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Sentenza

Pedopornografia: anche i file cancellati rientrano nel conteggio dell'ingente quantità
Pedopornografia: anche i file cancellati rientrano nel conteggio dell'ingente quantità
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 marzo – 24 giugno 2021, n. 24644
Presidente Rosi – Relatore Gentili

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 19 novembre 2019 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la condanna di M.L. alla pena ritenuta di giustizia pronunziata dal Tribunale di Reggio Calabria il precedente 7 dicembre 2018 essendo stato quello riconosciuto responsabile del reato di cui all'art. 600-quater c.p. aggravato ai sensi dell'art. 602-ter c.p., comma 9, per essersi egli procurato ed avere detenuto immagini a contenuto pedopornografico; con le aggravanti della ingente quantità e dell'avere egli utilizzato atti volti ad impedire la identificazione dei dati di accesso sulla rete informatica.
La Corte, ricostruite le fasi che avevano condotto alla identificazione del prevenuto come detentore di immagini a contenuto pedopornografico, ha rilevato che i motivi di impugnazione presentati dall'imputati, taluni aventi carattere processuale, in particolare in ordine alle modalità di acquisizione delle prove a carico del predetto, altri di carattere sostanziale, erano privi di pregio.
In particolare, quanto al primo profilo, attinente alle modalità di espletamento di taluni accertamenti sui supporti informatici in uso al prevenuto, la Corte di appello ha osservato che siffatte prove, in quanto non caratterizzate da profili di irripetibilità, posto che lo svolgimento delle indagini da parte della Pg non ha determinato alcuna modifica nei supporti informatici in sequestro, aveva lasciato del tutto impregiudicata la possibilità per la difesa dell'imputato di rinnovare le medesime operazioni tecniche compiute dalla Pg sui medesimi reperti, onde verificarne i risultati; pertanto le operazioni tecniche compiute in sede di indagini preliminari debbono intendersi legittimamente eseguite e, pertanto, i risultati di esse sono utilizzabili ad avviso della Corte di Reggio Calabria in sede di giudizio abbreviato.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, articolando sostanzialmente tre motivi di ricorso.
Il primo di essi riguarda, in sintesi, il tema della inutilizzabilità delle risultanze di taluni accertamenti irripetibili eseguiti dalla polizia giudiziaria in spregio di quanto per essi stabilito dall'art. 360 c.p.p..
In particolare il ricorrente ha osservato che per lo svolgimento di taluni di tali accertamenti, delegati dal Pm alla Polizia postale, veniva dato avviso alla difesa dell'imputato; gli stessi, pertanto, iniziavano in data 22 gennaio 2018 alla presenza, anche, del Consulente tecnico di parte designato dalla difesa del M. ; essi terminavano il successivo 16 marzo 2018; nessun successivo avviso era indirizzato alla difesa dell'imputato, sicché nessuna successiva delega di indagine veniva conferita dal Pm.
Ciononostante, nel corso del giudizio abbreviato il Gup disponeva ai sensi dell'art. 441 c.p.p., comma 5, l'esame di un funzionario della Polizia postale il quale riferiva in merito ad ulteriori indagini dal medesimo svolte nel maggio del 2018, apparentemente in assenza di delega ed apparentemente senza che sia stata dimostrata la piena identità fra i reperti informatici da lui in tale occasione consultati e quelli oggetto delle precedenti verifiche.
Le risultanze così acquisite sarebbero inutilizzabili secondo la ricorrente difesa, la quale si duole, in primo luogo, del fatto che, per opporsi al relativo motivo di appello, la Corte territoriale si sia acriticamente rifatta ad una ordinanza di rigetto della eccezione formulata in tale occasione dalla difesa del prevenuto emessa in sede di giudizio abbreviato dal Gup, omettendo una autonoma valutazione sul motivo di impugnazione, risultando così viziata per difetto di motivazione.
La difesa del ricorrente, ribadita la censura riferita alle modalità di estrazione delle copie di lavorazione dei supporti informatici in uso al M. , ha altresì, rilevato che i vizi in questione non possono ritenersi sanati o comunque non deducibili per effetto della scelta del rito abbreviato, avendo la difesa dedotto tale inutilizzabilità sin dal primo momento processuale in cui essa si era palesata.
Quale ulteriore censura la ricorrente difesa ha, altresì, lamentato il fatto che, per effetto del vizio nella acquisizione della prova, non vi sono elementi certi per ritenere che il materiale pedopornografico di cui al capo di imputazione fosse stato detenuto dal M. in quantità tale da integrare gli estremi della ingenza; d'altra parte una certa quantità di essi era contenuta nella memoria non accessibile dei predetti supporti informatici e non vi sono elementi per ritenere che il M. abbia mai fatto ricorso agli strumenti informatici che gli avrebbero potuto consentire l'accesso a tale parte della memoria dei supporti in questione; la impossibilità, pertanto, di quantificare files del tipo di cui alla contestazione effettivamente nella disponibilità del M. , era elemento che avrebbe imposto di escludere la loro ingente quantità.
Infine, il ricorrente ha contestato, sostenendone la mancanza di un'adeguata motivazione, la parte della sentenza con la quale è stata determinata la sanzione inflitta al prevenuto, senza che siano stati esplicitati i criteri seguito per la sua dosimetria.

