Attendibilità del minore persona offesa: la valutazione deve essere onnicomprensiva.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 - 29 maggio 2013, n. 23065
Presidente Squassoni – Relatore Lombardi
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria in data 10/03/2009, con la quale C.P.C. era stato dichiarato colpevole dei reato di cui agli art. 81 cpv. e 609 ter, comma secondo, c.p., a lui ascritto per avere costretto la figlia C.L.A. , minore degli anni dieci, a subire atti sessuali tra il ... ed il ....
Il C. era separato dalla moglie, A..K. , cui era stata affidata la bambina. I fatti si sarebbero verificati nei periodi in cui la piccola L. si trovava con lui a (omissis) presso l'abitazione familiare, consistiti nel coinvolgimento della figlia in attività di univoca natura sessuale, nonché in ..., allorché l'imputato accompagnava la figlia a scuola.
Ai fini della ricostruzione della vicenda la sentenza riporta in sintesi quella di primo grado.
Episodi salienti del progressivo svelamento degli abusi da parte della bambina si erano verificati il (omissis) , allorché L. , uscita di casa per aspettare lo scuolabus, era rientrata dopo qualche minuto dicendo che fuori ad attenderla aveva trovato il padre, che aveva tentato di costringerla a salire in auto per accompagnarla, ma lei si era rifiutata. È opportuno precisare che saltuariamente il C. accompagnava la figlia a scuola anche se ciò avveniva senza il consenso della K. , la quale preferiva che la stessa vi si recasse con gli altri compagni. Nell'occasione la bambina non aveva spiegato le ragioni del rifiuto di salire sull'auto del padre, ma aveva riferito che questi l'aveva minacciato di sottrarla alla madre.
A breve distanza di tempo, al rientro dalle vacanze pasquali, mentre erano in auto, la bambina aveva apostrofato il padre con un termine dispregiativo ed iniziato a narrare alla madre ed al compagno di quest'ultima, M..R. , che il C. dipingeva la madre ed il suo compagno come mostri che tentavano di avvelenarla. Analoghi racconti vi erano stati nei giorni successivi.
La minore aveva riferito anche di avere ricevuto botte dal padre.
Il processo di "liberazione" di L. aveva subito una brusca accelerazione il giorno (omissis) , in occasione di una trasmissione televisiva riguardante la morte di Papa Giovanni Paolo II, nel corso della quale veniva trattato anche l'argomento dei maltrattamenti ed abusi sui minori. La bambina aveva iniziato a raccontare di abusi che anche lei aveva subito allorché era con il padre.
In particolare riferiva che quando erano a casa dei genitori di lui il C. le faceva personalmente la doccia, toccandola nelle parti intime. Sempre nei periodi in cui si era trattenuta a (omissis) il padre le aveva fatto toccare il suo membro e l'aveva coinvolta in giochi di univoca natura sessuale. La bambina aveva anche riferito che il padre, prima di accompagnarla a scuola, era solito condurla in due luoghi isolati, che venivano poi individuati dalla K. e dal R. , ove le dava baci tentando di introdurle la lingua nella bocca e la toccava all'interno delle cosce.
A seguito della denunzia presentata dalla K. , la bambina riferiva analoghe descrizioni degli abusi alle consulenti del P.M., che esprimevano un giudizio di complessiva attendibilità del narrato della minore.
I consulenti nominati in sede civile dal Tribunale per i minorenni avevano, invece, segnalato la scarsa attendibilità del racconto, pur avendo ammesso che la bambina recava segni di un pesante trauma, la cui origine era rimasta ignota, ma plausibilmente legata alla separazione dei genitori.
La relazione dei predetti consulenti, a seguito della loro audizione in dibattimento, veniva aspramente criticata nella sentenza di primo grado.
