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Sentenza

6 anni e 8 mesi di reclusione. Investono un carabiniere durante la fuga dopo una rapina. La Cassazione spiega come si determina la continuazione ex art. 81 cp.
6 anni e 8 mesi di reclusione. Investono un carabiniere durante la fuga dopo una rapina. La Cassazione spiega come si determina la continuazione ex art. 81 cp.
Autorità:  Cassazione penale  sez. I
Data udienza:  23 ottobre 2012
Numero:  n. 45555
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE PRIMA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. GIORDANO Umberto         -  Presidente   -                     
Dott. VECCHIO  Massimo    -  rel. Consigliere  -                     
Dott. ROMBOLA' Marcello        -  Consigliere  -                     
Dott. TARDIO   Angela          -  Consigliere  -                     
Dott. BONITO   Francesco M.S.  -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1)                 L.P.P. N. IL (OMISSIS); 
2)         C.A. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la  sentenza  n.  2401/2011 CORTE APPELLO  di  BRESCIA,  del 
08/11/2011; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 23/10/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO; 
Uditi, altresì, nella pubblica udienza: 
-  il  Pubblico  Ministero, in persona del  dott.  FRATICELLI  Mario, 
sostituto  procuratore generale della Repubblica presso questa  Corte 
suprema  di cassazione, il quale ha concluso per l'annullamento,  con 
rinvio,   della   sentenza  impugnata,  limitatamente   alla   misura 
dell'aumento di pena a titolo di continuazione; e per il rigetto  del 
ricorso nel resto. 
-  il  difensore  del ricorrente     C., avvocato  De  Paola  Santo 
Emanuele, il quale ha concluso per 1' accoglimento del ricorso. 
                 

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OSSERVA
Rileva:
1. - Con sentenza, deliberata il 8 novembre 2011 e depositata il 15 novembre 2011, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bergamo, 23 febbraio 2011, ha rideterminato l'aumento inflitto a titolo di continuazione interna à sensi dell'art. 81 c.p., comma 3, elevandolo da un anno a tre anni di reclusione e, nel contempo, riducendo la pena base da undici a nove anni di reclusione, ferma la concessione delle circostanze attenuanti generiche, già elargite in prime cure con giudizio di equivalenza rispetto alla recidiva reiterata e alla aggravanti, ha inflitto la pena finale in ragione di anni otto di reclusione (pari alla sanzione commisurata dal giudice della udienza preliminare), per ciascuno dei giudicabili, L.P.P. e C.A., imputati, in concorso tra loro, A) del delitto di rapina aggravata tentata, ai sensi degli artt. 110 e 56 c.p., e art. 628 c.p., comma 3, n. 1 in danno della filiale del Credito Bergamasco; B) della contravvenzione di porto di armi od oggetti atti ad offendere, ai sensi dell'art. 110 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 2 e della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4; C) del delitto di omicidio aggravato, tentato ai sensi degli artt. 110 e 56 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 2, e art. 575 cod. pen. in pregiudizio del carabiniere R.P.; reati commessi in (OMISSIS).
1.1 - I giudici di merito, anche sulla base della confessione dei giudicabili circa la materialità delle condotte, hanno accertato:
C. e L.P., nelle circostanze di tempo e di luogo, indicati nella imputazione, avevano fatto irruzione, armati con un coltello, assieme a un terzo complice non identificato, nella filiale del Credito Bergamasco; l'arrivo dei Carabinieri aveva costretto i tre grassatori, nel mentre uno di costoro arraffava il denaro, a darsi alla fuga; i tre si stavano allontanando a bordo dell'autovettura Toyota Yaris, che avevano in precedenza parcheggiato nei pressi della entrata posteriore della Banca, quando il carabiniere R. si era parato loro innanzi, intimando l'arresto del veicolo; ma l'autovettura aveva proseguito nella marcia e aveva investito il militare , caricandolo sul cofano per alcune decine di metri e, infine, sbalzandolo a terra, con esito di lesioni personali.
1.2 - Con riferimento ai motivi dei gravami proposti dal procuratore generale della Repubblica e dai difensori, e in relazione a quanto assume rilievo nel presente scrutinio di legittimità, la Corte territoriale ha osservato quanto segue.
1.3 - In ordine alla qualificazione giuridica della condotta, concernente il delitto di sangue, sono infondate le censure difensive in punto di idoneità e di univocità dell'azione e in punto di elemento psicologico del reato.
