoriale ha spiegato che le evidenze anteriori al 1 dicembre 2005 sono state considerate "solamente indicative" e ha indicato "in modo specifico gli elementi di prova relativi al periodo successivo".

    2.15 - Il tredicesimo motivo del ricorso è inammissibile: il ricorrente "pretende di rimettere in discussione il percorso logico, seguito dalla Corte (territoriale) senza vizi di sorta" mediante "un esame frammentario delle prove".

    2.16 - Inammissibile è, pure, il quattordicesimo motivo del ricorso (circa la denegata ammissione della testimonianza di D.B. G.), in quanto il ricorrente non ha spiegato sotto quale profilo la prova postulata sarebbe decisiva: Peraltro la data di nascita del testimone (affatto pacifica) è irrilevante e la "eliminazione" dell'"altro elemento di prova citato (..) non avrebbe fatto venire meno l'imponente quadro probatorio che ha sostenuto la sentenza di condanna".

    Per vero il ricorrente postula una inammissibile valutazione di merito, pretendendo di assegnare alla lettera indirizzata dal carcere al D.B., come pure a quelle spedite da l.G. e da G.G. "un valore differente" da quello apprezzato dalla Corte territoriale.

    2.17 - Del pari è inammissibile, per la ragione testè indicata, è l'ulteriore motivo di ricorso circa la valutazione del "flusso della corrispondenza" epistolare dalla quale la Corte di merito, con congrua e logica motivazione, ha desunto "la costante comunicazione tra A. e gli altri affiliati al sodalizio criminoso", atteso "il tenore criptico delle missive" apprezzato in correlazione colle "chiare e collimanti indicazioni dei collaboranti", con la percezione dello "stipendio", con la somministrazione di "altre utilità" e col finanziamento della "assistenza legale", erogati "dal clan" al ricorrente.

    2.18 - Il motivo inteso a contrastare la affermazione della Corte territoriale, secondo la quale la compartecipazione associativa non implica il necessario concorso nei reati scopo, è inammissibile, in quanto il ridetto principio di diritto è corretto. Peraltro nello sviluppo del mezzo di impugnazione il ricorrente ha rassegnato non consentite censure di merito in ordine alla valutazione del compendio probatorio.

    2.19 - Deve essere disattesa la doglianza, avanzata col diciannovesimo motivo del ricorso, "per la aggravante di cui all'art. 416 bis c.p., comma 2", in quanto "non risulta in alcun passo della sentenza che all' A. sia stata applicata tale aggravante" (rectius: A. ha riportato condanna per il delitto di mera partecipazione ad associazione di tipo mafioso, contestatogli, e non per i delitti di direzione e organizzazione della organizzazione, pure enunciati nel medesimo capo di imputazione, ma ascritti ad altri soggetti).

    2.20 - Sono inammissibili le censure relative al trattamento sanzionatorio, piuttosto frutto del travisamento del contenuto della sentenza impugnata, quanto alla supposta pena base, mentre in ordine alla dosimetria dell'aumento la Corte territoriale ha adeguatamente dato conto della commisurazione della sanzione.

    2.21 - La denunzia della violazione di legge in relazione alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti è inammissibile per la genericità della censura, laddove la sentenza impugnata contiene congrua disamina, nella parte introduttiva e alle pagine 26 e segg.

    delle dichiarazioni dei collaboranti.

    2.22 - Inammissibili, in quanto prive del requisito della specificità, sono le doglianze articolate nella memoria del 21 novembre 2011 per i dinieghi di ammissione del teste Ge.

    M. e di acquisizione del registro della matricola del carcere di Milano - Opera.

    Il ricorrente non ha indicato la "decisività" della prova richiesta.

    E, peraltro, non sembra che le predenti annotazioni del verbalizzante "abbiano qualche rilievo".

    2.23 - La censura avanzata colla memoria del 23 novembre 2011, circa il vizio di motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dell'acritico recepimento delle considerazioni del primo giudice è, innanzi tutto, contraddittoria avendo il ricorrente sostenuto che "in sostanza" la sentenza di secondo grado ricalcava "alla lettera" quella di prime cure; in ogni caso la doglianza è "assolutamente apodittica e indimostrata e, dunque, inammissibile" alla luce - giova ribadire - del principio di diritto in precedenza richiamato circa la sufficienza della motivazione del giudice di appello.

    2.24 - L'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni di V.P., proposta colla memoria del 25 novembre 2011, è inammissibile per la genericità della censura.

    Inoltre il ricorrente ha trascurato di indicare la decisività dell'elemento di prova in parola, che, appare, invece, "di scarso peso all'interno del costrutto argomentativo" della sentenza impugnata.

    2.25 - Analogamente è inammissibile per carenza di specificità "la censura (di violazione di legge) svolta con memoria del 3 dicembre 2011" con riferimento al cambiamento della composizione del collegio alle udienze del 28 settembre 2009 e del 22 marzo 2010.

    A prescindere dalla inammissibilità, affatto ininfluente è, poi, la produzione, a corredo della ridetta memoria, del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La concessione del beneficio, infatti, non vale a suffragare la negativa del ricorrente, circa la percezione di proventi illeciti nel periodo oggetto della imputazione, in quanto il provvedimento è stato deliberato, in epoca successiva (settembre 2011).

    2.26 - Inammissibile, perchè non consentita nel giudizio di legittimità, è la censura di merito, circa la dosimetria della pena, contenuta nella memoria del 9 dicembre 2011.

