Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

24 coltellate e tentativo di decapitazione della vittima: ergastolo per omicidio premeditato ed aggravato dall'uso di sevizie e dalla crudeltà, evasione e porto di coltello in luogo pubblico.-
24 coltellate e tentativo di decapitazione della vittima: ergastolo per omicidio premeditato ed aggravato dall'uso di sevizie e dalla crudeltà, evasione e porto di coltello in luogo pubblico.-
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    10/04/2013 ( ud. 10/04/2013 , dep.20/05/2013 ) 
Numero:
    21354

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. CHIEFFI    Severo        -  Presidente   -                     
    Dott. BARBARISI  Maurizio      -  Consigliere  -                     
    Dott. LOCATELLI  Giuseppe      -  Consigliere  -                     
    Dott. CAPRIOGLIO Piera M. S.   -  Consigliere  -                     
    Dott. ROCCHI     Giacomo  -  rel. Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                L.M.S. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza n. 86/2009 CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI,  del 
    16/12/2011; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 10/04/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI; 
    Udito  il Procuratore Generale in persona del Dott. D'ANGELO Giovanni 
    che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza del 16 dicembre 2011, la Corte di Assise di appello di Napoli, pronunciando sull'appello proposto da L.M.S. avverso la sentenza della Corte di Assise di Napoli che lo aveva condannato all'ergastolo per i reati di omicidio premeditato ed aggravato dall'uso di sevizie e dalla crudeltà nei confronti di S.C., evasione e porto di coltello in luogo pubblico, con la recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, in parziale riforma della sentenza impugnata escludeva l'aggravante della premeditazione, confermandola nel resto.

    S.C. era stato ucciso da ventiquattro coltellate inferte con un unico strumento, affondato a volte di punta e a volte di taglio; il perito medico legale aveva riscontrato anche un tentativo di decapitazione della vittima, individuando una lunga ferita alla nuca.

    Il locale distava circa 400 metri dall'abitazione dove L.M., già pregiudicato per omicidio, si trovava agli arresti domiciliari.

    Gli inquirenti avevano trovate tracce ematiche attribuite all'imputato che conducevano dal bar all'abitazione del ricorrente, che era risultato irreperibile e che era stato rintracciato solo quindici giorni dopo a (OMISSIS). Erano stati escussi anche i testimoni del fatto.

    La Corte aveva respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale avanzata dalla difesa, dando per ammesso il dato che il consulente della difesa aveva sostenuto, che cioè, a quattro mesi di distanza dai fatti, L.M. non presentava alcuna ferita alla mano destra; ciò non contrastava con quanto verificato de visu dal Carabiniere che aveva effettuato il fotosegnalamento al momento dell'arresto, cioè quindici giorni dopo il fatto: il militare aveva notato una ferita situata al centro tra il pollice e l'indice di quella mano già cicatrizzata.

    La Corte rilevava che molte delle tracce ematiche rinvenute nel percorso che portava dal bar dove era avvenuto il delitto all'abitazione suddetta erano attribuibili al L.M., come risultava dall'analisi del DNA: ciò dimostrava che quel giorno L. M. era evaso dagli arresti domiciliari, era presente nel bar al momento dell'accoltellamento e si era ferito, impugnando l'arma.

    Dalla perizia medico legale non emergeva affatto che l'autore dell'accoltellamento fosse mancino e il numero delle coltellate e la loro posizione su entrambe le parti del corpo rendeva superflua una perizia tesa ad accertare la caratteristica di mancino dell'autore dell'omicidio.

    I testimoni presenti nel bar avevano confermato la presenza nel locale del L.M., ma si erano dimostrati reticenti; uno di essi, peraltro, aveva sostenuto che, uscendo dal locale, aveva sentito D. S. rivolgersi al L.M. chiedendogli cosa stava facendo, precisando che, in quel momento, erano presenti solo loro due, oltre ad una terza persona che era rimasta estranea.