L'atto di pilotare il veicolo in accelerazione contro una persona, sì da investirla e da caricarla sul cofano, tenuto conto della massa del mezzo meccanico e dei distretti corporei dell'investito interessati dall'impatto, appare senz'altro idoneo, con criterio prognostico ex ante, a cagionare l'evento letale.
Priva di pregio è l'obiezione difensiva circa la supposta contenuta velocità del mezzo alla partenza, per la breve distanza percorsa.
Invero il caricamento del militare sul veicolo in seguito in seguito all'impatto, l'ampia incrinatura del parabrezza e la deformazione del bordo anteriore del tettuccio dell' abitacolo dimostrano la notevole entità della energia cinetica, impressa dalla forte accelerazione, con conseguenze potenzialmente letali per la persona investita.
Nè rileva la considerazione degli esiti non mortali delle lesioni patite dalla vittima, dalle quali peraltro derivò una malattia di durata maggiore di quella inizialmente pronosticata: solo "un caso fortunato" consentì che all'impatto e alla successiva caduta sull'asfalto, dopo il caricamento, non seguisse l'esito infausto ricorrente nella casistica degli investimenti dei pedoni.
La univocità della condotta, negata dagli appellanti, è comprovata dalla analisi dei fotogrammi 45/48 estrapolati dalla video ripresa delle telecamere dell'impianto di sicurezza.
Alle ore 12.03.42 il carabiniere R. si parò nel campo visivo dei rapinatori, circa quindi metri davanti al veicolo già in movimento; ma costoro, anzichè disimpegnarsi sulla destra dove era ampio spazio per la fuga, deviarono "decisamente" e intenzionalmente sulla sinistra contro il militare , investendolo, ben consapevoli che la manovra omicida costituiva l'unico mezzo per assicurarsi l'impunità a fronte dell'intervento del carabiniere armato, il quale aveva intimato l'arresto colla pistola spianata.
Peraltro il R. ebbe modo di notare i gesti di incitamento rivolti dal passeggero del sedile anteriore al conducente, perchè travolgesse esso carabiniere.
Tanto e la pacifica assenza di tracce di frenata e di alcuno sbandamento, escludono la tesi difensiva dell'impatto inevitabile e involontario per l'intempestivo avvistamento della vittima assertivamente scorta all'ultimo momento.
Quanto all'elemento psicologico, il concorrente intento dei giudicabili di assicurarsi la fuga e la impunità non vale certamente a escludere il dolo omicida nella forma alternativa.
L'intenzionale deliberazione di investire il militare , nelle condizioni accertate, comporta, infatti, la necessaria rappresentazione e volizione dell'epilogo letale in termini non di mera possibilità, bensì di elevata probabilità.
E il dolo alternativo, secondo consolidata giurisprudenza, integra validamente l'elemento psicologico del delitto tentato.
1.4 - Meritano, invece, accoglimento i motivi di gravame degli imputati in ordine alla riduzione della pena base.
Nella complessiva valutazione dei profili della vicenda, ai fini della dosimetria della pena, la considerazione degli elementi posti a fondamento della elargizione delle circostanze attenuanti generiche, consiglia, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. la riduzione della pena base nella misura indicata.
1.5 - Merita, pure, accoglimento l'impugnazione del procuratore generale della Repubblica il quale ha censurato la applicazione dell'aumento, a titolo di continuazione interna, in misura (un anno di reclusione, di cui undici mesi per il delitto di rapina e un mese per la contravvenzione), inferiore a un terzo della pena base, in costanza della applicazione della recidiva reiterata (dichiarata equivalente alle generiche) e, pertanto, in violazione dell'art. 81 c.p., comma 3.
Non è decisivo l'argomento letterale, imperniato sulla consecu-tio temporum del testo normativo.
L'uso del tempo passato, non presuppone necessariamente la pregressa applicazione della recidiva in occasione di precedente condanna, ma ben può riferirsi "ai meccanismi che regolano l'operazione dell'aumento ... della continuazione", in quanto nella "determinazione della pena finale" l'aumento per la continuazione è applicato per ultimo, dopo l'applicazione, in relazione alla pena base, della recidiva, sia che la stessa abbia comportato l'inasprimento della sanzione, sia che sia stata dichiarata equivalente alle circostanze attenuanti, così impedendo il relativo effetto della diminuzione della pena.