    2.27 - Non sono valutabili dalla Corte le "numerose produzioni" documentali operate dal ricorrente a corredo delle successive memorie. Si tratta di produzioni, peraltro irrilevanti, che non possono essere ammesse nel giudizio di legittimità in quanto postulano valutazioni "di tipo discrezionale sulle prove, riservate invece al giudice di merito".

    2.28 - La denunzia della inosservanza dell'art. 34 c.p.p., comma 2, formulata colla memoria del 15 marzo 2012 è tardiva e, comunque, inammissibile perchè affatto generica.

    2.29 - Inammissibili sono le censure di merito, in ordine alla valutazione delle prove e in ordine al trattamento sanzionatorio irrogato agli altri giudicabili, contenute nella memoria (recante la data del 26 novembre 2012 e pervenuta il) 3 dicembre 2012.

    3. - Il ricorso di G. è inammissibile.

    3.1 - In rito la censura (formulata nel ricorso personalmente redatto dal giudicabile) per "la mancata contestazione dell'aggravante di cui all'art. 416 bis c.p., comma 2, è inammissibile per la estrema genericità": il ricorrente ha fatto riferimento alla "ordinanza custodiale, invece che al decreto di citazione a giudizio, unico parametro utile per verificare la correlazione tra l'accusa e la sentenza".

    3.2 - Manifestamente infondato è il secondo motivo del ricorso redatto dal comune difensore (anche nell'interesse di T.) a in ordine alla supposta illogicità della motivazione sul punto della "sufficienza della percezione dello stipendio (erogato dalla cosca) al fine di ritenere sussistente il legame associativo". Sebbene la Corte territoriale abbia divisato che la "mera percezione dello stipendio" - in carenza di ulteriori elementi - non fosse sufficiente a integrare la prova della compartecipazione nella associazione mafiosa (così assolvendo, per non aver commesso il fatto, taluni appellanti tra i quali D.C.L.), il dato della "percezione regolare e periodica di una somma di danaro da parte della struttura organizzata" non merita di essere svalutato; e, anzi, assurge a "elemento chiave", quando è "dimostrata la pregressa appartenenza al gruppo e la mancanza di sintomi evidenti di dissociazione".

    4. - Anche il ricorso di T. è inammissibile.

    4.1 - Affatto generico e privo di autosufficienza è il quinto motivo del ricorso (personalmente proposto) col quale il ricorrente ha dedotto "violazione dell'art. 179 c.p.p. per mancata contestazione della aggravante di cui all'art. 416 bis c.p.", facendo, peraltro riferimento alla ordinanza di custodia cautelare in carcere.

    Tale riferimento è "indebito", in quanto "per valutare la mancata contestazione della aggravante il ricorrente avrebbe dovuto prendere in esame il decreto di citazione a giudizio".

    4.2 - Il secondo motivo del ricorso redatto dal comune difensore (anche nell'interesse di G.) è manifestamente infondato (v.

    il paragrafo che precede sub. 3.2).

    5. - Hanno proposto ricorso straordinario per cassazione A., G. e T., personalmente, mediante dichiarazioni, rese ai sensi dell'art. 123 c.p.p., il 20 giugno 2013 dal primo al direttore della Casa circondariale di Novara e il 21 giugno 2013 dal secondo e dal terzo ai direttori delle rispettive Case circondariali di Cuneo e di Catania - Bicocca.

    3. - A. sviluppa ventidue motivi, instando anche per la "sospensione del provvedimento e la immediata scarcerazione" e coltivando la impugnazione, con memorie recanti la data del 4 luglio 2013, pervenuta il 17 luglio 2013, e del 31 agosto 2013, pervenuta il 16 settembre 2013.

    3.1 - Col primo motivo il ricorrente, con riferimento alla eccezione di nullità (formulata col ricorso ordinario) per l'omesso interrogatorio, richiesto in esito alla conclusione delle indagini preliminari e non eseguito, deduce: al giudice di legittimità "sfuggito" il decreto del giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Milano, 23 gennaio 2010, il quale ha riconosciuto la infedele riproduzione da parte dell'agente della polizia penitenziaria, addetto all'ufficio matricola del carcere di della dichiarazione resa il 4 luglio 2008, ai sensi dell'art. 123 c.p.p. da esso ricorrente e la omessa menzione della richiesta di interrogatorio; nè l'errore del verbalizzante potè essere rilevato nella immediatezza, in quanto l'atto fu compilato a mano non in stampatello, bensì in corsivo; la stessa Sezione 5^ Penale della Cassazione, in precedenza, ha accolto il ricorso proposto dallo stesso A. per la omessa audizione in relazione a procedimento incidentale de libertate, giusta sentenza n. 26355 del 4 aprile 2008.

    3.2 - Col secondo motivo il ricorrente censura la denegata acquisizione del registro modello I.P.l matricola del carcere di Milano - Opera, reputata "prova decisiva", opponendo al negativo apprezzamento, in proposito, del giudice di legittimità, che il documento richiesto avrebbe offerto la dimostrazione che la dicitura apposta dal verbalizzante "chiedo di conferire (..) per motivi di giustizia" rappresentava una "formula stereotipa", erroneamente e inconsapevolmente trascritta dal compilatore "per effetto della c.d.

    proceduralizzazione", laddove al giudice di legittimità è "sfuggita per una svista" la citazione della pubblicazione scientifica riportata nella memoria del 21 novembre 2011, a p. 2.

