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Sentenza

Pilota dell'aeronautica militare condannato per omicidio colposo a seguito di incidente aereo nel quale cagionava il decesso del capitano che sedeva al suo fianco.
Pilota dell'aeronautica militare condannato per omicidio colposo a seguito di incidente aereo nel quale cagionava il decesso del capitano che sedeva al suo fianco.
Autorità:  Cassazione penale  sez. IV
Data udienza:  15 novembre 2012
Numero:  n. 48234
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE QUARTA PENALE                        
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. BRUSCO   Carlo Giuseppe   -  Presidente   -                    
Dott. BIANCHI  Luisa       -  rel. Consigliere  -                    
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco      -  Consigliere  -                    
Dott. CIAMPI   Francesco Maria  -  Consigliere  -                    
Dott. DOVERE   Salvatore        -  Consigliere  -                    
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1) MINISTERO DELLA DIFESA (resp. Civile); 
2)           P.F. (parte civile); 
3)          L.P.V.; 
4)              P.G.; 
5)           P.M. N. IL (OMISSIS) C (imputata); 
avverso  la  sentenza  n.  7049/2009  CORTE  APPELLO  di  ROMA,   del 
20/05/2011; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 15/11/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI; 
Udito  il Procuratore Generale in persona del Cons. Mario Fraticelli, 
che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; 
Udito   per   il   responsabile  civile   l'avv.to   Maurizio   Greco 
dell'Avvocatura dello Stato; 
Udito  per  la  parte  civile                P.G.  l'avv.to  Renato 
Archidiacono di Latina; 
Udito,  per  la  parte civile,           P.F. e           L.P.V., 
l'avv.to Luca Petrucci di Roma; 
Udito il difensore Avv.to Domenico Oropallo di Latina. 
                 

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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20 maggio 2011, la corte di appello di Roma, giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza della Corte di Cassazione del 5.5. 2009, escludeva il concorso di colpa di p. m. nell'incidente aereo avvenuto l'(OMISSIS), nel quale un aereo dell'aeronautica militare precipitava al suolo nella zona di (OMISSIS) cagionando il decesso del capitano P. che sedeva a fianco del pilota, Po.Ma., ritenuto unico responsabile dell'incidente; determinava la pena per il Po.
per i ritenuti reati di omicidio colposo e disastro colposo, in un anno e sei mesi di reclusione; dichiarava compensate le spese tra le parti private.
La corte ripercorreva le tappe della vicenda processuale, ricordando che il procedimento trae origine dalla sentenza del tribunale di Latina dell'11 ottobre 2003 con cui Po.Ma. era stato dichiarato colpevole del reato di cui all'articolo 589 codice penale con il ritenuto concorso di colpa della persona offesa p. m. e condannato ad un anno di reclusione con la concessione delle attenuanti generiche e doppi benefici di legge, nonchè al risarcimento dei danni e al pagamento di una provvisionale, unitamente al responsabile civile, a favore della costituita parte civile; era assolto dalle ulteriori imputazioni ex artt. 47 e 125 del c.m.p.p. (riconoscendosi la buona fede del Po. per non aver avvisato l'ente di controllo delle modifiche del piano di volo) e di disastro aviatorio. Tutte le parti interponevano appello (la parte civile in via incidentale) e la corte di appello di Roma, con sentenza 3 dicembre 2005, in accoglimento dell'impugnazione del PM, dichiarava il Po. responsabile anche di disastro colposo e, ritenuta la continuazione con reato di cui all'art. 589 c.p., lo condannava ad un anno e sei mesi di reclusione; la corte escludeva il concorso di colpa della vittima p.m. nel reato di cui all'art. 589, affermando che non era necessario procedere alla riforma della sentenza di primo grado sul punto, dal momento che doveva ritenersi prevalente il dispositivo della sentenza stessa, nel quale non era stato fatto alcun riferimento al concorso di colpa, rispetto alla motivazione che invece lo aveva riconosciuto.
