Impugnazioni - Revisione - In genere - Allegazione di nuove prove - Valutazione di ammissibilità della richiesta - Motivazione - Sindacato di legittimità - Limiti.
Corte di Cassazione, Penale, Sezione 4, Sentenza del 12-11-2024, n. 41398
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Relatore
Dott. CENCI Daniele - Consigliere
Dott. CIRESE Marina - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ri.Lu. nato a C il Omissis
avverso l'ordinanza del 06/12/2023 della CORTE APPELLO di TRENTO
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO LUIGI BRANDA;
lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
letta la memoria presentata personalmente dall'imputato;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Trento, con l'ordinanza in epigrafe indicata, ha dichiarato inammissibile la domanda di revisione della condanna irrogata a Ri.Lu. con sentenza della Corte d'Appello di Venezia n.854 del 2021, divenuta definitiva a seguito di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, giusta sentenza della settima Sezione penale n.46372 del 28/10/2022.
L'istanza di revisione proposta dal Ri.Lu., condannato per il reato di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 74/2000 alla pena di anni due di reclusione, per avere, nella qualità di legale rappresentante della Cooperativa "Th.Gh.", occultato o distrutto, in tutto o in parte, le scritture contabili ed i libri obbligatori, era sostanzialmente basata sulla non corrispondenza al vero della circostanza, ritenuta in sentenza, secondo cui, al momento dell'assunzione della carica di legale rappresentante, costui fosse detenuto. A supporto della deduzione, veniva depositata documentazione relativa ai dati estratti dal sistema informatico del D.A.P., dai quali risultava che l'assunzione della carica era avvenuta in data 11/5/2007, nel periodo intercorrente tra la dimissione dalla Casa circondariale di Padova, avvenuta il 17 gennaio 2007, ed il nuovo ingresso in carcere, avvenuto in altro istituto il 12 luglio 2007.
Pertanto, lo stesso Ri.Lu., privato della libertà personale appena due mesi dopo la nomina, sarebbe stato nella impossibilità di svolgere compiti e funzioni di amministratore, carica dalla quale successivamente si era dimesso, avendo constatato l'impossibilità di proseguire in essa durante il periodo detentivo.
Il documento rappresenterebbe una prova nuova idonea a consentire una ricostruzione alternativa dei fatti, utile a scagionare il ricorrente dalla contestazione mossa.
La Corte d'Appello ha dichiarato inammissibile l'istanza di revisione, rilevando che già nell'ordinanza pronunciata il 28 ottobre 2022 dalla Corte Suprema di cassazione, con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza di condanna di secondo grado, si era dato atto che, tra i motivi di impugnazione, era stato dedotta l'impossibilità di esercitare la carica da parte dell'imputato, essendo questi detenuto dal 2004 e nel momento della nomina intervenuta nel 2007, avendo rassegnato le dimissioni nell'anno 2008.
Il Supremo Collegio aveva rilevato come fossero condivisibili i rilievi formulati dal giudice di secondo grado, nella parte in cui aveva evidenziato che, al momento del sub ingresso nella carica, il Ri.Lu. non aveva posto alcuna questione né, in seguito, aveva lamentato la mancata ricezione delle scritture e del libri contabili che aveva l'obbligo di ricevere e detenere secondo le previsioni di legge.
La Corte di Trieste, premesso che tra l'assunzione della carica ed il nuovo ingresso in carcere, erano decorsi due mesi, e che le dimissioni erano state rassegnate il 22 febbraio 2008, ha rilevato che l'aspetto dell'effettivo esercizio dei doveri e delle facoltà inerenti alla carica, era stato affrontato nel giudizio concluso con condanna, nel quale si era fatto rilevare che lo stato di restrizione, in sé considerato, non poteva assumere valenza dirimente dal momento che l'amministratore può far fronte ai suoi doveri anche per il tramite di terzi e che, in ogni caso, solo nel febbraio dell'anno successivo il Ri.Lu. si era dimesso dalla carica.
In definitiva il documento prodotto non avrebbe assunto valenza inferenziale tale da sovvertire l'argomentazione posta a base della pronuncia di condanna, atteso che nel processo di merito, l'aspetto della esigibilità della condotta era stato affrontato e risolto, a nulla rilevando che il Ri.Lu., al momento dell'assunzione dell'incarico fosse libero e che due mesi dopo fosse rientrato in carcere, essendo tale dato non incompatibile con l'iter argomentativo della sentenza di condanna.