La persona offesa veniva escussa mediante incidente probatorio il 20 luglio 2005. Nel corso dell'audizione protetta la minore riferiva ampiamente dei baci che il padre le dava, allorché la conduceva in un luogo appartato in occasione degli accompagnamenti a scuola; del fatto che il padre quando erano presso la casa dei nonni era solito insistere per aiutarla a lavarsi mentre faceva il bagno o la doccia, toccandola con le mani nude, senza spugna o altro. Riferiva, poi, che il padre la induceva a partecipare a un giochino, che chiamava il gioco del cane. La faceva mettere accovacciata chiamandola ... e in tali circostanze le versava una sostanza viscida sulla schiena, vicino alle spalle.
All'esito di un'ampia disamina di tutti gli elementi circostanziali della vicenda, afferenti ai rapporti tra i genitori della minore, ai comportamenti della persona offesa prima e dopo la rivelazione dei fatti, alle deposizioni dei testi escussi, nonché la disamina delle censure della difesa in ordine all'operato dei consulenti del P.M. e degli altri rilievi difensivi, la sentenza di primo grado concludeva per un giudizio di piena attendibilità della minore, il cui narrato era integrato, in ordine alla natura univocamente sessuale delle condotte ascritte al C. , da quanto la madre, il suo compagno e le consulenti del P.M. avevano riferito di avere appreso dalla bambina.
La sentenza impugnata riporta in sintesi i motivi di gravame contenuti in due atti di appello, con i quali si segnalavano, in ordine alla attendibilità della persona offesa, il clima di conflittualità esistente tra I coniugi, la manifestazione di dubbi in precedenza espressi dalla K. in ordine al fatto che la figlia potesse essere stata vittima di abusi sessuali, con il conseguente formarsi di un clima suggestivo e di una prova circolare; il fatto che la condotta della bambina ed i suoi rapporti con il padre risultavano caratterizzati da assoluta normalità prima del cosiddetto svelamento, fatto incompatibile con l'ipotesi che la stessa avesse già subito abusi sessuali; le discrasie tra quanto dichiarato dalla persona offesa in sede di incidente probatorio, non riconducibile ad attività di natura univocamente sessuale, e quanto avrebbe riferito alla madre ed agli altri soggetti che avevano testimoniato sul punto; le deposizioni dei genitori del C. in ordine alla loro costante presenza nell'abitazione in cui si sarebbero svolti i fatti;
l'impossibilità del verificarsi degli episodi riferiti nel corso dell'accompagnamento della bambina a scuola; si censurava la consulenza del P.M. e la svalutazione da parte dei giudici di primo grado di quella effettuata in sede civile e si evidenziavano ulteriori elementi contrastanti con l'ipotesi accusatoria.
La sentenza impugnata, nel respingere i motivi di gravame, ha riesaminato tutto il materiale probatorio in alcuni casi in un'ottica diversa da quella del Tribunale, per escludere che il narrato della minore, come riferito dai vari soggetti, e parzialmente confermato nell'incidente probatorio, fosse conseguenza di una sindrome di alienazione genitoriale e pervenire al convincimento della sua piena attendibilità. La Corte territoriale ha altresì rigettato i motivi di gravame afferenti al riconoscimento dell'attenuante del fatto di minore gravità e delle generiche.
2. Avverso la sentenza hanno proposto due distinti ricorsi i difensori dell'imputato.
3. Ricorso dell'Avv. Gulotta:
Si premette che la sentenza di appello ha accolto i rilievi difensivi in ordine ad una diversa valutazione di buona parte del materiale probatorio, qualificando, però apoditticamente come irrilevante ogni questione prospettata sul punto per pervenire illogicamente a conclusioni analoghe a quella della pronuncia di primo grado. Si propone inoltre un quadro sintetico dei vari rilievi contenuti nell'atto di appello per evidenziare la illogicità delle risposte contenute nella sentenza impugnata o il contrasto con risultanze probatorie. Tanto premesso, si denuncia:
I) Violazione ed errata applicazione degli art. 111 Cost., 609 ter c.p., 192, 530 e 546 c.p.p., nonché vizi di motivazione della sentenza.
