Cassazione penale, sez. III, sentenza 28.04.2011 n. 16577 Reati sessuali, persona offesa, testimonianza, valutazione
La Suprema Corte Penale
Sezione III
Fatto e diritto
Con sentenza in data 13.05.2009 il Tribunale di Roma condannava T.G. alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all'art. 572 cod. pen. [per avere, con continue percosse, minacce gravi e insulti, maltrattato la moglie separata C.C. ] e l'assolveva perché il fatto non sussiste dal reato di cui all'art. 609 bis cod. pen. [per avere ripetutamente, con violenze e minacce, costretto la predetta ad avere rapporti sessuali con lui].
Avverso tale decisione proponeva appello anche la C., costituitasi parte civile, chiedendo, agli effetti civili, l'affermazione di responsabilità del T. per il delitto di violenza sessuale.
Con sentenza 8.07.2010 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza rilevando che, per il suddetto delitto, le dichiarazioni della C. [che erano attendibili e riscontrate da dati obiettivi per i maltrattamenti] non avevano spessore tale sovvertire il giudizio assolutorio dei primi giudici anche perché non sorrette da alcun riscontro esterno, tale non potendosi qualificare l'inconcludente racconto della figlia L. che, sentendo urlare la madre, era entrata nella stanza in cui si trovavano i genitori vedendoli staccarsi, ad amplesso avvenuto, senza notare alcun gesto deponente inequivocabilmente per una pregressa violenza.
Tale decisione non si poneva in contraddizione con l'affermazione di responsabilità per i maltrattamenti perché era stato ricostruito, sulla base di concreti elementi di prova, il regime di vita vessatorio imposto dall'imputato alla moglie nel corso della convivenza turbata da sistematiche sofferenze fisiche e morali infette alla donna.
Proponeva ricorso per cassazione agli effetti civili la C. denunciando violazione dell'art. 606 lett. b) in relazione all'art. 192 c.p.p.; mancanza e manifesta illogicità della motivazione sull'assoluzione dal delitto di violenza sessuale da ritenere sussistente alla stregua delle dichiarazioni da lei rese [non attentamente valutate] e dei riscontri esterni costituiti dalla deposizione della figlia L.; dalle dichiarazioni della psicologa B. che aveva affermato che la persona offesa era pienamente attendibile; della deposizione M. secondo cui essa ricorrente era affetta da sindrome postraumatica da stress.
La sentenza si poneva in contrasto con quanto ritenuto per il reato di maltrattamenti ed era affetta da nullità perché non aveva tenuto conto di una precedente sentenza, passata in giudicato, che aveva accertato il reato di molestie scaturito da "episodi di richiesta, da parte dell'imputato, con petulanza di rapporti sessuali alla persona offesa".
Nel processo relativo alle molestie, inoltre, il giudice aveva rilevato "l'esistenza dei presupposti di altro reato di violenza sessuale e restituiva gli atti al Pubblico Ministero per procedere anche per violenza sessuale nei confronti dell'imputato".
La ricorrente chiedeva l'annullamento della sentenza agli effetti civili.
Il ricorso è fondato.
Ha affermato questa Corte che, anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 46/2006, il controllo di legittimità è volto ad accertare che a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento delle risultanze processuali e che la motivazione non sia puramente assertiva e non sia carente nell'esame di prove decisive o affetta da vizi logici, restando escluse da tale controllo, non soltanto le deduzioni che riguardano l'interpretazione e la specifica consistenza degli elementi di prova, ma anche le incongruenze logiche che non siano assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate in altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici; cosicché non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti adottata dai ricorrenti né su altre spiegazioni fomite dalla difesa per quanto plausibili, ma comunque inidonee a inficiare la decisione di merito.
Rimane fermo, quindi, che la verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito.
Né la Corte Suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, con la conseguenza che le scelte compiute dal giudice di merito, se coerenti, sul piano logico, con un'esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova [Cassazione Sezione VI n. 195 84/2006, Capri, RV. 233454].
Il controllo di legittimità sulla struttura razionale della motivazione deve, quindi, verificare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata che deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione e attraverso l'esame di specifici atti del processo, di rilievo decisivo ai fini del giudizio, che siano stati trascurati o illogicamente valutati.
