MALTRATTAMENTI - Ritrattazioni della persona offesa e concorso formale tra gli artt. 572 e 582 cod. pen.
(Cp, articoli 81, 133, 572, 582 e 585; Cpp, articoli 495 e 503)
Affinché si configuri il reato di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di assoggettamento a fronte di soprusi abituali. Nell’ambito della violenza domestica, le ritrattazioni della persona offesa, così come le remissioni di querela, anziché costituire elementi per escludere il reato e la sua reiterazione, possono essere considerate dall’Autorità giudiziaria addirittura sintomatiche dell’esposizione della vittima alla prosecuzione o all’aggravamento della relazione maltrattante attraverso minacce, ricatti, intimidazioni, rappresaglie o condizionamenti. Sicché “l’autorità giudiziaria è tenuta a tutelare la vittima non affidandosi alle iniziative da questa adottate per arginare o ad escludere il rischio di reiterazione del delitto ai suoi danni, anche trovando rifugio in un centro antiviolenza, ma intervenendo esclusivamente sull’autore del reato affinché non commetta ulteriori condotte illecite. E’ configurabile il concorso formale - e non l’assorbimento - tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 cod. pen. quando le lesioni risultano consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente sussistenza dell’aggravante dell’art. 576, comma primo, n. 5, cod. pen.: in tal caso, infatti, non ricorre l’ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un’occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro.
Tribunale Potenza, sentenza 17 aprile 2025 n. 188 - Presidente est. Rossi
TRIBUNALE DI POTENZA
Sezione Penale
Il Tribunale di Potenza in composizione collegiale composto dai Sigg. Magistrati:
Dott.ssa Valentina Rossi - Presidente est.
Dott.ssa Chiara Maglio - Giudice
Dott.ssa Barbara Auriemma - Giudice
alla pubblica udienza del 13.02.2025 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la
seguente
SENTENZA
nei confronti di:
S.K., nato a U. (I.) il (...), residente ed elettivamente domiciliato in P. (P.), in via B. n. 12; attualmente
sottoposto alla misura degli AA.DD. c/o l'abitazione sita all'interno dell'Azienda Agricola S.A., sita
in P. (P.) alla C.da T. n. 84, presente;
IMPUTATO
1) Delitto di cui all'art. 81 cpv c.p., 572 comma II c.p., 582 e 585 c.p., in relazione all'art. 576 n.5 c.p.,
perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso relativo alla violenza intrafamiliare, con
comportamento abituale, maltrattava con violenza fisica e ripetute gravi minacce i componenti della
famiglia, ed in particolare la moglie K.B. - nei cui confronti si scagliava picchiandola anche dinanzi
alle figlie minorenni K.J. e K.K. -, arrivando in plurime occasioni a proferire ingiurie, minacce e
tenere comportamenti umilianti anche nei confronti della figlia J., picchiando anch'essa
violentemente, almeno in una occasione, nell'anno 2023.
In particolare, in frequente stato di alterazione alcolica, nell'ambito della convivenza familiare
insieme alla moglie ed alle figlie minorenni, e con più episodi accaduti dinanzi a queste ultime
nonché nei confronti della stessa figlia J., maltrattava la K.B. proferendole contro minacce (anche
gravi di morte), insulti ed ingiurie, urla immotivate, arrivando in più occasioni a picchiarla con
violenza, scagionandole intorno alla data del 21 Gennaio scorso lesioni personali (documentate
videofotograficamente) consistite in una tumefazione dell'occhio e dello zigomo. Da ultimo, in data
3.2.2024, in auto, la colpiva sul viso (scagionandole una lesione personale giudicata guaribile dal p.s.
in gg 5, e consistita in "trauma contusivo facciale" con "iperemia emivolto sx"), e, una volta che la
stessa si allontanava da casa con la figlia, la chiamava ripetutamente in maniera ossessiva,
proferendole contro minacce del tipo "ti taglierò la faccia, il corpo e ti metterò in un sacco nero ", così
complessivamente sottoponendola ad un regime di vita vessatorio, umiliante e maltrattante, con
episodi ulteriori in corso di accertamento. Il tutto avvenuto in plurime occasioni dinanzi alle figlie
minorenni, e con episodi lesivi e minacciosi avvenuti anche nei confronti della minore J., alla quale,
in occasione del compleanno dell'altra sorella (dunque intorno alla data del 21.4.2023), sferrava un
colpo sul viso che le determinava un sanguinamento dall'orecchio.
In Potenza, dall'anno 2021 e fino al 3.2.2024 (data dell'arresto)
Svolgimento del processo
Con decreto del 21.05.2024 il GUP del Tribunale di Potenza disponeva il giudizio nei confronti
dell'imputato S.K., chiamato a rispondere, dinanzi al Collegio, per l'udienza dell'11.07.2024, ore di
rito, dei reati in rubrica contestati.
In tale data si rilevava la regolarità di tutte le notifiche nei confronti degli imputati e se ne dichiarava
l'assenza.
Vi era costituzione di pp.cc. dei sig.ri K.B., K.J. e K.K. mediante difensori muniti di procura speciale.
Stante l'assenza di questioni preliminari si dichiarava aperto il dibattimento.
Le parti formulavano le loro richieste di prova ed il Collegio ammetteva le prove dichiarative così
come articolate dalle parti, in quanto pertinenti e rilevanti.
Le difese sollevavano una questione ex art. 129 c.a.p. e depositavano istanza scritta, ma il Presidente
la rigettava, poiché non era stata espletata ancora nessuna attività istruttoria. Incaricava, altresì, la
Cancelleria della citazione di un interprete indiano di dialetto panjabi, con rinvio al 10 ottobre 2024.