    3.3 - Col terzo motivo il ricorrente, con riferimento alla proposta eccezione di nullità della udienza preliminare del 18 ottobre 2008, per lesione del diritto di difesa, in dipendenza della mancata possibilità di comunicazioni riservate col difensore dalla postazione remota intramuraria (formulata col ricorso ordinario), censura che l'assunto del giudice di legittimità circa la mancanza di prova del lamentato pregiudizio, è frutto di ulteriore "svista" del giudicante, in quanto il verbalizzante presso l'aula della videoconferenza del carcere di Milano - Opera aveva attestato che, per la mancanza di cabine telefoniche, le comunicazioni tra l'imputato e il difensore si svolgevano "in maniera non riservata", e aveva dato atto delle eccezioni di nullità della udienza formulate dal giudicabile e dal difensore per la impossibilità di comunicazioni riservate nel corso della udienza. Aggiunge il ricorrente che era deducibile il travisamento operato dalla Corte territoriale coi falsi assunti del momentaneo guasto della cabina telefonica (in realtà non collocata nella sala della videoconferenza) e della riservatezza delle comunicazioni telefoniche tra imputato e difensore.

    3.4 - Col quarto motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del terzo motivo del ricorso ordinario (concernente la denegata partecipazione alla udienza dibattimentale del 15 giugno 2011 per la residua durata del dibattimento di quel giorno dopo l'allontanamento per il pasto) - cen-sura la omessa considerazione da parte del giudice di legittimità in dipendenza di altrettante sviste a) del processo verbale di udienza che documenta la prosecuzione del dibattimento per molte ore; b) della ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Spoleto, 12 ottobre 2011, che, in accoglimento del reclamo, ha accertato la violazione del diritto del detenuto di partecipare al prosieguo della udienza dopo i pasti; c) della sentenza della Corte suprema di cassazione, Sez. 2, n. 38766 del 10 novembre 2006, allegata alla memoria del 28 gennaio 2012, per suffragare la deducibilità nel giudizio di legittimità della "illegittimità rilevata in sede giurisdizionale a seguito di reclamo al magistrato di sorveglianza".

    3.5 - Col quinto motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del quarto motivo del ricorso ordinario in ordine alla denunziata inosservanza dell'art. 34 c.p.p., comma 2, sotto il profilo della incompatibilità di uno dei giudici per valutazioni ritenute pregiudicanti espresse nella pregressa sentenza 13 giugno 2011, n. 26, a carico di Tr.Da. - deduce: l'astensione è obbligatoria ed è sindacabile col ricorso per cassazione la determinazione del giudice il quale, a dispetto della segnalazione della incompatibilità, non ritenga di astenersi; il Collegio di legittimità "per una svista non ha avuto percezione" del pregiudicante rilievo contenuto nella succitata sentenza circa lo scambio intramurario di corrispondenza clandestina tra Tr. ed esso A.; peraltro la condanna inflitta a Tr. è stata annullata dalla Cassazione con sentenza n. 29334 del 28 giugno 2012, sulla base del rilievo della carenza di riscontri in merito alle accuse del collaborante L. circa "lo scambio di pizzini con A.A.".

    Aggiunge il ricorrente: il giudice di legittimità per ulteriore "svista non ha valutato il verbale di udienza del 23 ottobre 2012", prodotto a corredo della memoria del 26 novembre 2012, là dove Tr. ha smentito L. (pp. 34 e 35) e ha scagionato esso A. (p. 40).

    3.6 - Col sesto motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del quinto motivo del ricorso ordinario in ordine alla denunziata lesione del diritto di difesa per il denegato completamento delle dichiarazioni finali ai sensi dell'art. 523 c.p.p., comma 5,- deduce: il Collegio di legittimità "si è fatto sfuggire" a) la illustrazione, dettagliatamente esposta nel ricorso del 18 novembre 2011, delle difese impedite (circa la impossibilità dei contatti intramurari); b) la allegata ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Viterbo, 15 dicembre 2005, in ordine all'illegittimo regime di costante isolamento subito all'epoca dal ricorrente; c) la documentazione dei titoli di studio conseguiti, reputati inconciliabili (per l'impegno richiesto) con il mantenimento dei contatti criminali e, piuttosto, positivamente valutati dal giudice della prevenzione, il quale ha revocato il disposto inasprimento della misura (giusta decreto della Corte di appello di Catania 20 maggio 2009).

    3.7 - Con il settimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del sesto motivo del ricorso ordinario, citando le propalazioni dei collaboranti ( S.G., B.G., Gi.Da., St.Ma., V.P., C.G. e L.S.), sostiene che è frutto "di errore di fatto dovuto a una svista" del giudice di legittimità la supposizione della protrazione della condotta associativa dopo il 7 giugno 2007, sicchè, ancorando a tale data (corrispondente al quella della sentenza di condanna, in grado di appello, per pregressa condotta associativa) il dies a quo della permanenza, consegue l'assoluzione "per la totale assenza di prove".