2. Ri.Lu. propone ricorso per cassazione i seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo, rubricato come inosservanza o erronea applicazione delle norme di cui agli articoli 630 e 634 cod. proc. pen. e come mancanza o contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ha rilevato che, nel corso dei tre gradi di giudizio, si era consolidato il dato, non vero, che l'assunzione dell'incarico di amministratore della cooperativa "Th.Gh." in data 11 luglio 2007 fosse avvenuto quando l'imputato era già detenuto.
Tanto premesso, la questione sottoposta al giudice della revisione non era infatti inerente alla possibilità effettiva di esercizio delle funzioni di amministratore all'interno del carcere, bensì alla prova dell'esistenza della volontà di proseguire in tale esercizio e per tal via, all'accertamento dell'elemento psicologico del reato.
I giudici del processo originario, al fine di poter addivenire all'individuazione di una responsabilità in capo all'amministratore detenuto, avevano pertanto postulato che questi operasse necessariamente attraverso mandatari. Ma una volta provato che la carcerazione era stata in realtà successiva all'incarico e non il contrario, il primo giudice, a cui è stata posta istanza di revisione, avrebbe dovuto prendere atto del totale difetto di elementi, ovviamente intervenuti successivamente alla perdita di libertà, quali contatti con terzi in carcere o delega da cui trarre prova, o anche solo indizio, della volontà del detenuto di proseguire nel proprio mandato.
L'interessato che, al momento dell'arresto, aveva assunto il mandato da soli 62 giorni, evidentemente insufficienti a comprendere le problematiche economiche e contabili dell'azienda, una volta resosi conto dell'impossibilità di guadagnare in tempi rapidi l'uscita dal carcere, si era dimesso dalla carica.
In questo contesto, ritenere che l'interessato, all'interno del carcere, potesse coordinare l'occultamento e la distruzione della contabilità presente all'esterno, senza prova di incontri a tal scopo con qualcuno, sarebbe apparsa priva di senso.
Contrariamente a quanto illegittimamente e illogicamente ritenuto dalla Corte di Trento, il nuovo elemento di prova della collocazione temporale della carcerazione, avrebbe piena valenza demolitiva di quanto accertato, nel senso della possibile esclusione della certezza sull'elemento psicologico del reato in questione, con conseguente ammissibilità dell'istanza.
2.2 Con il secondo motivo, denuncia, per inosservanza o erronea applicazione della legge, l'affermazione con cui la Corte d'Appello ha ritenuto che il documento prodotto non potesse assumere valenza inferenziale tale da sovvertire l'argomentazione alla cui stregua l'organo giudicante era pervenuto all'affermazione di responsabilità, avendo affermato che il fatto che lo stesso Ri.Lu. al momento dell'assunzione dell'incarico fosse libero e che due mesi dopo fosse rientrato in carcere, non era comunque incompatibile con l'iter argomentativo su cui si è fondata la condanna.
Tali deduzioni, ad avviso del ricorrente, costituiscono esercizio di anticipazione di merito, inibite nella specifica fase regolata dall'articolo 634 del codice di rito.
È stata richiamata la giurisprudenza della Corte, secondo cui l'inammissibilità della richiesta dì revisione per manifesta infondatezza sussiste quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all'evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l'esito del giudizio, rimanendo del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente l'effettiva capacità delle allegazione difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio.
Tanto premesso, il ricorrente osserva che, nel caso di specie, la Corte di Trento, lungi dal contenere l'analisi ad una mera fase sommaria, ha spinto il proprio esame ad un vero e proprio confronto tra la capacità di tenuta delle decisioni oggetto di ricorso rispetto al nuovo dato introdotto.
3.Il Procuratore Generale ha depositato memoria scritta ed ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
4. Il condannato ha depositato memoria sottoscritta personalmente, con allegati documenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Priva di illogicità è la valutazione sulla "non novità" della circostanza documentata (afferente ai periodi di effettiva detenzione) e sulla valenza del tutto marginale e non decisiva della stessa nell'economia della decisione di condanna.
Si rammenta che sono prove nuove, rilevanti a norma dell'art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/9/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443), purché idonee, da sole o unitamente a quelle già acquisite, a ribaltare il giudizio di colpevolezza (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, Buscaglia, Rv. 273028; Sez. 6, n. 20022 del 30/1/2014, Di Piazza, Rv. 259778; Sez. 6, n. 1155 del 1/4/1999, Cavazza, Rv. 216024).