Buona parte dell'impianto motivazionale della sentenza di primo grado si reggeva, avendo recepito le dichiarazioni della K. , sulla negazione della esistenza di ogni conflitto tra i coniugi prima dello svelamento degli abusi da parte della bambina. Nel corso del giudizio di appello era stato dimostrato, anche tramite una produzione documentale, che tale affermazione non rispondeva al vero. La sentenza, pur prendendo atto dell'errore di valutazione della pronuncia di primo grado sul punto, non ne ha tratto le logiche conseguenze in ordine alla credibilità della K. sulla base del mutato convincimento in ordine alla rispondenza al vero di quanto riferito dalla stessa. Nel prosieguo si riportano in dettaglio singoli passaggi dichiarativi della K. in ordine alle varie fasi della ricostruzione fattuale, frequentemente fatti propri dalla sentenza, per rilevare l'evidente contrasto con altre emergenze processuali. Si evidenzia anche la discrasia, se non incompatibilità, tra le modalità dei fatti narrati dalla persona offesa e la descrizione degli abusi sessuali e delle violenze fisiche, che il R. e la K. avevano riferito di avere appreso dalla medesima. La Corte territoriale ha rivalutato l'attendibilità di testi addotti dalla difesa, quali le maestre della bambina con riferimento agli orari di ingresso della minore a scuola, senza trame le necessarie conseguenze in ordine alla attendibilità del narrato della persona offesa relativamente agli episodi dei baci sulla bocca, la cui ricostruzione fattuale si palesa altresì incompatibile con i luoghi, indicati dalla stessa bambina, in cui si sarebbero verificati. Si riportano dichiarazioni della minore rese in sede di incidente probatorio in ordine a comportamenti violenti o vessatori da parte del padre per denunciare la Illogicità della motivazione con la quale la sentenza afferma che la piccola L. non era riuscita a cogliere in precedenza la negatività del vissuto con il genitore. Altri rilievi afferiscono alla diversa valutazione da parte della Corte territoriale di elementi di prova favorevoli all'imputato, senza che ne siano state tratte le necessarie conseguenze.
II) Violazione ed errata applicazione degli art. 111 Cost., 609 ter c.p., 192, 195, 530 e 546 c.p.p., nonché vizi di motivazione della sentenza.
La diversa valutazione della maggior parte del materiale probatorio imponeva alla Corte territoriale di evitare qualsiasi forma di motivazione per relationem, cui ha fatto invece ricorso la sentenza impugnata. Si insiste, inoltre, sul tema della attendibilità della K. , la quale aveva anche riferito che la figlia avrebbe subito un tentativo di penetrazione ad opera del padre, che avrebbe causato sanguinamelo. Sulla bambina, però, non è stato mai riscontrato alcun segno fisico di violenze ed anche all'esito della visita ginecologica era risultata perfettamente sana ed integra, tanto che il fatto narrato dalla K. non è stato neppure incluso dal P.M. tra le contestazioni contenute nel capo di imputazione. Si denuncia, poi, la illogicità della valutazione da parte dei giudici di merito della attendibilità della K. e del R. fondata esclusivamente sul giudizio di esclusione che gli stessi avessero agito con intenti calunniatori.
III) Violazione ed errata applicazione degli art. 111 Cost., 609 ter c.p., 192, 195, 530 e 546 c.p.p., nonché vizi di motivazione della sentenza.
Nel corso dell'incidente probatorio la persona offesa ha riferito fatti ai quali non può essere attribuita una evidente connotazione sessuale, che invece è stata ritenuta sussistente dalla sentenza solo in base al collegamento con quanto riferito dalla madre. Si denuncia, quindi, per violazione di legge, la integrazione dell'apporto narrativo del teste diretto con quanto riferito dal teste de relato, senza un'approfondita valutazione della attendibilità intrinseca di quest'ultimo. Conclusivamente si deduce che la responsabilità penale non può essere dichiarata sulla base di una combinazione delle risultanze della testimonianza del relato e della testimonianza diretta ove il contenuto complessivo di dette prove risulti incompatibile e sussistano divergenze e contrasti significativi nelle ricostruzioni dei fatti.
