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Sentenza

Ritardare il versamento da parte del concessionario delle giocate riscosse per conto della P.A. è peculato?
Ritardare il versamento da parte del concessionario delle giocate riscosse per conto della P.A. è peculato?
Cassazione penale sez. VI, 29/09/2022, (ud. 29/09/2022, dep. 11/10/2022), n.38339

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE SESTA PENALE                         
              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
Dott. FIDELBO     Giorgio       -  Presidente   -                    
Dott. CAPOZZI     Angelo        -  Consigliere  -                    
Dott. SILVESTRI   Pietro        -  Consigliere  -                    
Dott. TRIPICCIONE Debora        -  Consigliere  -                    
Dott. DI GIOVINE  Ombretta -  rel. Consigliere  -                    
ha pronunciato la seguente:                                          
                     SENTENZA                                        
sul ricorso proposta da: 
          D.M.A., nata a (Omissis); 
avverso la sentenza del 12/04/2022 della Corte d'appello di Salerno; 
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; 
udita la relazione del consigliere Dr. Di Giovine Ombretta; 
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del 
Sostituto Procuratore generale Dr. Epidendio Tomaso, che ha concluso 
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. 
                 

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 aprile 2022, la Corte d'Appello di Salerno confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Vallo della Lucania nei confronti di D.M.A. per peculato (art. 314 c.p.), essendosi la stessa appropriata, in qualità di titolare di una Ricevitoria Lotto, della somma di Euro 48.810,25, complessivamente riscossa mediante le giocate e di cui aveva il possesso per ragione del servizio svolto in regime di concessione amministrativa rilasciatale dall'Amministrazione dei Monopoli dello Stato per il servizio di raccolta del gioco del lotto, omettendone il versamento.

2. Avverso la sentenza l'imputata presenta ricorso, che articola in quattro motivi.

2.1. Nel primo motivo, la ricorrente lamenta erronea interpretazione dell'art. 358 c.p., sulla definizione dell'incaricato di un pubblico servizio, argomentando - anche sulla scorta della giurisprudenza di legittimità espressasi con riferimento all'addetto alla biglietteria ferroviaria - come l'esercizio di una ricevitoria del lotto si estrinsechi in attività meramente materiali, le quali fungono da sbarramento verso il basso della nozione codicistica di pubblico servizio.

Tale lettura sarebbe confermata dalla L. 2 agosto 1982, n. 528, che articola il gioco in fasi, tutte caratterizzate da un sistema di "automazione", delle quali soltanto le prime due - raccolta delle scommesse ed emissioni dello scontrino - sono devolute al ricevitore, il quale le espleta attraverso una macchina, le altre fasi - riscontro delle scommesse e convalida delle vincite - restando invece in capo alla commissione di zona.

Secondo il ricorrente, le sentenze di merito sarebbero, dunque, pervase da una visione anacronistica, legata al controllo totale dello Stato sul gioco d'azzardo e non terrebbero conto dei cambiamenti intervenuti, anche a livello normativo, che hanno comportato un'ampia diffusione dei giochi, realizzabili anche su internet, senza mediazione umana.

Nemmeno la disciplina della materia e', d'altronde, oggi necessariamente più affidata alla normativa primaria, potendo essere dettata con semplice decreto dirigenziale (D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 3, come modificato dalla L. 14 settembre 2011, n. 148).

2.2. Nel secondo motivo la ricorrente si duole dell'erronea applicazione della fattispecie di peculato (art. 314 c.p.), essendo stata costretta all'inadempimento da forza maggiore (art. 45 c.p.). Il marito l'avrebbe infatti sostituita sul lavoro per una ventina di giorni, durante i quali era stata malata, sottraendo a sua insaputa gli incassi, come dimostra il fatto che, una volta notificata l'intimazione, l'imputata si adoperò immediatamente per cedere la rivendita, così da ricavare la provvista per restituire la somma.

Nessuna volontà, dunque, di impossessarsi del danaro sarebbe configurabile in capo alla D.M..

2.3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta erronea applicazione della legge penale sostanziale quanto al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), avuto riguardo alle modalità del fatto, all'entità del pericolo conseguente e all'avvenuta restituzione della somma, maggiorata di penali ed interessi, oltre che alla non abitualità del comportamento e all'intensità del dolo.