L'imputato e il responsabile civile proponevano ricorso per cassazione e la IV sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 28 settembre 2006, confermava la sentenza di appello nella parte in cui dichiarava la responsabilità del Po. per disastro aviatorio e omicidio colposo ed accoglieva i motivi riguardanti il difetto di motivazione sulla esclusione del concorso di colpa della vittima e sul trattamento sanzionatorio annullando pertanto la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sul concorso di colpa e sul conseguente trattamento sanzionatorio con rinvio, sui predetti punti ad altra sezione della corte di appello di Roma; ha affermato in particolare questa Corte che il giudice di appello aveva errato nel ritenere la superfluità da parte sua della pronuncia sul concorso di colpa per il fatto che, non essendo stato il detto concorso menzionato in dispositivo dal tribunale , lo stesso doveva ritenersi escluso per la prevalenza del dispositivo sulla motivazione; il concorso era stato chiaramente e motivatamente ritenuto nel corpo della motivazione della sentenza di primo grado e non vi era necessità della esplicita menzione di esso in dispositivo; infatti, trattandosi di condotte colpose indipendenti, l'eventuale concorso di colpa della vittima non poteva certo escludere la responsabilità dell'imputato; il tribunale ne aveva tenuto conto ai fini della determinazione della pena, ma i criteri di determinazione della pena non devono essere richiamati in dispositivo; era pertanto sbagliato ricavare la esclusione del concorso di colpa dalla mancata indicazione in dispositivo; questa Corte disponeva pertanto l'annullamento con rinvio perchè il giudice di appello, limitatamente alla determinazione della pena, rivalutasse la sussistenza o meno del concorso di colpa della vittima, precisando che tale giudice "potrà ritenerlo sussistente, come ha fatto il giudice di primo grado, escluderlo, ma non potrà ritenere che tale concorso di colpa sia stato già escluso dal tribunale " e dovrà valutare tutti gli elementi indicati nella sentenza di primo grado, trattando i vari profili di colpa e non solamente l'errore in fase di risalita del veicolo.
La corte di appello di Roma, giudicando in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Latina, escludeva il concorso di colpa del p. nel reato di omicidio colposo e determinava la pena per i reati ascritti ai capi a) e b) in un anno e sei mesi di reclusione.
Avverso tale sentenza l'imputato e il responsabile civile avevano nuovamente proposto ricorso per cassazione e la 3^ sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza del 5 maggio 2009, annullava nuovamente la sentenza impugnata. La corte di legittimità riteneva anzitutto infondato il primo motivo di gravame del Po., volto a invocare la prescrizione del reato, rilevando che esattamente la sentenza impugnata aveva ritenuto coperta da giudicato (a seguito del primo giudizio di cassazione) l'affermazione di responsabilità dell'imputato ed osservava che già con la precedente sentenza la corte di cassazione aveva espressamente precisato che l'eventuale, concorrente, responsabilità della vittima non avrebbe in ogni caso potuto influire sulla determinazione della responsabilità penale del medesimo, trattandosi di condotte colpose concorrenti e non essendo certamente, l'eventuale colpa della vittima tale da escludere quella dell'imputato ovvero dall'incidere sul nesso di causalità. Osservava che la sentenza impugnata aveva(W però omesso di valutare l'esistenza o meno di un concorso di colpa della persona offesa rispetto tutte e tre le condotte colpevoli del Po.
costituenti, secondo il tribunale , concausa dell'evento e cioè la modifica del volo, la mancanza di programmazione e la omessa consultazione delle carte nautiche. La corte di appello, per escludere il concorso di colpa, aveva motivato unicamente sull'errore in fase di risalita.
2. Con la sentenza qui impugnata la corte di appello escludeva la sussistenza di un concorso di colpa del p. seguendo il seguente percorso argomentativo.
La corte richiamava innanzitutto quelli che, secondo Tribunale , erano stati i profili di colpa addebitabili anche a p. e cioè il fatto che: a) p. era pari grado dell'imputato; b) si era in ambiente militare ; c) i due erano "tranquilli", secondo la deposizione del teste F. e ciò significava che la decisione di volare in montagna era stata condivisa; d) p. aveva la qualifica e la specifica funzione di navigatore e pertanto aveva il compito di pianificare il volo assieme al pilota e guidare questi in volo attraverso l'uso delle cartine aeronautiche; nel caso di specie, la cartina c'era ma non era stata utilizzata.
