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Sentenza

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 19 luglio 2011 (dep. 2 agosto 2011), n. 30566. Il reato di cui all'art. 2 comma 1-bis D.L. n. 463/1983 (conv. in l. n. 638/1983) ha natura di reato omissivo istantaneo.
Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 19 luglio 2011 (dep. 2 agosto 2011), n. 30566. Il reato di cui all'art. 2 comma 1-bis D.L. n. 463/1983 (conv. in l. n. 638/1983) ha natura di reato omissivo istantaneo.
La S.C. conferma l'orientamento secondo il quale il reato di cui all'art. 2 comma 1-bis D.L. n. 463/1983 (conv. in l. n. 638/1983) ha natura di reato omissivo istantaneo; da ciò consegue l'applicabilità dell'indulto; inoltre, ai fini del calcolo della prescrizione - afferma sempre la S.C. - deve tenersi conto del periodo di sospensione stabilito dall'art. 2, comma 1-quater l. cit., da collegarsi alla possibilità riconosciuta all'imputato di estinguere il reato mediante il versamento di quanto dovuto, anche a seguito della notifica del decreto di citazione a giudizio ove risulti che non sia stata in precedenza contestata nei suoi confronti la violazione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

III SEZIONE PENALE


composta dagli Ill.mi Signori:
Presidente Dott. Guido De Maio
Consigliere "       Alfredo Maria Lombardi
                      "       Renato Grillo
                      "       Gluicla I. Mulliri
                      "       Elisabetta Rosi
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall'Avv. Luigi Maria Cinquerrui, difensore di fiducia di A.V.M., n. a Xxxxxx il XX.XX.19XX, e di R.R., n. a Yyyyyy il XX.XX.19XX, avverso la sentenza in data 7.10.2010 della Corte di Appello di Caltanisetta, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Caltanisetta in data 11.6.2007, vennero condannati alla pena di giorni venti di reclusione ed € 200,00 di multa ciascuno, quali colpevoli del reato di cui agli art. 110, 81 cpv. c.p. e 2, comma I bis, del D.L. n. 463/1983, convertito in L. n. 638/1983.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Fausto De Santis, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Caltanisetta ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di A.V.M. e di R.R. in ordine al reato di cui agli art. 110, 81 cpv. c.p. e 2, comma I bis, del D.L. n. 463/1983, convertito in L. n. 638/1983, loro ascritto per avere, in qualità di amministratori della società "Xxxxxxx di R.R.G. & A.V.M. S.n.c.", omesso di versare all'INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti relativamente ai mesi da settembre 2002 a febbraio 2004.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali gli appellanti avevano contestato l'effettivo pagamento delle retribuzioni, dedotto carenza di prove in ordine alla notifica della contestazione da parte dell'INPS e chiesto, in subordine, la riduzione della pena inflitta e la concessione del beneficio dell'indulto.
In particolare su tale ultimo punto la sentenza ha affermato che il reato di cui alla contestazione ha natura permanente e la permanenza cessa con la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di annullamento i ricorrenti denunciano contraddittorietà della motivazione per travisamento delle risultanze probatorie.
Si deduce che la sentenza impugnata ha fondato l'accertamento dell'avvenuta notifica della contestazione da parte dell'INPS sulla sola dichiarazione del teste P., dipendente dell'Ente previdenziale, il quale ha riferito che secondo la prassi i verbali di accertamento venivano notificati immediatamente. Si deduce, quindi, che la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento su una prova inesistente.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia inosservanza ed errata applicazione della legge penale con riferimento al momento di cessazione della permanenza.
Si deduce che la Corte territoriale ha respinto la richiesta di applicazione dell'indulto, affermando che la permanenza del reato è cessata con l'emanazione della sentenza di primo grado.
Si deduce in contrario che la cessazione della permanenza doveva farsi risalire alla emissione del decreto penale di condanna in data 19.3.2005 anteriormente al termine per l'applicazione dell'indulto di cui alla L. n. 241/2006.
Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito precisate.
Effettivamente la prova dell'avvenuta comunicazione dell'accertamento avente ad oggetto l'omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti deve avere carattere documentale. Essa può essere costituita anche dallo stesso verbale di accertamento, che attesti l'immediata contestazione dell'addebito al responsabile dell'omissione che sia presente, ovvero dalla successiva comunicazione che non deve assumere i requisiti formali della notificazione.