IV) Violazione ed errata applicazione degli art. 111 Cost., 609 ter c.p., 192, 195, 530 e 546 c.p.p., nonché vizi di motivazione della sentenza.
Viene censurato, in sintesi, l'approccio metodologico delle consulenti del P.M. nella valutazione della attendibilità della minore, già criticato dai consulenti di parte, per avere totalmente Ignorato il contesto familiare e di conflittualità tra i coniugi e l'influenza che lo stesso può avere avuto sul narrato della minore, nonché le suggestioni derivanti dai timori già espressi dalla K. in ordine al fatto che la figlia potesse essere stata vittima di abusi sessuali ad opera del padre. Sul punto si censura la motivazione della sentenza, che aveva escluso la ipotizzabilità di una sindrome da alienazione parentale, secondo la stessa sentenza prospettata dalla difesa, mentre la prospettazione difensiva si riferiva ad ipotesi di suggestione e fraintendimento indotti dalle modalità con le quali erano state poste le domande dalla K. e dal suo compagno alla bambina, tema che non ha formato oggetto dei necessari approfondimenti. Sul punto la sentenza si è limitata ad escludere un intento calunniatorio da parte della K. , motivazione che non tiene conto dei timori espressi reiteratamente dalla madre che la figlia potesse essere stata vittima di abusi sessuali, di cui si da conto riportando le dichiarazioni del testi che avevano riferito di tali timori. La censura in ordine all'inosservanza dei suggerimenti contenuti nella Carta di Noto da parte della consulente del P.M., che non aveva neppure provveduto alla audio o videoregistrazione dei colloqui con la minore, è stata disattesa dalla sentenza con la generica affermazione del loro carattere non vincolante, mentre avrebbe imposto una motivazione molto più approfondita in ordine alla attendibilità delle conclusioni del consulente malgrado tale inosservanza. Nel prosieguo si riportano le censure formulate nell'atto di appello, sulla base dei rilievi dei consulenti di parte, per rimarcare la carenza di motivazione della sentenza sul punto.
V) Violazione ed errata applicazione degli art. 111 Cost., 609 ter c.p., 192, 530 e 546 c.p.p., nonché vizi di motivazione della sentenza.
Si reiterano censure in ordine alla mancata audio o videoregistrazione dei colloqui dei consulenti del P.M. con la persona offesa, a differenza di quelli effettuati dai periti del Tribunale per I minorenni, senza peraltro che detti consulenti avessero vagliato preventivamente la competenza e credibilità clinica della bambina. Si contesta che la minore non sia stata interrogata dettagliatamente in sede di incidente probatorio. Si riportano brani dell'esame, facendo rilevare che il dichiarato della stessa risulta in netto contrato con quanto riferito dalla madre, in particolare per quanto riguarda il tentativo di penetrazione che avrebbe subito la figlia, nonché dal R. , per avvalorare l'ipotesi di fraintendimenti indotti dai timori già espressi dalla K. che la figlia fosse stata vittima di abusi sessuali. Si rileva, infine, la contraddittorietà o inverosimiglianza del narrato della stessa minore in sede di incidente probatorio, avendo quest'ultima prima escluso di avere toccato la pipì del padre per poi descrivere la sensazione tattile di una sostanza viscida e appiccicosa ed avere descritto la stessa, che si era rappresa, in forma di crosticine di colore rosso.
VI) Violazione ed errata applicazione degli art. 111 Cost., 609 ter c.p., 192, 530 e 546 c.p.p., nonché vizi di motivazione della sentenza.