Sulle prime due circostanze, richiamate anche dalla Corte di Cassazione, il giudice di appello osservava che le stesse non evidenziavano alcun specifico profilo di colpa; bisognava in ogni caso tenere presente che comunque Po. era il pilota del velivolo su cui si era verificato l'incidente e dunque ricopriva il ruolo di comando, necessariamente unico, all'interno del gruppo militare costituito dai due; era altresì istruttore nei confronti del p., che era in fase di "riallenamento" e la cui presenza a bordo di quel tipo di velivolo non era indispensabile, atteso che si trattava di un aeromobile idoneo ad essere pilotato anche da una sola persona, in possesso di idonea licenza come era Po..
Con riferimento alla terza circostanza, la corte di appello riteneva che dalla testimonianza del F. secondo la quale i due, Po. e p., durante il volo "erano tranquilli", non poteva desumersi la condivisione della decisione di cambiare rotta, poichè il teste aveva chiarito che egli non era nelle condizioni di comprendere con precisione il contenuto delle conversazioni che intercorrevano tra i suoi colleghi, perchè era seduto dietro a loro e nell'aereo per parlarsi bisognava avvicinarsi all'orecchio dell'altro, che si toglieva la cuffia, e urlare; non poteva dunque ritenersi accertato oltre ogni ragionevole dubbio che il p. avesse condiviso la variazione del piano di volo e la decisione di "volare in montagna".
La corte riservava un approfondimento anche alla circostanza indicata sub d), il mancato rispetto da parte di p. delle sue funzioni di "navigatore", e riteneva che le risultanze di fatto emergenti dagli atti processuali non consentivano di ritenere raggiunta la prova di una cooperazione colposa nemmeno sotto tale profilo. Quando, poco tempo dopo il decollo, Po. decise di cambiare il piano di volo, p. ne aveva fatto tempestiva comunicazione all'autorità di controllo, indicando la destinazione di Velletri, il mantenimento di quota e rotta standard, l'altezza di 1000 piedi dal suolo e il successivo punto di riferimento (Norma); nessuna colpa era ravvisabile al riguardo e nessuna ulteriore condotta era da lui esigibile, atteso che si trattava di un volo addestrativo che seguiva le regole del volo a vista (VFR), si svolgeva in pieno giorno, in condizioni di visibilità ottimali ed il pilota aveva direttamente a sua disposizione gli strumenti per controllare la rotta, compreso l'altimetro, senza contare che la zona attraversata era ben nota al predetto Po.. Quanto alla pianificazione del nuovo programma di volo e all'omesso uso delle cartine, la corte riteneva che la decisione di "andare in montagna" venne adottata esclusivamente da Po. e che della stessa p. non venne messo a conoscenza in tempo utile per poter predisporre un nuovo piano di volo; la decisione fu frutto di un'iniziativa autonoma del comandante come si poteva desumere dal fatto che p. nell'ultima comunicazione aveva dato informazioni chiaramente indicative del fatto che il volo proseguiva in pianura e fu attuata in tempo breve, entrando nella c.d. (OMISSIS) dove, a causa della condotta imperita del pilota, l'aereo urtava contro la chioma degli alberi e precipitava.
3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione l'imputato Po.Ma., il responsabile civile Ministero della difesa e le parti civili.