Non può detta prova, invece, essere fondata esclusivamente su una deposizione testimoniale, che, peraltro, nel caso in esame, appare anche inidonea allo scopo, in quanto il teste, secondo quanto riportato in sentenza, si sarebbe riferito ad "una consueta prassi".
Occorre, però, osservare che, secondo l'indirizzo interpretativo assolutamente prevalente di questa Suprema Corte, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, nei caso non risulti certa la contestazione o la notifica dell'avvenuto accertamento delle violazioni, il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per provvedere al versamento dovuto - rendendo operante la causa di non punibilità prevista dall'art. 2, comma primo bis della legge 11 novembre 1983, n. 638, come modificato dal D. Lgs. n. 211 del 1994 - decorre dalla notifica del decreto di citazione per il giudizio, sicché, qualora detto termine non sia decorso al momento della celebrazione del dibattimento, l'imputato può chiedere al giudice un differimento dello stesso al fine di provvedere all'adempimento. (sez. III, 28.9.2004 n. 41277, P.M. in proc. De Berardis, RV 230316; sez. III, 25.9.2007 n. 38501, Falzoni, RV 237950; sez. III, 16.5.2007 n. 27258, Venditti, RV 237229; sez. III, 12.12.2007 n. 4723 del 2008, Passante, RV 238795).
Nel caso in esame, pertanto, gli imputati avrebbe potuto chiedere al giudice di primo grado l'eventuale differimento dell'udienza per provvedere al versamento delle ritenute dovute, determinando l'estinzione del reato, mentre la comunicazione della violazione ed il decorso del termine per adempiere non costituiscono, secondo la giurisprudenza citata, condizioni di procedibilità dell'azione penale.
Sicché in tali termini deve essere corretta la motivazione della sentenza impugnata sul punto.
E', invece, fondato il secondo motivo di gravame, sia pure per ragioni diverse da quelle indicate dai ricorrenti.
Sia la sentenza impugnata che gli stessi ricorrenti hanno erroneamente qualificato la violazione di cui all'art. 2, comma I bis, della L. n. 638/1983 come reato permanente, sia pure traendone conseguenze diverse in ordine alla cessazione della permanenza, mentre detta fattispecie ha natura di reato omissivo istantaneo, in quanto si realizza nel momento in cui scade il termine per provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (cfr giurisprudenza assolutamente consolidata sul punto: sez. 1, 3 marzo 1989 n. 505; sez. III, 28.1.1991 n. 5315; sez. III, 25.6.2003 n. 29275; sez. III, 1.2.2005 n. 10469).
Deriva da tale diversa qualificazione della fattispecie criminosa non solo l'applicabilità dell'indulto al reato continuato di cui alla contestazione, la cui consumazione è cessata il 16 marzo 2004 - indulto la cui applicazione deve essere, però, riservata alla sede esecutiva - ma altresì la estinzione per prescrizione delle violazioni commesse fino al mese di settembre 2003 (scadenza dell'obbligo di pagamento il 16 ottobre 2003), in applicazione degli art. 157, 158 e 160 c.p., nella formulazione attualmente vigente, più favorevole per gli imputati in relazione alla diversa decorrenza della prescrizione per le singole violazioni unificate dal vincolo della continuazione.
In punto di calcolo della prescrizione deve inoltre tenersi conto del periodo di sospensione stabilito dall'art. 2, comma quater, della L. n. 638/1983, da collegarsi, per quanto sopra precisato, alla possibilità riconosciuta in ogni caso agli imputati di estinguere il reato mediante il versamento di quanto dovuto, anche a seguito della notifica del decreto di citazione a giudizio ove fosse risultato che non era stata in precedenza contestata nei loro confronti la violazione.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio limitatamente all'omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali relative al periodo dal settembre 2002 al settembre 2003, essendo il reato ad esse relativo estinto per prescrizione.
Inoltre, poiché la pena inflitta, con particolare riferimento a quella detentiva, si discosta di poco dal minimo stabilito dall'art. 23 c.p., la Corte ritiene di procedere direttamente alla eliminazione della parte riferibile alle violazioni di cui è stata dichiarata l'estinzione, determinandola in giorni tre di reclusione ed € 50,00 di multa per ciascuno degli imputati.
Il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai fatti commessi fino ai settembre 2003 perché il relativo reato è estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di giorni 3 di reclusione ed € 50,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 19.7.2011.

Il Presidente
De Maio

Il Consigliere Relatore
Guido M. Lombardi


Depositata in Cancelleria
il 2 agosto 2011
Avv. Antonino Sugamele

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