Si denunciano vizi di motivazione in ordine alla vantazione degli atteggiamenti psicologici della minore, le cui manifestazioni di affetto verso il padre si erano repentinamente trasformate in sentimenti di astio, non giustificabili con la mera presa di coscienza degli abusi cui sarebbe stata sottoposta, come ritenuto in sentenza, se gli stessi fossero stati della gravità, anche per quanto riguarda le violenza fisiche, che li aveva caratterizzati secondo il narrato dei testi de relato. Si censura inoltre l'affermazione della sentenza in ordine all'esistenza di segni di abuso, quali la sessualizzazione precoce, che nessun adulto aveva mai notato, o di altri segnali di malessere, non riconducibili univocamente all'ipotesi dell'abuso sessuale.
VII) Violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento al diniego dell'ipotesi di minore gravità e delle attenuanti generiche.
Si denuncia in particolare la duplicazione della vantazione negativa espressa in ordine alla attenuante speciale nel diniego anche delle generiche.
4. Ricorso dell'Avv. D'Ascola:
I) Vizi di motivazione in relazione all'art. 603, comma 1, c.p.p..
Si denuncia carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata ammissione dei testi che avrebbero potuto riferire in merito ai fatti contestati al C. che sarebbero accaduti a (OMISSIS) .
II) Violazione degli art. 27, comma 1, Cost., 125, comma 3, e 546, comma 1, c.p.p., 609 bis e 609 ter c.p..
Si enunciano principi di diritto in ordine alla vantazione delle dichiarazioni del minore, persona offesa, ed all'obbligo di motivazione con riferimento alle prove contrarie addotte dall'imputato ed alle censure esposte nel motivi di appello. Si denuncia, quindi, carenza di motivazione in relazione ai rilievi difensivi con i quali era stata sostenuta la tesi dell'alienazione genitoriale, di cui costituivano elementi di riscontro la conflittualità esistente tra i coniugi ed i dubbi espressi reiteratamente dalla K. , che nel suo paese di origine era stata oggetto di abusi sessuali ad opera di uno zio, che analoga sorte potesse aver subito la figlia ad opera del padre. Sul punto ed sulle correlate argomentazioni difensive la motivazione della sentenza è carente e contraddittoria. La stessa genesi e la dinamica delle rivelazioni della bambina si palesano legate all'acuirsi del conflitto tra i coniugi, determinato anche da questioni economiche, ed alle manifestazioni di dubbi da parte della madre in ordine alle condotte del padre nei confronti della figlia, quali emergevano dalla deposizione della teste M. . Sul punto si denuncia anche travisamento della prova. Si denuncia per illogicità e contrasto con le regole del contradditorio l'affermazione della sentenza, secondo la quale le parti non avrebbero approfondito in sede di incidente probatorio i temi di natura sessuale per tutelare gli interessi della minore. Si denuncia per illogicità l'affermazione della sentenza, secondo la quale le dichiarazioni rese dalla minore in sede di incidente probatorio, che non avrebbe escluso di aver subito abusi sessuali, si integrano con quanto riferito dalla K. e dal R. , stante la inconciliabilità delle diverse narrazioni. In particolare la persona offesa ha negato di avere toccato la pipì, di aver visto le cosiddette crosticine rosse, di avere mai visto il membro maschile, come peraltro aveva già riferito alla consulente del P.M., Dott.ssa Ca. . La K. , benché fosse consapevole dell'integrità della figlia, aveva riferito di un episodio di violenza sessuale seguito da sanguinamento. Tale affermazione risultava smentita dalla certificazione del ginecologo Dott. Scorza, che aveva visitato la bambina. La stessa K. ha Inoltre affermato che il medico avrebbe espresso dubbi in ordine a possibili lacerazioni dell'imene in contrasto con quanto risultante dalla certificazione proveniente dal ginecologo, sicché l'assunto della piena credibilità della teste si palesa del tutto apodittico. Analoghe censure vengono formulate in ordine all'affermazione della sentenza, secondo la quale la bambina poteva ben essere entrata in ritardo a scuola allorché veniva accompagnata dal padre, in contrasto con le dichiarazioni testimoniali delle maestre sul punto. In sintesi, si conclude osservando che la motivazione è manifestamente illogica e contraddittoria in quanto avulsa dalle risultanze processuali, si avvale di argomentazioni di puro genere ovvero di asserzioni apodittiche, non ha tenuto conto delle prove contrarie, né delle argomentazioni difensive, ed è affetta da travisamento della prova.
