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Sentenza

400 euro di fanalino costano un processo penale.«Ti brucio la vetreria e il camion, non ho paura di nessuno»: minaccia che esorbita l’intento di far valere un diritto.
400 euro di fanalino costano un processo penale.«Ti brucio la vetreria e il camion, non ho paura di nessuno»: minaccia che esorbita l’intento di far valere un diritto.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 gennaio – 22 aprile 2013, n. 18274
Presidente Casucci – Relatore De Crescienzo

Motivi della decisione

L.W. , tramite il difensore ricorre per Cassazione avverso l'ordinanza 7.8.2012 con la quale il Tribunale del riesame di Lecce, respingendo il relativo ricorso ha confermato, nei confronti dell'imputato, la misura della custodia cautelare in carcere per la violazione degli artt. 81 cpv. 56, 629 c.p.; 81 cpv., 61 n. 2 e 423 c.p.; 61 n. 2 e 611 c.p..
La difesa dell'imputato richiede l'annullamento della decisione impugnata deducendo:
p.1.) ex art. 606 |a comma lett. b) c.p.p. vizio di erronea applicazione della legge penale, perché il giudice ha ravvisato, per quanto attienente al primo capo di imputazione, gli estremi dell'art. 629 cp; secondo la difesa, la condotta dell'imputato è da ritenersi connessa alla pretesa di risarcimento (insoddisfatto) per il danneggiamento del fanalino della propria autovettura, riconducibile alla condotta del figlio della stessa persona offesa. La difesa sostiene che il Tribunale abbia errato nel ritenere che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni presupponga l'esistenza di un "diritto" oggettivamente tutelabile e che la minaccia profferita non esorbiti da un limite di ragionevole proporzionalità; la difesa sostiene che nel caso di specie la minaccia non avrebbe caratteri di particolare violenza o della reiterazione, essendo comunque correlata al conseguimento di un profitto giusto, come tale da incidere sulla assenza di uno degli elementi costitutivi del reato contestato.

Ritenuto in diritto

Dalla lettura del capo di imputazione e dell'esposizione della vicenda, si evince che lo imputato, a seguito di un modesto incidente stradale con il figlio della persona offesa, con danneggiamento di due fari e un fanalino del proprio autoveicolo, aveva richiesto con toni minacciosi il risarcimento di quanto ritenuto dovuto, formulando una prima volta la richiesta di pagamento della somma di 400,00 Euro, reiterandola due giorni dopo con la prospettazione di dare fuoco alla vetreria e al camion della persona offesa.
Dalla lettura degli atti emerge ancora che: a) nella notte tra il (omissis) veniva incendiato il camion appartenente alla vittima, con pronto intervento dei pompieri per le possibili conseguenze derivanti dal danneggiamento della facciata dell'edificio antistante al luogo ove era stato bruciato il mezzo; b) l'indagato il L. alcuni giorni dopo l'incendio del mezzo, essendo stato convocato in questura, aveva minacciato la parte offesa di tagliare la gola, alla medesima e ai suoi prossimi congiunti.
Fatta questa necessaria premessa in relazione ai fatti, sui quali peraltro la difesa non ha formulato riserve od osservazioni, va osservato che la valutazione delle doglianze difensive soggiace ai noti limiti del giudizio di legittimità. Infatti in materia di provvedimenti "de libertate", la Corte di Cassazione non ha alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle esigenze cautelari ed all'adeguatezza delle misure; infatti, sia nell'uno che nell'altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito. Il controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro l'assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento [Cass. SU 22.3.2011 n. 11; Cass. Sez. II 7.12.2011 n. 56; Cass. Sez. VI 12.11.1998 n. 3529; Cass. Sez. I ordinanza 20.3.1998 n. 1700; Cass. Sez. I 11.3.1998 n. 1496; Cass. Sez. I 20.2.1998 n. 1083]. Da quanto sopra discende che: a) in materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientra fra i compiti istituzionali del giudice di merito sfuggendo entrambe a censure in sede di legittimità se adeguatamente motivate ed immuni da errori logico giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del Tribunale, se correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi indizi di colpevolezza o di assenza di esigenze cautelari è ammissibile solo se la censura riporta l'indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge, ovvero l'indicazione puntuale di manifeste illogicità della motivazione provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, esulando dal giudizio di legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito, [v. in tal senso Cass. sez. III 21.10.2010 n. 40873]. Infatti il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico [Cass. Sez. I 19.10.2011 n. 41738; e nello stesso senso Cass. Sez. IV 3.5.2007 n. 22500; Cass. Sez. VI 15.3.2006 n. 10951] La questione devoluta all'attenzione di questo collegio si incentra pertanto sulla corretta qualificazione giuridica dei fatti, ferme restando le modalità di svolgimento della vicenda così come ricostruita nella ordinanza impugnata.
In dettaglio va affrontata e risolta in diritto se la prospettazione di un male ingiusto, collegata alla tutela di un preteso diritto costituisca ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o se possa integrare il ben più grave e diverso delitto di estorsione.
La questione è già stata affrontata in sede di legittimità numerose volte e vale la pena di richiamare consolidati principi di diritto condivisi da questo collegio e che, per altro non paiono essere stati posti in discussione funditus dalla difesa e sulla cui base può osservarsi quanto segue.
I delitti di cui agli articoli 393 e 629 cod. pen. si distinguono in relazione all'elemento psicologico: nel primo, l'agente vuole conseguire un "profitto" nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nell'estorsione l'agente intende conseguire un illegittimo profitto, pur nella consapevolezza di non averne diritto [Cass. Sez. II 29.5.2012 n. 22935]. Pur nella possibile fondatezza della pretesa, il reato di estorsione è integrato quando la condotta minacciosa che si manifesta particolarmente violente da porsi al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell'altrui volontà assume "ex se" i caratteri dell'ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva [Cass. Sez. VI 28.10.2010 n. 41635; Cass. Sez. II 1.10.2004 n. 4792; Cass. Sez. II 15.10.2007 n. 14440].
Nel caso in esame, la natura della minaccia profferita dal L. "...mi devi dare i soldi altrimenti non sai cosa sono capace di fare. Ti brucio la vetreria e il camion, non ho paura di nessuno" (cui purtroppo è seguito l'incendio del camion con le relative conseguenze) è stata ritenuta dal Tribunale, tale da esorbitare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto.
Si tratta nella specie di una valutazione di merito, che non appare manifestamente illogica, con la conseguenza che essa non può essere censurata nella presente sede.
La profilata correttezza della qualificazione giuridica del fatto sotto lo indicato profilo, elimina di interesse giuridico la disamina dell'aspetto della fondatezza del preteso diritto che l'imputato intendeva far valere. La circostanza che la parte offesa abbia denunciato il fatto tre mesi dopo avere ricevuto la minaccia e solo in occasione dell'incendio del camion è anch'essa circostanza di fatto del tutto irrilevante nella presente sede e che non ha influenza sul giudizio di illiceità ex se della condotta dell'indagato.
Per le suddette ragioni il ricorso deve essere rigettato e lo imputato va condannato al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. cpp.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, si provveda a norma dell'art. 94 disp. att. cpp..
Avv. Antonino Sugamele

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