3 A. L'avvocato Domenico Oropallo nell'interesse del Po.
indirizza le svolte censure anche nei confronti dell'ordinanza del 3.12.2010, con cui la corte di appello ha consentito alle costituite parti civili di rassegnare le proprie conclusione. Con il primo ed il secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 74, 523, 627 del codice di rito e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente ribadisce che le parti civili non avevano titolo per formulare le proprie conclusioni nell'ambito del giudizio di rinvio, in quanto quest'ultimo aveva per oggetto unicamente la determinazione della pena come espressamente affermato dalle sentenze di annullamento di questa Corte di Cassazione, la prima esplicitamente e diffusamente richiamata dalla seconda; sostiene la mancanza di interesse della parte civile a interloquire in sede di rinvio, atteso che tutte le domande della predetta parte civile avevano già trovato definizione nelle precedenti fasi, senza possibilità di essere ulteriormente compromesse dall'esito del giudizio di rinvio; eccepisce la violazione dell'art. 627 c.p.p., comma 3, atteso che vi era stata una preclusione alla pronuncia da parte della Corte di appello di una sentenza di riforma non limitata ai soli fini della pena ma destinata ad dispiegare i suoi effetti sul diverso piano civile in base al dictum della Suprema Corte che aveva riservato al giudice civile ogni questione incidente sul risarcimento del danno. Col terzo motivo censura il mancato adeguamento del giudice di rinvio alla sentenza di annullamento per quanto riguarda la valutazione del concorso di colpa del p.. Sostiene che vi è stato un adeguamento soltanto apparente; che ancora una volta la sentenza ha ritenuto che unico vero antecedente causale dell'evento sia stato l'errore nella manovra di risalita; che ha ancor più svalutato, rispetto alla precedente sentenza, i parametri della colpa concorrente che il tribunale di Latina aveva ravvisato nel fatto che l'imputato e la vittima erano pari grado e agivano in ambito militare , escludendo che gli stessi avessero valenza probatoria; che la testimonianza resa dal F. non poteva essere messa in discussione con il richiamo all'art. 194 c.p.p., comma 3, atteso che le sue dichiarazioni sulla situazione "di tranquillità" presente a bordo non costituivano un apprezzamento di valore ma erano una rappresentazione del fatto; che il p., la cui qualifica di navigatore era stata pacificamente accertata, avrebbe dovuto svolgere tale compito, prestando assistenza al pilota e pianificando il volo, chiedendo, così come puntualmente richiesto dalla sentenza di annullamento, informazioni al pilota sulla nuova rotta e collaborando alla corretta individuazione; la corte di appello invece ha minimizzato le funzioni del navigatore riducendole alle sole comunicazioni via radio e senza tenere conto del tenore della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione.
3 B. L'avvocato Maurizio Greco per il responsabile civile Ministero della Difesa deduce l'inosservanza dell'art. 627, comma 3, del codice di rito, violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli elementi di colpa del p. che erano stati indicati dalla sentenza di primo grado e in relazione ai profili del comportamento colposo del Po. indicati dalla seconda sentenza di annullamento. Secondo il difensore la sentenza non ha tenuto conto di quegli indici alla luce dei quali il tribunale aveva affermato la colpa di p. e di quanto aveva osservato la Corte di Cassazione nelle sentenze di annullamento. Il ricorrente ribadisce che p., nella ormai accertata con sentenza passata in giudicato qualità di navigatore, avrebbe dovuto programmare la nuova rotta sulla base delle carte aeronautiche e che non è corretto considerare il predetto p. in posizione subordinata rispetto al pilota, poichè entrambi avevano compiti specifici, quello di p. consistente nel dovere di collaborare con il pilota alla pianificazione del volo, alla navigazione, alla lettura delle carte e alla identificazione degli ostacoli. E ciò anche se il veicolo, trattandosi di un veicolo semplice, prevedeva la possibilità di essere pilotato da una sola persona e a prescindere dal fatto che p. fosse "in riallenamento", circostanza che già la Corte di Cassazione aveva ritenuto irrilevante. Sostiene che la sentenza della corte d'appello pur partendo dall'assunto, coperto del giudicato che p. svolgeva le funzioni di navigatore, rivaluta le conclusioni dell'ingegner Pe. il quale sostanzialmente esclude la necessità della figura del navigatore e nella sostanza ne riduce la funzione a quella di un mero passeggero. Quanto poi alla testimonianza resa da F. secondo cui i due erano tranquilli, il ricorrente censura la corte di appello che ha svalutato tale circostanza, atteso che,pur non potendo F. comprendere perfettamente