Nel suindicato giorno veniva escussa la p.c., K.K., con differimento del processo all'08 novembre
2024, giorno in cui vi era conferimento di incarico peritale a Dott. K.D., per la traduzione simultanea
in lingua punjabi e dalla lingua punjabi. Veniva escussa, con l'ausilio dell'interprete, la p.c., K.B., la
quale, all'esito dell'esame, dichiarava di rinunciare alla costituzione di parte civile; veniva meno,
altresì, la costituzione di parte civile di K.J. e K.B..
Veniva poi escussa la p.c. K.J. e vi era rinuncia ai testi di P.G., con revoca della precedente ordinanza
ammissiva ed acquisizione degli atti irripetibili.
Si rinviava al 9 gennaio 2025, udienza nella quale proseguivano le attività istruttorie e rendeva
l'esame l'imputato S.. Venivano, altresì, escussi i testi della difesa: S.S. e S.R..
Alla successiva udienza del 13 febbraio 2025.
Si dichiarava chiusa l'istruttoria ed utilizzabili gli atti acquisiti.
Le parti formulavano le proprie conclusioni, come in epigrafe riportate.
Il Tribunale, all'esito della Camera di Consiglio, decideva come da separato dispositivo di sentenza.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che l'imputato S.K. vada dichiarato colpevole dei reati ascrittigli in contestazione,
avvinti dal vincolo della continuazione.
Giova sul punto rilevare che gli elementi di prova acquisiti sono essenzialmente rappresentati dalle
dichiarazioni rese dai testi della Procura, della difesa e dall'imputato, nonché dalla documentazione
prodotta dalle parti ed acquisita al fascicolo del dibattimento.
Per ciò che concerne, dunque, il compendio istruttorio si menziona in primis il verbale di udienza
d'incidente probatorio dell'08 aprile 2024, udienza nella quale venivano esaminate le minori K.K. e
K.J., nonché la moglie del giudicabile, la sig.ra K.B..
In particolare, K.K. riferiva che in data 3 febbraio 2024 i genitori erano venuti a prenderla a scuola
alle ore 13:10 e la avevano riaccompagnata a casa, per poi recarsi a fare la spesa al supermercato M..
Al ritorno, tuttavia, la madre le era apparsa scossa ed in lacrime, poiché il giudicabile le aveva dato
imo schiaffo e verso le ore 19:00-20:00 le tre donne avevano chiesto l'intervento dei Carabinieri ed
avevano sporto denuncia ì querela nei confronti del S..
K.K. precisava che il viso della genitrice era tutto rosso, e quindi si capiva che era stata percossa, e
che, in generale, il padre e la madre litigavano quotidianamente: "Però quando lui beveva, litigava
di più".
Il S. solitamente consumava alcolici due o tre volte al giorno e, dopo aver bevuto, diventava
aggressivo.
La minore non aveva mai assistito ad episodi di violenza fisica ai danni della madre, ma solo alle liti
frequenti, nella quali il giudicabile profferiva "parolacce indiane" per ingiuriare la moglie. Solo il
giorno della denuncia il S. si era spinto oltre, minacciando di morte la consorte e profferendo le frasi
riportate in imputazione.
K.K. aggiungeva di non aver mai ricevuto schiaffi dal padre, il quale era sempre molto affettuoso
con lei e la chiamava "la sua piccola principessa", mentre con l'altra sorella aveva un rapporto più
distaccato, più freddo.
Il S. era solito bere due o tre bicchieri a pranzo e dopo cena di London Gin e, in preda all'alcol,
cambiava atteggiamento e diventava "una persona cattiva... Un mostro".
K.K. confermava di aver mostrato ai Carabinieri una foto della genitrice scattata con il cellulare, nella
quale figurava un livido e della tumefazione sullo zigomo destro della madre. La predetta fotografia
risaliva al 21 gennaio 2024, allorché il S., in occasione di una lite domestica, aveva sferrato un pugno
alla consorte che si era rifiutata di parlare con lui.
La minore precisava di non aver assistito alla percossa ma di aver udito il grido di dolore della
genitrice, apprendendo poi cosa fosse effettivamente successo dalla sorella e dalla madre.
Veniva poi esaminata K.J., altra figlia del giudicabile, la quale riferiva che il giorno del fatto, il 3
febbraio 2024, aveva trovato a casa la madre piangente, poiché il marito aveva bevuto e le aveva dato
uno schiaffo durante un litigio; in detta contingenza il viso della donna le era apparso visibilmente
tumefatto. Successivamente, K.J. era uscita con la madre e con la sorella a fare una passeggiata al
Parco di Montereale, ed erano sopraggiunte delle telefonata del S. sull'utenza della moglie: "Ha detto
che... Quelle cose brutte e io ho chiamato i Carabinieri, perché... Anche io avevo un po' paura in quel
momento, per quello ho chiamato i Carabinieri".
Aggiungeva l'escussa che il genitore, in preda all'alcol, aveva profferito parecchie parolacce e poi le
minacce di morte.
In generale, i litigi erano molto frequenti in famiglia, ma il S. non era mai arrivato a picchiare la
moglie prima di allora e solo in un paio di occasioni, il 21 gennaio 2024 ed il 3 febbraio 2024, la
ragazza aveva udito il suono di un ceffone. La morte del nonno paterno, avvenuta nel 2019, aveva
destabilizzato il giudicabile a tal punto che egli aveva mutato personalità e aveva iniziato ad abusare
dell'alcol.
Precisava, ancora, l'escussa che in data 21 gennaio 2024, durante l'ennesimo litigio familiare, ella
aveva udito il suono di un ceffone e, uscita dalla propria stanza, si era imbattuta nella genitrice,
piangente. A quel punto, la ragazza aveva trascinato la madre in camera sua, per proteggerla.
Anche in detta circostanza il viso della donna appariva rosso e tumefatto e l'altra sorella aveva
scattato delle foto con il cellulare.