Nel caso di specie, nel provvedimento impugnato è stata condotta in maniera logica la verifica sulla inidoneità a scalfire l'affermazione di colpevolezza della prova asseritamente "nuova" addotta dall'imputato a sostegno dell'istanza di revisione, sia in via autonoma, sia - in uno - con le altre prove già presenti al processo.
È stato evidenziato che, nel processo originario, tra i motivi di impugnazione, era stato dedotto che l'imputato si era trovato nella impossibilità di esercitare la carica. Il Supremo Collegio aveva rilevato come fossero condivisibili i rilievi formulati dal giudice di secondo grado, nella parte in cui aveva evidenziato che, al momento del sub ingresso nella carica, il Ri.Lu. non aveva posto alcuna questione né, in seguito, aveva lamentato la mancata ricezione delle scritture e del libri contabili che aveva l'obbligo di ricevere e detenere secondo le previsioni di legge.
La Corte di Trieste ha altresì premesso che tra l'assunzione della carica ed il nuovo ingresso in carcere erano decorsi due mesi ed ancora che le dimissioni erano state rassegnate il 22 febbraio 2008.
Tali osservazioni superano, già in base ad una valutazione sommaria, la prospettata utilità del documento prodotto a ribaltare la decisione, poiché la finalità probatoria perseguita (ad avviso del ricorrente, il primo giudice a cui è stata posta istanza di revisione avrebbe dovuto prendere atto del totale difetto di elementi, ovviamente intervenuti successivamente alla perdita di libertà, quali contatti con terzi in carcere o delega da cui trarre prova o anche solo indizio della volontà del detenuto di proseguire nel proprio mandato) riguarda circostanze già esaminate nel giudizio conclusosi con la condanna (la prospettazione difensiva, secondo la quale il Ri.Lu. si fosse trovato in condizioni di impossibilità ad esercitare la carica).
Ed anzi, lo stato di ininterrotta detenzione, postulato nelle decisioni, rappresenterebbe, già in astratto, una circostanza ancora più incisiva per la dimostrazione di quanto prospettato dalla difesa.
1.2 II secondo argomento di censura si incentra sulla prospettata erroneità di una pronuncia di inammissibilità dell'istanza di revisione che contenga anche una valutazione sul merito del giudizio, in violazione dei limiti previsti dall'art. 634 cod. proc. pen. e delle garanzie del contraddittorio previste per la fase di delibazione nel merito della revisione.
La difesa cita la sentenza della Sezione 6, n. 18818 del 8/3/2013, Moneta Caglio, Rv. 255477, ed altre di analogo tenore, secondo cui l'inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ai sensi dell'art. 634 cod. proc. pen. sussiste quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all'evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l'esito del giudizio; da ciò conseguendo che rimane del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente l'effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio.
Il principio richiamato è espressivo di un orientamento consolidato, presente già da tempo nella giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, Ferorelli, Rv. 248463) e declinato anche recentemente da Sez. 2, n. 11453 del 10/3/2015, Riselli, Rv. 263162 e da Sez. 5, n. 15402 del 20/1/2016, Di Pressa, Rv. 266810.
Quest'ultima pronuncia ha ribadito la distinzione logico - funzionale tra la fase rescindente -avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile "ictu oculi", da parte del "novum" dedotto - e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo.
La struttura bifasica della procedura di revisione risale, peraltro, alla pronuncia Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210040 ed è stata costantemente confermata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 43565 del 21/6/2019, Nikolli Resmi, Rv. 277538).
I provvedimenti che chiudono entrambe le predette fasi - l'ordinanza di inammissibilità (634, comma 2, cod. proc. pen.) e la sentenza di accoglimento o di rigetto (art. 640 cod. proc. pen.) - sono distinti dal punto di vista logico-funzionale e ricorribili ciascuno autonomamente in Cassazione, a dimostrazione proprio della diversa funzionalizzazione dei due momenti decisori.
In particolare, il giudice, nella fase rescindente, ha il compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare - ove eventualmente accertati - che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.; detta valutazione preliminare, tuttavia, pur operando sul piano astratto, riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove vecchie e nuove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione, pur senza gli approfondimenti richiesti in tale giudizio, dovendosi ritenere preclusa (soltanto) una penetrante anticipazione dell'apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, Molinari, Rv. 260563).