Nel caso in esame, la ricorrente lamenta che i giudici di merito, senza esaminare razionalmente gli elementi probatori acquisiti e le argomentazioni esposte nell'atto d'appello, hanno illogicamente asserito che i riscontri esterni emersi per il reato di maltrattamenti non rilevano per il reato di violenza sessuale per la cui sussistenza le dichiarazioni della persona offesa dovrebbero essere sorrette da elementi di riscontro.
L'assunto è fondato.
Nelle sentenze di merito è stata ritenuta la piena attendibilità della denunciante quanto al reato di maltrattamenti per il riscontrato atteggiamento vessatorio dell'uomo, protrattosi anche in regime di separazione coniugale, consistito in brutali violenze fisiche e psichiche imposte alla moglie e riferite non soltanto dalla vittima, ma anche dalle persone cui essa si era confidata.
Pari attendibilità non è stata attribuita alla C. per i lamentati abusi sessuali, sebbene essa avesse riferito che le violenze attingessero la sua sfera sessuale e sebbene il suo racconto fosse supportato dai medesimi riscontri ravvisati per i maltrattamenti che erano utilizzabili anche il reato di cui all'art. 609 bis cod. pen. [alla psicoterapeuta Barocci la C. aveva detto che il marito la costringeva a continui rapporti sessuali; la vicina di casa Bu., oltre a sentire urla di liti e scenate aveva saputo dall'amica che tante volte T. voleva avere rapporti sessuali; la figlia della coppia, testimone oculare delle violenze, in un'occasione, attirata dalle urla della madre, aveva visto il padre, con i calzoni sbottonati, aggredire sul letto la moglie, mezza svestita].
Alla presenza di tale compendio probatorio è assolutamente illogica la decisione assolutoria ancorata alle "sole dichiarazioni della persona offesa" stante che il delitto di violenza sessuale era ravvisabile, anzitutto, dalle dichiarazioni della vittima, vagliate con un esame penetrante e rigoroso, per il reato di maltrattamenti.
La donna, infatti, nel delineare uno stato di brutale sopraffazione impostole dal coniuge separato aveva ripetutamente lamentato che la prepotenza subita investiva anche la sua sfera sessuale.
Premesso che "in tema di reati sessuali, poiché le testimonianze della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria" [Cassazione Sezione III 41282/2006, Agnelli, RV. 235578], va, quindi, osservato che le censure della ricorrente sono idonee a inficiare la decisione di merito perché, nella specie, la positiva valutazione, anche sotto l'aspetto delle condizioni psichiche, dell'attendibilità della teste, con riferimento all'insostenibile situazione di degrado psicologico cui era stata ridotta dall'imputato, non giustificava il diversificato approdo decisionale per le due ipotesi di reato.
Illogica, quindi, alla stregua del delineato quadro probatorio valutato nella sua globale consistenza, è l'affermazione che l'accusa non deponesse sicuramente per l'estrinsecazione di una qualsiasi forma di violenza finalizzata al conseguimento di rapporti sessuali con la moglie separata.
Inoltre, sganciato dalle acquisizioni probatorie, è l'altro rilievo che i lamentati abusi sessuali non fossero supportati da alcun elemento di riscontro stante la rilevanza sia dell'episodio narrato dalla figlia L. che aveva sentito le urla della madre e visto il padre, con i pantaloni sbottonati, sovrastare, sul letto, la madre semisvestita, fatto deponente per un'aggressione di natura sessuale sia delle testimonianze delle persone le quali, per plausibili ragioni, avevano avuto con la C. contatti rilevanti per la ricostruzione della vicenda.
Pertanto, la sentenza deve essere annullata, per il reato di cui all'art. 609 bis cod. pen., limitatamente agli effetti civili con rinvio alla Corte d'appello di Milano in sede civile cui si demanda la liquidazione delle spese di questo grado tra te parti.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con riferimento al reato di cui all'art, 609 bis cod. pen. limitatamente agli effetti civili e rinvia alla Corte d'appello di Roma in sede civile cui demanda la liquidazione delle spese di questo grado tra le parti.
13-05-2011 00:00
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