    3.8 - Con l'ottavo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del motivo del ricorso ordinario, concernente la omessa disamina delle deduzioni formulate con l'appello (mancata dimostrazione della percezione dello "stipendio" dopo il 2005, delle comunicazioni, sia verbali che scritte, colla associazione criminale; esclusione della protrazione della permanenza in esito alla sottoposizione del regime differenziato; valenza liberatoria o neutra delle intercettazioni; assoluzione dal concorso morale nei reati commessi in concomitanza della carcerazione;

    inutilizzabilità di vicende pregresse, estranee al periodo oggetto della imputazione; ininfluenza della percezione dello stipendio;

    contraddizioni del collaborante S.; carenza di valenza probatoria delle propalazioni di B.; confutazione delle dichiarazioni di Gi., St., V., C., L.; favorevole testimonianza del direttore del carcere di Viterbo; sottoposizione a controllo della corrispondenza;

    accoglimento di vari reclami da parte dei magistrati di sorveglianza;

    revoca della misura di prevenzione; contraddizioni tra le dichiarazioni dei collaboranti; conseguimento dei titoli di studio durante la carcerazione; documentazione fotostatica della corrispondenza epistolare a far tempo dal maggio 2007; ricezione di sussidi elusivamente dalla madre, titolare di pensione) - sostiene che il giudice di legittimità è incorso "in evidente errore di fatto" avendo reputato che la Corte territoriale avesse adeguatamente confutato le deduzioni difensive.

    3.9 - Con il nono motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione dell'ottavo motivo del ricorso ordinario circa la manifesta illogicità della sentenza appellata sul punto della negazione della natura indiretta delle propalazioni di accusa - deduce: il giudice di legittimità, asserendo che la censura era generica per carenza di indicazione delle dichiarazioni impugnate, è incorso in errore di fatto, in quanto "non ha fatto caso" alla circostanza che il ricorso ordinario aveva investito tutte le dichiarazioni di reità e recava (nella "integrazione del 23 novembre 2011") specifici riferimenti a quelle di C., L. e V.; e in quanto, con citazione parziale, non ha considerato lo stesso principio di diritto richiamato in ordine alla necessità della preventiva dimostrazione che le propalazioni costituissero "oggetto di patrimonio conoscitivo comune derivante da un flusso circolare di informazioni".

    3.10 - Col decimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del nono motivo del ricorso ordinario circa la carenza di elementi di conferma della attendibilità delle dichiarazioni dei collaboranti - il giudice di legittimità è incorso in "evidenti errori di fatto", supponendo la ricorrenza di "numerosissimi riscontri", mentre a) i collaboranti "si smentiscono a vicenda"; b) non era stato possibile accertare il contenuto della lettere inviata dal carcere da esso A. (come aveva riconosciuto la Corte di appello); e c) non vi è alcuna propalazione circa la "percezione di stipendio dopo il 2005".

    3.11 - Con l'undicesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del decimo motivo del ricorso ordinario sul punto del travisamento della prova operato dalla Corte di appello (con riferimento alle dichiarazioni del direttore del carcere di Viterbo e alle propalazioni dei collaboranti) in ordine all'invio di ordini criminali da parte di esso A. attraverso i colloqui col fratello, il giudice di legittimità è incorso "in evidente errore di fatto", affermando che la censura sarebbe stata non esplicita e non sufficientemente specifica, laddove il ricorso principale recava (a p. 49) la citazione della motivazione della Corte territoriale sul punto e le correlate confutazioni difensiva (a p. 50).

    3.12 - Col dodicesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione dell'undicesimo motivo del ricorso ordinario concernente il medesimo tema di prova sotto il diverso profilo della mancanza di motivazione, il giudice di legittimità è incorso "in evidente errore di fatto", avendo richiamato la precedente considerazione.

    3.13 - Col tredicesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del dodicesimo motivo del ricorso ordinario circa la inutilizzabilità di elementi non pertinenti all'arco cronologico della condotta in contestazione, deduce: il giudice di legittimità è incorso "in errore di fatto", in quanto ha valutato generica la censura (a dispetto della specifica indicazione delle intercettazioni anteriori al dicembre 2005 considerate dai giudici territoriali) e in quanto ha affermato che la Corte di appello avesse indicato "in modo specifico gli elementi di prova relativi al periodo successivo".

    Aggiunge il ricorrente che questa Corte suprema di cassazione, con sentenza n. 3037 del 17 novembre 2009, ha stigmatizzato la illazione della prosecuzione della permanenza, sul mero presupposto dell'accertamento della pregressa compartecipazione associativa, sottolineando la necessità della positiva dimostrazione della perpetrazione della condotta associativa in relazione allo specifico periodo oggetto in contestazione.

    3.14 - Col quattordicesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del corrispondente motivo del ricorso ordinario di censura per la denegata ammissione della testimonianza di D.B.G. (qualificata come prova decisiva) - deduce: il giudice di legittimità "per errore" - evidentemente considerando la posizione di altro ricorrente - ha affermato che la richiesta non fosse motivata e che, comunque, la testimonianza sarebbe stata irrilevante a fronte "dell'imponente quadro probatorio"; laddove esso ricorrente aveva spiegato che il mezzo di prova era finalizzato a contrastare la tesi di accusa che il biglietto di auguri indirizzato al D.B. (dallo stesso giudice di legittimità considerato "prova fondamentale") dissimulasse un contenuto di minaccia per uno "sgarro" (peraltro indimostrato) e, inoltre, che concorressero altri elementi di prova a carico.

    3.15 - Con il quindicesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione del diciannovesimo motivo del ricorso ordinario relativo di censura per la ritenuta applicazione della "aggravante di cui all'art. 416 bis c.p. mai contestata" - stigmatizza che il giudice di legittimità, negando che la "aggravante" fosse stata ritenuta a carico di esso A., sarebbe incorso in "evidente errore", in quanto la imputazione, riportata nella epigrafe della sentenza della Corte territoriale, reca il riferimento normativo dell'art. 416 bis c.p., comma 2, e deduce: nel decreto di rinvio a giudizio "l'aggravante di aver promosso e diretto l'organizzazione" mafiosa è stata contestata soltanto a Q.V., L.S., La.

