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Sentenza

Non integra il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell'ordine di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti da un collega purchè veri.
Non integra il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell'ordine di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti da un collega purchè veri.
Autorità:  Cassazione penale  sez. V
Data udienza:  04 ottobre 2012
Numero:  n. 43172
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE QUINTA PENALE                        
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. TERESI        Alfredo    -  Presidente   -                     
Dott. BEVERE        Antonio    -  Consigliere  -                     
Dott. DE BERARDINIS Silvana    -  Consigliere  -                     
Dott. VESSICHELLI   Maria -  rel. Consigliere  -                     
Dott. PISTORELLI    Luca       -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1)            G.M. N. IL (OMISSIS); 
avverso la sentenza n. 23/2010 
		  TRIBUNALE  di SULMONA, del 26/05/2011; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso e la memoria difensiva; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 04/10/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI; 
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mura Antonio,  che 
ha concluso per il rigetto; 
udito,  per  la  parte civile, Avv. Di Tallio D., in sost.  Dell'avv. 
Colaiacono G.; 
uditi i difensori avv.ti Visconti D. e Bonaiuto V.. 
 FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per Cassazione integrato da memoria, G. M. avverso la sentenza del Tribunale di Sulmona in data 26 maggio 2011 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna alla pena pecuniaria ed al risarcimento del danno in ordine al reato di diffamazione in danno di C.V..
L'imputato è stato ritenuto responsabile di avere inviato al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Sulmona, in data 29 agosto 2007, un esposto nei confronti della persona offesa, avvocato, contenente la denuncia di una condotta professionale prospettata come volta soltanto a "iniziare cause per prendere compensi e senza portare a nulla di buono" per poi accordarsi con un successivo avvocato nominato di fiducia da esso querelante, in "una collusione retribuiva", gonfiando le parcelle e creando artatamente debiti che poi avrebbero posto la società del querelante medesimo, nella condizione di subire la procedura fallimentare.
Deduce:
1) il vizio di motivazione sui cinque motivi illustrati nell'atto d'appello contro la sentenza di primo grado, essendo mancata la motivazione sugli elementi a discarico in essi rappresentati.
In particolare la difesa dell'imputato denuncia il mancato riconoscimento della scriminante di cui all'art. 598 c.p., invece spettante in quanto il preventuo aveva inviato la missiva incriminata al Consiglio dell'ordine che è un'autorità amministrativa.
D'altra parte, rileva la difesa come le espressioni ritenute offensive e contenute nella missiva fossero le medesime già utilizzate dal nuovo legale nominato dall'imputato, nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, atto nel quale si era rappresentata proprio l'eccessività delle pretese professionali e il non esatto adempimento delle attività deontologicamente previste: in altri termini quegli stessi argomenti venivano riproposti all'organo disciplinarmente competente, nell'ambito di una procedura che, quindi, doveva ritenersi un vero proprio procedimento amministrativo.
Inoltre ad avviso della difesa, la scriminante dovrebbe operare anche nel caso di missiva inviata ad un Consiglio dell'ordine forense territoriale, essendo prodromiche alla procedura di tipo giurisdizionale propria dell'organo sovraordinato e cioè il Consiglio nazionale forense. E ciò al pari dell'atto di citazione nella causa civile, prodromico, a sua volta, allo svolgimento della causa medesima.
Infine, sottolinea la difesa che l'autore della missiva deve ritenersi parte del procedimento in quanto soggetto interessato, anche se soltanto titolare di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo;
2) la violazione della legge con riferimento all'art. 125 c.p.p., n. 3, essendo stata del tutto omessa la valutazione dell'atteggiamento psicologico dell'imputato.
Avrebbe dovuto essere valorizzata la causa di giustificazione quantomeno nella forma putativa, essendosi, l'imputato, limitato a ripetere espressioni già utilizzate del proprio legale in sede civile. Era peraltro apodittica l'affermazione, contenuta nella sentenza, secondo cui il contenuto della missiva sarebbe stato portato a conoscenza di più persone;
3) la violazione dell'art. 51 c.p..
L'imputato era già stato sottoposto procedimento penale anche per calunnia in relazione alla medesima condotta e la denuncia, sotto tale profilo, era stata archiviata, essendo stato rilevato, dal giudice, che l'imputato imputato non aveva mosso accuse di commissione di reati nè vi era la prova che fosse consapevole dell'innocenza dell'accusato.