    Dalle stesse dichiarazioni dell'imputato erano emerse l'inconsistenza e l'inverosimiglianza del suo alibi, arricchitosi nel corso del tempo: solo il 1/7/2009 l'imputato aveva fatto riferimento a un sanguinamento dal naso, circostanza non riferita nemmeno nelle precedenti spontanee dichiarazioni. La Corte ripercorreva la versione resa da L.M. per dimostrarne la falsità, rilevando che nessuna delle circostanze in essa contenute era stata riferita al G.I.P. un anno prima e alla Corte il 22/4/2009. La versione, comunque, non era stata riscontrata dal luogo dove le gocce di sangue erano state rinvenute e non aveva trovato conferma nemmeno dal tabaccaio dove L. M. aveva sostenuto di avere acquistato delle sigarette.

    Due nipoti dell'imputato avevano permesso di individuare il movente del delitto: il ricorrente riteneva la famiglia Somma mandante dell'omicidio del fratello P.; la sua individuazione come colui che aveva accoltellato il S. era stata fatta a L.M. A. dal padre; analoga individuazione aveva fatto la madre a L.M.G..

    Nessun dubbio sussisteva in ordine all'incapacità di intendere e di volere dell'imputato, anche alla luce delle consulenze di parte, cosicchè la Corte respingeva l'ulteriore istanza di riapertura dell'istruzione dibattimentale allo scopo di eseguire una perizia psichiatrica.

    Esclusa la premeditazione, per l'incertezza del lasso di tempo intercorso tra risoluzione di uccidere il S. e azione, la Corte riteneva provata per tabulas l'aggravante della particolare crudeltà, alla luce del numero delle coltellate e del tentativo di decapitazione posto in atto quando la vittima, ancora viva, non era in grado di reagire.

    Le attenuanti generiche non potevano essere concesse alla luce dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., evidenziando la Corte il pessimo comportamento processuale, l'estrema gravità del fatto commesso e i precedenti penali, tra cui un altro omicidio volontario commesso con un'arma bianca.

    2. Ricorre per cassazione il difensore di L.M.S., deducendo distinti motivi.

    In un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al rigetto dell'istanza di riapertura dell'istruttoria dibattimentale finalizzata all'esperimento di una perizia medico legale tesa a stabilire se le tracce ematiche dell'imputato fossero compatibili con la ferita autoprocuratasi durante l'accoltellamento della vittima e non potessero meglio spiegarsi con l'episodio di epistassi riferito dell'imputato.

    La memoria difensiva non era stata in alcun modo valutata, così producendosi una nullità ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c;; la Corte aveva ritenuto che la richiesta perizia mirasse a dimostrare l'assenza di ferite da taglio sulla mano dell'imputato, quando essa, al contrario avrebbe chiarito se le abbondanti tracce di sangue fossero compatibili con una ferita sulla mano che non aveva prodotto alcun esito cicatriziale.

    In un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al rigetto dell'istanza di riapertura dell'istruzione dibattimentale mediante l'espletamento di una perizia che accertasse se il delitto, come sostenuto dal consulente tecnico di parte, fosse stato commesso da un soggetto mancino.

    Anche in questo caso la memoria difensiva non era stata affatto valutata e l'istanza era stata rigettata sulla base di mere congetture non idonee a confutare le osservazioni medico legali esposte che sostenevano che l'autore dell'omicidio era mancino sulla base della morfologia e della dislocazione delle ferite da difesa.

    In un terzo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della responsabilità del ricorrente per l'omicidio. La motivazione non teneva in alcun conto la memoria difensiva depositata e aveva ritenuto apoditticamente provata la circostanza della ferita alla mano destra dell'imputato, senza prendere in considerazione le censure di inattendibilità dei testi Pi. e C. mosse nella menzionata memoria; aveva liquidato in modo apodittico come inattendibile la versione alternativa fornita dall'imputato; aveva attribuito valore probatorio a congetture e supposizioni, senza tenere conto che nessun teste aveva assistito all'omicidio e tutti i testi avevano riferito della presenza sul luogo di un soggetto mai identificato; aveva ritenuto provata la causale dell'omicidio sulla base delle dichiarazioni rese da L.M.A., che i Giudici di primo grado avevano ritenuto inattendibile alla luce del suo risentimento nei confronti dello zio.

    In un quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al riconoscimento dell'aggravante della crudeltà.

