Collaboratore di giustizia deve scontare 18 anni. No all'affidamento in prova al servizio sociale senza prova della volontà di reintegrarsi nel tessuto sociale.
Corte di Cassazione Sez. Prima Pen. - Sent. del 27.08.2012, n.33275
Presidente Chieffi - Relatore Boni
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza resa il 16 settembre 2011 il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva l'istanza, proposta da CL collaboratore di giustizia, di ammissione all'affidamento in prova ai servizi sociali, quale misura alternativa alla pena di anni diciotto e mesi undici di reclusione, di cui al provvedimento di unificazione di pene concorrenti, emesso a suo carico dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi il 15 aprile 2009, sul presupposto che, nonostante la regolarità del comportamento esterno e gli esiti positivi della condotta collaborativa prestata, la grave ed allarmante carriera criminale dell'istante, resosi responsabile di molteplici seri reati, soprattutto contro la persona, escludeva la sussistenza di concrete prospettive di risocializzazione, la praticabilità di un percorso rieducativo e la volontà di accogliere i valori della collettività sociale con una scelta definitiva di reintegrazione nel suo contesto ed al tempo stesso l'idonea prevenzione della commissione di nuovi illeciti.
2. Avverso detto provvedimento propone ricorso per cassazione il L a mezzo del suo difensore, il quale deduce quale unico motivo la nullità dell'ordinanza impugnata per violazione della norma di cui all'art. 47 I. ord. pen., in quanto non era onere dell'istante offrire prova della risocializzazione in atto, le statuizioni del Tribunale di Sorveglianza lo ponevano nella condizione di non poter dimostrare l'effettiva volontà di seguire un percorso rieducativo, di cui potevano rintracciarsi dati sintomatici nella recisione dei legami, anche familiari, con gli ambienti criminali cui era stato associato, nella sottoposizione a detenzione domiciliare dal 2003 in assenza di qualsiasi violazione alle relative prescrizioni e nella dedizione ad attività lavorativa per una parte della giornata senza avere dato luogo ad alcun rilievo.
3. Con requisitoria scritta del 25 febbraio 2012 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, rilevando che il gravame non denuncia vizi consentiti di violazione di legge quanto censure in punto di fatto.
Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
Il provvedimento impugnato, pur avendo esaminato i profili e gli esiti positivi della collaborazione con la giustizia e del regolare comportamento esterno, tenuto dal condannato, ha ritenuto di dover evidenziare il suo pregresso percorso delinquenziale, la molteplicità e gravità dei reati commessi, specie contro la persona, la mancata dimostrazione della sua definitiva volontà di reintegrarsi nel contesto sociale, per concludere circa l'inidoneità della misura alternativa richiesta a garantire, da un lato a conseguire la rieducazione del condannato e dall'altro a prevenire la futura commissione di nuovi fatti di reato.
Deve ritenersi insussistente il denunciato vizio di violazione di legge, dal momento che il Tribunale di Sorveglianza si è attenuto al principio di gradualità nella concessione dei benefici, alternativi alla detenzione, che, pur non costituendo una regola assoluta, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il trattamento penitenziario, specie nei casi in cui i reati commessi presentino una rilevante gravità e siano sintomatici di spiccata e radicata capacità a delinquere.
Si è del resto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez l, n. 15064 del 6.03.2003, Chiara, rv. 224029; sez l, n. 5689 del 18.11.1999, Foti, rv. 212794) che ai fini dell'ammissione all'affidamento in prova ai servizi sociali i riferimenti alla gravità del reato commesso o ai precedenti penali o giudiziari del condannato o al comportamento da lui tenuto ben possono essere utilizzati come elementi che concorrono alla formazione del convincimento discrezionale circa la praticabilità della misura alternativa, sicché anche il mantenimento di una condotta regolare in ambiente esterno non risulta determinante, specie se la condanna in espiazione abbia riguardato reati di obbiettiva ed allarmante gravità e sia inadeguato il periodo di carcerazione sofferto rispetto all'entità della pena ancora da espiare. La valutazione globale di tutti gli elementi emersi deve poi tenere conto della gradualità dei risultati trattamentali.
Inoltre, proprio con riferimento alla possibilità di accesso a detto istituto da parte di soggetti, divenuti collaboratori di giustizia, precedenti pronunce di legittimità hanno sostenuto che non è sufficiente la condotta dissociativa ed i contributi conoscitivi offerti alle investigazioni, specie quando la gravità dei reati nella sua oggettività e l'entità della pena da espiare offrano indicazioni negative sulla capacità della misura richiesta di rieducare realmente il condannato (Cas. Sez. l, ord. n. 1960 del 3.04.1998, Del Vecchio, rv. 210421).
Alla luce di tali principi deve concludersi che il provvedimento impugnato resiste alle critiche mossegli. Il ricorso va dunque respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 27.08.2012
01-09-2012 00:14
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