Spiegava K.J. che il padre aveva incrementato, nel tempo, i quantitativi di alcol consumati,
prediligendo superalcolici, e che la sua personalità era cambiata.
In particolare, in una circostanza, il S. le aveva dato uno schiaffo: "Tre volte ho detto: "Vai a prendere
mia sorella da scuola". Terza volta io ho detto un po' forte e lui è arrivato e fatto cosi a schiaffo a me".
Il giudicabile si era poi scusato con la ragazza, aggiungendo che non era sua intenzione picchiarla,
ma lei si era trovata troppo vicina alla sua mano ed era stata attinta per sbaglio.
In realtà, il predetto schiaffo involontario aveva anche provocato la fuoriuscita di sangue
dall'orecchio della ragazza.
L'escussa riferiva poi che il genitore più volte la aveva redarguita perché "aveva un brutto carattere
e parlava troppo", mentre in India le donne venivano educate a tacere.
Il giorno del fatto, il 3 febbraio 2024, il S. aveva chiamato una ventina di volte l'utenza della moglie
e nell'ultima telefonata egli aveva profferito le minacce di cui in imputazione.
In un'altra circostanza il S. aveva distrutto il cellulare della moglie, poiché ella era intenta a guardare
qualcosa su internet e non gli aveva prestato attenzione: "Lui si è arrabbiato, è andato, ha preso il
cellulare e l'ha lanciato".
Aggiungeva K.J. che il giudicabile non voleva che lei andasse a scuola, poiché lì avrebbe potuto
interagire con compagni di sesso maschile, ma egli non le aveva mai impedito fisicamente di andarci.
Veniva poi escussa la moglie dell'imputato, la sig.ra K.B., la quale riferiva che il giorno del fatto il
marito, dopo aver bevuto, si era molto arrabbiato con lei. Nello specifico, il S. dapprima era andato
a prendere la loro figlia a scuola, poi i due si erano recati a fare la spesa e successivamente lui le
aveva dato uno schiaffo da ubriaco.
Spiegava, ancora, la donna che 14 giorni prima il marito le aveva sferrato anche un pugno: "Io andare
India gennaio... Lui ha detto: "No, no", ma l'escussa aveva insistito per andare ed il giudicabile si era
arrabbiato, poiché il biglietto aereo era costato 700,00 euro, e la aveva colpita al viso.
Una delle figlie aveva poi scattato delle fotografie al suo volto tumefatto e livido.
Il 3 febbraio 2024 il S. era arrivato addirittura a minacciarla di morte, ma l'escussa non riusciva a
riferire oltre in udienza, a causa della barriera linguistica, di talché si era differito l'esame della
predetta alla fase dibattimentale, per un ulteriore approfondimento della vicenda.
Per ciò che concerne, invece, l'istruttoria orale si menzionano le dichiarazioni rese dalla p.o., K.K.,
all'udienza del 10 ottobre 2024.
La ragazza confermava quanto dichiarato precedentemente ai Carabinieri ed in sede di incidente
probatorio, ovvero che i genitori litigavano molto, che il padre era un consumatore abituale di
alcolici e che quando beveva alzava le mani sulla moglie, insultandola anche con parolacce indiane.
In particolare, in un paio di occasioni, il S. aveva picchiato la consorte, precisamente in data
03.02.2024 e in data 21.01.2024.
Dopo tali aggressioni, K.K. aveva visto il volto della genitrice livido e tumefatto ed aveva scattato
delle fotografie a testimonianza delle lesioni riportate dalla madre; era stata proprio quest'ultima, in
lacrime, a riferirle di aver ricevuto un pugno dal marito.
L'escussa confermava, altresì, che il giorno del fatto era stata prelevata da scuola alle ore 13:10, poi i
genitori si erano recati a fare la spesa e, al loro ritorno, ella aveva visto la genitrice in lacrime,
apprendendo anche dell'aggressione subita dalla madre.
La ragazza ammetteva di aver paura del padre quando era in stato di ubriachezza, poiché diventava
aggressivo, precisando, altresì, di aver assistito in prima persona solo all'episodio del 21.01.2024.
Il S., solitamente, rincasava per mangiare a pranzo, mentre molte volte, la sera, si fermava a dormire
sul luogo di lavoro.
Durante l'emergenza pandemica la madre di K.K. era rimasta bloccata in India e le due ragazze
avevano convissuto da sole in Italia con il padre, litigandoci saltuariamente quando egli beveva.
Aggiungeva che la genitrice non aveva mai reagito agli insulti del S. e l'unica volta in cui aveva
protestato, perché voleva partire per l'India ed aveva già acquistato il biglietto aereo, aveva ricevuto
il pugno in faccia.
All'udienza dell'08 novembre 2024 veniva escussa l'altra figlia del giudicabile, K.J., la quale riferiva
che il padre, allo stato attuale, aveva smesso di bere ed era un'altra persona e che lei desiderava
rivederlo.
All'udienza del 09 gennaio 2025 l'imputato S. si sottoponeva ad esame e riferiva che il giorno del
fatto egli era stanco ed aveva bevuto un poco, ma aveva poi intrapreso un percorso al SERT ed aveva
smesso di abusare di alcol; aveva, altresì, intrapreso un percorso con i servizi sociali insieme alle
figlie.
Precisava il giudicabile di aver alzato le mani solo sulla consorte e mai sulle figlie.
Veniva poi escusso il teste della difesa S.S., amico dell'imputato da oltre 15 anni, il quale riferiva di
non aver mai appreso o assistito a litigi o a episodi di violenza domestica, ad eccezione di quanto
avvenuto in data 03.02.2024. Spesso il S. era andato a trovarlo a casa sua, con tutta la famiglia, e sul
posto di lavoro, presso l'azienda S.A., sita nella campagna di Pignola, non aveva mai bevuto.
