La Cassazione dice no alla revoca arresti domiciliari del genero dell'assessore regionale nell'indagine degli appalti truccati sanita' in Puglia
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 15.03.2012, n. 10094
Presidente - De Roberto
Relatore - Rotundo
Ritenuto in fatto
1. - Con l'ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Bari, in accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero, ai sensi dell'art. 310 c.p.p., contro il provvedimento del G.i.p. del Tribunale, che aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di E. R. genero di A. T., all'epoca dei fatti assessore regionale alla sanità della Regione Puglia, in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzato alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione, ha disposto nei confronti dell'imputato la misura originariamente richiesta, con divieto di colloqui fonici e visivi con persone diverse da familiari, sanitari e difensori, nonché con disattivazione delle utenze fisse e dei cellulari. Nei confronti di E. R. il G.i.p., con una diversa ordinanza, aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi per alcuni reati contro la pubblica amministrazione (turbativa d'asta e rivelazione di segreto d'ufficio di cui ai capi G, H e O), ma non aveva ritenuto di disporre la misura cautelare richiesta non ritenendo sussistenti le esigenze cautelari (questo provvedimento veniva appellato dal pubblico ministero davanti al Tribunale, che applicava la misura cautelare, ma, su ricorso dell'imputato, la Cassazione dichiarava inammissibile l'appello con sentenza del 19.7.2011). Per quanto riguarda, invece, il presente procedimento il G.i.p., pur riconoscendo l'esistenza di un collaudato sistema criminale radicato nei vertici politico-amministrativi della sanità pugliese, incentrato sulla rigorosa applicazione di logiche affaristiche e clientelari, tuttavia ha escluso la sussistenza dell'associazione a delinquere, ritenendo che mancasse in capo agli associati il requisito della c.d. affectio societatis.
Questa impostazione è stata criticata dal Tribunale, che invece ha sostenuto l'esistenza di un contesto associativo che vede molti degli indagati nel procedimento in questione legati “in un vincolo di reciproca e mutua assistenza, finalizzato all'occupazione sistematica del potere, attraverso l'acquisizione in modo diretto o indiretto della gestione e del controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti”. Per quanto concerne le esigenze cautelari, il Tribunale le ha ritenute sussistenti ed attuali in ordine alla possibile reiterazione dei reati. in considerazione della gravità dei fatti e tenendo conto della persistente operatività nel settore sanitario della A. Hospital, gestita dal R.
2. - L'avvocato N. F. d. P., nell'interesse dell'imputato, ha proposto ricorso per cassazione.
Con il primo motivo deduce l'inammissibilità dell'appello proposto dal pubblico ministero per violazione degli artt. 591 comma l lett. c) e 581 comma l lett. c) c.p.p. e illogicità manifesta della motivazione dell'ordinanza impugnata sul punto. Assume che l'impugnazione cautelare non contenga alcuna indicazione specifica delle ragioni e degli elementi di fatto a sostegno e, soprattutto, non affronti il tema della partecipazione di R. all'associazione, facendo un generico rinvio alla richiesta di misura cautelare. Inoltre, il ricorrente sottolinea che nel procedimento cautelare parallelo, avente ad oggetto i reati-fine, vi è già stata una pronuncia della Cassazione che ha dichiarato inammissibile un analogo appello del pubblico ministero. Con il secondo e subordinato motivo denuncia l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla configurabilità dell'associazione per delinquere. Si sostiene che dagli elementi acquisiti nelle indagini emerga una serie di rapporti, a volte bilaterali, altre multilaterali, che hanno come riferimento costante T. ovvero M. ma che non assurgono mai a espressioni operative di un' associ azione per delinquere, potendo essere inquadrate nell'ambito di un concorso di persone continuato. D'altra parte, viene rilevato come dalle intercettazioni non risulti mai l'esistenza di una struttura organizzati va, potendo ritenersi che il riferimento alla ”rete” stesse a significare una serie di rapporti personali. Inoltre, non vi sarebbe prova neppure della coscienza e consapevolezza di appartenere ad uno stabile sodalizio dedito alla commissione di una serie indeterminata di reati.