In conclusione, la difesa sottolinea come l'imputato abbia agito nell'esercizio di un diritto, essendo stato destinatario, quale legale rappresentante della S.r.l. Eco Progetti, a suo tempo assistita dall'odierna persona offesa e da altro legale, della prospettazione della volontà, da parte di questi, di chiedere il fallimento della società in relazione ai crediti professionali rimasti insoddisfatti, una richiesta che sarebbe stata, però, l'espressione di pretese del tutto ingiustificate e comunque fondata su circostanze conosciute proprio in ragione del mandato espletato.
La difesa richiede, dunque, l'applicazione della costante giurisprudenza in tema di diritto alla critica contenuta in un esposto rivolto all'autorità amministrativa (tra le molte, cita la sentenza n. 13549 del 2008, n. 33884 del 2010, n. 33994 del 2010 e n. 28081 del 2011;
4) la violazione di legge e il vizio di motivazione sulla contestata congruità della provvisionale concessa alla persona offesa;
5) la violazione dell'art. 420 ter c.p.p., non essendo stato riconosciuto, nè dal giudice di primo grado nè da quello d'appello, il legittimo impedimento del difensore per un diverso e concomitante impegno professionale che gli avrebbe impedito di presenziare all'udienza del 23 luglio 2010, fissata dinanzi ad un Giudice di pace. Inoltre il giudice aveva operato illegittimamente sostituendo il difensore di fiducia dell'imputato, avvocato Visconti, con altro di asserita fiducia dell'imputato.
Di più, il difensore lamenta tra le altre, la irritualità della decisione del Giudice di pace di provvedere sull'istanza di differimento di udienza, non già "senza ritardo" come prevede il codice, ma in occasione della discussione.
Il ricorso è fondato.
Affrontando la denuncia di nullità del processo di primo grado per violazione dei diritti difensivi - questione evidentemente assorbente di tutte le altre se fondata - si rileva che la nullità è già stata correttamente ritenuta insussistente dal giudice dell'appello.
Questi ha, infatti, ritenuto che il difensore dell'imputato legittimamente non ha visto accogliere la propria istanza di rinvio dell'udienza del 23 luglio 2010, fissata dinanzi al Giudice di pace, in primo luogo per la intempestività della istanza stessa: in questa era stato rappresentato, invero, un concomitante impegno professionale insorto sin dal 22 giugno 2010 ma comunicato al Giudice di pace del presente processo soltanto il 16 luglio 2010, a ridosso, cioè, dell'udienza di cui si chiedeva rinvio e senza neppure dare atto della impossibilità di nomina di un sostituto processuale nel diverso processo, avente ad oggetto un reato di facile trattazione e di natura contravvenzionale.
La decisione del giudice a quo si allinea alla giurisprudenza costante di questa Corte che ha già rilevato come l'impedimento a comparire del difensore per contemporaneo impegno professionale si consideri prontamente comunicato, e quindi costituisca causa di rinvio a nuova udienza, quando è posto alla cognizione del giudice con congruo anticipo e, cioè, in prossimità della conoscenza da parte del difensore della contemporaneità degli impegni (Sez. 2, Sentenza n. 20693 del 12/05/2010 Ud. (dep. 01/06/2010) Rv. 247548).
La ordinanza reiettiva del rinvio, d'altra parte, non può dirsi nemmeno affetta da nullità perchè, come sottolineato nel ricorso, resa soltanto all'atto della conclusione del processo: invero, ferma la estraneità dell'art. 121 c.p.p. rispetto al caso di specie, per essere tale norma dedicata alle richieste "scritte e depositate in cancelleria" - deve intendersi - al di fuori ed a prescindere dal caso della disponibilità del contraddittorio processuale, la eventuale procrastinazione della decisione sulla istanza di rinvio non è sanzionata da nullità nè rientra in una causa di nullità generale dal momento che, anche in caso di ritardo, la decisione sulla istanza è impugnabile soltanto unitamente alla sentenza.