tutto ciò che p. e Po. si dicevano durante il volo, il medesimo F. non di meno era in grado di rendersi conto della situazione a bordo del veicoli e, nel dichiarare che i suoi due colleghi erano tranquilli, aveva inteso riferire l'assenza di dissidi fra di loro e cioè in sostanza la condivisione della decisione di cambiare rotta. Tesi quest'ultima della condivisione delle decisioni, unica seriamente sostenibile e confermata dalla chiamata radio con cui p. informava la torre di controllo che il veicolo si sarebbe diretto verso Norma, momento da cui aveva il dovere di verificare la nuova rotta. La decisione di andare in montagna non fu improvvisa ed attuata in breve spazio temporale da Po. si che p. non venne posto nella condizione di individuare i punti di riferimento del nuovo programma di volo; ma tra quando p. comunica che stanno andando verso Norma e quando l'aereo cade vi era tempo per pianificare la nuova rotta e cioè circa 15 minuti. Inoltre la Cassazione aveva sottolineato il dovere del navigatore di informarsi. Anche sul ritrovamento delle carte nautiche la sentenza è censurabile perchè non tiene conto che tali carte sono state ritrovate nella tuta del comandante, ciò che significherebbe che p. non si era fatto dare le carte nemmeno dopo che il pilota aveva deciso di andare verso Norma. Sostiene poi con il secondo motivo che gli specifici profili di colpa attribuiti a Po. e cioè aver modificato il piano di volo recandosi in una zona lui sconosciuta e non avere consultato è mappe, pur trattandosi di zona montuosa e volando a bassa quota, sono riferibili anche a p.. Soltanto il terzo profilo quello dell'errore nella manovra di risalita è proprio e riferibile unicamente al pilota. La corte d'appello non ha tenuto conto di quanto in questo senso era stato affermato dalla sentenza di annullamento; infatti l'errore di percezione del pilota e l'aver impostato in ritardo la manovra di risalita sono la conseguenza diretta della mancanza di informazioni circa l'orografia dei luoghi, la quota, il rilevamento degli ostacoli e le caratteristiche della Valle... eccetera, che dovevano essere fornite al pilota dal navigatore e dunque l'omissione di quest'ultimo ha contribuito a causare l'evento. Con un terzo motivo lamenta l'erronea applicazione dell'art. 533, comma 1, del codice di rito sottolineando che ha sbagliato la sentenza impugnata allorchè ha escluso la cooperazione colposa del navigatore p. per mancanza di prova oltre ogni ragionevole dubbio; questa è una regola di giudizio che può essere applicata all'imputato ma che non che non ha ragione di essere per quanto riguarda la situazione in esame che è quella del concorso di colpa della persona offesa.
3 C. La parte civile P.G., rappresentata dall'avvocato Renato Arcidiacono, deduce violazione di legge e difetto di motivazione per quanto riguarda la decisione adottata dalla corte di appello di compensazione delle spese.
3.D Identica questione viene sollevata dall'avvocato Luca Petrucci nell'interesse delle altre delle altre parti civili signora L. P.V. e Dott. P.F..
Con successive memorie le predette parti civili hanno poi argomentato per contrastare i motivi di censura svolti da controparte.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorsi non meritano accoglimento.
Deve essere preliminarmente valutata la questione processuale avanzata dalla difesa di p. circa la presenza della parte civile nel giudizio di appello. Ritiene il Collegio che non sussista alcuna violazione di legge neppure sotto il profilo del mancato rispetto dell'art. 627 c.p.p., comma 3, eccepito dalla medesima difesa. Il ricorrente rileva correttamente che le due sentenze di annullamento di questa Corte, sezione 4^ prima e sezione 3^ dopo, hanno limitato il giudizio rescissorio alla determinazione della pena da parte del giudice di merito, avendo le stesse sentenze affermato espressamente che la questione del concorso di colpa del p. rilevava unicamente a tale fine; osserva che, stante la ormai intervenuta, pacifica, formazione del giudicato in tema di responsabilità dell'imputato, il rinvio non, avrebbe potuto riverberare alcun effetto sull'eventuale entità del risarcimento demandata espressamente alla esclusiva valutazione del giudice civile anche per quanto riguarda la determinazione delle rispettive percentuali di colpa; n trae la conclusione che la parte civile non avrebbe potuto partecipare al giudizio di rinvio, come non avrebbe potuto impugnare la sentenza di condanna dell'imputato unicamente con riferimento alla determinazione della pena; la medesima dunque non era legittimata a rassegnare le conclusioni; ulteriore conseguenza di questa presenza non rituale, sarebbe che il giudice di appello non avrebbe potuto tenere conto delle deduzioni e allegazioni delle costituite parti civili, in quanto inutilizzabili.
