DIRITTO PENALE - Violenza sessuale per “induzione”
(Cp, articoli 29, 609-bis e 609 nonies; Cpp, articoli 538, 539 e 544)
In tema di violenza sessuale per “induzione”, la condotta vietata dall’art. 609-bis, comma 2, n. 1 c.p. non si identifica solamente nell’attività di persuasione subdolamente esercitata sulla persona offesa per convincerla a prestare il proprio consenso all’atto sessuale, potendo estrinsecarsi in qualsiasi forma di sopraffazione posta in essere dall’agente, anche senza ricorso ad atti costrittivi e intimidatori nei confronti della vittima, la quale soggiace al volere dell’autore della condotta, non risultando in grado di opporsi a causa della sua condizione di inferiorità. Quest’ultima, peraltro, è concetto ampio che colpisce qualunque condizione di menomazione permanente o transeunte della vittima che sia strumentalizzata da parte dell’agente a fini sessuali.
Integra tale condizione anche quella conseguente alla volontaria assunzione di alcolici, in quanto, anche in tali casi, la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l’abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell’agente.
Pertanto, posta l’annoverabilità dello “stato di ubriachezza” tra le condizioni di “inferiorità fisica o psichica” previste dall’art. 609-bis, comma secondo, n. 1, c.p., deve ritenersi che risponda del reato in questione il soggetto che, avendo cognizione dello stato di ubriachezza in cui si trova la persona offesa, la induca, abusando di tale stato, a compiere o a subire taluno di detti atti
Tribunale Pescara, sentenza 6 maggio 2025 n. 296 - Presidente Est. Di Fine
TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA
- Rito collegiale -
Sezione penale
Il Tribunale, composto dai magistrati:
- Dott.ssa Maria Michela Di Fine - Presidente est.
- Dott. Antonio Schiraldi - Giudice
- Dott. Angelo di Salvatore - Giudice onorario
all'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2025 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del
dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
J.G.H., nato in Repubblica D. il (...), residente in M. (P.) alla Via C. nr. 2, elettivamente domiciliato
presso il proprio difensore di fiducia, Avv. …del foro di Pescara
LIBERO-ASSENTE
Assistito e difeso di fiducia dall'avv. …del foro di Pescara
IMPUTATO
A) Del delitto p. e p. dall'art. 609 bis, 2 comma n. 1 c.p., poiché abusava sessualmente della nipote
P.A.N. (figlia della sorella), approfittando dello stato di ubriachezza in cui la stessa versava in
occasione di una festa di famiglia tenutasi nell'appartamento in via R. n. 182 di P. (luogo di residenza
della giovane - studentessa universitaria a Macerata -); in particolare, dopo i festeggiamenti e l'abuso
di bevande alcoliche da parte di tutti i partecipanti, il prevenuto e la compagna, tale R.E., anziché
tornare nella propria abitazione di M., si adagiavano, per dormire, nel letto matrimoniale
normalmente in uso a V.M. (che usufruiva del divano del soggiorno) e nel medesimo letto si poneva
anche la P. (nel lato a ridosso della parete murale e con al proprio fianco lo zio), ma, durante il sonno,
la malcapitata, in stato confusionale a causa dell'alcol, percepiva dapprima di essere baciata, poi di
stimolazioni alla clitoride e del peso sul proprio corpo di quello del congiunto, cercando di reagire
senza averne la forza e vivendo il tutto come se fosse un incubo, e al mattino, svegliatasi, si accorgeva
di non avere più indosso le mutandine mentre i leggins che indossava erano, da un lato, calati fino
alla caviglia, e dall'altro lato completamente sfilati, così realizzando che lo zio aveva effettivamente
approfittato sessualmente di lei, sporgendo querela (accertandosi successivamente la presenza di
tracce di liquido spermatico del prevenuto nelle lenzuola e nei leggins).
In Pescara, il 9 Maggio 2021.
Svolgimento del processo
Con decreto del 07/02/2023, il Giudice dell'udienza preliminare ha disposto il rinvio a giudizio di
J.G.H. dinanzi all'intestato Tribunale per rispondere del reato contestato in epigrafe.
All'udienza del 04/05/2023, assente l'imputato, il Tribunale ha dichiarato aperto il dibattimento e ha
ammesso le prove nei termini richiesti dalle parti.
All'udienza del 30/11/2023, preliminarmente il Tribunale, su istanza del Pubblico Ministero e della
Difesa della Parte Civile, attesa la tipologia del reato e i fatti di cui al capo di imputazione, ha
disposto procedersi in assenza del pubblico durante l'esame della persona offesa. Di seguito, è stato
escusso il teste del PM, Sov. C. D.S..
All'esito dell'esame, il Tribunale, su richiesta del Pubblico Ministero e con il consenso delle altre
parti, ha acquisito l'annotazione di PG a firma dei testi D. e D.A.P., redatta in seguito all'accesso
ispettivo, i verbali di sequestro del 12/05/2021, il verbale di esecuzione del tampone salivare
effettuato sull'imputato e le successive autorizzazioni. Contestualmente, il Pubblico Ministero ha
dichiarato di rinunciare all'audizione del teste D.A.P.. Il Tribunale, nulla osservando le altre parti,
ha revocato l'ordinanza ammissiva della prova nella parte relativa all'audizione del teste suindicato.
Al termine della descritta attività istruttoria, il Tribunale è stato reso edotto dell'inoltro, in data
29/11/2023 alle ore 18.45, di istanza di rinvio per legittimo impedimento da parte dell'Avv. Fabio
Abbruzzese, difensore dell'imputato, impossibilitato a presenziare in ragione di un concomitante
impegno professionale presso la Corte di cassazione. Sulle osservazioni delle parti, il Tribunale ha
rinviato l'ulteriore trattazione dibattimentale, diffidando i testi da escutere presenti, all'udienza del
10/01/2024, attesa la delicatezza del processo e l'effettiva sussistenza del legittimo impedimento,
ritenuto, allo stato, inidoneo a travolgere l'attività istruttoria già svolta, in ragione della tardività
della sua comunicazione al Collegio.