    E. "e a nessun altro" degli imputati; mentre la modificazione dibattimentale della contestazione, operata dal Pubblico Ministero alla udienza del 14 giugno 2010, concerne esclusivamente il dies ad quem di protrazione della permanenza della condotta delittuosa "allungata fino al marzo del 2010".

    Aggiunge il ricorrente che la omessa contestazione comportava la nullità assoluta della sentenza (denunziata con atto 21 novembre 2011 di "integrazione" dei motivi del ricorso ordinario) e che il giudice di legittimità aveva disatteso analoga doglianza formulata dai coimputati G. e T. sulla base del rilievo che costoro avevano fatto riferimento alla mancata enunciazione della "aggravante" in sede di emissione della ordinanza di custodia cautelare in carcere, anzichè con riferimento al decreto di citazione a giudizio (puntualmente menzionato da esso A.).

    3.16 - Col sedicesimo motivo il ricorrente sostiene che il giudice di legittimità ha fondato la reiezione dei motivi del ricorso ordinario, concernenti il trattamento sanzionatorio, sulla base della "supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa", avendo richiamato le considerazioni della Corte territoriale circa la pretesa direzione intramuraria della cosca da parte del ricorrente, laddove la circostanza è stata negata dai collaborati L. e St., laddove le misure penitenziarie erano state revocate e laddove esso ricorrente aveva dato prova di essere un detenuto modello, conseguendo il diploma di scuola media superiore e, successivamente, la laurea "summa cum laude" in scienze politiche.

    3.17 - Col diciassettesimo motivo il ricorrente denunzia che è frutto di "errore di fatto, dipeso da una vera e propria svista materiale, cioè da una disattenzione di ordine meramente percettivo (..) immediatamente e oggettivamente rilevabile" la considerazione del giudice di legittimità circa la genericità del motivo del ricorso ordinario sul punto della violazione di legge attribuita alla Corte territoriale nella valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti; riporta, quindi, alcuni frammenti testuali della impugnazione e rinvia alle relative pagine, da 20 a 66; aggiunge che analoghe censure erano state positivamente vagliate dal giudice di legittimità con sentenza n. 2955/2010 dell'11 novembre 2009, (di annullamento con rinvio della sentenza della Corte di appello di Catania, 9 ottobre 2008, di condanna per delitti concernenti gli stupefacenti).

    3.18 - Con il diciottesimo motivo il ricorrente replica, in limine, a rilievo mosso dal giudice di legittimità (il Collegio aveva stigmatizzato come contraddittoria la censura formulata colla memoria del 23 novembre 2011), esponendo di aver attinto alla terminologia contenuta in altro arresto in termini della medesima Corte suprema di cassazione, recante per l'appunto la locuzione "sostanzialmente alla lettera" (sentenza n. 12540 del 1 dicembre 2000, Rv. 218172). Quindi deduce che la Corte di legittimità è incorsa in errore di fatto, là dove ha reputato generica la denunzia del vizio di motivazione (per aver la Corte territoriale riprodotto acriticamente la motivazione della sentenza di primo grado, senza dar conto delle censure dell'appellante); e, mediante undici citazioni (in gran parte) testuali del ricorso ordinario del 18 novembre 2011 (pp. 12, 14, 15, 19, 29 30, 31, 32, 37, 38 e 59), obietta di aver specificamente indicato la parti della sentenza di secondo grado meramente riproduttive, con l'espediente del "copia e incolla", di quella di primo grado, oggetto dei rilievi difensivi non valutati.

    3.19 - Con il diciannovesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla ritenuta inammissibilità (per supposta genericità), della eccezione di inutilizzabilità, ex art. 195 c.p.p., comma 7, della dichiarazione de relato di V. circa forniture gratuite di vestiario a esso ricorrente (eccezione contenuta nella memoria del 25 novembre 2011) - deduce: il giudice di legittimità è incorso "in un errore di fatto dovuto a una svista", in quanto la eccezione "è stata sollevata in modo tutt'altro che generico". Aggiunge il ricorrente che il giudice di legittimità, mediante "valutazione parcellizzata", ha considerato "non determinante" ciascuna delle prove a discarico postulata dalla difesa (ammissione dei testi D.B. e Ge., acquisizione del registro modello I.P.l) senza apprezzarle nel loro complesso.

    3.20 - Col ventesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla reiezione della eccezione di inutilizzabilità, formulata con memoria del 3 dicembre 2011, in ordine agli atti dibattimentali precedenti gli insediamenti dei collegi del 28 settembre 2009 e del 22 marzo 2010 - oppone che la censura era stata proposta "specificamente".

    Il ricorrente deduce, poi, in relazione alla denegata ammissione del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato: la produzione è decisiva, in quanto il patrocinio fu concesso sulla base di documentazione (decreto di revoca della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, ricevute dei vaglia di modesto importo inviati dalla madre, certificati scolastici) che dimostrava la non appartenenza alla associazione criminale, documentazione, peraltro, positivamente valutata e ritenuta "significativa" dalla magistratura di sorveglianza; sicchè, trattandosi di "documentazione identica a quella presentata in questo procedimento e non presa in nessuna considerazione dai giudici di primo grado e di appello", la Corte di legittimità è incorsa "in errore di percezione".

