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Sentenza

I reati di ingiuria e diffamazione nei confronti di  un avvocato difensore non sono integrati dalla comunicazione all’Ordine contenente la frase
I reati di ingiuria e diffamazione nei confronti di un avvocato difensore non sono integrati dalla comunicazione all’Ordine contenente la frase
Corte di Cassazione Sez. Quinta pen. - Sent. del 25.01.2012, n. 3188

Ritenuto in fatto

Con la sentenza impugnata P.F. veniva condannato alla pena di Euro. 800 di multa per il reato continuato di cui agli artt. 594 e 595 cod. pen., commesso il 30.5.2007 inviando all'Avv. B. F., al collega del predetto Avv. M. ed al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo un esposto contenente le espressioni “mi sono reso conto della sua poca serietà professionale ho ritenuto di revocarle il mandato chiedendo al contempo che mi venissero restituiti documenti personali consegnati nel corso del primo incontro e, cosa ancor più grave, sino ad oggi non mi ha fatto pervenire documenti che necessitano per la mia difesa in relazione alle sue inverosimili pretese economiche le comunico che sono sempre disposto a pagare il suo disturbo nella misura sopra riferita e solo ed unicamente quella poiché è evidente che quanto da lei richiesto non trova assolutamente riscontro nell'attività minima professionale da lei asseritamente svolta nel mio interesse”.
L'imputato ricorrente deduce, anche con memoria difensiva successivamente presentata, violazione di legge e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato e comunque alla ravvisabilità della scriminante del diritto di critica e di quelle di cui agli artt. 598 e 599 cod. pen., lamentando che il Giudice di Pace non abbia valutato a questi fini:
- l'intero svolgimento della vicenda, nella quale, dopo aver revocato il mandato difensivo all'Avv. B. per il conflitto di interessi individuato nella contemporanea difesa di un coindagato, l'imputato si vedeva destinatario della richiesta di un onorario pari ad Euro 3.000 circa per un'attività defensionale effettuata solo dal 3 al 10 maggio del 2007 senza che fosse celebrata alcuna udienza, importo successivamente ridotto ad Euro 700 in sede giudiziale, ed a fronte dell'offerta di pagamento parziale della somma di Euro 500 subiva il rifiuto della restituzione della propria documentazione, depositata solo nel successivo mese di luglio all'Ordine degli Avvocati di Palermo;
- l'intento dell'imputato di richiedere semplicemente all'Ordine degli Avvocati di Palermo una verifica sulla serietà deontologica del difensore;
- il successivo scambio di corrispondenza fra l'imputato e l'Avv. B. , nel corso della quale quest'ultimo contestava l'avvenuta revoca del mandato, addebitava dall'imputato il mancato pagamento dell'onorario richiesto e lo accusava altresì di subordinazione nei confronti del coindagato, tanto comunicando per iscritto anche al pubblico ministero procedente ed hanno pertanto luogo la reciprocità di offese;
e rilevando altresì contraddittorietà della sentenza impugnata laddove riconosceva in astratto la sussistenza della scriminante del diritto di critica per poi negarla in concreto per il ritenuto superamento di un limite di continenza da valutarsi viceversa in prospettiva differente da quella del diritto di cronaca.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.
Il contenuto della missiva oggetto di imputazione, come riportato in premessa, rende evidente l'intento dell'imputato di dare spiegazione della revoca del mandato precedentemente conferito all'Avv. B. con la ritenuta inadeguatezza dell'attività professionale svolta dallo stesso e con la sproporzione, rispetto a detta attività, degli onorari richiesti, nonché di lamentare la mancata restituzione della documentazione di causa consegnata al legale.
In questi termini, l'iniziativa dell'imputato è assistita dall'esercizio del diritto di critica, ravvisabile nell'addebito di scarsa diligenza e professionalità nello svolgimento delle pratiche affidate al professionista, in quanto diretto a motivare la revoca del mandato, anche laddove lo stesso sia rivolto in termini aspri (Sez. 5, n. 14056 del 15.1.2008, imp. S., Rv. 239470). Tale legittimo esercizio non viene meno per il fatto che la missiva sia stata nella specie indirizzata al competente Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, potendo la critica essere funzionalizzata a richiedere il controllo sul rispetto delle regole deontologiche (Sez. 5, n.33994 del 5.7.2010, imp. C., Rv. 248422); e neppure in considerazione dell'invio dell'esposto per conoscenza all'Avv. M. , correttamente informato degli sviluppi della vicenda in quanto codifensore del P. .
Accertato questo presupposto, peraltro non escluso nella stessa sentenza impugnata, ne segue che l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato richiede il superamento, nell'esercizio del diritto, del limite della continenza; condizione, questa, non ricorrente nel caso in esame.
Il requisito della continenza non può essere invocato a fondamento di una pretesa necessità di selezionare gli argomenti nei quali è articolata la critica, oggetto di libertà di scelta implicita nel riconoscimento della valenza anche costituzionale del relativo diritto, ma riguarda esclusivamente le espressioni utilizzate a tali fini (Sez. 5, n.36602 del 15.7.2010, imp. S., Rv.248432); espressioni che possono dirsi penalmente illecite solo nel momento in cui, per il loro carattere gravemente infamane o inutilmente umiliante, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, la cui persona ne risulti denigrata in quanto tale (Sez. 5, n. 15060 del 23.2.2011, imp. D., Rv.250174).
Orbene, le espressioni adoperate nello scritto contestato, pur se connotate da indubbia perentorietà e durezza, non si risolvono in alcun passaggio in attacchi alla persona del legale primo destinatario ed alle sue capacità professionali in generale. L'addebito di scarsa serietà professionale, se correttamente valutato in collegamento con l'accenno immediatamente precedente al maturarsi di una convinzione del P. e correttamente inserito nel contesto della missiva, risulta chiaramente riferito alla specifica vicenda descritta in quest'ultima, e quindi alla linea di condotta segnatamente tenuta dal querelante nell'occasione; e le successive attribuzioni di inverosimiglianza delle pretese economiche del B. e di mera assertività delle prestazioni dallo stesso addotte a sostegno delle relative richieste rientrano senz'altro nei limiti delle valutazioni del P. sull'infondatezza delle pretese della controparte e sull'insanabilità del contrasto che portava alla revoca del mandato.
Sussiste pertanto nella condotta contestata l'esimente dell'esercizio del diritto di critica, per effetto della quale il fatto non è punibile. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Depositata in Cancelleria il 25.01.2012
Avv. Antonino Sugamele

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