Diritto di critica. Si ha diffamazione solo se l'accusa poggia su dati di fatto non veritieri
Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen. - Sent. del 20.12.2011, n., n. 47037
Osserva
Il Procuratore della Repubblica di Cosenza ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di pace di Montalto Uffugo del 16 luglio 2010, emessa a seguito di decreto di citazione disposto dal pubblico ministero, con la quale B.V. era stato assolto dal delitto di ingiuria continuata in danno del collega assessore del comune di Rota greca C.M.
Il B. in due occasioni - la seconda in presenza di più persone - aveva in sostanza accusato il C. di farsi gli affari suoi in comune e di favorire imprese edili amiche.
L'assoluzione era fondata sul riconosciuto esercizio del diritto di critica.
Il pubblico ministero ricorrente rilevava la inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 51 cod. pen.
Con memoria difensiva la parte civile C.M. indicava ulteriori argomenti a sostegno del ricorso del pubblico ministero.
I motivi di ricorso sono fondati.
Il giudice di pace nella lunga motivazione, dopo avere chiarito che le frasi ingiuriose erano state effettivamente pronunciate dal B. e che non poteva dubitarsi della portata offensiva delle espressioni usate, essendo di sicuro denigratoria per un pubblico amministratore l'affermazione che, invece di curare gli interessi pubblici, curi gli affari propri, ha precisato che nel caso in questione doveva ritenersi che il B. avesse fatto uso del diritto di critica riconosciuto in una società democratica a tutti i cittadini.
Su molte affermazioni del giudice si può certamente concordare perché l'attribuzione della pronuncia delle frasi incriminate al B. è frutto di una precisa ed attenta valutazione delle risultanze processuali, quali emergono dalla puntuale motivazione sul punto e perché l'affermazione della natura ingiuriosa delle frasi sopradette, che è questione di fatto, è sorretta da una motivazione congrua e logica.
Non possono, invece, essere condivise le considerazioni in tema di esercizio del diritto di critica e del dolo necessario per il reato di cui all'art. 594 cod. pen. Quanto a quest'ultimo punto sarà sufficiente osservare che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, il dolo richiesto è generico, non essendovi necessità dell'animus iniurandi, apparendo sufficiente che l'agente sia consapevole della portata ingiuriosa delle frasi pronunciate.
Non vi è alcun motivo che consenta di dubitare di tale consapevolezza perché un pubblico amministratore è perfettamente consapevole che l'accusa di curare gli affari propri e non quelli pubblici nell'esercizio delle proprie funzioni è assai grave e denigratoria.
Quanto al diritto di critica è certamente vero che si tratta di un diritto fondamentale direttamente collegato al diritto costituzionale alla libera manifestazione del pensiero che spetta a tutti i cittadini; ed è altrettanto vero che l'esercizio di tale diritto svolge una funzione molto positiva perché arricchisce la vita democratica dell'intera comunità.
Ed è anche vero che la critica politica - come del resto anche quella sindacale o artistica - essendo espressione di una valutazione personale, non necessariamente deve essere obiettiva e può anche essere molto aspra ed essere rappresentata in modo suggestivo anche per catturare l'attenzione di chi ascolta, ma è altresì vero che la critica, che deve essere sempre espressa in modo continente e non deve trasformarsi in un puro attacco personale, deve poggiare su un dato fattuale vero; si vuoi dire cioè che si è liberi di interpretare un fatto o una condotta, ma il fatto e la condotta che vengono criticati debbono essere veri, altrimenti non può parlarsi di corretto esercizio del diritto di critica (tra le tante vedi Cass., Sez. 5^, 5 giugno-12 settembre 2007, n. 34432, CED 237711).
Orbene nel caso di specie non si comprende quale sia il fondamento delle critiche non essendo stata indicata in sentenza alcuna condotta specifica del C. sottoposta a critica e censura; insomma sembra mancare il necessario requisito della verità del fatto criticato, semplicemente perché non è dato sapere quali siano stati i fatti e/o le condotte sottoposte ad una critica così dura. È quasi superfluo rilevare che fatti presupposti non possono essere considerati la donazione da parte del C. al comune di due grate per finestra e la sistemazione delle stesse senza preventiva autorizzazione, perché tali condotte non gradite dal ricorrente possono essere stata l'occasione dello sfogo dell'imputato, non apparendo di per sé sintomatiche di un soggetto che si fa gli affari propri, risolvendosi, invece, la donazione in un vantaggio per la comunità.
La erronea interpretazione dell'art. 51 cod. pen. e la erronea motivazione sul punto impongono l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Montalto Uffugo per un nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Montalto Uffugo per nuovo esame.
Depositata in Cancelleria il 20.12.2011
26-12-2011 00:00
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