    3.21 - Col ventunesimo motivo di impugnazione, il ricorrente - in relazione alla ritenuta inammissibilità e irrilevanza delle produzioni anagrafiche a corredo della memoria del 12 gennaio 2012 - deduce: i documenti dimostrano la appartenenza di Gr. e Le. al medesimo nucleo parentale e così, in relazione alla parola famiglia, contenuta in una delle lettere, confutano la interpretazione del lemma operata dai giudici di merito nel senso di gruppo criminale; evidente è, pertanto, l'"errore di fatto" del giudice di legittimità.

    3.22 - Col ventiduesimo motivo di impugnazione, il ricorrente sostiene che ritenuta inammissibilità delle deduzioni espresse nella memoria del 26 novembre 2012 è frutto di "errore di fatto" causato da "disattenzione di ordine meramente percettivo", opponendo che con la memoria in parola a) aveva in stato per l'annullamento della sentenza versando nella "identica posizione" processuale di Tr.

    il cui ricorso era stato in precedenza accolto; b) aveva prodotto il verbale delle dichiarazioni rese in altro processo, in epoca posteriore alla deliberazione sentenza della Corte di appello di Catania, 27 luglio 2011, da Tr. (divenuto collaborante) il quale aveva smentito la propalazione di L. circa lo scambio intramurario di pizzini tra detto Tr. e esso ricorrente, così dimostrando la "falsità" dell'unica fonte di accusa ( L.) che aveva denunziato la protrazione dopo l'anno 2005 della compartecipazione associativa (colla percezione dello stipendio) da parte del giudicabile (per il tramite dello stesso Tr.).

    Aggiunge il ricorrente che il giudice di legittimità non doveva esimersi dal valutare la produzione in questione, costituendo la "prova regina (..) della innocenza". E, conclusivamente, argomenta che nel giudizio di legittimità deve ritenersi ammessa, ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2, la produzione di atti e documenti che suffraghino la protesta di innocenza del giudicabile.

    3.23 - Con memoria recante la data del 4 luglio 2013 il ricorrente, ad integrazione dell'ottavo motivo di impugnazione, censura la omessa valutazione - addebitata a "svista" - della sentenza della Corte suprema di cassazione n. 3037 (608/2010) del 17 novembre 2009, di annullamento della ordinanza del giudice del riesame di conferma del provvedimento di custodia cautelare in carcere, sotto il profilo del vizio di motivazione sul punto dell'accertamento della percezione dello stipendio da parte di A. nei primi mesi del 2006.

    Aggiunge il ricorrente: lo stesso collaborante L. ha riconosciuto di non sapere se lo stipendio destinato a esso ricorrente giungesse effettivamente "a destinazione", la percezione dello stipendio è smentita dagli altri collaboranti, Gi. e S.; costoro hanno, infatti, dichiarato che L. si appropriava "di tutti i soldi per investirli in attività lecite".

    3.24 - Con memoria recante la data del 31 agosto 2013, il ricorrente, traendo spunto dalle recentissime sentenze della Corte costituzionale, n. 143 del 2013, e della Corte europea dei diritti dell'uomo, 12 marzo 2013, Ocalan, in tema di diritto di difesa, sostiene che, pur in "mancanza, nel caso concreto, di una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, cui dare esecuzione", deve, attraverso l'esperito rimedio interno del ricorso straordinario, previsto dall'ordinamento giuridico nazionale, porsi riparo alle (denunziate) "evidenti e pregnanti compromissioni in atto dei diritti fondamentali della persona", in quanto, rispetto al valore della eliminazione della "situazione di illegalità convenzionale", il valore del giudicato è da considerarsi "recessivo" e, pertanto, da sacrificare.

    Il ricorrente conclude, instando per la celebrazione "di un nuovo processo di primo grado presso il Tribunale di Siracusa".

    4. - G. sviluppa due motivi.

    4.1 - Con il primo motivo il ricorrente, dolendosi della ritenuta ipotesi di cui all'art. 416 bis c.p., e censurando la inosservanza dell'art. 587 c.p.p., comma 2, e art. 627 c.p.p., comma 4, denunzia che il giudice di legittimità ha trascurato di considerare che il coimputato A. aveva eccepito, con puntuale riferimento al decreto che aveva disposto il giudizio (e non solo alla ordinanza di custodia cautelare in carcere), la omessa contestazione della "aggravante di aver promosso e diretto la organizzazione criminale";

    aggiunge di aver denunziato col proprio ricorso la carenza di correlazione - comunque rilevabile di ufficio - tra la imputazione contestata e la sentenza.

    4.2 - Con il secondo motivo il ricorrente denunzia che il giudice di legittimità è incorso in "evidente e clamoroso errore di fatto" per aver supposto, contrariamente alle risultanze processuali che "alla percezione dello stipendio" da parte di esso G. "si accompagna(sse) alcuna condotta attiva" nel senso della compartecipazione associativa, peraltro non indicata nè nella sentenza impugnata, nè in quella della Corte territoriale.

    4.3 - Con memoria presentata personalmente, mediante dichiarazione resa ai sensi dell'art. 123 c.p.p. al direttore della casa circondariale di Cuneo il 7 ottobre 2013, il ricorrente, mediante richiami giurisprudenziali analoghi a quelli operati da A. (v. supra 3.24), lamenta che ebbe a "subire il processo in violazione del diritto di difesa"; e insiste per l'accoglimento del ricorso.

    5. - T. sviluppa due motivi.