Ancora, veniva escusso il teste S.R., il quale pure lavorava nella suindicata azienda e si occupava di
accudire il bestiame dal 2024.
Il teste riferiva che il S. montava di turno dalle 4 del mattino fino alle 18:00, con ima pausa pranzo di
alcune ore. Capitava, altresì, che egli si fermasse la sera a dormire sul posto di lavoro, anche con la
famiglia, in una abitazione messa a disposizione dei lavoratori, molto grande ed accogliente.
Lo S. aggiungeva di non aver mai assistito ad episodi di violenza o di aggressività da parte del S., né
lo aveva visto in stato di ubriachezza.
Questo, dunque, il contributo dell'istruttoria orale, suscettibile di ancorare un pronunciamento di
condanna nei confronti del giudicabile.
Dello stesso tenore le risultanze documentali, che confermano in toto l'ipotesi accusatoria.
In particolare, nella produzione della Procura si rinviene il verbale di ricezione di denuncia orale
sporta da K.B., in data 04.02.2024, dinanzi ai Carabinieri di Potenza, acquisito con il consenso delle
parti.
La donna riferiva ai militari che il giorno precedente e due settimane prima il marito la aveva
percossa sul volto, poiché quando tornava dal lavoro era sempre arrabbiato, "viene in casa prima
parla e poi mi dà schiaffi e pugni. Quando entra in casa fa casino sempre, quando rientra da lavoro
quasi sempre minacce. Nella nostra lingua anche al telefono dice parole brutte".
In data 03.02.2024, dopo aver fatto la spesa insieme, il S. la aveva percossa: successo due volte. Mi ha
fatto minacce di morte e a volte dice "ti ammazzo e ti butto nella spazzatura". Quando trova a casa
solo a me fa più casini, quando ci sono le figlie di meno, ma la prima volta che ha alzato le mani
c'erano anche le figlie in casa".
Tali comportamenti violenti erano iniziati tre anni prima, nel 2021, "perché mi ero recata in India per
morte di mio padre e per covid sono rimasta bloccata li 6/7 mesi, e mio marito si è risentito per questo
motivo, prendendosela anche con mia madre e usando brutte parole". Aggiungeva che qualche
giorno prima la coppia sarebbe dovuta partire per l'India e "il giorno che dovevamo partire mi ha
strappato il biglietto pretendendo i soldi indietro". Il S. alle volte beveva ma non aveva mai preteso
rapporti intimi indesiderati.
La querelante dichiarava di essere spaventata, temeva per la propria incolumità (non per quella delle
figlie perché le trattava bene).
Vi è poi in atti verbale di arresto in flagranza del 04.02.2024 redatto dai C.C. di Potenza, dal quale si
evince che in data 03.02.2024, alle 20.00 circa, era pervenuta una telefonata da parte di K.J., la quale
aveva riferito ai militari di trovarsi presso il parco di Montereale, vicino alla propria abitazione, in
via del B. n. 12, dalla quale, unitamente a sua madre, K.B. e a sua sorella minore, K.K., si era
allontanata a causa del padre, "in quanto lamentava una violenta aggressione ai danni della madre".
K.J. era apparsa molto agitata e spaventata a causa dell'accaduto, tanto da richiedere un tempestivo
intervento delle Forze dell'Ordine e, inoltre, aveva manifestato preoccupazione per le condizioni di
salute della madre, poiché la stessa aveva lamentato un forte dolore a causa delle percosse che il
padre le aveva inflitto qualche ora prima. Immediatamente era stata inviata sul posto una pattuglia,
la quale aveva accompagnato le due minori e la madre presso il Comando Stazione Carabinieri di
Potenza.
In detto luogo era sopraggiunto il personale del 118, il quale, considerate le circostanze, aveva
consigliato un ricovero della donna presso il Pronto Soccorso dell'O.S.C..
A seguito delle visite specialistiche, alla K. era stato diagnosticato un trauma contusivo facciale con
una prognosi di 5 giorni.
Successivamente, i militari operanti, trattandosi di un reato riguardante la procedura del codice
rosso, avevano proceduto ad escutere le minori e a raccogliere la denuncia della madre.
Il S., nel frattempo, si era reso irreperibile.
Attraverso le escussioni delle parti offese era stato possibile ricostruire le dinamiche familiari e
confermare, in maniera dettagliata, le circostanze in cui si era verificata l'aggressione da parte del S.
nei confronti della moglie, nonché l'abitualità delle condotte vessatorie e denigratorie che, a partire
dal 2021, avevano avuto una maggiore frequenza all'interno del nucleo familiare, "passando da dure
minacce a veri e propri atti violenti che culminavano con aggressioni fisiche e veri e propri
avvertimenti di morte".
In data 03.02.2024 così si erano svolti gli eventi: alle ore 13:10, dopo aver recuperato la figlia più
piccola da scuola ed averla lasciata sotto casa, il S., rimasto solo in auto con la moglie e la aveva
colpita violentemente con un pugno al volto; tale aggressione era stata riferita dalla vittima alla figlia
K.K., che stava attendendo i propri genitori sotto casa. Anche l'altra figlia, K.J., in fase di
dichiarazioni, aveva confermato di aver trovato, dopo il rientro a casa, intorno alle ore 14:00, la
madre sul letto dolorante e di averle prestato le prime cure, apprendendo anche dalla sorella minore
quanto era accaduto.
Nel pomeriggio, la donna, unitamente alle figlie si era allontanata da casa per una passeggiata,
ricevendo sul telefono diverse chiamate da parte del marito con toni minacciosi. Una di queste
conversazioni telefoniche, avvenute in lingua indiana, era stata sentita e riportata dalla figlia
maggiore che la aveva tradotta testualmente dinanzi ai verbalizzati: "Ha detto che ti taglierò la faccia,
taglierò il tuo corpo e lo metterò in una borsa nera".