Al riguardo rileva questa Corte preliminarmente che la questione, interessando prima ancora dei limiti del giudicato derivante dalla seconda sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, quelli della prima sentenza, sul punto di analogo contenuto, non sarebbe in questa sede deducibile atteso che avrebbe dovuto e potuto essere dedotta nel precedente giudizio svoltosi davanti alla terza sezione penale di questa Corte. Peraltro la questione è infondata. E' infatti evidente l'interesse della parte civile a partecipare al giudizio che abbia per oggetto la determinazione del proprio concorso di colpa, concorso di cui si discute sia pure ai soli fini della determinazione della pena nei confronti dell'imputato la cui responsabilità sia stata definitivamente accertata; si tratta di un accertamento che investe innegabilmente il comportamento di essa parte civile e che, a prescindere dagli effetti o meno di giudicato che tale statuizione può assumere nella distinta sede civile avente per oggetto la quantificazione del risarcimento del danno, costituisce pur sempre un accertamento da parte di un organo giurisdizionale in ordine al proprio comportamento, sul quale non può negarsi al diretto interessato il diritto di interloquire, essendo in ogni caso suscettibile di influenzare le determinazioni di un altro giudice. Anche tenuto conto del principio di immanenza nel procedimento dalla parte civile, ritiene pertanto questa Corte che non possa dubitarsi della sua legittimazione a partecipare al procedimento di merito, sia pure ai soli fini di contrastare il tema del propria concorso di colpa ai fini della determinazione della pena.
Peraltro, tenuto presente che a norma dell'art. 90 del codice di rito, la persona offesa (e, per effetto del comma 3, di tale disposizione, i suoi prossimi congiunti) può presentare memorie ed elementi di prova in ogni stato e grado del procedimento (con esclusione del giudizio di cassazione), sarebbe ben strano che una analoga facoltà non fosse riconosciuta alla parte civile, come con il presente motivo si vorrebbe sostenere.
2. Passando ad esaminare il tema della responsabilità, ritiene il Collegio che le argomentazioni fornite dalla Corte di appello non siano censurabili in quanto espressione di attento e puntuale esame delle risultanze processuale e della corretta applicazione delle norme di diritto.
Devono preliminarmente richiamarsi i limiti entro i quali si muove il controllo della sentenza impugnata da parte della Corte di Cassazione essendo ben noto che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice del merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, giacchè esula dai poteri della Corte medesima quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un., 30.4.1997, n. 6402; Sez. Un., 24.11.1999, n. 24; Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; Sez. Un., 31.5.2000, n. 12; Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289). L'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, proprio perchè l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In tali limiti verranno dunque valutati i motivi di ricorso. Devono altresì ribadirsi i ben noti principi fissati con riferimento all'art. 627 cod.proc. pen. e ai poteri del giudice di rinvio in caso di annullamento per vizio di motivazione, avendo ripetutamente questa Corte precisato che tale giudice è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Suprema Corte, ma resta libero di pervenire - sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte - allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata, conservando egli "gli stessi poteri" che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente alla individuazione e alla valutazione dei dati processuali, nell'ambito del capo della sentenza colpito da annullamento. Nella specie al giudice di rinvio era stato demandato di prendere in considerazione la circostanza che il capitano p. rivestiva durante il volo la qualifica di navigatore ed era pertanto tenuto durante il volo a svolgere i relativi compiti, in particolare a pianificare la rotta fornendo indicazioni al pilota; la corte doveva accertare se egli aveva adempiuto agli obblighi della sua funzione, fornendo la dovuta collaborazione, essendo evidente l'incidenza di una eventuale mancanza di collaborazione o di informazione da parte di p., ove accertata, sulla decisione di Po., poi rivelatasi fatale, "di andare in montagna"; si trattava in sostanza di accertare se tale decisione era stata condivisa tra i due, essendo venuto meno il p. al suo compito di navigatore, che gli imponeva di controllare le carte e pianificare il volo. Le considerazioni della Corte di appello, di cui sopra si è riferito, hanno escluso che la decisione in questione possa ritenersi condivisa tra il comandante e il navigatore ed hanno altresì escluso ogni colpa del p. durante l'intero volo.