3. L'imputata presenta altresì una memoria conclusionale in cui replica alle osservazioni svolte dal Procuratore generale sua requisitoria scritta, negando la sussistenza della qualifica soggettiva e rappresentando come, ai fini della consumazione del delitto di peculato, occorra la interversione del possesso, non essendo sufficiente un mero ritardo.

4. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso merita accoglimento per la parte e le ragioni di seguito precisate.

2. Infondata appare la censura, sollevata nel primo motivo, relativa all'insussistenza della qualifica soggettiva in capo all'imputata.

Per tradizione giuridica, recepita dalla formulazione testuale dell'art. 358 c.p., la figura dell'incaricato di un pubblico servizio è classicamente incarnata dal "concessionario" e cioè da persona la quale svolga un'attività, di titolarità statale quantomeno in via originaria, in virtù di un atto di "delega" dello Stato.

Tale e', senza dubbio, il provvedimento in virtù del quale l'imputata gestiva la ricevitoria del lotto.

In proposito, a poco vale osservare che il gioco del lotto sia stato pressoché totalmente automatizzato (nemmeno, peraltro, in modo completo, come riconosce la stessa ricorrente).

Il crescente contributo della tecnologia allo svolgimento di molte attività non ne fa, per ciò solo e secondo la superata terminologia codicistica, "mansioni di ordine o prestazione di opera meramente materiale", là dove non risultino, per ciò, annullati la mediazione umana e con essa i profili di agire discrezionale - come quelli inerenti alla corretta esecuzione delle attività di raccolta delle somme di danaro giocate - dal cui cattivo uso sono fatte legislativamente derivare forme di responsabilità, anche penale.

Ne', ovviamente, incide su tale conclusione la notevole diffusione del gioco d'azzardo o, tantomeno, la circostanza che il lotto possa, in astratto, essere espletato, tramite appositi siti, direttamente e totalmente per via informatica, attività realizzata, peraltro, anch'essa tramite la mediazione di concessionario ("Lottomatica").

Tale circostanza resta infatti irrilevante nel caso di specie, in cui le somme il cui mancato tempestivo versamento è stato ritenuto integrare il delitto di peculato erano state, invece, pagate da giocatori in contesti e con metodi più "tradizionali".

Le osservazioni appena svolte illuminano, inoltre, chiaramente la poca pertinenza del precedente richiamato per ampi stralci dalla ricorrente (sez. 6, del 11/07/2018, Rebutti, non mass.), che concerneva la configurabilità della qualifica soggettiva in capo non già al titolare della concessione, bensì al mero impiegato (addetto allo sportello) preposto allo svolgimento dell'attività ad altri delegata in regime di concessione ed il cui adempimento, in quel caso, effettivamente presentava, dunque, connotazioni soltanto materiali.

Ne' risulta, infine, dirimente il richiamo al citato D.L. 13 agosto 2011, art. 2, comma 3, il quale ha attribuito al Ministero dell'Economia e delle Finanze il potere di emanare "tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate" e che peraltro precisa, nella sua parte finale, come tali maggiori entrate debbano essere "integralmente attribuite allo Stato", a testimonianza dell'interesse che questo continua a dedicare all'attività in oggetto.

Il suddetto arresto, infatti, lungi dal dar luogo alla deregolamentazione della materia, ne realizza una semplice delegificazione che, come tale, non nega ma, semmai, riafferma il requisito legislativo della disciplina ad opera "di norme di diritto pubblico e di atti amministrativi", anche noto come criterio di c.d. delimitazione esterna (in quanto teso a distinguere l'area di attività pubblica da quella privata), richiesto per la sussistenza delle qualifiche soggettive pubblicistiche (artt. 357 e 358 c.p.) e di incaricato di pubblico servizio in particolare, la cui configurabilità, in conclusione, va ribadita nel caso di specie, conformemente all'orientamento già segnato da questa Corte (vd. Sez. 6, n. 4937 del 30/04/2019, dep. 2020, Defraia, Rv. 278116).

2. Fondata appare invece, seppur nei termini, parzialmente diversi, di seguito precisati, la doglianza espressa nel secondo motivo di ricorso, là dove l'imputata invoca una causa di forza maggiore, rappresentata dalla sua assenza per malattia dal luogo di lavoro, assenza che le avrebbe impedito il tempestivo versamento delle somme allo Stato.