All'udienza del 10/01/2024, prima di procedere alla programmata attività istruttoria, il Pubblico
Ministero ha prodotto documentazione come da indice. Il Tribunale, preso atto dell'opposizione
formulata dalla Difesa dell'imputato alla acquisizione del CD contenente le registrazioni consegnate
in sede di denuncia-querela dalla persona offesa, ha acquisito la suddetta documentazione,
compreso il CD, riservando eventuali accertamenti a seguito dell'audizione. Si è proceduto, quindi,
all'esame della persona offesa P.A.N. (esame svolto senza presenza di pubblico) e dei testi V.M. e
P.D.N.. Infine, è stato acquisito il verbale di sequestro del 15/05/2021 prodotto dal Pubblico
Ministero.
Alla successiva udienza del 03/04/2024, rinnovate le formalità di apertura del dibattimento per
diversa composizione del Collegio e confermati i provvedimenti istruttori già assunti nella diversa
composizione, è stato sentito il teste G.M.. All'esito dell'esame testimoniale, il Pubblico Ministero ha
dichiarato di rinunciare all'escussione dei testi D.R.M., G.I., P.C. e G.M.A.. Il Tribunale, nulla
osservando le altre parti, ha revocato l'ordinanza ammissiva della prova nella parte relativa
all'audizione dei predetti testi. In pari data, su richiesta concorde delle parti, è stata acquisita la
consulenza tecnica a firma della consulente di parte D.R.M., occupatasi della trascrizione delle
conversazioni telefoniche intercorse tra la persona offesa e l'imputato, dandosi lettura della stessa.
L'istruttoria è proseguita all'udienza del 19/09/2024 con l'esame dei testi Isp. Z.F. e C. C.E.. All'esito,
il Tribunale, su sollecitazione del Pubblico Ministero, ha ammesso l'integrazione probatoria ex art.
507 c.p.p. costituita dall'esame del teste dott. C.D., all'epoca dei fatti firmatario dell'informativa di
reato, in luogo dell'audizione del teste indicato in lista D.A., nelle more deceduto.
All'udienza del 14/11/2024, preliminarmente il Tribunale, su richiesta congiunta delle parti, ha dato
lettura ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p. dell'informativa della Questura di Pescara del 21/05/2021
e dei rispettivi allegati, costituiti dai tabulati telefonici e dal decreto di acquisizione dei dati relativi
al traffico telefonico. Indi, in assenza di domande da parte delle Difese e del Pubblico Ministero
attesa la produzione documentale, il Tribunale ha congedato il teste C.D..
Alla conclusiva udienza del 12/02/2025, attesa la diversa composizione del Collegio, si è proceduto
al rinnovo delle formalità di apertura del dibattimento. Il Tribunale, riportandosi le parti alle
richieste di prova già formulate in precedenza, le ha ammesse, confermando i provvedimenti
istruttori già assunti nella diversa composizione e dando lettura, con il consenso delle parti,
all'attività istruttoria già espletata. Il Tribunale, revocata l'ordinanza ammissiva della prova nella
parte relativa all'esame della teste R.E., previa rinuncia da parte della Difesa, e preso atto della
volontà implicitamente manifestata dall'imputato di non sottoporsi all'esame non comparendo alla
celebranda udienza, ha dichiarato conclusa l'istruttoria dibattimentale, invitando le parti a
concludere. Sentite le conclusioni rassegnate dalle parti e trascritte in epigrafe, il Tribunale, a seguito
della Camera di Consiglio, ha pronunciato sentenza dando lettura del dispositivo in udienza e
riservando il deposito dei motivi nei termini ivi indicati.
Motivi della decisione
All'esito dell'istruttoria dibattimentale, può ritenersi provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la
penale responsabilità di J.G.H. in ordine al delitto di violenza sessuale a lui contestato in rubrica.
La vicenda processuale ha tratto origine da denuncia-querela presentata in data 12/05/2021 da
P.A.N.. Quest'ultima, in sede di esame testimoniale, invitata dal Pubblico Ministero a ricostruire gli
accadimenti occorsi nella notte tra l'8 e il 9 maggio 2021, ha esordito dichiarando che, all'epoca dei
fatti, viveva a Macerata, dove si era trasferita per motivi di studio. L'8 maggio 2021 era tornata a
Pescara per festeggiare il compleanno del patrigno. Ai festeggiamenti avevano preso parte, oltre al
predetto e alla persona offesa, il fratello minore di quest'ultima, un'amica, tale M.V. - che loro
chiamano confidenzialmente "zia" -, l'odierno imputato (zio carnale della persona offesa) e la di lui
compagna, R.. Per l'occasione, si erano tutti riuniti nell'abitazione della madre della ragazza, la quale,
in quel tempo, si trovava a S.D..
Nel corso della serata, tutti gli ospiti avevano consumato ingenti quantità di alcolici. La stessa
persona offesa ha ammesso di aver "bevuto tantissimo quel giorno", tanto che, ad un certo punto,
era "proprio crollata". Giunta l'ora di coricarsi, l'imputato e la compagna avevano deciso di fermarsi
per la notte e si erano sistemati nella camera da letto solitamente in uso a M.V., la quale, invece,
aveva dormito nel salotto. Su invito della compagna dell'imputato, la P., stanca ed assonnata anche
per via dell'elevata quantità di alcol assunto, aveva acconsentito, senza indugio, a trascorrere la notte
nel letto matrimoniale con loro. Alla domanda del Pubblico Ministero su come fossero posizionati,
la teste ha precisato che lei era distesa sul lato sinistro del letto (quello adiacente al muro), l'imputato
nel mezzo e la sua compagna sul lato destro.
