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Sentenza

Brigate Rosse: dopo la scarcerazione riprende i contatti con il gruppo eversivo nuova condanna.
Brigate Rosse: dopo la scarcerazione riprende i contatti con il gruppo eversivo nuova condanna.
Brigate Rosse - Dopo la scarcerazione riprende i contatti con il gruppo eversivo nuova condanna

Corte di Cassazione Sez. Prima Pen. - Sent. del 09.09.2011, n. 33485

 

Rileva in fatto

1.- Con Sentenza in data 19 febbraio 2009 il Gup del Tribunale di Roma, in esito a giudizio abbreviato, dichiarava (…) responsabile del reato di cui agli articoli 110, 112 n. 1, 306 comma 2 codice penale, aggravato dall'articolo 1 della legge_15_1980 e dall'articolo 270 bis codice penale, in relazione agli articoli 302, 283 e 284 codice penale, per aver partecipato, in Firenze e Roma ed altrove tra il 1996 ed il 2001, alla banda armata denominata fino al 1999 “nuclei comunisti combattenti” e successivamente brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente”. Il tribunale, applicata la recidiva specifica infraquinquennale, ritenuta la continuazione tra reati contestati - esclusa, invece, quella relativa alla condanna inflittagli con sentenza della Corte di assise di appello di Roma in data 23 giugno 2000- calcolata la diminuzione per il rito, condannava il (…) alla pena di anni sei di reclusione.
La Corte di assise di appello di Roma, in parziale riforma della decisione del Gup confermava la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati contestati ma, ritenuti gli stessi legati dal vincolo della continuazione con quelli giudicati con la sentenza 23 giugno 2000 Corte di assise di Appello di Roma, esclusa l'applicabilità della recidiva e riconosciute le attenuanti generiche equivalenti, determinava la pena nella misura complessiva di anni cinque di reclusione.
Attraverso la ricostruzione della vicenda, che aveva preso le mosse dall'arresto del (…) e di (…) il 13 febbraio 1995 in Roma a seguito del quale era emersa la loro appartenenza ai “nuclei comunisti combattenti”, la corte territoriale perveniva alla conclusione che fosse indubitabile la sussistenza del fatto reato, peraltro desumibile dalle sentenze acquisite in atti e non contestato con i motivi di impugnazione, costituito dalla esistenza della associazione con finalità di terrorismo e di eversione democratica. Per la partecipazione alla suddetta associazione fino al 13 febbraio 1995, oltre che per reati minori, il (…) era stato condannato con sentenza 5 aprile 1996 dalla Corte di Assise di Roma, passata in giudicato il 4 aprile 2001. Nel corso della carcerazione espiata dal (…)
a seguito dell'arresto, il sodalizio criminale aveva proseguito la propria attività e l'imputato dopo la sua scarcerazione, avvenuta il 6 maggio 1996, aveva ripristinato e mantenuto il suo ruolo di partecipe della compagine eversiva.
La ripresa attiva dei contatti con l'organizzazione, secondo la corte territoriale che sul punto condivideva le valutazioni del giudice di primo grado, era desumibile dalla analisi dei files
dell'archivio informatico della organizzazione medesima e resi disponibili in virtù della collaborazione di (…) associata alle risultanze dell'interrogatorio reso dal (…) il 21 novembre del 2006, nel corso del quale egli, pur mostrandosi a conoscenza di elementi di dettaglio dell'organizzazione e di persone che ne facevano parte, deliberatamente aveva evitato di fare i nomi dei complici, aveva, invece, riferito degli incontri avuti con esponenti dell'organizzazione e della disponibilità di un computer, fornito dall'organizzazione stessa, con il corredo dei medesimi programmi di criptazione rinvenuti in uso a soggetti dei quali era stata accertata la partecipazione alla stessa organizzazione eversiva.
Né il rimarcato coinvolgimento dell'imputato nei reati fine, così come la sua presa di distanza pubblica da quelli più gravi, né il mancato adempimento dei compiti affidatigli di reperire adepti e mezzi per perseguire la finalità associativa costituiscono, secondo l'argomentare dei giudici di merito, circostanze atte a valutare diversamente i profili di responsabilità emersi in capo all'imputato, al quale, peraltro, la partecipazione alla compagine terroristica ed eversiva è contestata con le modalità del concorso esterno, fattispecie nell'ambito della quale rileva, in termini di penale responsabilità, qualunque intervento avente rilievo causale ai fini della conservazione e del rafforzamento della associazione.
2.- Avverso la sentenza della corte d'assise di appello propone ricorso per Cassazione
l'avvocato difensore di (…) adducendo a ragione l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 192. commi 1 e 2, c.p.p. riguardo alla sussistenza dei reati di cui agli artt. 270 bis e 306 c.p., nonché vizio di motivazione sul punto.
Il ricorrente, premesso che è pacifico che il (…) dopo la scarcerazione abbia avuto diversi contatti con elementi dell'associazione eversiva, lamenta che la corte territoriale non abbia fatto buon governo delle norme che presiedono alla valutazione della prova, non avendo valutato l'intero compendio indiziario alla luce delle emergenze di segno contrario, pure evidenziate e significative. In particolare, sul possesso de PC portatile fornito dall'organizzazione, al quale è attribuito inequivocabile valore probatorio a carico, la corte territoriale ha trascurato, omettendo quindi di motivare sul punto, il dato di segno contrario, pacificamente emerso, costituito dalla totale incapacità del (…) di operare con detto strumento e, soprattutto, il mancato utilizzo del computer da parte dello stesso.
Alla pagina 8 della sentenza i giudici considerano comprovato il totale coinvolgimento dell'imputato nell'associazione a fardata dal maggio 1996, quando venne scarcerato, ma si tratta di affermazione che è in evidente contrasto con quanto gli stessi giudici riferiscono alla pagina successiva circa la riunione svoltasi il 18 dicembre 1999 finalizzata a “parlare della ripresa del rapporto con, il (…) da parte dell'organizzazione”, circostanza questa, che comprova come alla data del dicembre 1998 l'adesione dell'imputato al sodalizio non aveva avuto luogo e che il suo eventuale ingresso avrebbe presentato diversi aspetti problematici.
Altra evidente contraddizione nella quale è incorsa la corte territoriale quella di aver
evidenziato che l'imputato oltre a non aver posto in essere i reati fine, non aveva nemmeno adempiuto ai compiti affidatigli di reperire adepti e mezzi e, ciononostante, avere subito dopo affermato che l'imputato medesimo aveva fatto in modo che gli altri sociali potessero fondatamente confidare nella sua adesione e nel suo apporto, condotta questa sufficiente ad integrare la fattispecie contestata,
Conclude, quindi il ricorrente che il dato, che invece, emerge chiaro dalle carte processuali è
quello della totale inaffidabilità del soggetto, sul cui contributo i veri adepti dell'associazione sapevano di non poter contare affatto.
3. lI Procuratore Generale dott Giovanni Galati ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Osserva in diritto

4. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con esso, infatti, il ricorrente più che individuare specifiche violazioni di legge o vizi di motivazione nella sentenza gravata, tende ad accreditare una diversa lettura dei fatti e delle risultanze processuali vagliate dalla corte territoriale al fine di sostenere la tesi difensiva della insussistenza della partecipazione dell'imputato al sodalizio eversivo oggetto dell' imputazione.
Ed invero i giudici di appello nel respingere la richiesta di assoluzione del (…) per non aver commesso il fatto, con argomentazione logicamente compiuta, ineccepibile e scevra
dalle denunciate violazioni di legge in relazione ai criteri di valutazione probatoria- art. 192. commi 1 e 2,c.p.p.- evidenziano come il coinvolgimento dell'imputato nel gruppo eversivo dopo la sua scarcerazione, indiscutibilmente dimostrato dalla disponibilità, da parte sua del computer fornito dall'organizzazione, fornitura accompagnata, ancor più significativamente, dalla dotazione degli specifici programmi di criptazione e decriptazione usati dagli altri componenti dei sodalizio, compresi quelli coinvolti negli episodi più gravi, quali l'omicidio (…), ascrivibile al gruppo,
il contenuto dei documenti informatici di cui ai files rinvenuti negli archivi dell'organizzazione, acquisiti e resi intellegibili grazie alla collaborazione di (…) e la disponibilità, in capo al (…) di programmi analoghi a quelli trovati in possesso di personaggi come(…) e la stessa (…) costituiscono, in quanto strumenti di dialogo che il gruppo eversivo reputava protetti rispetto alle indagini degli investigatori, elemento di sicura dirimenza rispetto alla posizione dell'imputato ed alla sua responsabilità penale. Essere messo, infatti, in condizione di dialogare con i vertici del gruppo e, contemporaneamente, entrare in possesso di strumenti destinati agli adepti, a prescindere dalla capacità tecnica di valersene proficuamente, integra prova di condivisione e di consapevole adesione al programma associativo.
Correttamente in proposito. peraltro secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite (Sentenza 12.7.2005, n. 3748, Mannino, Rv, 231677 sia pure in materia di criminalità organizzata di stampo mafioso e di concorso esterno nel reato di cui all'art. 416 bis c.p.) - la sentenza gravata ricorda che il profilo concorsuale esterno contestato in imputazione, è tipico di colui che, anche dall'esterno, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo. apprezzabile nei termini di responsabilità penale, sempre che tale contributo abbia, comunque, un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle potenzialità operative dell'associazione.
Nel caso di specie, la condotta consistita nell'aver fatto in modo che gli altri partecipi potessero confidare sulla disponibilità dell'imputato, reso partecipe dei segreti o degli strumenti di comunicazione tra gli adepti, e sul suo apporto -non a caso alla riunione del 18 dicembre 1998 gli vengono affidati specifici compiti- ha sicuramente contribuito al rafforzamento della compagine in vista della realizzazione dei suoi scopi. Che poi l'affidamento dei sodali fosse in realtà, come difensivamente sostenuto, non ben riposto e che tale circostanza sia stata in qualche modo rilevata dai giudici di merito -laddove evidenziano la mancata commissione di reati fine e il non adempimento dei compiti affidatigli - non costituisce contraddizione nell'ambito della complessiva argomentazione motivazionale che, partendo dall'accertato possesso degli strumenti di conoscenza e comunicazione che l‘organizzazione aveva fornito a nel valutare la condotta di quest'ultimo, riconduce la sua ” non esposizione” al fatto che egli essendo già stato “prigioniero politico”, in quanto aveva subito carcerazione per precedenti fatti di eversione, dovesse muoversi con prudenza, onde evitare di costituire un pericolo per l'organizzazione.
Conclusivamente, dunque, i motivi di ricorso si appalesano manifestamente infondati.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell' art. 616 c.p.p.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000.00 (mille) a favore della cassa della ammende.

 

Depositata in Cancelleria il 09.09.2011
Avv. Antonino Sugamele

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