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Sentenza

Due trapanesi condannati a pene severissime per peculato. Si sono appropriati di 50.000 euro mentre erano Presidente e Vice presidente di una Associazione di pubblico soccorso
Due trapanesi condannati a pene severissime per peculato. Si sono appropriati di 50.000 euro mentre erano Presidente e Vice presidente di una Associazione di pubblico soccorso
Cassazione Penale Sent. Sez. 6 Num. 18960 Anno 2022
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: PATERNO' RADDUSA BENEDETTO
Data Udienza: 22/03/2022
SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. C.S. , nato a T. il ..............
2. P.S. , nato a T. il ..............
avverso
la sentenza della Corte di appello di Palermo del 13 gennaio 2021
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Benedetto Paternò Raddusa;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale
Nicola Lettieri, che ha concluso per la reiezione del ricorso del P. e per la
inammissibilità del ricorso presentato nell'interesse del C.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza descritta in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha dato
conferma alla sentenza del Tribunale di Trapani con la quale S.C. e
S.P. sono stati condannati il primo ad anni due e giorni quindici di
reclusione e il secondo ad anni tre e mesi sei di reclusione perchè ritenuti
responsabili dei reati di peculato loro ascritti in concorso, uniti dal vicolo della
continuazione.
2. In particolare, secondo la ricostruzione in fatto asseverata dalla Corte del
merito, i due imputati, P. quale Presidente e C. quale vicepresidente della
Onlus denominata "Pubblica Assistenza Trapani Soccorso" si sarebbero appropriati
in due diversi momenti (emettendo e riscuotendo due diversi assegni tratti sul
conto corrente postale acceso in favore della associazione) della somma di euro
50.000 euro corrispondente al portato pressochè integrale del contributo pubblico
garantito dal Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio
dei Ministri alla citata associazione, destinato, in quota parte a finanziare un
progetto ( l'acquisto di una tenda pneumatica da asservire a scopi di protezione
civile).
Conclusione, questa, fondata sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie del
C. (che ha confermato di aver negoziato i detti titoli una volta acquisita notizia
dell'avvenuto bonifico relativo al contributo erogato dal Dipartimento della
protezione civile e di aver poi trattenuto per se 20.000 euro e consegnato al P.
gli altri trentamila euro incassati a tale titolo), confortate e integrate, quanto al
coinvolgimento nel fatto del P. dall'ulteriore materiale istruttorio acquisito,
comprese le stesse dichiarazioni rese dal P. innanzi alla Nucleo di Polizia
tributaria di Trapani e la nota redatta da quest'ultimo in risposta alla richiesta di
rendicontazione sollecitata dal Dipartimento della protezione civile nel mese di
ottobre del 2009.
3. Interpongono autonomi ricorsi i due imputati tramite i rispettivi difensori.
3.1. Nell'interesse di S.P. si deduce:
- violazione di legge in relazione all'art. 314 cod. pen per l'erronea
configurazione del fatto in termini di peculato sia perché difettava il requisito
soggettivo della qualifica di incaricato di pubblico servizio ascritta ai due imputati
(dovendosi escludere la natura pubblicistica delle Onlus), sia perché la somma
oggetto di asserita condotta appropriativa difettava della caratteristica
dell'altruità, per essersi confusa nel patrimonio dell'associazione una volta
bonificata dal dipartimento della protezione civile, dovendosi ricondurre il rapporto
tra l'associazione in questione e la pubblica amministrazione in termini di appalto
pubblico di servizi (la somma erogata, diretta a retribuire la prestazione promessa
dall'appaltatore da rendere nell'interesse dell'ente committente, si sarebbe risolta
in un mero contributo a fondo perduto - erogato in misura inferiore a quanto
richiesto e in data successiva allo stesso acquisto del bene oggetto del progetto
all'uopo finanziato- riguardo al quale l'ente pubblico erogante non avrebbe mai
chiesto la prova della relativa utilizzazione, avendo solo sollecitato la
dimostrazione della mera realizzazione del progetto stesso, proprio perché
mancava il vincolo pubblicistico di destinazione quanto a detti importi);
- vizio di motivazione in relazione al concorso del ricorrente nella condotta
materiale oggetto di contestazione, per il travisamento e la manifestamente
illogica lettura di elementi probatori decisivi nel ritenere attendibili e riscontrate le
dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal coimputato C., con riguardo,
in particolare, all'omessa valutazione
delle sommarie informazioni testimoniali rese da B.S. (dalle
quali emergerebbe l'ignoranza del P. quanto ai fatti di gestione
dell'associazione, unicamente riferibili al C. anche nei suoi risvolti finanziari,
tanto da sconoscere anche il prelievo delle somme oggetto di contestazione);
`›.- della nota di riscontro del 9 dicembre 2009 inviata presso il Dipartimento
della Protezione Civile (che riguardava unicamente la rendicontazione inerente la
realizzazione del progetto senza comprovare la consapevolezza dell'imputato
quanto alla avvenuta erogazione del contributo) e delle dichiarazioni rese dallo
stesso imputato, puntualmente lineari e coerenti con il tenore dei fatti illustrati
nella querela del 6 maggio 2010, con la quale il ricorrente aveva denunziato
l'indebito incasso, da parte di ignoti dei due titoli, con firma di traenza e girata
apocrifa, attraverso i quali sarebbe stata realizzata la condotta appropriativa
oggetto della regiudicanda;
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato
riconoscimento delle generiche e alla misura della pena, del tutto sproporzionata
rispetto al fatto, determinata senza attenersi agli indici di commisurazione dettati
dall' 133 cod. pen.