    5.1 - Col primo motivo il ricorrente obietta di aver eccepito, "in maniera chiarissima" e con citazione di pertinente precedente di legittimità (sentenza n. 156 del 13 gennaio 1994 - 8 marzo 1995, Rv.

    196646), la "mancata contestazione dell'aggravante di cui all'art. 416 bis c.p., comma 2"; e argomenta, che comunque, la nullità assoluta "della sentenza di condanna nella parte relativa al fatto nuovo rispetto a quello contestato" doveva essere rilevata di ufficio dai giudici di merito.

    Aggiunge il ricorrente che il coimputato A. col proprio ricorso del 18 novembre 2011 aveva specificamente denunziato (alla p. 63) che nel "decreto di rinvio a giudizio l'aggravante di aver promosso e diretto la organizzazione" era stata contestata esclusivamente ad altri imputati, nominativamente indicati tra i quali non erano compresi nè A., nè T.; sicchè, per l'effetto estensivo della impugnazione, il motivo formulato da A. giovava a esso ricorrente "ai sensi dell'art. 587 c.p.p., comma 2, e art. 627 c.p.p., comma 5".

    5.2 - Col secondo motivo il ricorrente sostiene: il giudice di legittimità è incorso in "evidente errore di fatto", in quanto, dopo aver illustrato la ragione per la quale la Corte territoriale aveva "ritenuto di differenziare la posizione del D.C. (assolto per non aver commesso il fatto dal delitto associativo) evidenziando che per (costui) non vi (erano) elementi certi da cui desumere una condotta attiva di partecipazione all'associazione", aveva affermato che a carico di esso ricorrente sussistessero "tali elementi (..) tuttavia non (..) indicati perchè del tutto inesistenti", così erroneamente supponendo la "esistenza di un fatto risolutivo indiscutibilmente inesistente".

    6. -Tutti e tre i ricorsi sono inammissibili.

    6.1 - Le impugnazioni si sostanziano, infatti, nella proposizione di censure che non sono consentite dalla legge col ricorso straordinario per cassazione.

    6.2 - Deve premettersi che la integrazione dell'ordinamento giuridico dello Stato in quello sovrannazionale (specificamente sancita dall'art. 117 Cost., comma 1, che recita: "La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali") non accredita la conclusione (postulata colla memoria difensiva del 31 agosto 2013) della possibilità, in linea generale, della rimozione del giudicato (cogli strumenti dell'ordinamento interno) per porre riparo alla supposta violazione, consumata in sede procedimentale, di diritti fondamentali, sanciti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e tutelabili davanti la Corte europea dei diritti dell'uomo.

    Con recente arresto il Giudice delle leggi, proprio giudicando sull'incidente di legittimità costituzionale (promosso con la ordinanza citata nella ridetta memoria del 31 agosto 2013), ha riaffermato che siffatta possibilità è tassativamente ed eccezionalmente circoscritta alla sola "ipotesi in cui si debba applicare una decisione della Corte europea in materia sostanziale, relativa ad un caso che sia identico a quello deciso e non richieda la riapertura del processo, ma possa trovare un rimedio direttamente in sede esecutiva" e, nel contempo, ha ribadito l'insegnamento di questa Corte suprema di cassazione, a Sezioni Unite, sul punto che ben "diverso è il caso (..) di un giudizio ritenuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo non equo, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione cit.: in questa ipotesi, l'apprezzamento, vertendo su eventuali errores in procedendo e implicando valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica, non può che essere compiuto caso per caso, con l'effetto che il giudicato interno può essere posto in discussione soltanto di fronte ad un vincolante dictum della Corte di Strasburgo sulla medesima fattispecie" (Corte cost. sentenza n. 210 del 2013).

    6.3 - Il ricorso straordinario - frutto della trasfusione nell'ordinamento processuale penale del corrispondente strumento del ricorso per errore di fatto revocatorio previsto dall'art. 391 bis (in relazione all'art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4) - riveste carattere assolutamente eccezionale, ponendosi in rapporto di evidente deroga "ad uno dei principi fondamentali dell'ordinamento processuale:

    quello della inoppugnabilità delle decisioni della Corte di Cassazione, che, pur avendo perduto il carattere della assolutezza (..), resta uno dei cardini del sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato" (Sez. Un., n. 16103 del 27/03/2002 - dep. 30/04/2002, Basile).

    Si tratta di principio centrale e immanente del sistema processuale, costituendone "lo strumento di chiusura" che segna il punto coessenziale e indefettibile "in cui la dinamica processuale deve comunque arrestarsi per cedere il posto alla esigenza di certezza e di stabilità delle decisioni giurisdizionali quali fonti regolatrici di relazioni giuridiche e sociali" (ibidem).

    6.4 - Tale rilievo sistematico suffraga il preliminare corollario che, se la inoppugnabilità delle decisioni del giudice di legittimità continua ad assolvere - pur a fronte della introduzione nell'ordinamento del ricorso straordinario - la propria funzione di "cardine del sistema delle impugnazioni", deve, allora, innanzi tutto escludersi che il mezzo de quo abiliti al generale riesame di legittimità del giudizio di cassazione ormai compiuto.

    Col rimedio in parola il legislatore, infatti, non ha inteso dischiudere il varco al sindacato intrinseco dello scrutinio di legittimità, che si postuli errato, bensì porre riparo alla particolare patologia estrinseca dello "sviamento" del giudizio, solo e "quando la decisione (sia) fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità (sia) positivamente stabilita - nell'uno e nell'altro caso - dal testo della sentenza impugnata, ictu oculi"; ovvero, ancora, quando "una vera e propria svista materiale, ossia una disattenzione di ordine meramente percettivo (..) abbia causato l'erronea supposizione dell'inesistenza" di uno specifico motivo di impugnazione "immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso" e, inoltre, dotato del requisito della "decisività".