L'argomentare della Corte è congruo e logico.
Le posizioni dei due sono state puntualizzate, ribadendo la differenza tra la posizione di comando che spettava al pilota e quella di navigatore del p.. La corte non ha affatto negato il dovere di collaborazione del navigatore ma ha semplicemente ritenuto che fino alla comunicazione di modifica del piano di volo, destinazione non più zona (OMISSIS), ma (OMISSIS), il p. avesse svolto regolarmente tale funzione; il medesimo aveva comunicato terra il cambio di destinazione, l'altezza mantenuta e le rotte seguite (standard); le informazioni date indicavano che si sarebbe volato in pianura e pertanto, trattandosi di volo a vista e di zona ben nota a lui medesimo ed al pilota, non vi era necessità di consultare le cartine aeronautiche. Ha poi ritenuto che dopo questo momento gli eventi si erano succeduti rapidamente, come dimostrato da quanto concretamente verificatosi e dal tempo trascorso tra l'ultimo contatto radio e l'incidente, e che in base al quadro probatorio acquisito non vi erano sufficienti elementi per affermare con certezza che p. era stato informato del fatto che avrebbero volato verso il monte ed in ogni caso di quando il medesimo era stato avvisato o aveva potuto rendersi conto di ciè; è evidente che nel momento in cui le risultanze processuali, ormai definitivamente cristallizzatesi e non suscettibili di ulteriore espansione, sono state ritenute, con un giudizio che appare corretto in quanto improntato ad un attento e scrupoloso esame delle medesime, tali da non consentire di raggiungere la certezza su come e quando p. si è reso conto del nuovo cambio di rotta, la decisione della Corte di appello è assolutamente conseguente nell'escludere il concorso di colpa. Nè può la decisione essere censurata sotto il profilo che avrebbe impropriamente applicato il canone dell'oltre ragionevole dubbio, pur non essendo qui in gioco la responsabilità di un imputato. La Corte si è semplicemente limitata a dare atto della impossibilità di raggiungere un convincente quadro probatorio circa lo sviluppo degli avvenimenti nei pochi minuti che hanno determinato l'incidente ed un tale prudente apprezzamento appare difficilmente contestabile, atteso che su quanto avvenuto a bordo dell'aeromobile negli ultimi minuti di volo è possibile solo formulare delle ipotesi, che non consentono in alcun modo di affermare che p. abbia avuto il tempo di por mano alle carte e indicare la rotta, senza contare che neppure si può escludere che il medesimo non si sia opposto alla decisione del comandante.
3.Resta da esaminare la questione attinente alla regolamentazione delle spese tra le parti, adottata dalla corte di appello. La decisione appare corretta atteso che tra le ragioni di particolare complessità delle questioni trattate, invocate dalla corte di appello, vi era anche, evidentemente, quella attinente ai limiti imposti al giudizio rescissorio dalle sentenze di questa Corte, sopra diffusamente precisati; poichè l'oggetto di tale giudizio era stato limitato alla determinazione del concorso di colpa della parte civile con esclusivo riferimento alla determinazione della pena, la partecipazione delle parti civili al giudizio trovava un'analoga limitazione, il che può giustificare la decisione di compensare le spese. Per le stesse ragioni si ritiene opportuno compensare tra le parti anche le spese di questo grado di giudizio.
4.In conclusione tutti i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e con compensazione tra le parti delle spese relative all'azione tra le stesse esercitata.
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio. Compensa integralmente le spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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