III) Carenza di motivazione in ordine alle ragioni contrarie addotte dalla difesa in relazione al reato di cui agli art. 609 bis e ter c.p..
Si reiterano censure in ordine alla tenuta logica della motivazione della sentenza per avere preso atto delle discrasie riscontrabili nello stesso narrato della minore e con quanto riferito de relato dalla K. e dal R. , colmando le lacune ed i contrasti in base alla sola argomentazione della astratta praticabilità di una siffatta operazione, senza prendere posizione in ordine ai rilievi difensivi sui vari punti che avevano formato oggetto censura nell'atto di appello.
IV) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si rilevano contraddittorietà della motivazione della sentenza in ordine alla qualità dei rapporti tra i coniugi prima del cosiddetto svelamento degli abusi, ritenuti dai giudici di merito "civili", con riferimento ad emergenze processuali, tra cui lo stesso episodio del 18 marzo 2005, dal quale si evince che la madre aveva proibito alla figlia di farsi accompagnare a scuola dal padre, il memoriale predisposto dalla K. circa le rivelazioni ricevute dalla figlia, le dichiarazioni della teste M. ; in ordine alla attendibilità della stessa K. , per quanto in precedenza osservato; in ordine alla autenticità delle dichiarazioni della persona offesa circa i riferimenti ad una "lentina" ed alla "pioggia", da cui si è desunto il riferimento ad un preservativo e ad atti di masturbazione dell'imputato, secondo una ricostruzione degli atti sessuali che si palesa anche illogica; alla scarsa verosimiglianza del narrato della bambina alla Dott.ssa Ca. secondo il quale il padre le versava addosso non solo la "pipì" appiccicosa", ma anche "la pipì vera".
V) Violazione di legge in relazione al'esclusione della circostanza attenuante di cui all'art. 609 bis, comma 3, c.p. con riferimento alla compatibilità di detta attenuante con l'aggravante di cui all'art. 609 ter, comma 2, c.p..
VI) Violazione di legge in relazione alla esclusione dell'attenuante di cui all'art. 62 bis c.p., per la duplicazione delle argomentazioni negative, già dedotta nell'altro ricorso.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito precisate.
2. È opportuno premettere l'enunciazione di principi di diritto che devono sovrintendere la valutazione della prova proveniente da minori, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale, in buona parte già enunciati da questa Corte, ed ai quali il giudice di merito si deve attenere.
Secondo l'ormai consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, dovendo tenersi conto a tal riguardo dell'attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare, della capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, delle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, della qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni. (sez. 3, sentenza n. 29612 del 05/05/2010, Rv. 247740; massime precedenti conformi: N. 23278 del 2004 Rv. 229421, N. 39994 del 2007 Rv. 237952).
Infatti, l'assunto secondo il quale "i bambini piccoli non mentono consapevolmente" deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiarati attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni etera indotte e che "se interrogati con domande inducenti, tendono a conformarsi alle aspettative del loro interlocutore", (sez. 3, sentenza n. 8809 del 2009; cfr. anche: sez. 3, 18/09/2007, P.M. in proc. Scancarello ed altri, RV 237553).
Effettivamente, poi, è stato reiteratamente affermato da questa Corte che il mancato rispetto dei principi enunciati dalla Carta di Noto o dalle altre Linee Guida in materia di esame dei minori, non avendo tali principi valore normativo, non è sanzionato dai codice con la nullità dell'atto (sez. 3, sentenza n. 6464 del 2008, RV 239091; sez. 3, sentenza n. 15157 del 2011, RV 249898).