    La Corte non aveva tenuto conto della giurisprudenza formatasi sul punto e aveva trascurato del tutto le considerazioni della memoria difensiva secondo cui sul corpo erano presenti molte ferite da difesa, ad indicare che l'assassino era stato costretto ad accanirsi sulla stessa per vincere la sua resistenza; aveva, altresì, del tutto omesso l'esame del parere medico legale che contestava il presunto tentativo di decapitazione.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Preliminarmente deve escludersi ogni rilevanza nel presente giudizio della sentenza della Corte Costituzionale n. 237 del 2012, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale che forma oggetto della nuova contestazione.

    Il ricorrente ha documentato che, all'udienza del 4/6/2009, il P.M. aveva modificato il capo di imputazione, contestando all'imputato - la cui difesa aveva chiesto ed ottenuto termine per la difesa ai sensi dell'art. 519 cod. proc. pen. - le aggravanti della premeditazione e della crudeltà.

    Poichè la predetta sentenza di incostituzionalità è stata emessa dopo la presentazione del ricorso per cassazione, la difesa evidenzia che il diritto del ricorrente ad accedere al giudizio abbreviato possa essere esercitato per la prima volta solo in questa sede.

    In realtà la sentenza invocata - come del resto le precedenti sentenze di parziale illegittimità costituzionale pronunciate dalla Corte in riferimento agli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. - non riguarda l'ipotesi della contestazione di un'aggravante, ma quella della contestazione di un reato concorrente.

    Soltanto la contestazione in dibattimento di un reato concorrente o di un fatto diverso impone, sotto il profilo costituzionale, il riconoscimento del diritto dell'imputato ad accedere ai riti alternativi o all'oblazione.

    2. I motivi di ricorso sono infondati.

    Con riferimento alla mancata ammissione delle due perizie medico legali, sia la natura delle richieste, sia la circostanza che esse non avevano a che fare con prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, onerava il giudice d'appello di valutare la assoluta necessità delle perizie stesse e di argomentare la decisione con congrua motivazione.

    Con particolare riferimento alla prima delle due perizie - la cui finalità il ricorrente sostiene essere stata travisata dalla Corte - occorre sottolineare che, nell'atto di appello e nei motivi aggiunti, la perizia richiesta non aveva affatto ad oggetto la compatibilita della ferita autoprocuratasi durante l'accoltellamento della vittima con le tracce di sangue attribuibili al L.M. che passavano vicino al cadavere e giungevano alla sua abitazione; al contrario, con riferimento a tale tracce, l'atto di appello chiedeva l'acquisizione del cartellino delle impronte palmari e dattiloscopiche dell'imputato, atto istruttorio che veniva ritenuto "decisivo a fare luce su una eventuale ferita alla mano di L.M. S." (le impronte venivano acquisite autonomamente dalla difesa ed allegate ai motivi aggiunti).

    Nei motivi aggiunti di appello, cui era allegata la consulenza tecnica A., la richiesta di escussione del consulente tecnico e la richiesta di perizia avevano pur sempre la finalità di accertare "la probabilità scientifica che l'autore del delitto sia un mancino". Si deve, quindi, sottolineare un andamento "ondivago" dell'appellante, che aveva l'onere di avanzare le richieste istruttorie nell'atto di appello o nei motivi aggiunti ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 1.

    In ogni caso, è evidente la genericità del quesito che il Giudice di appello avrebbe dovuto formulare al perito, tenuto conto che la ferita alla mano destra osservata dal teste Pi. non era stata oggetto di alcuna perizia o valutazione medica.

    La Corte, quindi, nella motivazione di rigetto della richiesta di perizia, si è appoggiata ragionevolmente sui dati ritenuti provati:

    che cioè, al momento dell'arresto, quindici giorni dopo l'omicidio, L.M. presentava una ferita alla mano destra, situata al centro tra il pollice e l'indice e che, a quattro mesi dal fatto, non vi erano tracce di tale ferita; ha ritenuto, di conseguenza, superflua e inutile la perizia, a tre anni dal fatto.

    La Corte territoriale, del resto, ha affrontato le contestazioni effettivamente e tempestivamente mosse dall'appellante sulla questione della ferita, nella linea della negazione totale dell'esistenza di una ferita alla mano destra.