    Restano, pertanto, affatto estranee all'ambito del ricorso straordinario tutte le questioni che concernono la interpretazione delle norme, sostanziali o processuali, "l'interpretazione di un fatto storico" e "la valutazione della ricostruzione compiuta dal giudice di merito", in quanto "il rigore del principio della intangibilità delle decisioni della Corte di cassazione resta intatto" e preclude che possano essere fatti valere "l'error iuris al pari dell'errore di giudizio o valutativo".

    E i "confini" del mezzo straordinario sono "rigidamente segnati dalla circostanza", affatto negativa, della assoluta carenza nell'errore sindacabile di "qualsiasi implicazione valutativa dei fatti" oggetto della pronuncia impugnata.

    Sicchè non è esperibile il ricorso straordinario neppure nella ipotesi in cui la Corte di legittimità, dopo aver esaminato un determinato motivo di ricorso, non abbia preso in esame gli ulteriori motivi di impugnazione, reputando - pur se - "a torto" che la loro trattazione sarebbe stata superflua, sul fallace presupposto che la ".disamina del motivo" scrutinato fosse "dotata di valore assorbente, sul piano logico giuridico, rispetto a quelli il cui esame (ha ritenuto) ultroneo" (ibidem).

    6.5 - Tanto considerato in ordine alla natura e alla funzione del mezzo di impugnazione in parola, si impone allora - con piano argomento a fortiori - la conclusione ulteriore che non è consentito denunziare col ricorso straordinario l'omesso scrutinio di particolari deduzioni (anche, in ipotesi, decisive) contenute in un motivo di ricorso, non pretermesso, bensì censito e fatto oggetto di trattazione dal giudice di legittimità, sicchè le ridette deduzioni debbano reputarsi tacitamente valutate e disattese dalla Corte, senza, tuttavia, darne conto.

    L'approdo ermeneutico è perfettamente coerente colla natura e colla funzione del mezzo straordinario ed eccezionale di impugnazione, finalizzato - non già all'inammissibile riesame dell'intangibile scrutinio di legittimità, per supposti vizi ad esso intrinseci, bensì - alla rimozione dello sviamento del giudizio, inficiato ab extra dalla fallacia del pregiudizio di una supposizione irrefutabilmente errata, ovvero dalla disfunzione percettiva della esistenza di uno, o più motivi di impugnazione.

    Sicchè lo scrutinio revocatorio non si sovrappone al pregresso scrutinio di legittimità cristallizzato nel giudicato, ma si arresta ad limina nell'accertamento della patologia che inerisce ai presupposti del giudizio, senza penetrare il confine invalicabile segnato dal perimetro dell'ambito delle considerazioni, delle valutazioni, delle argomentazioni e dei divisamenti che sorreggono la sentenza impugnata.

    In un certo senso la (pur stigmatizzata) collocazione normativa nella stessa disposizione dei rimedi, per vero diversi, della correzione dell'errore materiale e (della impugnazione revocatoria) dell'errore di fatto - menzionati dall'art. 625 bis c.p.p., comma 1, nella stessa locuzione, separati dalla disgiuntiva: "è ammessa (..) la correzione dell'errore materiale o di fatto ..." e - indiscutibilmente preordinati alla rimozione delle contrapposte patologie processuali della fallacia percettiva (errore di fatto) e di quella espressiva (errore materiale), coglie il dato comune a entrambi gli errori, l'uno e l'altro caratterizzati per il profilo (negativo) della non inerenza al nucleo intrinseco dello scrutinio di legittimità operato colla sentenza, oggetto di impugnazione o di correzione.

    6.6 - Conclusivamente deve affermarsi il principio di diritto (ricavato) che esula dal ricorso straordinario ogni sindacato di legittimità, per mancanza di motivazione, sulla sentenza irrevocabile della Cassazione.

    6.7 - Orbene, nella specie, come risulta palese dal contenuto delle impugnazioni, i ricorrenti, con l'espediente della denunzia dell'errore di fatto, hanno tentato (senza successo) di dissimulare il tentativo di esperire l'inammissibile sindacato della decisione di legittimità impugnata, sotto i profili della violazione di legge e/o della mancanza di motivazione, in relazione a particolari, deduzioni, argomentazioni, atti o documenti, indicati nei motivi dei ricorsi ordinari e nelle memorie, laddove i ridetti motivi e le correlate memorie sono stati tutti scrutinati da questa Corte suprema di cassazione colla sentenza impugnata, senza che alcuno di essi sia stato pretermesso a cagione di veruna svista materiale (ossia di una disattenzione di ordine meramente percettivo); e laddove - alla evidenza - le doglianze esposte dai condannati investono il contenuto del giudizio e delle sottese valutazioni, operati (anche implicitamente o tacitamente) dal Collegio di legittimità, senza che ex actis emerga che la decisione fu fondata sulla supposizione della esistenza di un alcun fatto la cui verità sia incontrastabilmente esclusa, ovvero della inesistenza di altro fatto la verità del quale sia positivamente stabilita.

    6.8 - Conseguono la declaratoria della inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè di ciascuno di costoro - valutato il contenuto dei rispettivi motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione - al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

    Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

    Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013.

    Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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