2. - Ricorrono per cassazione gli imputati, col ministero dei rispettivi difensori di fiducia: C., mediante atto recante la data del 23 dicembre 2011, redatto dall'avvocato Emanuele De Paola; e L.P., mediante atto di pari data, redatto dall'avvocato Giovanni Fedeli.
3. - C. sviluppa tre motivi.
3.1 - Con il primo motivo il difensore denunzia, i sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione all'art. 599 c.p.p., comma 2, art. 127 c.p.p., commi 4 e 5, art. 420-ter c.p.p., art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 179 cod. proc. pen., dolendosi che l'imputato non fosse stato tradotto davanti al giudice a quo per partecipare al dibattimento del giudizio di appello.
Premesso che il giudicabile, all'atto della notificazione del decreto di citazione davanti alla Corte di appello era ristretto nella casa circondariale di Bergamo, sita nel distretto della Corte territoriale procedente, il difensore assume che l'avvertenza contenuta nel provvedimento, secondo la quale gli imputati detenuti in stabilimenti, ubicati fuori del distretto, avrebbero dovuto fare, in tempo utile, richiesta di traduzione ovvero istanza di audizione a opera del locale Magistrato di sorveglianza, aveva indotto in errore il ricorrente, inducendolo a confidare che sarebbe stato tradotto per l'udienza, senza necessità di fare istanza al riguardo.
Aggiunge il difensore che l'errore indotto dalla "ingannevole" avvertenza aveva leso il diritto di difesa alla partecipazione al giudizio, con conseguente nullità assoluta.
3.2 - Con il secondo motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, censurando la qualificazione della condotta di omicidio tentato.
Il difensore deduce: il primo giudice aveva riconosciuto che al momento dell'investimento il veicolo "non poteva avere una velocità elevata", la Corte territoriale non ha dato conto del diverso apprezzamento in proposito; dai fotogrammi risulta che l'autovettura non cambiò direzione prima dell'investimento, ma che fu il carabiniere a frapporsi, restando travolto; i giudici di merito hanno fatto malgoverno dei criteri di valutazione della prova; il riconoscimento della Corte di appello circa la impossibilità di distinguere, tra gli esiti della condotta, l'epilogo delle lesioni, piuttosto che quello della morte, dimostra, semmai, il dolo eventuale, incompatibile col ritenuto delitto tentato; la vittima, peraltro, occupò la sede stradale neppure un secondo prima che venisse investita.
3.3 - Con il terzo motivo il difensore denunzia, à sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 81 e 99 cod. pen., censurando la rideterminazione dell'aumento di pena per la continuazione, e, in proposito, deducendo, con citazione di pertinenti arresti di legittimità, che non essendo stata mai in precedenza applicata al ricorrente al recidiva, non ricorreva la previsione dell'art. 81 c.p., comma 3.
4. - L.P. sviluppa due motivi, coi quali dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen. (primo motivo) e in relazione agli artt. 81 e 133 c.p. (secondo motivo), nonchè (con entrambi i mezzi di impugnazione) "vizio" della motivazione.
4.1 - Con il primo motivo il difensore si duole della qualificazione giuridica della condotta relativa al più grave delitto ritenuto. E, premesse generali considerazioni circa la idoneità e la univocità dell'azione e l'elemento psicologico del delitto tentato, e, altresì, premessa la esposizione difensiva della ricostruzione dei fatti, deduce: le emergenze processuali escludono che gli occupanti del veicolo investitore si fossero avveduti della presenza del carabiniere; che costui avesse avuto la possibilità "di interpretare" l'incitamento delittuoso rivolto dal passeggero al conducente; che - per la agitazione e le ridotte distanze - potesse essere maturata la volontà di investire il militare ; che fosse possibile arrestare o deviare la marcia della autovettura per la stessa ragione che la vittima non potè sottrarsi all'investimento;
appena un secondo passo tra l'avvio del veicolo e "la materializzazione dal nulla" della "immagine" del R.; la esclusione dell'animus necandi è comprovata dalla mancata esecuzione di qualsiasi manovra "finalizzata a far cadere" la vittima dal cofano della autovettura.
4.2 - Con il secondo motivo il difensore censura la omessa considerazione dei motivi di gravame "in ordine alla pena base relativa alla multa" (sic) e in ordine all'aumento per la continuazione.