Nel caso di mancato rispetto dei protocolli generalmente riconosciuti dalla comunità scientifica nell'esame dei minori, il giudice deve, però, esporre adeguatamente le ragioni per le quali ha ritenuto egualmente credibile la prova ovvero valorizzare altri elementi di riscontro oggettivi di cui deve essere fornita adeguata motivazione (cfr. sez. 3, sentenza n. 1235 del 02/10/2012, Rv. 254414).
È pur vero, infine, che in tema di testimonianza indiretta, in caso di contrasto tra le dichiarazioni rese dal teste "de relato" e quelle rese dal teste di riferimento, il giudice ben può ritenere attendibili le prime anziché le seconde, in quanto, l'art. 195 cod. proc. pen. non prevede alcuna gerarchia tra le fonti di prova (sez. 1, sentenza n. 39662 del 07/10/2010, Valpiani, Rv. 248478; conformi: sentenze n. 26027 del 2004 Rv. 229967, n. 2010 del 2008 Rv. 238626).
In tale ipotesi, però, il giudice di merito non può esimersi dal sottoporre ad un rigoroso vaglio critico anche la testimonianza de relato, accertare le cause delle divergenze tra le diverse dichiarazioni ed indicare esaustivamente le ragioni per le quali ha ritenuto più attendibile la testimonianza de relato rispetto a quella diretta.
3. Orbene, le sentenze di merito non hanno adeguatamente applicato i citati principi di diritto nella valutazione della prova costituita dalle dichiarazioni della persona offesa, per la maggior parte, sotto il profilo della rilevanza accusatoria, provenienti sostanzialmente dalle deposizioni di testi de relato.
Non hanno, infatti, dato adeguatamente conto delle ragioni per te quali sono state privilegiate le testimonianze de relato, che si palesano in non marginale contrasto con gli esiti dell'incidente probatorio, malgrado l'inosservanza dei protocolli generalmente riconosciuti dalla comunità scientifica da parte della consulente del P.M. e l'assenza di qualsiasi indicazione in ordine alle modalità con le quali la madre della persona offesa ed il R. avrebbero raccolto le rivelazioni della minore, al fine di assicurare la spontaneità del narrato ed evitare fenomeni, sia pure non voluti, di etero induzione.
Sul punto avrebbe meritato un adeguato approfondimento, al fine di escluderne la sussistenza, l'ipotesi che i timori nutriti dalla K. , che la figlia potesse essere stata vittima di abusi sessuali ad opera del padre, manifestati prima ancora che la bambina rivelasse i fatti di cui all'imputazione, abbia potuto influenzare il modo di porre domande alla figlia, tenuto conto, peraltro, che la stessa K. , secondo quanto emerge dall'accertamento di merito, da bambina era stata vittima di abusi sessuali nel suo paese di origine.
Sicché non appare dirimente l'esclusione di qualsivoglia intento calunnioso da parte della madre della persona offesa per affermare la piena attendibilità delle dichiarazioni della figlia raccolte da quest'ultima.
Appare assolutamente riduttiva ed illogica inoltre l'affermazione della sentenza, secondo la quale la minore non ha riferito nel corso dell'incidente probatorio "dei toccamenti e dei baci dei padre nelle parti intime e del contatto tattile con il membro di C. perché nulla le è stato, in proposito, chiesto" e che ciò sarebbe avvenuto per libera scelta delle parti processuali "per garantire il massimo livello di spontaneità della deposizione ed evitare di accrescere il livello dello stress cui L. , nell'occasione, è stata sottoposta".
Riduttiva, poiché a fronte della gravità delle accuse e tenuto conto che si trattava dell'unico esame della persona offesa avvenuto nel contraddittorio tra le parti, ben più gravi avrebbero dovuto essere le ragioni del mancato approfondimento delle vicende aventi più marcata connotazione sessuale.
Illogica, poiché la valutazione della parzialità del narrato contrasta con l'assunto secondo il quale l'esame sarebbe stato condotto con l'intento di garantire il massimo livello di spontaneità.