Tale affermazione era stata comprovata anche dalla stessa madre che, mediante l'ausilio di un
interprete, aveva confermato quanto già riportato dalla figlia. A detta della figlia più grande, tale
minaccia la aveva indotta a temere per l'incolumità della propria madre e della sorella e per tale
motivo aveva deciso di contattare repentinamente i Carabinieri e chiedere aiuto.
Ulteriore elemento emerso dall'escussione delle minori e dalla denuncia della madre era un'abituale
dedizione del padre all'assunzione di atteggiamenti minacciosi e aggressivi nei confronti dei
componenti di tutto il nucleo familiare; tale contegno si era radicato nel giudicabile come
rappresaglia ad un lungo periodo di assenza della moglie da casa, che si era recata in India.
Vi è poi in atti verbale di s.i.t. rese da K.J., in data 4 febbraio 2024, dinanzi ai Carabinieri di Potenza.
La ragazza forniva la propria ricostruzione dei fatti, asserendo che il genitore aveva alzato le mani
sulla madre e non era la prima volta: "Papà è ritornato dal lavoro alle 10:30, io ero a scuola e me lo
ha detto mia mamma, io avevo mandato un messaggio per chiedere a mia mamma dove stava e lei
mi ha mandato una foto che era in macchina con papà".
Una volta tornata a casa, l'escussa aveva trovato la genitrice seduta sul letto, con gli occhi rossi,
perché aveva pianto, e le aveva domandato che cosa avesse: "Mi ha risposto che papà l'aveva
picchiata, le ho dato del ghiaccio. Poi mio padre ha chiamato al telefono mamma per dirle che
arrivava alle sette, così ho detto a mamma adiamo a fare una passeggiata sopra a Potenza che è
sabato. Poi papà ha chiamato a mamma tante volte ha detto cose brutte (...) Ha detto che ti taglierò
la faccia, taglierò il tuo corpo e lo metterò in una borsa nera".
K.J. aveva assistito alla telefonata e alle minacce.
Successivamente, le tre donne avevano chiamato i Carabinieri ed avevano sporto denuncia.
Il S. aveva chiamato la consorte 27 volte.
Già in precedenza, in data 21 gennaio, era accaduto che il giudicabile picchiasse la moglie: "Papà è
arrivato dal lavoro e ha litigato con mamma, io ero in camera, ho sentito tutte le cose, lui ha parlato
brutto di mia nonna, di mio nonno quando è morto. Diceva brutte parole, non vorrei dirle, posso
scriverle al cellulare (...) Ha detto che mia nonna ha un carattere sporco".
Tale insulto era stato profferito anche all'indirizzo della moglie e della escussa.
Aggiungeva ancora la ragazza che la genitrice si trovava in cucina allorché si era innescato un litigio
e "ho pensato che anche oggi è normale così, sono andata in cucina a prendere qualcosa da mangiare,
sono andata via, poi non lo so cosa è successo, ho sentito mia mamma piangere un po' più forte, lui
ha dato un botto".
Nell'udire il rumore di un pugno sferrato, K.J. era uscita dalla sua camera e aveva visto la madre
piangere, con un occhio gonfio e annerito. "Mia sorella ha delle foto, poi papà è andato via".
La ragazza aggiungeva che loro stavano bene quando il S. non era in casa e che il giorno precedente
lui era rientrato, aveva bevuto ed era andato a dormire.
Il S., generalmente, beveva Vodka e altri superalcolici.
Un ulteriore episodio di violenza si era verificato a ridosso del compleanno della sorella: "Io e mia
mamma abbiamo chiesto a papà di andarla a prendere a scuola, lui non andava, ho urlato, poi papà
mi ha dato uno schiaffo e mi è uscito sangue dall'orecchio, nel 2023".
L'escussa, tuttavia, non era andata dal dottore a farsi visitare.
Un altro episodio risaliva al 2021, allorché la genitrice si era recata in India ed era rimasta a lì 7 mesi,
dopo la morte del padre. In detta contingenza, il S. aveva rimproverato alla moglie di non essere
rientrata subito in Italia: "E' per questo che litigano, da allora papà è arrabbiato, ma da questo anno
le dà le botte".
Ancora, un ulteriore episodio di violenza domestica era avvenuto nel 2023, dopo il rientro dall'India,
allorché il S. aveva cercato di percuotere la moglie, ma sua figlia si era frapposta.
Aggiungeva che suo padre "era un papà bravo, ma dopo che mamma è stata in India papà è
diventato cattivo" e che in alcune occasioni le aveva detto "cose brutte", anche perché "lui voleva un
maschio e noi siamo due femmine".
K.J. precisava, infine, di aver paura del padre e delle minacce che da lui aveva ricevuto.
Vi è poi in atti fotografia ritraente il volto di K.B. con lo zigomo dx tumefatto e livido.
All'udienza del 10.10.2024 la difesa depositava certificazione emessa dal Dipartimento di Salute
Mentale e Dipendenze UOSD SER.D. di Potenza, rilasciato il 07.10.2024, ed attestante la permanenza
del S. presso il suindicato centro dalle ore 10:00 alle ore 10:35.
Ulteriore attestato veniva rilasciato dalla Soc. Coop. C. in data 01.10.2024, con il quale si
rappresentava che il S. si era recato presso la sede della suindicata società cooperativa per Io
svolgimento di servizio di assistenza domiciliare di tipo socio-assistenziale ed educativa in favore
di minori-incontri protetti dalle ore 18:35 alle ore 20:00.
Si menziona, infine, il Referto del Pronto Soccorso Ospedaliero del 03.02.2024 e relativo a K.B.,
recante diagnosi di trauma contusivo facciale e prognosi di guarigione di giorni 5.