5. - I ricorsi sono fondati limitatamente alla rideterminazione in aumento operata dalla Corte territoriale dell'incremento di pena per la continuazione ai sensi dell'art. 81 c.p., comma 3.
La giurisprudenza di questa Corte suprema di cassazione è, ormai, consolidata nella affermazione del principio di diritto, secondo il quale "il limite di aumento minimo per la continuazione pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, introdotta con la novella dell'art. 81 c.p., comma 4 ad opera della L. n. 251 del 2005, si applica a condizione che l'imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva precedente al momento della commissione dei reati per i quali si procede" (Sez. 1, n. 32625 del 02/07/2009 - dep. 11/08/2009, Delfino, Rv. 244843; Sez. 1, n. 17928 del 22/04/2010 - dep. 11/05/2010, Camello, Rv. 247048; e Sez. 1, n. 31735 del 01/07/2010 - dep. 12/08/2010, Samuele, Rv. 248095).
Pertanto nella specie, poichè gli imputati non hanno riportato pregresse condanne con applicazione della recidiva reiterata, risulta illegittima la rideterminazione dell'aumento a titolo di continuazione ai sensi dell'art. 81 c.p., comma 4.
6. - Le residue censure dei ricorrenti sono destituite di fondamento.
6.1 - L'eccezione in rito di L.P. è priva di giuridico pregio.
E, infatti, assorbente il rilievo della decadenza maturata, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 3, in relazione all'art. 180 cod. proc. pen., in relazione alla supposta nullità generale denunziata dal ricorrente, palesemente non riconducibile alla ipotesi contemplata dall'art. 179 cod. proc. pen. essendo pacificamente intervenuta la citazione dell' imputato nel giudizio di appello. Alla udienza dell'8 novembre 2011 davanti alla Corte territoriale il difensore di fiducia del ricorrente non formulò alcuna doglianza per la non disposta traduzione del giudicabile, nè risulta - e neppure è allegato - che costui, il giorno della udienza, avuta incontestabilmente contezza che non era stata disposta la sua traduzione, abbia avanzato alcuna richiesta in tal senso, ovvero alcuna doglianza, ai sensi dell'art. 123 cod. proc. pen..
6.2 - Per il resto non ricorre - alla evidenza - il vizio della violazione di legge:
- nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all'operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);
- nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte territoriale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.
6.3 - Neppure ricorre vizio alcuno della motivazione.
Giova, innanzi tutto, considerare che è affatto irrilevante la pretermissione della Corte territoriale della deduzione, gradatamente - e, peraltro, per incidens - formulata dall'appellante N., per la qualificazione della condotta omicida ai sensi dell'art. 584 cod. pen..
La censura che sostanzia il motivo di gravame pretermesso appare affatto generica e inconcludente; epperò risulta per la aspecificità che la connota - alla evidenza - inammissibile.
Invero è appena il caso di ricordare che in tema di ricorso per cassazione non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello, là dove il mezzo di impugnazione per la sua assoluta indeterminatezza e genericità doveva essere dichiarato inammissibile (Casa., Sez. 1, n. 2415 del 25/01/1984 - dep. 17/03/1984, Prometti, Rv. 163169; Sez. 4, n. 16259 del 13/10/1989 - 24/11/1989, Arfelli, Rv. 182634; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998 - dep. 16/02/1999, Iannotta A, Rv. 213230; Sez. 4, Sentenza n. 24973 del 17/04/2009 - dep. 16/06/2009, Ignone, Rv.
244227).
Quanto al resto, il giudice a quo ha dato conto adeguatamente - come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. - delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte:
Cass., Sez. 1, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di viti a della motivazione, si sviluppano tutti nell'orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell'art. 606 c.p.p., comma 3.
7. - Conseguono a) l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, limitatamente alla misura della pena inflitta a titolo di continuazione; b) la rideterminazione di detto aumento in un anno di reclusione, come stabilito dal primo giudice (mesi undici di reclusione per il delitto di rapina e un mese di reclusione per la contravvenzione), restando, così, la pena finale principale, ridotta per entrambi gli imputati in sei anni e otto mesi di reclusione (pena base: anni nove di reclusione; aumentata ad anni dieci per la continuazione; e, infine, ridotta di un terzo per il rito); c) il rigetto dei ricorsi nel resto.
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, limitatamente alla misura della pena che ridetermina, per entrambi gli imputati, in sei anni e otto mesi di reclusione; rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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