La sentenza impugnata, a differenza di quanto affermato dalla pronuncia di primo grado, ha dato atto di una situazione di conflittualità già esistente tra i coniugi all'epoca della rivelazione degli abusi da parte della minore, senza tuttavia approfondire la tematica della possibile influenza sugli atteggiamenti psicologici della bambina della rilevata situazione conflittuale.
Tale tematica doveva ritenersi tutt'altro che irrilevante, in considerazione del mutato modo di porsi della minore nei confronti del padre, che, ad accertate manifestazioni di affetto, aveva sostituito In breve lasso di tempo sentimenti di astio, al punto da disconoscere di essere stata la mittente di lettere affettuose al genitore.
Sul punto la spiegazione data dalla Corte territoriale al mutato atteggiamento della bambina, quale conseguenza della presa di coscienza da parte della medesima degli abusi sessuali subiti, appare incongrua ed illogica a fronte di un narrato della persona offesa, riferito anche dai testi de relato, in cui si descrivevano, oltre agli abusi sessuali, che avrebbero anche provocato sanguinamelo, percosse, cinghiate, in un'occasione la avrebbe costretta a forza di schiaffi a bere una tazza di latte nella quale aveva mescolato pepe e sale; violenze fisiche e morali non solo non riscontrate da testimonianze esterne, ma da ritenersi incompatibili sul piano psicologico con te pregresse manifestazioni di affetto da parte della persona offesa.
La Corte territoriale, mutando la valutazione della sentenza di primo grado sul punto, ha ritenuto attendibili le deposizioni delle maestre, le quali avevano escluso che la bambina entrasse in ritardo a scuola allorché veniva accompagnata dal padre, o manifestasse segni di turbamento, avendo anzi riferito che la minore si mostrava sempre allegra e tranquilla.
Tali deposizioni sono state, tuttavia, ritenute compatibili con le dichiarazioni della persona offesa, relative all'accompagnamento in luoghi isolati ove il padre le dava baci sulla bocca, sulla base di un giudizio di astratta possibilità, tanto complesso quanto generico quale elemento di riscontro al narrato.
Peraltro, la deduzione difensiva secondo la quale uno di tali luoghi risultava ubicato nei pressi di un ufficio postale, sia pure tenuto conto dell'ora mattutina, appare poco compatibile con la ritenuta ricerca da parte dell'imputato di un luogo ove non potevano essere visti.
Non sono state, infine, esaminate adeguatamente le divergenze tra le stesse dichiarazioni della minore, sia in sede di incidente probatorio, sia per come riferite dai vari soggetti, al fine di accertare le cause delle discrasie o vere e proprie contraddizioni del narrato.
In particolare, la minore avrebbe riferito di non avere mai visto un membro maschile di adulto e di ignorarne il nome, conoscendo solo il nome di quello dei bambini (pisellino). Tale affermazione si pone in palese contrasto con la descrizione degli abusi sessuali, cui sarebbe stata sottoposta e nel corso dei quali il padre si denudava completamente. Analoghe discrasie si rinvengono nel narrato della minore, per come riportato in sentenza, a proposito dell'attività di masturbazione che avrebbe posto in essere il padre e della conseguente eiaculazione con riferimento alla affermazione della bambina di non avere toccato lo sperma, pur dandone una descrizione tattile o cromatica, peraltro scarsamente verosimile.
Gli esposti rilievi in punto di vizi di motivazione della sentenza sono assorbenti rispetto ad ogni ulteriore motivo di ricorso.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo esame che tenga conto degli enunciati principi di diritto e delle osservazioni che precedono in punto di logicità della motivazione, nonché della necessità di un maggiore approfondimento della valutazione del narrato, nelle varie sedi, della persona offesa.
Stante l'annullamento con rinvio, il regolamento delle spese del presente grado tra le parti private va rimesso al definitivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
02-06-2013 00:14
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