In altri termini, deve affermarsi che anche nella fase rescindente è legittima ed anzi richiesta una delibazione "non superficiale", sia pur sommaria, degli elementi addotti per capovolgere la precedente statuizione di colpevolezza e tale sindacato ricomprende necessariamente il controllo preliminare sulla presenza di eventuali profili di non persuasività e di incongruenza rilevabili in astratto delle allegazioni poste a fondamento dell'impugnazione straordinaria, nonché la loro non decisività (cfr. Sez. 5, n. 26579 del 21/2/2018, G., Rv. 273228).
È stato, inoltre, opportunamente sottolineato che la valutazione preliminare circa l'ammissibilità e la non manifesta infondatezza della richiesta proposta sulla base di prove nuove, implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite, che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, riscontrabili ictu oculi (Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Di Piazza, Rv. 259779; Sez. 5, n. 15402 del 20/1/2016, Di Pressa, Rv. 266810, in motivazione).
La valutazione preliminare circa l'ammissibilità della richiesta di revisione proposta sulla base dell'asserita esistenza di una prova nuova, quindi, deve avere ad oggetto, oltre che l'affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione e deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione, tra la prova nuova e quelle esaminate, ancorata alla realtà processuale svolta (Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, Conti Mica, Rv. 253437, nella specie, in applicazione di tali principi, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione di inammissibilità della Corte di merito la quale aveva ritenuto che le dichiarazioni che scagionavano il condannato presentassero significative discordanze e che non fossero decisive sia alcune immagini fotografiche sia le osservazioni sullo stato dei luoghi).
1.3 I principi suddetti sono stati pienamente rispettati, nel caso concreto, dalla Corte d'Appello di Trento, che era del tutto legittimata a valutare l'immediata inconferenza della prova dedotta come "nuova" nell'istanza di revisione proposta dal ricorrente rispetto all'impianto probatorio già esistente, anche considerando in motivazione l'incapacità della stessa a disarticolare o scalfire il ragionamento del giudice della cognizione e le sue ragioni.
In particolare, la Corte d'Appello bene ha fatto a rilevare, in sede di giudizio rescindente, che la prova dedotta a fondamento dell'istanza di revisione non era idonea a sostenere un giudizio di merito sulla revisione stessa in una futura fase rescissoria, segnalandone la non persuasività e la incongruenza nel contesto già acquisito in sede di cognizione.
Non si tratta infatti di anticipazione del merito, bensì di argomento di pura natura logica, l'aver affermato che il documento prodotto non avrebbe assunto valenza inferenziale tale da sovvertire l'argomentazione posta a base della pronuncia di condanna, a nulla rilevando che il Ri.Lu., al momento dell'assunzione dell'incarico fosse libero e che due mesi dopo fosse rientrato in carcere, anziché ininterrottamente detenuto, per le ragioni sopra esposte (lo stato di ininterrotta detenzione, postulato nelle decisioni, rappresenterebbe, già in astratto, una circostanza ancora più incisiva per la dimostrazione di quanto prospettato dalla difesa in ordine alla difficoltà di "comprendere le problematiche economiche e contabili dell'azienda").
La motivazione della Corte d'Appello, dunque, non esorbita dal perimetro della valutazione consentita dall'art. 634 cod. proc. pen., mentre deve essere ribadito, altresì, come, in tema di revisione, la declaratoria di inammissibilità della richiesta, per essere le "nuove prove" palesemente inidonee ad inficiare l'accertamento dei fatti posti alla base della sentenza di condanna, si sottrae a censure in sede di legittimità, allorché sia fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Sez. 3, n. 39516 del 27/06/2017, D., Rv. 272690).
2. Gli argomenti contenuti nella memoria sottoscritta personalmente dal Ri.Lu., peraltro ripetitivi di quelli contenuti in ricorso, sono insuscettibili di valutazione.
Infatti, nel giudizio per cassazione le memorie difensive non possono essere sottoscritte dalla parte personalmente atteso che, a seguito della riforma dell'art. 613, comma 1, cod. proc. pen., come interpolato dall'art. 1, comma 63, della legge 23 giugno 2017, n. 103, tali atti vanno redatti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione (Sez. 6 - , sent. n. 31560 del 3 aprile 2019 - Rv. 276782).
3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico del medesimo, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2024.
13-10-2025 21:54
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