Ad un certo punto, durante la notte, la ragazza, avvertendo una sensazione di bagnato sulle labbra,
si era svegliata, avvedendosi che lo zio la stava baciando. In quel frangente, lo stato di malessere in
cui versava, cagionatole dall'eccessivo quantitativo di alcol ingerito, le aveva, tuttavia, inibito ogni
sorta di reazione, facendola "ricadere nel sonno". Più tardi, sentendo dapprima dei colpi sul braccio
e poi qualcuno che tentava di sfilarle il legging, si era risvegliata. In preda all'agitazione, aveva
cercato di muoversi nel tentativo di farlo smettere, ma era, poi, "ricrollata nuovamente". In seguito,
il suo sonno era stato di nuovo interrotto dal rumore dell'assorbente che si scollava dalle mutande.
Contemporaneamente, aveva sentito la mano dello zio accarezzarle le parti intime con movimenti
circolari, alla stregua di "quando uno si masturba". Intenzionata a farlo desistere, aveva cercato di
allontanarsi, ma si era, ancora una volta, riaddormentata, finché la sensazione di una pressione sul
petto non l'aveva destata nuovamente. Avvedutasi della presenza dello zio sopra di lei, aveva
iniziato, sia pure a fatica, a colpirlo con dei pugni - che lei stessa ha definito "non forti" -, fino a
quando, comunque, non era riuscita a liberarsene. A quel punto, si era voltata su un fianco,
avvicinandosi quanto più possibile alla parete, tanto che "l'ultima cosa che ricordo è il freddo del
muro sulla mia fronte".
Proseguendo nella narrazione, la persona offesa ha riferito che, all'indomani, al suo risveglio, si era
ritrovata sola nel letto, senza mutande (che erano accanto a lei sotto le coperte) e con il legging
completamente abbassato fino alla caviglia. Sospettando che quanto accaduto non fosse frutto della
sua immaginazione, si era confidata con la "zia", M.V., e con la sorella, le quali l'avevano persuasa a
parlarne direttamente con l'imputato. Quest'ultimo, contattato più volte telefonicamente, aveva, in
un primo momento, evitato il confronto, adducendo come pretesto di essere in compagnia della
moglie e, per questo, di non poter parlare. Il giorno seguente era stato lui a ricontattarla ed era
finalmente riuscita ad affrontarlo. In prima battuta, l'imputato, alle dichiarazioni della ragazza sulle
presunte molestie subite la notte precedente, aveva reagito con una risata ed aveva, poi, aggiunto
testualmente "ma non ti ricordi?", lasciandole, così, intendere di essere perfettamente consapevole
delle proprie azioni. Per di più, l'uomo aveva tentato di addossarle la responsabilità dell'accaduto,
insinuando che a prendere l'iniziativa fosse stata lei. Di fronte a siffatte affermazioni, la P. aveva
iniziato a minacciarlo di raccontare quanto accadutole ai propri familiari. Solo a quel punto,
l'imputato, apparentemente mortificato, l'aveva supplicata di non farlo. Ad ogni buon conto, la teste
ha dichiarato di aver, con l'aiuto della sorella, registrato, con il proprio dispositivo cellulare, alcune
conversazioni intercorse tra lei e l'imputato e di aver consegnato, in sede di denuncia, gli screenshot
delle telefonate e le registrazioni audio, precisando, comunque, che si trattava di conversazioni in
lingua spagnola. In sede di controesame, la persona offesa ha, poi, precisato di aver condiviso il
predetto materiale con gli operanti che avevano raccolto la sua denuncia, tramite Google drive, e di
averlo altresì conservato sul proprio dispositivo cellulare.
Rispondendo alle ulteriori domande del Pubblico Ministero, la teste ha, innanzitutto, escluso di aver
trovato "strano" l'invito rivoltole di dormire nello stesso letto con lo zio e la sua compagna "perché
lui riferendosi all'odierno imputato era quasi un padre per noi", ed ha, poi, aggiunto di non aver più
rivisto né sentito lo zio a far data da quell'episodio.
La ragazza ha, inoltre, riferito di essersi recata in ospedale soltanto tre giorni dopo l'accaduto in
quanto, nell'immediatezza del fatto e nei giorni immediatamente successivi, versava "in uno stato di
trauma", faticava a parlare, a mangiare e trascorreva le giornate a letto, fino a quando non ebbe "un
po’ di forza" e maturò la decisione di andare in ospedale e sporgere denuncia.
Su esplicita domanda formulata dal proprio Avvocato, la persona offesa ha, infine, riferito che, dopo
l'episodio, era "andata in una sorta di depressione", svegliandosi sovente durante la notte in preda
agli incubi, motivo per il quale era stata costretta ad intraprendere un percorso terapeutico, oltre che
farmacologico.
Così esposto il contenuto della testimonianza della persona offesa, di seguito si espongono, sia pure
in forma riassuntiva, le risultanze delle ulteriori prove dichiarative assunte nel corso dell'istruttoria
dibattimentale, anch'esse di rilevanza tale - soprattutto in funzione del riscontro alle dichiarazioni
della persona offesa - da rendere opportuno illustrarne complessivamente il contenuto.
La teste M.V., dopo aver premesso di essere un'amica d'infanzia della madre della persona offesa,
ha riferito che, in data 08/05/2021, in occasione del compleanno del patrigno della ragazza, era stata
organizzata una festa, alla quale lei stessa aveva preso parte. La serata, trascorsa all'insegna del cibo,
della musica e soprattutto di "tanto alcol", si era conclusa intorno alle 23.35, quando tutti gli ospiti si
erano ritirati. In ordine alla sistemazione degli ospiti nelle varie stanze, la teste ha riferit o di aver
dormito, quella notte, sul divano in salotto, mentre P.A.N., l'imputato e la sua compagna avevano
usufruito della sua camera da letto, dormendo tutti e tre insieme nel suo letto matrimoniale. Alla
domanda del Pubblico Ministero se, durante la notte, qualcosa avesse attirato la sua attenzione, la
teste ha dichiarato di non aver sentito nulla in quanto, essendo molto stanca e complice altresì
l'effetto dell'alcol assunto, era crollata in un sonno profondo.