Occorre poi subito evidenziare che la materialità della condotta diffamatoria è stata adeguatamente motivata con riferimento anche al requisito della "diffusione" della lettera spedita al Consiglio dell'ordine - contestato in calce al motivo sub 2) - essendo già stato sottolineato anche nella giurisprudenza di questa Corte che, persino nel caso di investitura del solo Presidente del detto Consiglio, ben può sussistere il requisito della comunicazione con più persone atto ad integrare il delitto di diffamazione : infatti, la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore, anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere "ex lege" portato a conoscenza di altre persone, diverse dall'immediato destinatario, sempre che l'autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi (Sez. 5, Sentenza n. 23222 del 06/04/2011 Ud. (dep. 09/06/2011) Rv. 250458).
Sulla stessa linea si è osservato che sussiste il requisito della divulgazione dell'offesa allorchè si presenti impersonalmente alla autorità un reclamo contro una determinata persona, affinchè siano presi provvedimenti contro di essa (Sez. 5, Sentenza n. 1794 del 05/11/1998 Ud. (dep. 12/02/1999) Rv. 212516). Ed è proprio questo il caso di specie nel quale la missiva risulta inviata, sia alla stregua del capo d'imputazione che alla luce dell'accertamento contenuto nella sentenza impugnata, non specificamente contestato, non al Presidente ma al Consiglio dell'ordine di Sulmona, cioè ad un organo collegiale i cui membri, quali destinatari della denuncia, valgono ad integrare il requisito in parola.
La stessa giurisprudenza citata osserva poi che, in tal caso, tuttavia, occorre valutare la possibile sussistenza della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. o della causa di non punibilità ex art. 598 c.p.. Come correttamente rilevato nel ricorso, l'orientamento maggioritario di questa Corte ha riconosciuto che l'esposto o segnalazione al competente Consiglio dell'ordine forense contenente accuse di condotte deontologicamente e penalmente rilevanti tenute da un professionista nei confronti del cliente denunciante, costituisce esercizio di legittima tutela degli interessi di quest'ultimo, attraverso il diritto di critica (sub specie di esposto, art. 51 c.p.), per il quale valgono i limiti ad esso connaturati (occorrendo, in primo luogo, che le accuse abbiano un fondamento o, almeno, che l'accusatore sia fermamente e incolpevolmente - ancorchè erroneamente - convinto di quanto afferma) - che se rispettati escludono la sussistenza del delitto di diffamazione (Sez. 5, Sentenza n. 28081 del 15/04/2011 Ud. (dep. 15/07/2011) Rv. 250406).
Sulla stessa linea è stato rilevato che non integra il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell'ordine di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti da un libero professionista nei rapporti con il cliente denunciante, sempre che gli episodi segnalati siano rispondenti al vero, perchè il cliente, per mezzo della segnalazione, esercita una legittima tutela dei suoi interessi (Sez. 5, Sentenza n. 3565 del 07/11/2007 Ud. (dep. 23/01/2008) Rv. 238909).
Ma anche in Sez. 5, Sentenza n. 33994 del 05/07/2010 Ud. (dep. 21/09/2010 ) Rv. 248422 ha affermato il medesimo principio, secondo cui non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che invii un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale del proprio legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., sub specie di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche.
Parallelamente ma analogamente, si legge in Sez. 5, Sentenza n. 13549 del 20/02/2008 Ud. (dep. 31/03/2008) Rv. 239825 che non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che indirizzi un esposto - contenente espressioni offensive nei confronti di un militare - all'Autorità disciplinare dell'Arma dei Carabinieri, in quanto, in tal caso, ricorre fa generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., sub specie dell'esercizio di un diritto di critica, costituzionalmente tutelato dall'art. 21 Cost. e da ritenersi prevalente rispetto al bene della dignità personale, pure tutelato dalla Costituzione agli artt. 2 e 3, considerato che senza la libertà di espressione e di critica la dialettica democratica non può realizzarsi.
La sentenza impugnata, pur essendo stato il giudice dell'appello sollecitato - col 4^ motivo - a pronunciarsi sul punto, quantomeno con la richiesta di valutazione della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto, ignorata anche nella sentenza di primo grado, non ha dato risposta di alcun genere al riguardo, essendosi il Tribunale limitato ad evidenziare l'indubbio valore offensivo delle espressioni riportate nella missiva: un valore che costituisce il presupposto necessario per la eventuale operatività della causa di giustificazione.
Il giudice del rinvio dovrà provvedere a eliminare la lacuna argomentativa riesaminando la questione in fatto e uniformandosi, in diritto, ai principi sopra menzionati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Sulmona per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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