    Con argomentazioni ampie e niente affatto illogiche, la sentenza ritiene, al contrario, provata la circostanza e, soprattutto, afferma, al contrario, inverosimile, in quanto presentata del tutto tardivamente e non riscontrata da alcuno, la versione della emorragia al naso e delle circostanze in cui la stessa si era prodotta.

    Il giudizio di tardività della versione dell'imputato - resa un anno dopo il fatto, nonostante il precedente interrogatorio - non può non incidere anche sulla sua verosimiglianza: la trattazione svolta dalla difesa nel quarto motivo di ricorso sembra dimostrarlo, quando il ricorrente tenta di dimostrare che il racconto del L.M. circa l'inizio del sanguinamento, le sue interruzioni, la sua ripresa, coincida interamente con le tracce rilevate dagli investigatori.

    Ebbene, se L.M., come ha argomentato la Corte territoriale, ha avuto un anno di tempo per preparare la sua versione, resa solo all'udienza del 1/7/2009, ovviamente il suo racconto ha tenuto conto del posizionamento delle tracce ematiche riscontrate nei rilievi. Il fatto che la narrazione coincida (più o meno) con i punti in cui il sangue dell'imputato è stato repertato non significa, quindi, un riscontro al racconto da parte dei dati oggettivi; ma, piuttosto, fa intravedere la costruzione della narrazione in modo che essa coincida con i dati oggettivi già conosciuti.

    Quanto, invece, alla perizia richiesta per accertare se il feritore della vittima fosse mancino, il rigetto si fonda sulla considerazione che la consulenza tecnica d'ufficio escludeva questa eventualità e che, comunque, il numero delle ferite e la loro dislocazione permetteva di ritenere che i suoi soggetti si muovessero, con la conseguenza che colpi apparentemente sferrati da un mancino potevano essere stati inferti da un destrorso.

    Che la perizia richiesta non fosse assolutamente necessaria si deduce, del resto, dal tenore della consulenza del dr. B., che parla di "compatibilità", sia pure "straordinaria", della dislocazione delle ferite con l'uso del coltello da parte di un soggetto mancino.

    In definitiva, la Corte territoriale ha evitato di introdurre nel processo un dato niente affatto certo che, quindi, non avrebbe contribuito alla decisione, rendendo il quadro complessivo soltanto più vago.

    3. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.

    La Corte si sofferma ampiamente sulle testimonianze del brig.

    Pi. e del tenente C., ritenendole veritiere ed annotando che entrambi i testimoni avevano precisato molto bene le ragioni per cui il primo non aveva proceduto all'annotazione al momento del fotosegnalamento.

    Le argomentazioni difensive, secondo cui l'attendibilità dei testi è messa in dubbio dalla mancata annotazione da parte del brig.

    Pi. della presenza della ferita al momento del fotosegnalamento e da parte del tenente C. dopo aver saputo dal Pi., circa venti giorni dopo, che L.M. presentava una ferita alla mano destra, non sembra siano idonee a dimostrare la palese illogicità della motivazione sul punto, tenuto conto che tale annotazione non era un atto obbligatorio nè per l'uno nè per l'altro, cosicchè la omissione da parte dei due militari non assume affatto un significato oscuro o dubbio.

    Si è già rilevato che la Corte ha ampiamente argomentato sull'inverosimiglianza della versione dell'imputato di un sanguinamento dal naso.

    Non sembra che le ulteriori argomentazioni difensive siano idonee a scardinare il ragionamento adottato dalla Corte: in particolare, sulla circostanza che le gocce di sangue lambivano la vittima, il ricorrente ammette che alcune gocce del suo sangue erano molto vicine agli schizzi di sangue del S., sostenendo, però, che esse erano più lontane dalla pozza di sangue "verosimilmente indicativa del luogo dell'aggressione": come si vede, poichè il punto esatto dell'aggressione non è certo, in mancanza di testimoni diretti, la censura alla motivazione si fonda su un dato incerto, risultando di conseguenza assai debole.