Il mattino seguente, quando si era svegliata, P.A.N. stava ancora dormendo, mentre l'imputato e la
compagna erano già svegli e, dopo aver sorseggiato un caffè, erano andati via, declinando il suo
invito a trattenersi a pranzo. Più tardi, anche la teste si era allontanata dall'abitazione per recarsi a
lavoro. Al suo rientro, intorno alle 12:15-12:20, la P. era sveglia. Vedendola "strana" e "un po’
spaventata", la teste le aveva domandato cosa la turbasse e la ragazza le aveva raccontato di essersi
svegliata senza mutande e senza legging e di aver percepito, durante la notte, lo zio, H., che la "stava
toccando". Colpita dalle parole della ragazza e stentando a credere che l'odierno imputato - che
considerava alla stregua di "un fratello" - potesse aver fatto una cosa simile, la teste l'aveva esortata
a chiamarlo per chiarire la situazione. La donna era, poi, venuta a conoscenza del contenuto della
conversazione intercorsa tra la P. e l'imputato dalla stessa persona offesa, la quale le aveva riferito
che "lui diceva che era lei … che gli stava dicendo di fare queste cose, l'amore, queste cose così. Lui
ha detto così al telefono".
Su domanda del Pubblico Ministero, la teste ha riferito che, "due o tre giorni dopo" aver appreso
l'accaduto, l'imputato l'aveva chiamata in lacrime, asserendo che quanto raccontatole dalla persona
offesa non fosse vero e minacciando di volersi ammazzare.
Dopo la riferita telefonata, la teste ha dichiarato di non aver più visto né sentito l'imputato.
La teste P.D.N., sorella della persona offesa, ha riferito di non aver partecipato alla festa in occasione
del compleanno del patrigno perché "in giro con amici".
La mattina del 9 maggio 2021, la teste, dopo aver ricevuto una telefonata da parte della persona
offesa che le diceva di aver fatto "un sogno un po’ strano", si era recata presso l'abitazione della
madre. Ivi, la sorella, la quale le era apparsa "abbastanza scossa" e non perfettamente conscia di cosa
fosse successo, aveva iniziato a parlarle di "questo sogno … un po’ particolare, di tipo erotico" che
aveva fatto, dicendole, inoltre, di essersi svegliata al mattino senza il legging e le mutande.
Scendendo nei particolari, la persona offesa le aveva raccontato di aver "sentito qualcuno che la
toccava come se la masturbava" e poi "che gli sfilavano le mutande". La stessa le aveva altresì riferito
che, la sera precedente, "avevano bevuto un po’, come di solito facciamo a casa quando ci sono le
feste" e che lei aveva dormito nello stesso letto con lo zio e la compagna.
Le ragazze, rifiutandosi di credere che il proprio zio, "che poi ci ha visto crescere", potesse aver fatto
una cosa simile, avevano deciso di chiamarlo al telefono per chiarire la situazione. L'imputato,
inizialmente, si era mostrato restio a parlare, dicendo loro, dapprima, di trovarsi al lavoro e, poi, in
compagnia della moglie. In seguito, entrambe le sorelle lo avevano richiamato un paio di volte,
finché, all'ultima telefonata, l'uomo aveva risposto cominciando ad insinuare che fosse stata la
persona offesa a proporgli di avere un rapporto sessuale con lui. A fronte di tali insinuazioni, la
persona offesa, contestandone la veridicità, aveva sollecitato ulteriori spiegazioni da parte
dell'imputato in ordine all'accaduto. In un primo momento, l'uomo aveva continuato ad insistere sul
fatto che fosse stata la persona offesa a volere un rapporto sessuale con lui. Successivamente, dopo
che la sorella lo aveva minacciato di raccontare tutto alla madre, l'uomo aveva iniziato a pregarla di
non farlo "perché in qualche modo gli avrebbe rovinato la vita e gli avrebbe creato problemi".
A sostegno di quanto riferito, la teste ha dichiarato di aver registrato, con un'apposita applicazione
scaricata sul dispositivo cellulare, le conversazioni telefoniche intercorse tra la sorella e l'imputato,
precisando, tuttavia, di aver registrato soltanto le ultime due telefonate "perché all'inizio non ci ho
pensato a fare questa cosa".
Su domanda del Pubblico Ministero, la teste ha riferito di non aver più rivisto né sentito l'imputato
dopo l'accaduto.
Quanto allo stato d'animo della persona offesa nei giorni successivi all'episodio, la teste ha spiegato
che la sorella "era scioccata, lei non riusciva a parlare, non riusciva a pensare… Non riusciva a fare
nulla, tanto che a me mi faceva tanta rabbia perché non reagiva". In sede di controesame, la teste ha,
poi, aggiunto che "dopo che era successa quella cosa, mia sorella non voleva neanche dormire in
quel letto, tanto che ogni volta che andava a trovare mia madre veniva spostato il materasso e messo
in un'altra camera perché lei non voleva proprio dormire più in quella camera in quel letto dove era
successo quel fatto".