Questo, dunque, il quadro probatorio complessivamente delineatosi in dibattimento.
Per ciò che concerne le prove dichiarative, ed in particolar modo il narrato offerto dalle pp.oo., K.B.,
K.J. e K.K., devono essere seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte
indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative rese da persone non
estranee rispetto alla vicenda processuale.
Com'è noto, la prova dichiarativa acquisita dalla persona offesa, soprattutto se costituitasi parte
civile, esige, per costanti elaborazioni pretorie, un vaglio particolarmente rigoroso, mediante
riscontro intrinseco ed estrinseco del narrato, atteso che, in tal caso, essa vanta una specifica pretesa
economica, alla restituzione e al risarcimento del danno, la cui soddisfazione discende
dall'accertamento della responsabilità dell'imputato.
Dunque, solo "ove la persona offesa non si sia costituita parte civile, le sue dichiarazioni devono
ritenersi a maggior ragione da sole sufficienti a fondare l'affermazione di responsabilità penale
dell'imputato, purché siano valutate con il particolare rigore richiesto dall'orientamento dominante
in sede di legittimità e sempre che dall'esame critico delle risultanze processuali, che il giudice di
merito deve pur sempre compiere ai fini della verifica della credibilità personale della persona offesa
e dell'attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, non emergano risultanze processuali in grado
di smentirle, cioè di inficiarne il contenuto rappresentativo" (Cass. pen., sez. V, ud. 9 aprile 2021
(dep. 19 luglio 2021), n. 27892).
Peraltro, con la sentenza n. 1666/2014 si è evidenziata la necessità che "il giudice, nella valutazione
delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, indichi le emergenze processuali determinanti
per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-
giuridico che ha condotto alla soluzione adottata", e con la sentenza n. 21135/2019 si è affermato che
"qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi
elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in
autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione".
Applicando al caso di specie le esposte regole di giudizio, ritiene questo Giudice che non vi sia
motivo alcuno di dubitare dell'attendibilità della testimonianza resa dalle predette, stante la assenza
di incongruenze e di altri vizi logici che possono inficiare la prova orale.
Al contrario, le escusse pp.oo. hanno offerto un narrato non solo estremante dettagliato e
circostanziato, ma suffragato da riscontri esterni e da risultanze documentali corroboranti in loto la
sussistenza delle contestate fattispecie di maltrattamenti e di lesioni aggravati.
Si sintetizza brevemente quanto emerso in sede di incidente probatorio e di escussione
dibattimentale:
- Le escusse pp.oo. confermavano di aver chiesto l'intervento dei Carabinieri in data 03.02.2024,
poiché K.B. aveva subito un'aggressione fisica, corroborata da Referto del P.S. Ospedaliero, e
minacce di morte dal marito;
- 21 giorni prima della lite del 03.02.2024 si era verificato un ulteriore episodio di violenza domestica
nel quale K.B. aveva subito un manrovescio sul volto;
- in data 23.02.2023 il giudicabile aveva percosso K.J. scagionandole la fuoriuscita di sangue
dall'orecchio;
- le condotte maltrattanti si protraevano dal 2021, ossia dal viaggio in India di K.B., rea di essersi
trattenuta troppo a lungo nel suo paese di origine;
Orbene, le testimonianze rese dalle tre pp.oo. risultano, a parere di questa A.G., genuine, dettagliate,
credibili, reciprocamente collimanti nella contestualizzazione spazio-temporale e nella descrizione
degli eventi e degli episodi di maltrattamenti; sicché, non si ravvisa, allo stato, nessun elemento
suscettibile di insinuare alcun ragionevole dubbio circa sussistenza dei fatti contestati e la loro
riconducibilità al S..
Con la precisazione che:
- le pp.oo. hanno comunque cercato, in sede di escussione, di minimizzare l'entità delle percosse
ricevute da K.B. e da K.J. ed i relativi reliquati fisici, in un'ottica protezionistica della famiglia e di
alleggerimento della posizione processuale del S.;
- le pp.oo. hanno giustificato le intemperanze ed i comportamenti violenti del giudicabile, asserendo
che egli fosse molto provato dalla perdita del padre ed obnubilato dai superalcolici (circostanze,
queste, che di per sé non attenua la penale responsabilità del S.).
Non è da escludersi, dunque, che la parziale rielaborazione del narrato e la remissione di querela
siano intervenute a causa di minacce e di condizionamenti posti in essere dal S., o comunque siano
imputabili alla oggettiva condizione di asservimento e di soggezione psichica ed economica delle
vittime.
Le altre voci testimoniali escusse, ovvero i testi della difesa S.R. e S.S., per quanto attendibili e
credibili, non offrono spunti probatori rilevanti ed in grado di suffragare l'ipotesi accusatoria
originariamente formulata. I predetti hanno, infatti, una conoscenza solo parziale, superficiale e
frammentaria dello spaccato familiare del giudicabile.
Per ciò che concerne, infine, le dichiarazioni del giudicabile, questo Giudice si conforma al principio
di diritto enunciato dalla Suprema Corte in base al quale "l'esame dell'imputato non costituisce un
mezzo di prova che possa assumere valore decisivo ai fini del giudizio, dovendo intendersi come
tale solo quella prova che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della decisione, risulti
determinante per una diversa conclusione del processo, e non anche quella insuscettibile di incidere
sulla formazione del convincimento del giudice, in quanto costituente una diversa prospettazione
valutativa nell'ambito della normale dialettica tra le differenti tesi processuali" (cfr. Cass. Pen., Sez.
Il, 44945/2013).