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine all' appartenenza del R. all'associazione, criticando l'impostazione seguita dal Tribunale che ritiene dimostrato il coinvolgimento del R. nel sodalizio attraverso l'accertamento della sua responsabilità nei due reati-fine contestatigli. In relazione alla vicenda dell'appalto V. si sostiene che dalla lettura della stessa ordinanza impugnata non risultano elementi per ritenere che il ruolo svolto da R. rappresenti il sintomo della sua partecipazione all'associazione, dal momento che non risulta che abbia fatto alcuna pressione su N. D. funzionario addetto alla gara di aggiudicazione, essendosi limitato ad incentrarlo, aderendo ad una richiesta del suocero. Stesso discorso viene fatto in relazione alla vicenda dell'appalto del lotto 2 dell'oncologico, in cui vi sarebbe stata, secondo l'ipotesi accusatoria, una turbativa diretta a favorire la società D.: il ricorrente rileva come non vi siano elementi per sostenere che R. abbia contribuito alla realizzazione del programma dell'associazione, in quanto risulta solo avere avuto due incontri con il C. , cioè con il funzionario della gara di aggiudicazione, incontri avvenuti dopo la soluzione della questione amministrativa in ordine alla dichiarazione prevista dall'art, 38 del d.lgs. 163 del 2006 (codice degli appalti) e successivamente alla valutazione di prevalenza dell'offerta della D. Inoltre, viene censurata l'ordinanza anche in relazione al caso p che lo stesso Tribunale riconosce non avere alcun rilievo penale e che, invece, utilizza per dimostrare l'esistenza di un collegamento economico tra R. e T. che dovrebbe provare l'intraneità del ricorrente nell'associazione.
Con il quarto motivo deduce l'insussistenza delle esigenze cautelari e il connesso vizio di motivazione, rilevando soprattutto il lasso temporale intercorso rispetto alla commissione dei reati fine, risalenti all'ottobre 2008 e all'aprile 2009. Infine, con l'ultimo motivo, sempre relativo alle esigenze cautelari, si rileva la contraddittorietà della motivazione con cui è stata esclusa l'adeguatezza della più gradata misura del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriale In funzione di tutela dal rischio di commissione di ulteriori reati.
Il difensore ha depositato motivi nuovi. In primo luogo censura l'ordinanza per avere ritenuto sussistenti gli indizi di colpevolezza in assenza di convincenti riscontri anche sotto il profilo soggettivo e ribadisce le critiche alla motivazione del provvedimento che ha affermato l'intraneità del R. nell' associazione.
Inoltre, deduce t'erronea applicazione dell'art. 274 lett. c) c.p.p. per la omessa valutazione della persistenza dell'esigenze cautelati in considerazione del tempo trascorso dal fatto contestato.
Considerato in diritto
3. - Il ricorso è infondato.
3.1. - Quanto al primo motivo si rileva che il Tribunale ha affrontato la questione dell'inammissibilità dell'appello, fornendo al riguardo una risposta coerente, in cui riconosce che l'impugnazione in questione contiene la “puntuale indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla pronuncia impugnata - delimitata ( … ) quanto al capo A) soltanto alla pronuncia generica in ordine alla esistenza dell' associazione per delinquere - e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che ( … ) esamina specificamente tutti i punti posti dal G.i.p. a fondamento della decisione di esclusione di un quadro indiziano grave in ordine all'esistenza del solo capo A)”.
3.2. - In relazione al secondo motivo in cui si contesta la presenza di elementi probatori sulla stessa esistenza dell'associazione per delinquere, si osserva che lo stesso G.i.p. ha riconosciuto l'esistenza, “comprovata dalle indagini”, di un “gruppo” - di cui facevano parte molti degli indagati, tra cui anche R impegnato a gestire la sanità pugliese con logiche di Iottizzazione politica e di mal affare , arrivando a commettere reati contro la pubblica amministrazione, ma ha escluso che tale “gruppo” avesse le caratteristiche di un'associazione per delinquere, in mancanza degli elementi essenziali per la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 416 c.p. In particolare, si è sostenuto che il gruppo non avesse una struttura organizzati va autonoma, per il perseguimento dei suoi fini illeciti; che l'accentramento delle scelte strategiche in capo al T. e la conseguente mancanza di autonomia decisionale dei soggetti diversi dal ricorrente, dimostrerebbero l'inesistenza dell'affectio societatis per la mancanza di una partecipazione totalitaria e per l'assenza di fungibilità nei ruoli, nonché per la mancata conoscenza tra i soggetti intranei all'organizzazione, che tra l'altro, non condividendo alcun programma criminoso, avrebbero coltivato i loro interessi, consistenti nell'ottenere la stabilizzazione all'interno della struttura pubblica Ci dirigenti ASL) ovvero nell'acquisire commesse e appalti (imprenditori); che non vi sarebbe stato l'apporto individuale apprezzabile e non episodico, che i singoli associati avrebbero dovuto offrire per il rafforzamento dell'organizzazione criminale. Per questa ragione si è escluso che i singoli reati fossero stati realizzati nell'ambito di un programma criminoso comune e si è sostenuto che rientravano nel sistema di malaffare creato dal T. e dal suo braccio destro, M. M., configurando ipotesi concorsuali, ma non certo associative. A dimostrazione della mancanza dell'affectio societatis scelerum tra i vari autori dei singoli reati fine si è evidenziato che questi, prima che T. arrivasse al vertice della struttura amministrativa sanitaria regionale e prima che i suoi uomini di fiducia venissero nominati nei posti chiave, non condividevano alcun programma comune, anzi “nessuno di essi poteva avere in animo di commettere una qualsiasi tipologia di reato”. Quest'ultima affermazione contenuta nel provvedimento del G.i.p. e ripresa nel ricorso in esame, dimostra che l'originaria esclusione dell'esistenza dell'associazione si è basata su un'incomprensione dei tempi e delle modalità della sua “costituzione”. Invero, l'ordinanza del Tribunale individua il momento di nascita del sodalizio criminoso con la nomina di T. ad assessore regionale alle politiche della salute e nella progressiva costruzione di una vera e propria rete costituita dai vari direttori generali delle ASL pugliesi e dai vertici amministrativi e tecnici degli ospedali, spesso nominati attraverso pressioni indebite e comunque legati all' assessore regionale e ai suoi più vicini collaboratori, rete attraverso cui sarebbe stato realizzato il programma criminoso, che vedeva come partecipi anche gli imprenditori interessati ad ottenere appalti e servizi collegati alla gestione del sistema sanitario.
In sostanza, è con l'avvento del T. all'assessorato regionale che ha inizio quella occupazione lottizzatoria dell'organizzazione sanitaria pugliese cui ha fatto riferimento il G.i.p. ed è solo da quel momento che vengono poste le condizioni perché si sviluppi un'associazione finalizzata alla realizzazione di reati ai danni della pubblica amministrazione. Da quanto emerge dall'ordinanza impugnata il sodalizio criminoso si è formato Progressivamente, mano a mano che T. è riuscito a “piazzare” i suoi uomini nei posti strategici dell'organizzazione sanitaria regionale: prima le nomine dei vertici nell'ambito della burocrazia regionale (primo livello), che a loro volta nominano i direttori amministrativi e sanitari (secondo livello), quasi sempre d'intesa con l'assessore e i suoi fidati collaboratori, fino alla nomina dei primari (terzo livello), comunque graditi a T. E' in questo modo che viene costruita la “rete” in grado di controllare le forniture e le gare di appalto della sanità pugliese, spesso pilotate verso società con a capo imprenditori collegati a T. da comuni interessi economici e che lo ripagavano garantendogli il necessario supporto elettorale e finanziario. E' lo stesso G.i.p. a riconoscere che dalle indagini è emerso un “collaudato sistema criminale”, basato su logiche affaristiche e clientelari in cui è individuabile l'equazione “nomina del dirigente amico = ricambio dei favori da parte del dirigente stesso”, il tutto funzionale alla spartizione illecita degli appalti a favore degli imprenditori amici e alle nomine dei primari ospedali eri , operazioni rese possibili anche attraverso abusi d'ufficio, concussioni e turbative d'asta, “in un circolo vizioso ed impenetrabile i cui partecipi prosperavano a tutto discapito dell'efficienza, trasparenza e buona organizzazione del servizio sanitario pubblico “. Sulla base di questa ricostruzione, che come si è visto ammette l'esistenza del gruppo e della “rete”, deve ritenersi che l'accordo tra gli associati si sia progressivamente formato per adesione successiva, mentre la rete si veniva completando ed ampliando. In altri termini, si è trattato di un accordo a struttura aperta, intervenuto inizialmente tra un gruppo ristretto di persone, tra cui T. a cui successivamente se ne sono aggiunte altre, che hanno aderito al programma criminoso, dando luogo aIla fattispecie associativa. D'altra parte, la Cassazione da tempo riconosce che in tema di associazione per delinquere il numero minimo di persone - almeno tre - può raggiungersi anche per successiva adesione di altri ad un vincolo originario tra due sole persone (Sez. l, 4 maggio 1987, n. 8958, Lombardo; Sez. I, 18 dicembre 1970, Amoroso). Nella specie, la formazione della rete è avvenuta attraverso una sorta di cooptazione di persone daparte del T. - e del suo stretto collaboratore M. - che, come si è detto, nominava in posti strategici dell'organizzazione sanitaria persone che a loro volta provvedevano a nominare funzionari e primari in grado di rispondere alle pretese del vertice dell'amministrazione regionale della sanità, il cui obiettivo era il raggiungimento del controllo sugli appalti e sulle forniture. L'inserimento nella “rete” comportava una piena adesione al programma criminoso, che poteva essere attuato solo attraverso il contributo concreto da parte dei vari direttori generali, direttori amministrativi, direttori sanitari delle Asl e primari ospedalieri, quali funzionari fedeli al T. che assicuravano gli appalti e le forniture agli imprenditori amici. Per questa ragione il Tribunale ha efficacemente definito l'accordo tra gli associati come una sorta di “adesione in progress”, sottolineando come l'ingresso nella “rete” presupponeva la condivisione di un “comune progetto criminale”. In altri termini, può dirsi che gli associati entravano a far parte dell'organizzazione criminosa attraverso un accordo plurilaterale aperto all'adesione sul progetto comune, finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti contro il buon andamento della pubblica amministrazione. L'ingresso nella “rete” significava condivisione di un sistema, in cui la nomina ad un ufficio era determinata il più delle volte da interessi personali e da collegamenti politici, senza alcuna seria comparazione tra i candidati e, quindi, omettendo la considerazione del pubblico interesse, sicché per il prescelto a quel certo ufficio questo significava accettare tutte le ulteriori regole del gruppo, relative al controllo degli appalti e delle forniture nonché al condizionamento delle scelte sulle future nomine dei funzionari. Il Tribunale ha evidenziato come l'accettazione dell'incarico dirigenziale, illecitamente ottenuto, comportasse la necessità di assicurare la disponibilità della gestione della cosa pubblica “in violazione di legge, secondo gli ordini del!' assessore, rinunciando alla propria autonomia di giudizio, così in sostanza aderendo alla rete e al generico programma criminoso”. Del resto è una peculiarità dell'accordo associativo quello di essere tendenzialmente aperto all'adesione da parte di terzi, carattere questo che costituisce anche un sintomo della stabilità della stessa organizzazione che presuppone necessariamente possibili variazioni degli associati, senza che per questo l'associazione muti.
Il ricorrente, prendendo spunto da quanto sostenuto nell'ordinanza del G.i.p., contesta la sussistenza dell'associazione anche sotto il diverso profilo della mancanza di un'organizzazione autonoma. Su questo aspetto specifico il Tribunale ha offerto una motivazione del tutto coerente, individuando nella preesistente organizzazione amministrativa delle ASL la struttura organizzativa dell'associazione per delinquere. In particolare, ha ritenuto che la struttura organizzativa del sodalizio si è sovrapposta alla struttura amministrativa, anche con riferimento ai ruoli e alle funzioni attribuite a ciascuno degli indagati, precisando come non si sia trattato di ”una struttura statica”, bensì di una vera e propria “rete”, attraverso cui i diversi soggetti che partecipavano al comune progranuna criminale si relazionavano, rete che fungeva da “catalizzatore dell'affectio societatis”, rete creata progressivamente da T. e dai suoi collaboratori attraverso la “sistematica occupazione” della pianta organica delle ASL della Regione Puglia, “piegandola a fini illeciti con uomini di sua fiducia”, collegati dal comune progetto criminoso. Si tratta di una motivazione che si basa su una corretta applicazione delle nonne penali ed infatti questa Corte ha avuto modo di affermare che ai fini della configurabilità di un'associazione a delinquere non si richiede l'apposita creazione di un'organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa. anche se dedita a finalità lecite, escludendo che sia necessario che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, in quanto e sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, con la conseguenza che non si richiede un notevole protrarsi del rapporto nel tempo, bastando anche un'attività associativa che si svolga per un breve periodo (Sez. V, 5 maggio 2009, n. 31149, Occioni; Sez. 1, 3 ottobre 1989, n. 134, Pintacuda). Nel ricorso viene, inoltre, censurata l'ordinanza per avere ritenuto sussistente, a livello di gravi indizi, l'affectto societatis, senza che sia stato messo in evidenza il contributo dato dai singoli partecipi al1a vita e al programma dell'associazione e trascurando la circostanza dell'assoluta mancanza di autonomia decisionale in capo a persone diverse dal Innanzitutto, con riferimento a quest'ultimo aspetto, va evidenziato come la circostanza che il T. fosse colui che prendeva le decisioni più rilevanti per l'organizzazione non è argomento utilizzabile per escludere l'esistenza dell'associazione, in quanto, come ha correttamente messo in evidenza il Tribunale, la fungibilità dei ruoli non costituisce un elemento essenziale del reato associativo. Anzi, va detto che sono proprio i requisiti della “essenzialità e infungibilità” , intesi come non facile intercambiabilità, a caratterizzare e a qualificare il ruolo di “capo” dell'associazione. Ed infatti al T riconosciuto il ruolo di promotore e capo dell'organizzazione.
In relazione all'altra questione, si deve rilevare che il dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell'accordo e quindi del programma delinquenziale in modo stabile e permanente. L'affectio societatis scelerum è desumibile dalla realizzazione dell'attività delittuosa conforme al piano associativo, che costituisce per lo meno un elemento indiziante di grande rilevanza ai fini della dimostrazione della appartenenza ad essa nel caso in cui, attraverso le modalità esecutive e altri elementi di prova,possa risalirsi all'esistenza del vincolo associativo e quando la pluralità delle condotte dimostri l'esistenza di rapporti con alcuni degli associati (in questo senso, la mancata conoscenza. tra tutti i diversi partecipanti è elemento circostanziale che non assume alcuna rilevanza in ordine alla sussistenza dell'organizzazione criminale). Nella specie, sia a T. che agli altri indagati sono stati attribuiti una serie di illeciti contro la pubblica amministrazione, che nella ricostruzione del Tribunale costituiscono i reati-fine dell'associazione e che rappresentano un sintomo dell' esistenza delI'affectio societatis. 3.3. - Con riferimento al terzo motivo, con cui si contesta la ritenuta sussistenza dei gravi indizi per affermare che R., abbia partecipato all'associazione per delinquere, si osserva che sul punto l'ordinanza impugnata ha offerto una spiegazione del tutto logica, indicando una serie di elementi indiziari a carico che il ricorso non appare in grado di mettere in crisi. Infatti, una volta accertata l'esistenza dell' associazione i giudici hanno ritenuto che di questa organizzazione abbia fatto parte anche R., non in virtù dello stretto rapporto di parentela che lo lega a T., ma in quanto sarebbero emersi elementi dimostrativi della piena consapevolezza dell'esistenza della rete organizzativa e dello specifico contributo fornito dal ricorrente alla operatività del sodalizio. Nell'ordinanza si evidenzia, innanzitutto, che R., una volta che A. T. diventa assessore regionale alla sanità, assume la gestione della. A. Hospital, società della famiglia T., sfruttando la rete e le tecniche criminali del sodalizio, come dimostrerebbe la turbativa della gara relativa al lotto 2 dell'Oncologico (capo O. dell'ordinanza cautelare emessa il 15.7.2010 nel procedimento n. 4216/2010), in cui risultano provati i collegamenti del R. oltre che del T. del M. del C. e del D. P. con l'impresa aggiudicataria dell'appalto (la società D.). In particolare, il Tribunale pone in rilievo le dichiarazioni accusatorie rese da G. C. in ordine alla circostanza che l'appalto del lotto 2 interessava direttamente le aziende di T., dichiarazioni riscontrate documentalmente, in quanto risulta che dopo la pubblicazione del bando di gara la D. stipulava un contratto con cui conferiva a R., della A. Hospital, l'incarico di procacciatore di affari per la fornitura delle attrezzature per l'Istituto tumori di Bari, pagandogli a titolo di provvigione poco meno di 215.000 euro, che secondo i giudici rappresentano una tangente pagata dalla società per ottenere l'appalto; inoltre, significati vo è anche l'incontro che R. avrebbe avuto con A. C., cioè con il presidente del seggio di gara che doveva decidere sull' aggiudicazione dell'appalto, in un momento particolarmente delicato della procedura, in cui si doveva decidere sulle osservazioni presentate dalla ditta concorrente alla D. Altri episodi che il Tribunale prende m considerazione per dimostrare l'esistenza dì stretti legami economici tra R. e l'organizzazione capeggiata da T. sono quelli relativi alla approvazione della legge regionale n. 45 del 2008 con cui si favorisce la società C. s.p.a. di M. P. e, soprattutto, la vicenda in cui viene favorita la società V. nell'appalto per il servizio triennale di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti speciali prodotti nelle strutture sanitarie e amministrative della ASL Bari, attraverso una condotta di turbativa in danno delle altre società concorrenti. In quest'ultimo caso, R. avrebbe direttamente partecipato, per conto del T. all'alterazione della gara, riuscendo ad ottenere dal pubblico funzionario componente della commissione aggiudicatrice, N. D. notizie riservate utilizzate dalla V. per ottenere l'appalto, con la illecita sostituzione dell' offerta.
3.4. - In conclusione, deve ritenersi che l'ordinanza abbia coerentemente motivato sui gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato, dimostrando, allo stato, l'esistenza di un contesto associativo, capeggiato da T., finalizzato all'acquisizione della gestione e del controllo di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici per la realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti, anche a favore di imprenditori. 3.5. - Infondati sono anche i motivi attinenti alle esigenze cautelari. Il Tribunale ha ritenuto che il pericolo di reiterazione di cui all'art. 2741 lett. c) c.p.p. sia reso attuale e concreto dalla persistente attività della A. quanto ancora gestita dal R..
Inoltre, i giudici hanno escluso che le indicate esigenze cautelari potessero essere soddisfatte con la meno grave misura di cui all'art. 290 c.p.p., in quanto R. avrebbe fornito il suo contributo diretto al programma del sodalizio criminoso anche a titolo personale di intermediario, indipendentemente dal ruolo rivestito nella società da lui di fatto amministrata.
4. - Il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esee. c.p.p.
P.Q.M.
Rigetta 11 ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. c.p.p. Cast
Depositata in Cancelleria il 15.03.2012
20-03-2012 00:00
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