3.2. Nell'interesse di S.C. si adduce un unico motivo di ricorso
diretto a contrastare la configurabilità del peculato sempre sotto il versante,
dedotto anche dalla difesa dell'altro ricorrente, della assenza di una destinazione
vincolata del contributo erogato nell'occasione e quindi dell'altruità degli importi
oggetto di appropriazione, confusi nel patrimonio della Onlus una volta erogati.
In presenza di condotte da riqualificare in termini di appropriazione indebita,
la difesa ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Con memoria pervenuta il 7 marzo 2021 nell'interesse del P. sono state
ribadite le conclusioni esposte con il ricorso.
5. Con memoria pervenuta il 14 marzo, il difensore di C., oltre a ribadire
le conclusioni del ricorso ha messo in evidenza l'intervenuta prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni precisate di seguito.
2. In fatto, è incontroverso che, immediatamente dopo l'accredito del
contributo garantito dal Dipartimento della Protezione Civile all'associazione
gestita, formalmente e in fatto, dal P. e dal C. per l'acquisto di una
tensostruttura pneumatica, un importo sostanzialmente corrispondente (50.000
euro su 51.685) venne prelevato dal detto conto di accredito mediante la
negoziazione di due diversi assegni la cui provvista, secondo il racconto del
C., sarebbe stata ripartita tra i due ricorrenti.
In questa cornice fattuale (che solo il P. contesta, essendosi sempre
professato estraneo alla vicenda tanto che a circa dieci mesi di distanza da tale
negoziazione ebbe a denunziare l'indebita appropriazione delle somma in
questione, imputandola ad ignoti), il dato inerente il vincolo pubblicistico apposto
sulle somme bonificate dal Dipartimento della protezione civile, successivamente
distratte così da realizzare l'attività appropriativa in contestazione, assume un
rilievo dirimente nell'ottica della astratta configurabilità dei peculati contestati agli
imputati, messa in discussione da entrambi i ricorsi.
3.La Corte del merito, infatti, ha informato la decisione assunta alle indicazioni
di principio offerte dalla giurisprudenza di questa Corte, che questo Collegio
condivide e fa proprie, in forza delle quali "il presidente di un'associazione di
volontariato, facente parte del sistema integrato di protezione civile, riveste la
qualifica di incaricato di pubblico servizio, con la conseguenza che la condotta di
appropriazione di somme di denaro, erogate all'associazione dalla Direzione
Regionale della protezione civile per il perseguimento delle finalità pubbliche del
sistema, integra il delitto di peculato (Sez. 6, n. 14171 del 29/01/2020, Rv.
278759), sempre che il trasferimento del denaro da parte del suddetto ente sia
avvenuto con un vincolo di destinazione, risultante da espressa diposizione
normativa o da una sua manifestazione di volontà, in virtù del quale la gestione
del denaro, che conserva la sua natura di pecunia pubblica, comporta lo
svolgimento di un servizio pubblico (Sez. 6, n. 51923 del 09/11/2016, Rv.
268561).
4. In linea con tali indicazioni, infatti, va ribadito che nel pervenire alla
qualifica soggettiva dei due ricorrenti quali incaricati di pubblico servizio non è
decisiva la natura pubblica dell'ente cui gli stessi risultano organicamente inseriti.
Più volte, infatti, si è precisato, quale diretta conseguenza del criterio oggettivofunzionale
adottato dal legislatore in esito alla novella apportata con la legge n.
181 del 1992, che la qualifica pubblicistica dell'attività prescinde dalla natura
dell'ente in cui è inserito il soggetto e dalla natura pubblica dell'impiego svolto dal
soggetto agente. Possono, dunque, rientrare nelle categorie qualificate di cui agli
artt. 357 e 358 cod. pen. anche soggetti inseriti nella struttura organizzativa di
una società per azioni, quando l'attività della società sia
disciplinata da norme di diritto pubblico e persegua delle finalità pubbliche, sia
pure per il tramite di strumenti privatistici (da ultimo, Sez. 6, n. 19484 del
23/01/2018, Bellinazzo, Rv.273781).