Questo perché "l'esame dell'imputato, disciplinato dagli arti. 495 e 503 c.a.p., è un mezzo istruttorio
atipico che opera come mezzo di difesa, quando è dall'imputato medesimo richiesto, e come mezzo
di prova, quando è dedotto dalla controparte. L'esame, nell'ima e nell'altra prospettazione, è sempre
riconducibile, a differenza delle spontanee dichiarazioni e dell'interrogatorio imposto da specifica
disposizione, non allo ius dicendi, ma allo ius postulandi che incontra limiti nella discrezionalità del
giudice che ne deve apprezzare la rilevanza. In conseguenza, l'omesso esame non è motivo di nullità
(se non siano state violate forme essenziali del procedimento), ma eventualmente d'illegittimità, per
l'errore di valutazione in ordine alla superfluità del mezzo" (cfr. risalente e consolidata
giurisprudenza: Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 5421 del 9 giugno 1997).
Va detto che il narrato del giudicabile è apparso sufficientemente dettagliato, articolato, credibile
nelle parti afferenti alle aggressioni fisiche poste in essere ai danni di K.B., con una esplicita
ammissione di responsabilità. Si evidenzia, tuttavia, come egli abbia negato di aver mai alzato le
mani sulle figlie minori: circostanza, questa, smentita dal resoconto di K.J..
A corroborare la tesi accusatoria vi sono poi anche le inequivoche risultanze documentali, ed in
particolar modo la documentazione sanitaria relativa alla p.o., K.B., ed il materiale fotografico
relativo alle lesioni della donna, dei quali si è già si è ampiamente illustrato.
Allo stato, non può, dunque, dubitarsi della sussistenza delle contestate fattispecie ex artt. 572 commi
2 c.p. e 582-585 c.p., in relazione all'art. 576 n. 5 c.p.
Com'è noto, il delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p., nella sua abitualità, è caratterizzato dal
ripetersi nel tempo di vari comportamenti vessatori i quali, considerati singolarmente, potrebbero
anche non essere punibili, e che, invece, acquistano rilevanza penale proprio per effetto della loro
reiterazione nel tempo. La condotta tipica, infatti, consiste in una pluralità di atti reiterati e frequenti,
lesivi dell'altrui integrità fisica o, comunque, degradanti fisicamente o psicologicamente del soggetto
passivo. Tali atti, inoltre, possono essere sia commissivi, come ad es. minacce, ingiurie e violenze, sia
omissivi, come nel caso di privazioni di beni reali essenziali.
Per rilevare ai fini della configurazione del delitto di maltrattamenti, le condotte tipiche devono aver
luogo durante il tempo in cui sussiste con carattere duraturo o, almeno, abituale, una delle relazioni
previste dalla norma.
L'evento tipico è dato dalla situazione continuativa di sofferenza fisica o morale per il soggetto
passivo, la quale sorge come conseguenza degli atti di maltrattamento da lui subiti. Si ha, dunque,
la consumazione del reato nel momento in cui si verifica la situazione di sofferenza continuativa.
Sul punto la suprema Corte ha affermato che "Ai fini della configurabilità del reato abituale di
maltrattamenti in famiglia, è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione
di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria
idonea a ledere la personalità della vittima" (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 6126 del 7 febbraio
2019).
E tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che il reato di maltrattamenti in famiglia non si configura
dalla reciprocità delle offese (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 06/06/2024, n. 34027): "Il reato di maltrattamenti
in famiglia si configura non dalla reciprocità delle offese, ma dall'asimmetria di posizione tra le parti,
dove un soggetto, in posizione sovraordinata, limita la sfera di autodeterminazione dell'altra parte,
inducendola a una condizione di sopraffazione e soggezione. La configurabilità del reato di
maltrattamenti in famiglia non richiede che le condotte violente siano sistematiche, essendo
sufficiente la reiterazione di comportamenti lesivi della dignità e identità della persona offesa, volti
a creare un contesto di disuguaglianza e supremazia all'interno del nucleo familiare".
Orbene, nel caso di specie, sulla scorta delle dichiarazioni rese dalle pp.oo., è possibile ravvisare un
contesto familiare caratterizzato dall'asimmetria di posizioni delle parti in causa; le offese e le
aggressioni erano ben lungi dall'essere reciproche e addirittura vigeva in famiglia un clima di terrore
e di assoggettamento che portava le vittime a non farsi refertare in caso di lesioni (vedi aggressione
ai danni di K.J., la quale, dopo aver perso sangue dall'orecchio, non si era fatta visitare da uno
specialista), a non parlare con terze persone dei maltrattamenti subiti ecc.
Quanto all'elemento psicologico, ai fini della configurazione del delitto in esame è necessario il dolo
generico, inteso come coscienza e volontà nel compimento dei singoli atti con l'intenzione di
maltrattare sistematicamente, in modo tale da realizzare una condotta complessiva di persecuzione
ed umiliazione.
Nel caso di specie, oltre a risultare integrati e comprovati tutti gli episodi vessatori enunciati in
imputazione, è ravvisabile in capo al S. il richiesto coefficiente psichico.
Considerazioni a latere vanno poi svolte per ciò che concerne la remissione di querela e la revoca di
costituzione di p.c.
Ferma restando, nel caso di specie, la procedibilità d'ufficio del delitto di cui all'art. 572 c.p.
unitamente al delitto di lesioni poiché connesse al delitto di maltrattamenti, perseguibile d'ufficio, la
Cassazione si è pronunciata recentemente sulla questione della remissione di querela della vittima,
elaborando la massima in base alla quale la remissione della querela può costituire solo un tentativo
della vittima di rappacificare il clima familiare senza per questo modificare la condizione di
debolezza e soggezione psichica rispetto all'autore delle condotte vessatorie (cfr. Cass., sez. VI
Penale, sentenza 15 novembre 2018 - 4 gennaio 2019, n. 175). I giudici della Suprema Corte
ritenevano, altresì, ineccepibile, nel caso sub indice, l'asserita carenza di valenza dimostrativa della
remissione della querela, non riconoscendo - giustamente - alcuna validità estintiva del reato al ritiro
della querela della persona offesa.