Considerato in diritto

Il ricorso, essendone risultati infondati o inammissibili i motivi posti alla base, deve essere a sua volta rigettato.
Riguardo al primo motivo si rileva che lo stesso è sostanzialmente ripetitivo del motivo di impugnazione di fronte alla Corte di appello di Reggio Calabria con il quale erano state contestate le modalità di acquisizione in sede di indagini preliminari dei files contenenti le immagini pedopornografiche la cui acquisizione e detenzione è stata contestata al ricorrente.
In tal senso, pertanto, si rileva come la doglianza, atteso che nel presentarla il ricorrente non si è, in sostanza, confrontato con la motivazione della Corte di merito, limitandosi a riproporre le medesime censure da questa già esaminate e non contestando puntualmente le ragioni che avevano condotto la Corte calabrese a disattendere il motivo di impugnazione (e cioè la non irripetibilità degli accertamenti compiuti sui supporti informatici nella disponibilità del M. da parte della Polizia giudiziaria, i quali non sono stati manomessi a seguito delle indagini ma hanno conservato le loro originarie caratteristiche di struttura, contenuto ed accessibilità, di tal che nessuna violazione del diritto di difesa è riscontrabile nel loro svolgimento, potendo il ricorrente dimostrare di avere raggiunto, svolgendo analoghe indagini, risultati diversi da quelli della Pg e, comunque, lui più favorevoli), si palesi in realtà aspecifica in quanto non indirizzata a segnalare un effettivo difetto della sentenza impugnata ma volta a rimettere in discussione, senza alcun apporto di elementi di novità, un profilo decisionale già esaminato in sede di merito.
Riguardo al secondo motivo di impugnazione, con il quale la difesa dell'imputato si è doluta, con riferimento alla ritenuta violazione di legge, del fatto che a carico di quello sia stata considerata sussistenza la circostanza aggravante della ingente quantità del materiale pedopornografico acquisito e detenuto, si rileva che si tratta di doglianza infondata.
Premesso, infatti, che la nozione di ingente quantità non è nozione i cui confini siano rigidamente definiti in sede normativa, si rileva che, in ogni caso la stessa è stata ritenuta ravvisabile ogni qual volta, a prescindere dal numero dei files aventi il carattere pedopornografico detenuti dal soggetto, questi fossero, a loro volta, costituiti da un significativo numero di immagini (Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 agosto 2017, n. 39543, nella quale la caratteristica della ingenza è stata ravvisata nella detenzione di oltre un centinaio di immagini del tipo di quelle ora in questione; Corte di cassazione, Sezione III penale, 31 agosto 2016, n. 35866, nella quale la predetta aggravante è stata ravvisata allorché la detenzione aveva ad oggetto un filmato ed un compendio di circa altre 300 immagini ferme).
Nel caso in esame a carico del M. è stata rinvenuta una quantità di immagini aventi contenuto pedopornografico superiore di molto ai limiti di cui sopra, in relazione alla quale non vi è dubbio che la scelta della Corte territoriale di confermare la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto ricorrere la circostanza aggravante, sia stata la più corretta.
Deve, peraltro, osservarsi come con maggior rigore, sul punto, debba essere esaminato il caso della detenzione di filmati, che il M. aveva in numero non certamente irrisorio, aventi contenuto pedopornografico, essendo di comune esperienza che da essi, attraverso la estrapolazione dei singoli frames, cioè di quelle parti elementari del filmato che nella cinematografia digitale hanno sostituito i fotogrammi della cinematografia tradizionale, sia possibile ricavare un numero moto elevato di immagini diverse, pur partendo da un unico file di provenienza, in tal modo, evidentemente moltiplicando gli effetti dannosi della possibile diffusione delle immagini stesse.
La affermazione che, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 600-quater c.p. le immagini debbano essere immediatamente fruibili dall'agente e che, pertanto, dal novero delle stesse debbano essere escluse quelle già cancellate o comunque non immediatamente accessibili è frutto di una personale ricostruzione ermeneutica del ricorrente, posto che la norma non fa assolutamente riferimento ad una contestualità temporale della detenzione ed indubbiamente ciò che è stato cancellato o, comunque, volontariamente accantonato in parti anche non più facilmente accessibili della memoria elettronica degli strumenti informatici se è stato acquisito dall'agente e da questi, sia pure per il solo tempo del suo accantonamento o cancellazione, detenuto vale ad integrare gli estremi del reato contestato, ove tali operazioni siano state, come nel caso di specie appare essere non contestato, consapevolmente eseguite.
Con riferimento al terzo motivo di impugnazione, riguardante la dosimetria sanzionatoria, contestata con riferimento alla mancata indicazione dei criteri che hanno presieduto alla sua determinazione, sì rileva che il M. è stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, tenuto conto del fatto che a carico dello stesso erano state riconosciute talune circostanze aggravanti; al riguardo ha osservato la Corte di Reggio Calabria che i motivi di impugnazione formulati sul punto dalla ricorrente difesa avevano avuto, appunto, ad oggetto la ricorrenza di tali aggravanti, fattore questo che, una volta confermata la loro sussistenza da parte della Corte territoriale, ha giustificato la conferma della sanzione a suo tempo irrogata, non essendo stata siffatta determinazione contestata, secondo la non criticata ricostruzione della Corte reggina, sotto altri e diversi profili.
Il ricorso del M. deve, pertanto essere rigettato ed il ricorrente, visto l'art. 616 c.p.p., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Avv. Antonino Sugamele

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