Cassiere di una banca licenziato perchè condannato per lesioni. Avrebbe sparato colpi di pistola contro la casa di uomo che aveva avuto una lite con il fratello del bancario.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 settembre - 4 dicembre2013, n. 27129
Presidente Vidiri – Relatore Balestrieri
Svolgimento del processo
Il sig. L. adiva il Tribunale di Reggio Calabria per sentire dichiarare l'illegittimità del licenziamento irrogatogli dalla Banca Nazionale del Lavoro con lettera del 5 novembre 2004, nonché condannare l'Istituto alla corresponsione delle retribuzioni dal 25 agosto 2003 al 5 novembre 2004.
A sostegno delle proprie difese il L. deduceva che con lettera del 30 luglio 2003 la Banca gli comunicava di essere venuta a conoscenza del suo coinvolgimento in una sparatoria, per cui era stato tratto in detenzione; che con lettera del 18 marzo 2004 l'azienda, prendendo atto della circostanza, aveva dichiarato cessato il proprio obbligo alla corresponsione delle retribuzioni; che con lettera del 30 luglio 2004 la Banca gli comunicava di aver avuto notizia della conclusione dei procedimento penale, con sentenza di condanna ad otto anni di reclusione; che a sentenza in parola era stata appellata e che il giudizio di appello si era concluso con sentenza che derubricava il reato in quello di lesioni, dimezzando la condanna; che tale ultima sentenza era divenuta irrevocabile per effetto della successiva pronuncia della Cassazione n. 232 del 2006. In diritto il L. sosteneva l'illegittimità dei licenziamento per insussistenza della giusta causa, per mancanza di proporzionalità del provvedimento, nonché per intempestività dello stesso. Si costituiva a Banca Nazionale del Lavoro eccependo preliminarmente la decadenza del ricorrente dall'impugnativa del licenziamento e nel merito deducendo che: 1) Il sig. L. aveva lavorato alle dipendenze della BNL sino al 20 novembre 2004. 2) Da ultimo il sig. L. era inquadrato nella 3a area 1° livello retributivo e svolgeva mansioni di "operatore di sportello" presso l'agenzia BNL di Reggio Calabria. 3) II 27 luglio 2003, l'agenzia citata veniva a conoscenza, attraverso la stampa ("Gazzetta del Sud") che il sig. L., in ferie dal 21 luglio, si era reso protagonista di una sparatoria conclusasi con il ferimenti di un uomo. 4) la Banca, stante (a gravità della vicenda, aprivi un procedimento disciplinare, contestando al L., con nota del 30 luglio, il fatto nonché la mancata comunicazione dello stesso alla Banca ai sensi dell'art. 33 dei c.c.n.I., riservandosi, in base alla medesima norma collettiva, di valutare le risultanze della vicenda giudiziaria penale. 5) Ottenuta dal Tribunale penale di Reggio Calabria copia autentica della sentenza, la Banca constatava la volontarietà e gravità dell'episodio, d terminato peraltro da futili motivi, sicché con lettera dei 5 novembre 2004 licenziava il L. per giusta causa.
Il Tribunale accoglieva l'eccezione preliminare e rigettava la domanda per intervenuta decadenza, compensando le spese. Proponeva appello il L. chiedendo l'integrale riforma della sentenza e l'accoglimento delle domande. Resisteva la BNL. Con sentenza depositata il 24 agosto 2010, la Corte d'appello di Reggio Calabria, riteneva infondata l'eccezione di decadenza eccepita dalla Banca, risultando dalla documentazione in atti che l'impugnativa del licenziamento era stata tempestiva - e comunque certamente tempestiva la spedizione della relativa missiva - ritenendo nel merito infondate le domande, stante la gravità dei fatti accertati e, quanto alla richiesta delle retribuzioni dal 25 agosto 2003 al 5 novembre 2004, stante la detenzione del lavoratore e la relativa impossibilità, per fatto a lui imputabile, di prestare l'attivi lavorativa.
Per la cassazione propone ricorso il L., affidato a tre motivi. Resiste la BNL con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. in relazione "ai canoni interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità".
Lamenta che i giudice d'appello aveva disatteso il principio secondo cui ai fini della verifica della giusta causa, occorreva tenere innanzitutto conto dell'elemento soggettivo e cioè all'intensità de l'elemento intenzionale, che la Banca aveva erroneamente vinto dagli accertamenti compiuti in sede penale, stante l'autonomia dei due giudizi.
Lamenta che in sostanza la Banca fondò il suo giudizio di gravità dei fatti sulla b se degli accertamenti compiuti in sede penale e non ancora accertati con sentenza definitiva, senza peraltro considerare che il fatto era avvenuto al di fuori dell'ambiente lavorativo, provato dallo stato di forte agitazione determinato dalla lite tra suo fratello e la vittima, e che il L. esplose i colpi verso la casa di quest'ultima nella convinzione che dentro non vi fosse nessuno.