L'ulteriore materiale probatorio acquisito nel corso dell'istruttoria dibattimentale è costituito dalla
annotazione di P.G. relativa al sopralluogo effettuato in data 12/05/2021 sulla scena dell'evento ad
opera degli ufficiali di polizia giudiziaria D.A.P. e D.S.C.. Quest'ultimo, sentito come teste, ha riferito
che, intorno alle ore 17.00-17.30 del giorno 12/05/2021, su richiesta degli operatori della Squadra
Mobile, si era recato, unitamente al collega D.A.P., presso l'abitazione sita in via R. nr. 182 in P.. Su
domanda del Tribunale, il teste ha precisato che al sopralluogo erano altresì presenti i colleghi della
Squadra Mobile e la persona offesa.
Giunti sul posto, gli operatori venivano condotti all'interno della camera da letto dove effettuavano
rilievi fotografici della scena e, su indicazione della persona offesa, procedevano al repertamento del
materiale coinvolto nell'evento, costituito dalle coltri presenti sul letto matrimoniale e, in particolare,
da: una trapunta a fantasia di colore predominante giallo, un paio di lenzuola in flanella (superiore
e inferiore) di colore azzurro e una federa in flanella di colore bianco con fantasie di colore verde del
guanciale destro.
Nella circostanza, la persona offesa consegnava loro, inoltre, un sacchetto di carta contenente uno
slip da donna di tipo tanga di colore beige e un pantalone femminile tipo "legging" di colore beige
(cfr. annotazione versata in atti). In pari data, gli operatori procedevano, da ultimo, al sequestro del
predetto materiale.
Le indagini proseguivano attraverso l'esecuzione di un tampone buccale sulla persona dell'odierno
imputato effettuato presso gli uffici della Polizia Scientifica locale in data 21/05/2021 e finalizzato al
prelievo e alla acquisizione di sostanza biologica utile a fini comparativi.
Successivamente, il materiale repertato sulla scena dell'evento, conservato in apposite buste di
sicurezza e sottoposto a sequestro, veniva trasmesso al laboratorio di genetica forense del Servizio
di Polizia Scientifica con sede a Roma dove, su delega del Pubblico Ministero, veniva sottoposto ad
accertamenti tecnici irripetibili finalizzati alla ricerca di materiale biologico con estrapolazione dei
profili genetici da comparare con il profilo genetico dell'imputato, estrapolato dal campione salivare
prelevato dallo stesso.
La teste C.E., funzionario biologo in servizio presso la Polizia Scientifica di Roma, chiamata a
deporre in ordine agli accertamenti tecnici espletati sul materiale in sequestro, ha riferito che i reperti
pervenuti dalla Polizia Scientifica locale (costituiti da uno slip da donna, un pantalone tipo "legging",
una federa di un cuscino, un lenzuolo matrimoniale, lato inferiore e lato superiore, e una trapunta)
sono stati, in primo luogo, ispezionati mediante l'ausilio delle luci forensi al fine di evidenziare la
presenza di tracce biologiche anche non visibili a occhio nudo utili all'identificazione del reo e/o alla
ricostruzione della dinamica del reato. Sulle tracce prelevate, è stata, poi, effettuata una diagnosi
tissutale volta ad identificare la tipologia di fluido biologico (sangue, liquido seminale e/o saliva). In
seguito, si è passati all'attività di estrapolazione dal materiale biologico prelevato del profilo del
DNA e alla sua successiva comparazione con il profilo genetico di confronto estrapolato dal tampone
buccale dell'odierno imputato.
Passando al vaglio i singoli reperti, la teste ha spiegato che le descritte operazioni hanno consentito
di rilevare la presenza di diverse tracce biologiche sul lenzuolo matrimoniale inferiore (denominate
A, B, C, D ed E). Tutte le tracce campionate sul lenzuolo matrimoniale (ad eccezione della traccia A)
sono risultate positive per la presenza di liquido seminale. Tracce di liquido seminale sono state
altresì rinvenute sul lato interno del pantalone tipo "legging", sia a livello del cavallo sia a livello del
fianco. Inoltre, le tracce campionate a livello del cavallo interno e del fianco interno del legging
(denominate A e B) sono risultate essere costituite da una mistura di due fluidi biologici,
riconducibili a sangue e liquido seminale. Infine, sullo slip da donna è stata rilevata la presenza di
tre tracce biologiche: una di sangue, campionata a livello del cavallo anteriore, e due prelevate a
livello laterale esterno.
Dalle tracce di liquido seminale campionate sul lenzuolo matrimoniale (denominate B, C, D ed E) è
stato possibile estrapolare un profilo genetico singolo maschile denominato "Uomo 1" e un aplotipo
Y denominato "A". Dalla ulteriore traccia prelevata sul lenzuolo matrimoniale (denominata A) è stato
invece estrapolato un profilo genetico cosiddetto "misto", formato cioè da DNA appartenente a più
di un contributore, di cui almeno uno di sesso maschie ("Uomo 1") e almeno uno di sesso femminile
(denominato "Donna 2"). Il profilo genetico maschile denominato "Uomo 1" è stato riscontrato altresì
nei profili misti ottenuti dalle tracce campionate sul legging e sullo slip da donna. In aggiunta,
l'analisi del cromosoma Y relativo al DNA estratto dalle suddette tracce ha evidenziato l'aplotipo
denominato "A". Dalla traccia di sangue e liquido seminale campionata sul legging, a livello del
cavallo interno (denominata A), è stato, inoltre, possibile estrapolare, quale componente
maggioritaria, il profilo genetico femminile denominato "Donna 2". Lo stesso profilo genetico
femminile è stato riscontrato altresì in tutti i profili misti estrapolati dalle campionature eseguite sul
legging e sullo slip.
Esaurita l'attività di estrapolazione dei profili genetici dal materiale biologico rinvenuto sui reperti,
si è proceduto alla comparazione del profilo genetico maschile denominato "Uomo 1" con il profilo
genetico di confronto previamente estrapolato dal tampone buccale dell'odierno imputato. Tale
attività comparativa ha fornito esito positivo giacché - si legge nella relazione tecnica versata in atti
- "è stato … possibile evidenziare una completa identità genetica tra il profilo singolo maschile
denominato UOMO1 ed il profilo genetico riferibile a J.G.H.". Inoltre, dall'analisi del cromosoma Y
è stato possibile riscontrare che l'odierno imputato presenta l'aplotipo denominato "A".