Ulteriori elaborazioni pretorie si ricavano dal pronunciamento n. 9849 del 2024 (Cass. Pen., Sez. VI,
sent. 22 febbraio 2024, n. 9849).
Gli Ermellini, nel ribadire un principio ormai consolidato, ovvero che "Affinché si configuri il reato
di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve
necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere in un
avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali
ed aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di assoggettamento a fronte di soprusi
abituali", aggiungono che "la remissione di querela non può incidere, negandola retroattivamente,
sulla rilevanza penale dei maltrattamenti i quali integrano un reato perseguibile d'ufficio".
Ma vi è di più.
La Suprema Corte ha infatti sottolineato come "nell'ambito della violenza domestica, dunque, le
ritrattazioni della persona offesa, così come le remissioni di querela, anziché costituire elementi per
escludere il reato e la sua reiterazione, possono essere considerate dall'Autorità giudiziaria
addirittura sintomatiche dell'esposizione della vittima alla prosecuzione o all'aggravamento della
relazione maltrattante attraverso minacce, ricatti, intimidazioni, rappresaglie o condizionamenti
(Sez. VI, n. 23635/2024; Sez. VI n. 7289/2024) a maggior ragione quando le persone offese siano
minorenni o donne con prole minorenne" (cfr. Cassazione n. 39562/2024). Sicché "l'autorità
giudiziaria è tenuta a tutelare la vittima non affidandosi alle iniziative da questa adottate per
arginare o ad escludere il rischio di reiterazione del delitto ai suoi danni, anche trovando rifugio in
un centro antiviolenza, ma intervenendo esclusivamente sull'autore del reato affinché non commetta
ulteriori condotte illecite (Sez. VI, n. 23635/2024)".
Va, dunque, esclusa, nel caso di specie, qualunque valenza estintiva o rappresentativa all'intervenuta
remissione di querela, pur considerando che la condotta processuale delle vittime si è concretizzata
in comportamenti a tratti ambivalenti e contraddittori, allorché le vittime hanno cercato di
alleggerire a posizione processuale del proprio congiunto minimizzando gli episodi di violenza e le
relative conseguenze fisiche, nonché le minacce e gli insulti profferiti dal S. (addirittura, le minori
erano recalcitranti a riferire in sede di escussione il tipo di ingiurie indirizzate alla genitrice dal
padre, trincerandosi dietro la barriera linguistica).
Il delitto di maltrattamenti risulta altresì aggravato poiché, come sopra evidenziato, commesso in
presenza delle figlie minori della coppia che hanno assistito alle plurime condotte poste in essere
dall'imputato.
Ulteriori considerazioni vanno poi svolte per la fattispecie di lesioni aggravate.
Va detto che a parere della Suprema Corte è configurabile "il concorso formale - e non l'assorbimento
- tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 cod. pen. quando le lesioni risultano
consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente
sussistenza dell'aggravante dell'art. 576, comma primo, n. 5, cod. pen.: in tal caso, infatti, non ricorre
l'ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità
di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di più norme e,
quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento
costitutivo o circostanza aggravante di un altro" (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 17872 del 22 aprile
2022).
Nel caso di specie, emerge ictu oculi la commissione della predetta fattispecie aggravata da parte del
S. ai danni della p.o., K.B., come comprovato dalla documentazione sanitaria in atti e dalla
inequivoca deposizione delle figlie, nonché della stessa p.o., che aveva ammesso di aver ricevuto
pugni e schiaffi dal marito.
Le lesioni risultano aggravate poiché connesse al delitto di maltrattamenti.
In conclusione e tutto quanto premesso, l'imputato, S.K., va dichiarato colpevole ex artt. 533 e 535
c.p.p. dei reati ascritti.
Dato il comportamento processuale assunto (avendo la parte, attraverso il suo difensore, consentito
ad una rapida definizione del processo), possono essere riconosciute le circostanze attenuanti
generiche da ritenersi prevalenti alla contestata aggravante.
Sotto il profilo della sanzione, tenendo conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., le modalità dell'azione,
la reiterazione delle condotte criminose, la gravità del danno e del pericolo cagionato alle persone
offese, inducono a determinare la pena nella misura finale di anni due e mesi quattro di reclusione,
cui si perviene, considerato più grave il reato di cui all'art. 572 c.p., partendo dalla pena base di anni
tre di reclusione, diminuita per le circostanze attenuanti generiche prevalenti alla contestata
aggravante ad anni due di reclusione, aumentata per la continuazione con il delitto di lesioni alla
pena di anni due e mesi quattro di reclusione (aumento di mesi quattro di reclusione).
Ne consegue, per legge, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e di
custodia cautelare in carcere se dovute.
Non sussistono i presupposti di legge per concedere il beneficio della sospensione condizionale della
pena.
Da ultimo, i ponderosi carichi di lavoro che gravano questo Tribunale giustificano la previsione del
termine indicato in dispositivo per il deposito dei motivi.
Consegue, ai sensi dell'art. 304 c.p.p., la sospensione dei termini della custodia cautelare applicata
all'imputato durante la pendenza dei termini per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
dichiara l'imputato S.K. colpevole dei reati ascritti e, concesse le circostanze attenuanti generiche
prevalenti alla contestata aggravante, aumentata la pena per la continuazione, lo condanna alla pena
di anni due e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia in
carcere se dovute.
Motivi in giorni novanta.
Letto l'art. 304 c.a.p.,
sospende i termini di fase della misura cautelare custodiale durante la pendenza dei termini per il
deposito della motivazione.
Conclusione
Così deciso in Potenza, il 13 febbraio 2025.
Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2025.
28-06-2025 05:50
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