Lamenta infine che i principi costituzionali imponevano un bilanciamento tra gli interessi del lavoratore e quelli dell'azienda.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia un difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione agli artt. 2119 e 1 L. n. 604/66, "nonché in relazione ai principi giurisprudenziali in tema di giusta causa". Lamenta che la sentenza impugnata avrebbe dovuto effettuare una autonoma istruttoria per valutare la gravità del fatto, e che il vincolo fiduciario anche del dipendente di banca, rilevava esclusivamente laddove fatti estranei all'ambiente lavorativo fossero tali da far ritenere il lavoratore professionalmente inidoneo alla prosecuzione del lavoro.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia un difetto di motivazione in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 e 2729 c.c. Lamenta che il giudice di appello non svolse alcuna autonoma attività istruttoria, basandosi esclusivamente sugli accertamenti compiuti in sede penale, all'epoca dei fatti peraltro non ancora definitivi.
4.- I motivi, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente esaminati e sono infondati.
A prescindere dalla considerazione che delle circostanze esposte dal ricorrente al fine di sminuire la gravità dei fatto, e sopra riferite, non risulta indicata alcuna prova, osserva la Corte che, pur nel rispetto del principio di autonomia tra il giudizio penale e quello civile, i fatti emersi dal procedimento penale, peraltro successivamente definitivamente accertati, sono oggettivamente e soggettivamente di estrema gravità, anche considerato il particolare vincolo fiduciario esistente tra il dipendente di Banca e quest'ultima (ex plurimis, Cass. n. 5504\05; Cass. n. 15373\04). Ed invero lo stesso L. ammette di aver sparato con un'arma da fuoco all'abitazione di un soggetto "colpevole" semplicemente di aver avuto un diverbio col fratello.
Indipendentemente dalla sua – peraltro indimostrata - convinzione che in casa non vi fosse nessuno, il fatto risulta ictu oculi di gravità tale da giustificare il licenziamento adottato, non potendo ritenersi, neppure in un'ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti, che una Banca sia costretta a mantenere tra i suoi dipendenti cassieri un lavoratore che per un diverbio del fratello con altro soggetto, raggiunga la casa di quest'ultimo colpendola con colpi di arma da fuoco, e ferendo peraltro la vittima, anche considerato il clamore della vicenda, ampiamente riportata dalla stampa locale. Il fatto risulta, come affermato dal giudice di merito, obiettivamente e soggettivamente assai grave, concretando gli estremi di cui all'art. 2119 c.c., per i quali non assume rilievo la circostanza che il lavoratore rimanga professionalmente idoneo allo svolgimento delle mansioni: diversamente ragionando qualunque delitto commesso al di fuori dell'ambiente lavorativo non consentirebbe il licenziamento, in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinario sul unto (cfr., ex plurimis, Cass. n. 15373 del 2004). Va quindi precisato che l'autonomia dei giudizi penale e civile, non preclude l giudice civile di basarsi sugli accertamenti compiuti in sede penale, soprattutto laddove i fatti oggetto di contesazione disciplinare siano gli stessi (Cass. n, 2168 del 2013; Cass. n. 22200 del 2010; Cass. n. 15714 del 2010).
In sostanza il giudice civile non è vincolato dal nomen criminis e dall'esito giudiziario (di condanna o assoluzione) compiuto in sede penale n potendo valutare autonomamente i fatti. Laddove essi corrispondano esattamente a quelli contestati ed in sede penale siano stati giudizialmente accertati, nulla impedisce al giudice civile di basarsi sugli accertamenti compiuti in sede penale, non essendo certamente obbligato a svolgere in ogni caso una autonoma istruttoria, risultando peraltro i fatti ammessi dallo stesso ricorrente come si evince dalla stessa lettura del presente ricorso, che mira solo a sminuirne il rilievo. La circostanza poi che all'epoca della contestazione dei fatti la sentenza penale di condanna ad otto anni di reclusione non fosse ancora definitiva non incide minimamente sulla valutabilità degli accertamenti compiuti in sede penale, proprio per l'autonomia dei giudizi, essendo, come detto irrilevante una successiva diversa qualificazione dei fatti in sede penale ma, semmai, l'accertamento ella loro insussistenza. Infine va aggiunto che il ricorrente neppure chiarisce quali diverse prove il giudice d'appello avrebbe dovuto ammettere ed esaminare. 5. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente ai pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.50,00 per esborsi, €.3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
07-12-2013 17:58
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