2.1. In proposito, va premesso che, secondo una giurisprudenza di questa Corte, il denaro incassato dal raccoglitore delle giocate del lotto che - come appena osservato - riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, è di pertinenza della pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione, sicché il mancato versamento delle somme riscosse per l'esercizio di tale gioco dal concessionario dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato può integrare il delitto di peculato (Sez. 6, n. 4937 del 30/04/2019, cit.). Secondo tale orientamento, sviluppatosi anche in settori analoghi, l'agente non sarebbe, infatti, un mero debitore dello Stato, ma un suo "agente contabile", appartenendo il denaro sin dal momento della riscossione alla pubblica amministrazione (Sez. U, n. 6087 del 24/09/2020, dep. 2021, Rubbo, Rv. 280573, con riferimento all'esercizio degli apparecchi da gioco leciti di cui all'art. 110, commi se6sto e 7, TULPS).

2.2. Anche muovendo tale premessa, ai fini della sussistenza del peculato, questo collegio ritiene debba ricorrere, tuttavia, un quid pluris rispetto al semplice omesso tempestivo versamento delle somme.

Procedendo per gradi, come evidenziato nel ricorso e ancor più chiaramente nella memoria conclusionale, perché si configuri il delitto di peculato, occorre che sia integrato l'elemento della "appropriazione", e cioè che l'agente abbia agito uti dominus, in tale caratterizzazione della condotta condensandosi il peculiare disvalore della fattispecie.

L'individuazione del momento in cui l'agente abbia "invertito il titolo di possesso" e si sia dunque appropriato del bene o del denaro può, però, rivelarsi dubbia là dove la condotta - è il caso che qui interessa - non si estrinsechi in comportamenti attivi, di per sé solitamente espressivi della volontà del reo di agire come se fosse il proprietario del bene o delle somme di denaro, bensì consti di una mera ritenzione, di un "non fare", ovverosia di un'omissione protratta per un certo lasso di tempo, ma comunque seguita dal versamento delle somme di denaro di pertinenza statale, seppure oltre il termine massimo imposto dalla legge.

2.3. In proposito, non si ignora che una precedente sentenza di questa Corte, concernente un caso largamente sovrapponibile a quello in esame, ha ritenuto sussistenti, nella condotta dell'agente, gli estremi del peculato.

Sez. 6 n. 31920 del 06/06/2019, Orsi, Rv. 276805, dopo aver ricordato che "la sottrazione della "res" alla disponibilità dell'ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, realizza una inversione del titolo del possesso "uti dominus" idonea ad integrare la fattispecie del peculato che è un reato a consumazione istantanea" ha argomentato che "commette il reato di peculato il concessionario titolare dell'attività di raccolta delle giocate del lotto che ometta il versamento all'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato delle somme riscosse per le giocate, atteso che il denaro incassato dall'agente - che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio - e', sin dal momento della sua riscossione, di pertinenza della P.A., ed il reato di peculato non può consumarsi prima dello spirare del termine fissato dalla legge o dal contratto di concessione per effettuare il versamento sotto la comminatoria della revoca della concessione contenuta nell'intimazione che l'amministrazione è tenuta ad inviare al concessionario per sollecitare il versamento, e sempre che la sottrazione del denaro si sia protratta per un tempo tale da rendere evidente la volontà di appropriarsene".

2.4. Proprio prendendo spunto da tali ultime affermazioni, questo Collegio ritiene però opportuno precisare come, nelle ipotesi di ritardo nel versamento delle somme di denaro originariamente spettanti allo Stato, non necessariamente sussista - per ciò solo - il delitto di peculato, quando il denaro sia comunque versato, sebbene oltre il termine previsto nella diffida.

Intende, cioè, puntualizzare che la valutazione sulla interversio possessionis va effettuata, di caso in caso, sulla base dell'attenta considerazione delle circostanze di fatto, evitando comode ma perniciose semplificazioni probatorie che trasformerebbero la fattispecie di peculato, gravemente punita, in un reato "formale".

Al di là dei casi in cui sia prevista la costituzione di conti corrente "dedicati" (vd. Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019, dep. 2020, Boggione, Rv. 278708), nei quali l'inadempimento all'obbligo di versare sugli stessi il denaro rappresenta un chiaro sintomo della condotta appropriativa, nonché di altre possibili situazioni in cui la volontà di comportarsi uti dominus dell'agente possa essere comunque evinta da circostanze fattuali di contesto, perché sussista il delitto di cui all'art. 314 c.p., occorre, infatti, che la sottrazione della "res" alla disponibilità dell'ente pubblico si sia pur sempre protratta per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile e comunque tale da denotare inequivocabilmente l'atteggiamento "appropriativo" dell'agente, il cui disvalore soltanto - lo si ripete - giustifica l'entità dell'editto sanzionatorio previsto nella fattispecie.