Anche tale risultato ha confermato, quindi, l'identità tra il profilo singolo maschile denominato
"Uomo 1", ottenuto dalle tracce analizzate, ed il profilo genetico dell'odierno imputato, giacché
l'aplotipo Y ottenuto è uguale a quello appartenente a J.G.H..
ale conclusione è supportata anche da valutazioni di tipo biostatistico. Come spiegato dalla teste C.,
non potendosi escludere a priori che la compatibilità genetica tra i due profili sia dovuta al caso, si
è proceduto a calcolare sia la cosiddetta random match probability (RMP), sia la cosiddetta likelihood
ratio (LR). La RMP è un'analisi che consente di misurare la probabilità che un individuo preso a caso
in una popolazione di riferimento abbia lo stesso profilo genetico rispetto ad un profilo prefissato.
Nel caso di specie, essendo l'imputato originario della Repubblica Domenicana, per il calcolo sono
state utilizzate le frequenze alleliche della popolazione della Repubblica Domenicana. I calcoli
effettuati hanno restituito un valore di RMP relativo al profilo di J.G.H. dell'ordine di . Questo valore
deve essere letto nel senso che, "ad eccezione della presenza di gemelli omozigoti, la probabilità di
osservare per caso questo profilo nella popolazione considerata è di 1 su individui, che è un valore
molto superiore al numero stimato della popolazione mondiale".
La successiva analisi del LR ha consentito, invece, di determinare il rapporto tra la probabilità che il
profilo genetico maschile denominato "Uomo 1" sia riconducibile all'odierno imputato (ipotesi 1) e
la probabilità che, viceversa, il profilo genetico maschile denominato "Uomo 1" sia riconducibile ad
un altro individuo preso a caso nella popolazione di riferimento (ipotesi 2). L'indice LR ottenuto è
pari a 1.49x: "quindi, l'evidenza riscontrata è volte più plausibile se l'ipotesi H1, in cui il profilo
genetico Uomo1 è riconducibile a quello dell'indagato, è corretta rispetto a se l'ipotesi H2 è corretta".
A chiusura del suo esame, la teste C., rispondendo alle domande della difesa dell'imputato, ha
chiarito che, al fine di evitare contaminazioni, il profilo genetico dell'odierno imputato è stato
analizzato solo al termine delle attività di estrapolazione e tipizzazione dei profili genetici dal
materiale in sequestro.
Orbene, così riassunte le risultanze istruttorie, ritiene il Tribunale che non residuino dubbi in ordine
alla penale responsabilità dell'imputato per il reato di violenza sessuale a lui ascritto.
Giacché la disamina del compendio probatorio ha preso le mosse dalle dichiarazioni dibattimentali
della vittima, è opportuno ricordare, in via preliminare, i criteri che presiedono alla valutazione della
deposizione della persona offesa. Come noto, secondo il costante orientamento della giurisprudenza
di legittimità, le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri
estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato,
previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva e dell'attendibilità
intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a
quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, atteso l'interesse di cui la
persona offesa è normalmente portatrice, specie se costituita parte civile (cfr. ex multis, Cass. Pen.,
Sez. Un., n. 41461 del 19/07/2012). Il Giudice, quindi, può trarre il proprio convincimento circa la
responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia
sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole
probatorie di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr.
Cass. Pen., Sez. I, n. 29372 del 27/07/2010).
Inoltre, si è precisato che, laddove risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi
possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante,
non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (cfr.
Cass. Pen., Sez. V, n. 21135 del 26/03/2019).
Orbene, tanto premesso in diritto, ritiene questo Tribunale che, nel caso di specie, possa formularsi
un giudizio di piena credibilità soggettiva della persona offesa.
Invero, pur considerando che la stessa si è costituita parte civile ed è quindi portatrice di un interesse
economico all'esito del processo, può senz'altro escludersi che la P.A.N. abbia inteso, per mero
capriccio o risentimento, accusare falsamente il prevenuto, al quale la stessa ha dichiarato di essere
legata da un vero e proprio rapporto "paterno".
D'altro canto, può parimenti escludersi che la narrazione della vicenda resa dalla persona offesa
possa esser il frutto d'una errata percezione, dovuta ai fumi dell'alcol, circa il reale svolgimento dei
fatti. Il suo racconto, benché frammentato a causa dell'effetto ipnogeno causatole dal consumo
eccessivo di alcol, è apparso, nel complesso, chiaro, preciso e logicamente consequenziale, avendo
la stessa narrato i fatti in maniera coerente, senza mai cadere in contraddizione e indugiando su
dettagli (quale quello relativo al rumore dell'assorbente che si scollava mentre le venivano sfilate le
mutande) che contribuiscono a conferire credito al propalato accusatorio.
Peraltro, il fatto che la persona offesa, nel confidarsi con la sorella, non abbia, in un primo momento,
descritto l'accaduto esplicitamente in termini di abuso sessuale, riferendo, invece, di aver fatto "un
sogno un po’ strano", non può, in alcun modo, costituire elemento idoneo ad inficiarne la credibilità
soggettiva né l'attendibilità intrinseca. All'opposto, tale circostanza rappresenta verosimilmente una
reazione conseguente al turbamento cagionatole dall'evento, sintomatica dell'insorgenza di
meccanismi inconsci di difesa messi in campo dalla vittima nel tentativo di individuare spiegazioni
alternative a quella dell'abuso patito dal prevenuto. Dunque, una rielaborazione in bonam partem
dell'accaduto, originata dalla riluttanza ad accettare l'eventualità che lo zio avesse abusato di lei e
finalizzata a ridimensionarne la portata traumatica, che costituisce, pertanto, elemento ulteriore a
supporto della genuinità delle propalazioni accusatorie rese dalla persona offesa.
Mette conto, in aggiunta, evidenziare che, pur non essendo ciò indispensabile, le dichiarazioni della
persona offesa sono dotate anche di attendibilità estrinseca, avendo trovato positivo riscontro non
soltanto nelle versioni riferite de relato dalle testi M.V. e P.D.N., cui la stessa si era confidata
nell'immediatezza dei fatti, ma anche nelle risultanze degli accertamenti tecnico-scientifici espletati
sul materiale repertato sulla scena dell'evento e consistiti nell'analisi comparativa del DNA
estrapolato dalle tracce ivi campionate con il profilo genetico dell'imputato.
In punto di diritto, giova brevemente rammentare che costituisce principio consolidato nella
giurisprudenza di legittimità quello secondo cui gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA,
atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale
la possibilità di un errore, hanno natura di prova e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art.
192, comma secondo, cod. proc. pen., sicché sulla loro base può essere affermata la responsabilità
penale dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti. Peraltro, nei casi in cui
l'indagine genetica non dia risultati assolutamente certi, ai suoi esiti può essere attribuita valenza
indiziaria (cfr. ex multis, Cass. pen., Sez. II, n. 38184 del 06/07/2022; Cass. pen., Sez. II, n. 8434 del
05/02/2013; Cass. pen., Sez. I, n. 48349 del 30/06/2004).
Nel caso che ci occupa, premesso che il risultato delle analisi eseguite presso i Laboratori del Servizio
di Polizia Scientifica può essere ritenuto attendibile, potendosi ragionevolmente ritenere che siano
stati rispettati gli accorgimenti indicati dalla comunità scientifica nelle fasi di prelievo, conservazione
e trasporto dei campioni, all'elemento probatorio scaturito dal rinvenimento, sul lenzuolo, sullo slip
e sul legging della vittima, di tracce di liquido seminale da cui è stato possibile estrarre un genotipo
maschile (singolo o in miscellanea) ritenuto compatibile - con una probabilità di esclusione (RMP)
pari a - con il DNA dell'imputato, può riconoscersi valenza di prova del fatto-reato a carico del
medesimo, secondo un percorso logico-deduttivo che si fonda sulla tipologia delle tracce (liquido
seminale) e sulla loro particolare localizzazione (in specie, sullo slip e sul legging della vittima), da
ritenersi compatibili con la dinamica della contestata fattispecie di violenza sessuale.
Ciò premesso in punto di credibilità ed attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese
dalla persona offesa, è possibile procedere alla disamina degli elementi costitutivi della fattispecie
di reato in contestazione.
Deve preliminarmente ribadirsi, al riguardo, che, per costante orientamento della Suprema Corte di
Cassazione, la nozione legislativa di "atti sessuali", rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 609-bis
c.p., ricomprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un
contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o
comunque in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest'ultimo, sia idoneo e finalizzato a
porne in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale, mentre nessun rilievo decisivo
si connette all'effettivo soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente medesimo (Cass. Pen., Sez.
III, n. 33464 del 05/10/2006).
Pertanto, integra la fattispecie criminosa di violenza sessuale nella forma consumata, e non tentata,
la condotta che si estrinsechi in toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime della
vittima, o, comunque, su zone erogene suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale, anche in
modo non completo e/o di breve durata, essendo a tal fine irrilevante che il soggetto attivo consegua
la soddisfazione erotica (Cass. Pen., Sez. III, n. 12506 del 28/03/2011).
Per quanto qui di interesse, va, da ultimo, rilevato che, in tema di violenza sessuale per "induzione",
la condotta vietata dall'art. 609-bis, comma 2, n. 1 c.p. non si identifica solamente nell'attività di
persuasione subdolamente esercitata sulla persona offesa per convincerla a prestare il proprio
consenso all'atto sessuale, potendo estrinsecarsi in qualsiasi forma di sopraffazione posta in essere
dall'agente, anche senza ricorso ad atti costrittivi ed intimidatori nei confronti della vittima, la quale
soggiace al volere dell'autore della condotta, non risultando in grado di opporsi a causa della sua
condizione di inferiorità. Quest'ultima, peraltro, è concetto ampio che colpisce qualunque
condizione di menomazione permanente o transeunte della vittima che sia strumentalizzata da parte
dell'agente a fini sessuali (Cass. Pen., Sez. III, n. 47018 del 23/11/2023). Integra tale condizione anche
quella conseguente alla volontaria assunzione di alcolici, in quanto, anche in tali casi, la situazione
di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, può essere strumentalizzata
per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente (Cass. Pen., Sez. III, n. 18522 del 23/03/2022).
Pertanto, posta l'annoverabilità dello "stato di ubriachezza" tra le condizioni di "inferiorità fisica o
psichica" previste dall'art. 609-bis, comma secondo, n. 1, c.p., deve ritenersi che risponda del reato
in questione il soggetto che, avendo cognizione dello stato di ubriachezza in cui si trova la persona
offesa, la induca, abusando di tale stato, a compiere o a subire taluno di detti atti (Cass. Pen., Sez. III,
n. 38863 del 17/01/2018).
Orbene, sulla scorta dei rammentati principi, non vi sono dubbi circa il fatto che il comportamento
assunto, nella specie, dall'imputato rientri a pieno titolo nella fattispecie di reato appena esaminata,
avendo lo stesso posto in essere, in danno della persona offesa, atti di libidine certamente rientranti
nella nozione di "atti sessuali" penalmente rilevante. In particolare, l'uomo poggiava le sue labbra su
quelle della vittima per baciarla e, dopo averle dato dei leggeri colpi sul braccio (evidentemente per
sincerarsi che la stessa dormisse), le sfilava il legging e le mutande e iniziava ad accarezzarle le parti
intime con movimenti circolari tipici della masturbazione.