    La Corte menziona, poi, la testimonianza del tabaccaio T. M., presso cui L.M. si era fermato per acquistare sigarette, che non aveva notato alcun sanguinamento dal naso. La difesa ribatte osservando che il negozio dei testimone era situato in un punto in cui le tracce di sangue non erano più state rilevate ed osserva che egli, poichè il sanguinamento era cessato, si era tolto il tampone dal naso. Ancora una volta quest'ultimo dato soffre del sospetto dovuto alla tardività della versione, che doveva adattarsi ai dati oggettivi e testimoniali.

    In ogni caso, anche questo elemento non appare certamente decisivo per dimostrare la manifesta illogicità della motivazione della sentenza.

    Deve, invece, escludersi che i giudici di appello, per fondare l'affermazione di responsabilità del ricorrente, abbiano fatto ricorso ad ipotesi ed illazioni: la presenza nel locale di una persona rimasta sconosciuta è un dato assolutamente neutrale; ma la Corte non ha "scelto" come colpevole L.M. invece di questo sconosciuto solo sulla base delle "sensazioni" del teste R.: la presenza nel locale accanto alla vittima dell'imputato, che era evaso dagli arresti domiciliari proprio per recarvisi, le tracce di sangue di cui si è parlato, indizio rafforzato dalla tardiva proposizione della versione alternativa del sanguinamento dal naso, il taglio alla mano destra, le dichiarazioni dei due nipoti dell'imputato sul movente e sulle notizie ricevute in ordine il delitto, la immediata fuga dell'imputato goffamente giustificata e anche la capacità personale di eseguire un delitto efferato come quello ai danni di S.C., capacità dimostrata da un precedente omicidio con arma bianca, sono elementi che non si attagliano affatto alla persona sconosciuta che si trovava nel locale, ma sono propri del ricorrente.

    Quanto alla causale, il ricorrente censura la sentenza di appello per non aver condiviso il giudizio della Corte di primo grado, che aveva ritenuto non attendibile L.M.A. nel riferire di avere sentito più volte lo zio imprecare contro la famiglia Somma per avere ordinato l'omicidio del fratello P..

    In verità, la sentenza di primo grado non attribuisce affatto la patente di inattendibilità a L.M.A., limitandosi ad escludere l'aggravante del motivo abietto "per la quale non si può dire raggiunta una certezza piena, parlandone unicamente la nipote, che ammette lei stessa di non avere un buon rapporto con lo zio". La Corte di primo grado, fra l'altro, non censura di falsità le testimonianze di entrambi i nipoti, L.M.A. e L.M. G., che avevano ricevuto, pochi minuti dopo il delitto, notizie dai genitori sulla circostanza che lo zio era autore dell'omicidio.

    Nessuna illogicità, quindi, emerge dalla motivazione della sentenza impugnata che ha valorizzato anche questo elemento indiziario - non certamente decisivo, ma significativo. Fra l'altro, come si comprende dalla trascrizione della testimonianza di L.M.A. riportata in ricorso, ella, in dibattimento, aveva cercato di negare di aver riferito la circostanza compromettente sopra indicata: aveva cercato, cioè, di favorire l'imputato.

    4. Anche il quarto motivo di ricorso è infondato.

    Il ricorrente contesta, in via subordinata, la motivazione della sentenza in punto di aggravante della crudeltà, affermata in base al numero di colpi inferti alla vittima (24) e ad un probabile tentativo di decapitazione. I dati sono stati ricavati dalla perizia medico legale.

    Il ricorrente, per censurare il vizio della motivazione, contrappone alla perizia d'ufficio la consulenza del dr. A. e sottolinea il numero notevole delle ferite da difesa: ma la stessa consulenza le indica in numero di 11, cosicchè, anche a voler dare intero credito alla consulenza difensiva, le coltellate inferte senza che la vittima opponesse alcuna difesa erano state 13.

    Quanto al tentativo di decapitazione, il ricorrente contrappone l'interpretazione della ferita alla nuca proposta dal proprio consulente tecnico a quella del perito medico legale che aveva eseguito l'autopsia: nè l'uno nè l'altro professionista propone la propria ricostruzione come certa ed indiscutibile, cosicchè, su tale contrasto, non può certamente fondarsi l'affermazione di un vizio di motivazione.

    Il ricorso deve, in definitiva, essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p..
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 10 aprile 2013.

    Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2013
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza