In ordine all'ambito soggettivo d'applicazione dell'art. 13 del D.Lgs. 231/2001: la Cassazione dice si all'applicazione della normativa agli studi professionali
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 7 febbraio 2012, n.4703 - Pres. Cosentino – est. Taddei
Osserva
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Messina confermava l'ordinanza datata 04.03.2011, del GIP di quel Tribunale che aveva applicato alla società 'Ambulatorio odontoiatrico di Z. Maristella ed Ester M. sas' la misura cautelare dell'interdizione dall'esercizio dell'attività di ambulatorio odontoiatrico per la durata di un anno.
Contro il provvedimento del Tribunale ricorre la difesa della società, chiedendone l'annullamento e deducendo a motivo: a) la violazione dell'art. 606 c.p.p. in relazione agli artt. 9 e 46 D.L. n. 231 del 2001 e art. 125 c.p.p. perché la misura interdittiva è giustificata solo dalla reiterazione delle condotte illecite e non anche dal profitto, non essendo stata acquisita, prima dello scadere del termine relativo alle indagini, prova del profitto conseguito dalla società;
b) la violazione dell'art. 606 c.p.p. in relazione agli artt. 124, 335, 406 e 407 c.p.p. perché il Tribunale, in merito alla censura relativa alla inutilizzabilità delle prove acquisite dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, rilevato che analoga eccezione era stata rigettata nell'impugnativa della misura cautelare personale, aveva erroneamente dichiarato l'esistenza di una preclusione endoprocessuale ad una nuova pronuncia sul punto, senza considerare che, da un punto di vista soggettivo, l'eccezione riguardava due diversi soggetti;
c) la violazione dell'art. 606 c.p.p. in relazione agli artt. 181 co. 1, 182, 293, 294, 309 e 424 c.p.p. perché, con riferimento all'impugnazione della misura personale della Z.M. il Tribunale aveva erroneamente affermato che la difesa era incorsa in una decadenza;
d) la violazione dell'art. 606 c.p.p. in relazione agli artt. 53 e 55 D.L. n. 231 del 2001 e 27 Cost; la motivazione del provvedimento impugnato è carente perché non si è pronunciata sulla tardività dell'iscrizione della società nel registro degli indagati;
e) la violazione dell'art. 606 c.p.p. in relazione agli artt. 62 e 63 D.L. n. 231 del 2001 e 125 c.p.p perché l'esame, condotto dalla P.G., dei pazienti della dssa Z., che hanno assunto la qualità di indagati, doveva essere interrotto a norma dell'art. 63 c.p.p. e, a pena di inutilizzabilità, avrebbe dovuto proseguire, con i preventivi avvertimenti di rito, con l'assistenza del difensore.
Motivi della decisione
2. Il ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile.
2.1 Il primo motivo è manifestamente infondato pretestuoso perché l'art. 13 del D.Lgs. n. 231 del 2001 subordina l'applicabilità delle sanzioni interdittive alla circostanza che l'ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità, ovvero, in alternativa, che l'ente abbia reiterato nel tempo gli illeciti e, proprio la reiterazione delle condotte illecite è stato valutato dal GIP di Messina come elemento che giustifica l'emissione della misura.
2.2 Anche gli ulteriori motivi di ricorso sono generici e, pertanto, non idonei a giustificare l'instaurarsi del rapporto processuale di impugnazione.
- Generica, invero, è la doglianza relativa al decorso dei termini delle indagini: è infatti, un principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 23868 del 2009 rv 243416) che è onere della parte, che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali, indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne anche la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene apprezzare la declività in riferimento al provvedimento impugnato.
- Generici, perché meramente ripetitivi di analoghe doglianze prospettate in prime cure, sono i motivi sub c), d) e). Il Tribunale, infatti, con motivazione consona ed appropriata ha rilevato che la doglianza relativa al termine delle indagini preliminari attiene alla responsabilità della persona fisica e non a quella dell'Ente oggetto di valutazione e che proprio perché relativa alla persona fisica, che a sua volta aveva impugnato la misura cautelare, ogni ulteriore motivo di impugnazione sul punto era precluso dalla litispendenza;
il motivo relativo alla iscrizione dell'Ente nel registro degli indagati e quello relativo ai pazienti compiacenti sono stati rigettati dal Tribunale su presupposti di fatto, quali la certificazione che attesta tale avvenuta iscrizione e l'essere emersi gli indizi di reità a carico dei pazienti dopo la loro escussione, che sfuggono all'esame della Corte di legittimità.
3. Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile: ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.
15-02-2012 00:00
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