Rileva, piuttosto, l'attività svolta dall'ente di riferimento e quella
concretamente spiegata dal soggetto agente. E in questa ottica, proprio con gli
arresti citati dalla Corte del merito e sopra indicati, avuto riguardo ad enti coinvolti
nel medesimo spazio di azione dell'associazione gestita dai ricorrenti, si è
rimarcato che deve intendersi per "protezione civile" l'insieme delle attività volte
a tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni e dai
pericoli che derivano da calamità. Si tratta di un sistema articolato e complesso
fondato sulla previsione e prevenzione dei rischi, del soccorso alle popolazioni
colpite, del contrasto e del superamento dell'emergenza e della mitigazione dei
rischi con compiti, dall'evidente risvolto pubblicistico,
che fanno capo a più amministrazioni pubbliche in un ambito complessivo del quale
fanno parte anche le organizzazioni di volontariato, le quali ultime
collaborano ad assicurare in ogni area la presenza di risorse umane, mezzi e
capacità operative in grado sia di intervenire rapidamente in caso di emergenza,
sia di operare per prevenire e, per quanto possibile, prevedere eventuali disastri,
come previsto dalla legge n. 225 del 24
febbraio 1992, istitutiva del Servizio Nazionale della protezione civile.
In questa cornice diviene dunque comprensibile il potenziale vincolo di
destinazione funzionale delle risorse di cui le associazioni di volontariato sono
destinatarie da parte del sistema della protezione civile; e ciò spiega anche perchè
i soggetti dotati di compiti gestori all'inter2) di dette organizzazioni, come gli odierni
imputati, proprio in considerazione dell'attività che l'ente compie, devono essere
considerati incaricati di pubblico servizio allorquando gestiscono fondi trasferiti
all'organizzazione di volontariato nell'ottica volta alla realizzazione di tali compiti
di matrice pubblicistica, risultando formalmente vincolati a tale ragione.
5.In questa cornice di riferimento, emerge con immediata evidenza
l'inconferenza del riferimento operato dalle difese alla giurisprudenza di questa
Corte in forza della quale deve escludersi la configurabilità del delitto di peculato
in relazione alla condotta di indebita gestione e destinazione, da parte
dell'appaltatore, di somme di provenienza pubblica, la cui ricezione costituisce il
pagamento, da parte dell'appaltante soggetto pubblico, del corrispettivo per
l'attività di fornitura di un servizio pattuito" (cfr. Sez. 6, sent. n. 41579 del
05.06.2013, Rv. 256803; conf. Sez. 6, sent. n. 3724 del 19.12.2012 - dep.
23.01.2013, Rv. 254432), trattandosi, per l'appunto, di arresti inerenti l'illecita
appropriazione di somme erogate a titolo di corrispettivo pattuito per prestazioni
rese nell'ambito di un contratto di appalto di servizi, ipotesi evidentemente
eccentrica al caso di specie.
5.1. Per altro verso, con altrettanta immediatezza, emerge con chiarezza il
vincolo di destinazione impresso su tali somme alla luce delle indicazioni
argomentative segnalate dalla Corte del merito siccome puntualmente desunte
dalle risultanze istruttorie.
In particolare, come del resto confermato dal tenore del ricorso, i fondi
accreditati sul conto dell'associazione risultavano immediatamente correlati alla
partecipazione da parte dell'ente ad un progetto indetto dal Dipartimento della
Protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e diretto all'acquisto
di una specifica struttura (una tensostruttura tubo-pneumatica) strumentale ai
compiti di protezione civile propri dell'ente in questione. E tanto trova conferma
inequivoca nella sollecitazione proveniente dall'ente erogante quanto al rendiconto
relativo alla realizzazione del progetto in questione dopo l'erogazione del
contributo, aspetto in fatto che rende incontrovertibile il detto nesso di
destinazione coerentemente posto a fondamento della veste giuridica ascritta alla
condotta a giudizio dai giudici del merito.
Che poi l'importo al fine finanziato non ebbe a coprire l'intero esborso
necessario per l'acquisto è aspetto in fatto che non incide sulla matrice
pubblicistica dei fondi stessi, destinati a rimanere tali anche se diretti a coprire
solo in parte l'esborso. Piuttosto, avrebbe potuto assumere rilievo, nell'ottica della
addotta confusione con le disponibilità dell'associazione, il dato in fatto
dell'awenuto pagamento del bene in questione con fondi della associazione
anticipati e poi in parte successivamente coperti dal finanziamento pubblico: ma
siffatta emergenza non solo non trova conferma nelle allegazioni difensive ( che si
limitano ad affermarla) ma risulta anzi smentita dalle stesse dichiarazioni rilasciate
dal P. al Nucleo di Polizia Tributaria ( allorquando ebbe a dichiarare di aver
curato personalmente il pagamento di un acconto al fornitore in epoca successiva
alla data di trasferimento dei fondi pubblici in questione: si veda pagina 13 della
sentenza).