D'altronde, nel senso che il mero ritardo nel versamento non integri, di per sé, l'appropriazione del peculato si è espressa la stessa giurisprudenza di legittimità, come nella già citata Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019 (dove - lo si è precedentemente ricordato - il peculato è stato però ritenuto in quanto l'agente faceva confluire il denaro su un conto corrente a lui intestato, piuttosto che su quello dedicato) oppure in Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335, nella cui motivazione, proprio sulla scorta del precedente appena citato, si trova affermato che, sempre "in tema di peculato, l'appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all'erario, si realizza non già per effetto del mero ritardo nell'adempimento, bensì allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, condotta che non necessariamente può essere ritenuta insita nella mancata osservanza del termine di adempimento".

2.5. Tornando alla specifica materia che ci occupa, il principio per cui il mero ritardo nel versamento allo Stato delle somme riscosse dal concessionario della ricevitoria del lotto come contropartita delle giocate non integra, di per sé, il delitto di peculato di cui all'art. 314 c.p., trova, d'altronde, conferma interpretativa nei dati legislativi di sistema, i quali reprimono le condotte di ritardo a diversi titoli, assai meno gravi.

L'ordinamento sembra, cioè, delineare una sorta di progressione nell'illecito. Muove dall'ipotesi di mero illecito amministrativo prevista dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 33, comma 2, secondo il quale "il ritardato versamento dei proventi

del gioco del lotto è soggetto a sanzione amministrativa stabilita

dall'autorità concedente nella misura minima di lire 200.000 e massima di lire 1.000.000 oltre agli interessi sul ritardato pagamento nella misura di una volta e mezzo gli interessi legali".

Passa per la L. 19 aprile 1990, n. 85, art. 8, a mente del cui comma 1 "il raccoglitore del gioco del lotto che effettua il versamento dei proventi estrazionali della raccolta oltre il giorno di giovedì della settimana successiva all'estrazione è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni" (ed il cui comma 2 esclude peraltro la punibilità dell'agente che esegua il versamento in modo frazionato, adempiendo totalmente entro sette giorni dal ricevimento di apposito avviso dell'ufficio competente).

Si conclude con l'art. 314 c.p., la cui risposta sanzionatoria deve essere parametrata alla gravità della condotta contestata, che non può essere sovrapposta a mere, seppur deplorevoli, inadempienze contrattuali verso la parte pubblica, ma va configurata nei soli casi in cui dalle caratteristiche del fatto emerga senza ombra di dubbio l'inversione del titolo del possesso, vale a dire, che l'agente abbia agito uti dominus.

3. Venendo, allora, al caso oggetto del presente giudizio, le sentenze di merito non riportano l'evidenza dell'avvenuta appropriazione da parte di D.M. e, dunque, della realizzazione di un peculato.

Al contrario, dalla loro lettura risulta che dalle risultanze probatorie era emerso come la donna si fosse assentata per un periodo di tempo dal lavoro, per ragioni di salute e che abbia, dunque soltanto ritardato, sebbene oltre il termine dell'intimazione, il versamento delle somme dovute. Ne' può condividersi l'affermazione del giudice di secondo grado, per cui tale deduzione fosse logicamente insostenibile, posto che, in ragione dello strettissimo rapporto tra i due, D.M. avrebbe potuto/dovuto impartire direttive al marito affinché provvedesse immediatamente al versamento. Così argomentando, si finirebbe, infatti, con il far trascendere, in modo tanto surrettizio quanto inaccettabile, il peculato in delitto colposo.

4. Il terzo motivo di ricorso è assorbito, e comunque non avrebbe potuto essere accolto, esuberando la pena prevista dall'art. 314 c.p. ampiamente i limiti previsti dall'art. 131-bis c.p..

5. Nessun elemento ulteriore essendo stato posto a fondamento del convincimento espresso dai giudici di merìto, la sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio.
PQM
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria, il 11 ottobre 2022
Avv. Antonino Sugamele

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