Dall'istruttoria dibattimentale è emerso in modo assolutamente inequivoco che la persona offesa si
trovasse, in quel frangente, in una condizione di inferiorità fisica e psichica, ben descritta, in sede di
esame testimoniale, quando la stessa ha riferito di non essere riuscita a reagire né a fare alcunché,
salvo colpire l'imputato con dei leggeri pugni, a causa dello stato di malessere e sonnolenza
causatole dalle ingenti quantità di alcolici assunte in precedenza. L'istruttoria ha altresì dimostrato
che di tale condizione di inferiorità - a lui ben nota - l'imputato abbia scientemente profittato, in
guisa che la persona offesa non avesse piena consapevolezza degli atti compiuti sulla sua persona e
non avesse, pertanto, possibilità di opporvisi.
Non v'è dubbio, pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, che ricorra, nel caso di specie,
anche l'elemento soggettivo della fattispecie in esame, posto che, ai fini della configurabilità del reato
di cui all'art. 609-bis c.p., è sufficiente il dolo generico, inteso quale coscienza e volontà di compiere
atti invasivi e lesivi della libertà sessuale della vittima non consenziente. Ebbene, nel caso di specie,
non può porsi in discussione la volontarietà dei comportamenti dell'imputato, certamente co sciente
di porre in essere, in danno della persona offesa, atti invasivi della sua sfera sessuale, approfittando
della sua impossibilità a reagire, legata allo stato di ubriachezza in cui la stessa versava. Ciò è reso
ancor più evidente dalla condotta tenuta successivamente dall'imputato il quale, dopo essersi
sottratto ripetutamente al confronto più volte ricercato dalla persona offesa (come attestano i tabulati
telefonici in atti, dai quali risultano plurime chiamate in uscita dall'utenza telefonica in uso alla
P.A.N. nelle giornate del 9 e 10 maggio 2021), ha tentato dapprima di attribuire gli atti sessuali
all'iniziativa della persona offesa e successivamente di dissuadere la persona offesa dal riferire
l'accaduto ai propri familiari per timore delle conseguenze pregiudizievoli che ciò avrebbe arrecato
alla sua persona, così palesando di essere perfettamente consapevole delle proprie azioni e del loro
disvalore.
Per tutte le ragioni esposte, l'imputato va, dunque, giudicato colpevole per il reato di violenza
sessuale ascrittogli.
Venendo al trattamento sanzionatorio in concreto irrogabile, questo Tribunale ritiene l'imputato
meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in ragione del comportamento
collaborativo tenuto dallo stesso sia in sede di indagini, avendo l'imputato acconsentito al prelievo
di campioni biologici sulla sua persona, sia in sede processuale, avendo, per il tramite del proprio
legale, prestato il consenso all'acquisizione della documentazione inerente all'attività di indagine.
Conseguentemente, tenuti presenti i parametri di cui all'art. 133 c.p. (e segnatamente le modalità
della condotta di approfittamento della condizione di inferiorità della vittima e del legame familiare
oltre al danno conseguito alla persona offesa, costretta ad avviare percorso di psicoterapia), si ritiene
pena equa quella di anni quattro e mesi quattro di reclusione così determinata: pena base anni sei e
mesi sei di reclusione, ridotta di 1/3 per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Alla condanna segue l'onere delle spese processuale.
Essendo la pena applicata non inferiore ad anni tre di reclusione, segue alla condanna la pena
accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque di cui all'art. 29 c.p.,
nonché, in ragione della tipologia di reato per cui vi è condanna, quella della interdizione in
perpetuo da qualsiasi ufficio attinente ala tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno di
cui all'art. 609-nonies, comma 1, n. 2, c.p.
Alla condanna consegue altresì l'obbligo di risarcire il danno cagionato alla persona offesa costituita
parte civile, da liquidarsi in separata sede non avendo consentito l'istruttoria individuarne il suo
esatto ammontare, nonché l'obbligo di rifondere alla medesima parte civile le spese di costituzione
e di assistenza professionale sostenute, quantificate in complessivi Euro 1.950,00, da corrispondere
in favore dello Stato essendo la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, oltre ad
accessori di legge (iva, cpa e spese generali nella misura del 15%).
L'imputato va, in ogni caso, condannato a versare in favore della parte civile una provvisionale
immediatamente esecutiva che, in relazione al danno morale, si stima equo indicare nella somma di
Euro 15.000,00.
Nulla si dispone sui reperti in sequestro, avendo il PM in sede di conclusioni richiesto che
permanesse l'acquisizione agli atti.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara J.G.H. colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze
attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione, oltre al
pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 29 e 609 nonies c.p. dichiara J.G.H.:
- interdetto dai pubblici uffici per la durata di cinque anni;
- interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, curatela ed all'amministrazione di
sostegno.
Visti gli artt. 538 e ss c.p.p. condanna J.G.H. al risarcimento del danno in favore della parte civile
P.A.N., da liquidare in separata sede, oltre al pagamento delle spese di costituzione e difesa, da
corrispondere in favore dello Stato essendo la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato,
che liquida nella complessiva somma di Euro 1.950,00, oltre agli accessori di legge (iva, cap e spese
generali nella misura del 15%).
Visto l'art. 539 c.p.p. condanna l'imputato al pagamento in favore della parte civile della somma di
Euro 15.000,00 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva.
Visto l'art. 544 c.p.p. indica il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione della
sentenza.
Conclusione
Così deciso in Pescara, il 12 febbraio 2025.
Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2025.
12-07-2025 00:52
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