Da qui la manifesta infondatezza del ricorso del C. e del primo motivo di
doglianza del ricorso riferito al P.
6.Una sorte non diversa merita il secondo motivo di ricorso prospettato
nell'interesse di S.P., che deve ritenersi inammissibile in quanto
sostanzialmente orientato a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte
in sede di appello, puntualmente scrutinate e correttamente disattese dai Giudici
di merito, oltre che diretto a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle
risultanze processuali, imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa
delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio
improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità
che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali della decisione qui
impugnata. Piuttosto che rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu °culi
percepibili, con il ricorso si mira infatti ad ottenere un non consentito sindacato
sulle scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha
adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del
tema d'accusa con argomentazioni che peraltro l'odierna impugnazione difetta di
contrastare con la dovuta specificità nell'ottica dell'acquisito riscontro alle
propalazioni auto ed etero accusatorie rese dal coimputato C., dalle quali
emerge il diretto coinvolgimento del ricorrente nei fatti a giudizio.
6.1. Più precisamente, il portato della versione difensiva, costruita sulla falsa
riga della denunzia-querela presentata dal P. nel maggio del 2010 1 risulta
puntualmente smentito - quanto alla asserita assoluta estraneità del ricorrente
rispetto ai fatti di gestione della associazione in questione (perchè solo
formalmente rappresentata dallo stesso), all'affermata inconsapevolezza
dell'avvenuto incasso del finanziamento e degli assegni utilizzati per distrarne
l'importo nonchè in ordine alla causale giustificativa della detta denunzia - dalle
seguenti emergenze istruttorie, coerentemente sviluppate dalla sentenza
impugnata secondo un percorso inferenziale che non merita censure e
segnatamente:
dal riferimento alla nota resa in risposta alla sollecitazione volta ad ottenere
la rendicontazione proveniente dal Dipartimento della protezione civile,
pacificamente sottoscritta dal ricorrente, la quale, a tacer d'altro, proprio per le
connotazioni dell'atto (la richiesta di un rendiconto rispetto alla realizzazione del
progetto presuppone logicamente a monte che il contributo sia stato erogato),
dava conferma della consapevolezza in capo al ricorrente dell'avvenuta erogazione
del contributo;
dall' immediato coinvolgimento del P. proprio nella gestione relativa al
pagamento della struttura in questione dopo l'incasso del finanziamento (
comprovato dalle citate dichiarazioni rese alla Polizia tributaria), aspetto in fatto
che contrasta, quantomeno in relazione alla vicenda in questione, la rivendicata
estraneità dell'imputato alla gestione dell'ente;
dal lasso di tempo trascorso tra la data di incasso dei detti assegni,
l'erogazione del contributo e la denunzia, evidentemente proposta per allontanare
da se ogni possibile coinvolgimento in considerazioni dell'attività di indagine già in
corso relativa al pagamento della tensostruttura in questione.
Elementi in fatto, questi, che valgono ad integrare adeguatamente il propalato
del C. secondo una ricostruzione logica che non risulta minimamente inficiata
dal ricorso, attraverso il quale, peraltro, si prospettano travisamenti del tutto
insussistenti (il riferimento alla risposta relativa alla richiesta di rendiconto
proveniente dal Dipartimento, come già detto letta e interpretata dai giudici del
merito in linea con il portato logico che ne caratterizza il contenuto: si veda pagina
11, penultimo capoverso) o privi di contenuto decisorio (le dichiarazioni del
B. che non offrono elementi tali da contrastare alla radice il percorso
argomentativo tracciato dai giudici del merito sulla base degli altri elementi
acquisiti e valorizzati nell'ottica della conferma della sentenza di primo grado).
6. I motivi sul trattamento sanzionatorio sono altrettanto inammissibili: senza
operare un confronto effettivo con le valutazioni spese nel commisurare la pena e
nel negare le attenuanti generiche, il ricorso mira a sovvertire il tenore delle
relative valutazioni decisorie evocando vuote indicazioni di principio e di fatto
sollecitando la Corte di legittimità ad una nuova e non consentita valutazione di
merito dei relativi temi.
7. Alla inammissibilità seguono le pronunce di cui all'alt 616, comma 1 , cod.
proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22/3/2022.
Avv. Antonino Sugamele

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