Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

La Corte di Cassazione non ha il potere di procedere ad una autonoma valutazione, adottando propri e diversi parametri di ricostruzione dei fatti, ritenuti così maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa poichè il giudice di legittimità ha esclusivamente il compito di controllare se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito.
La Corte di Cassazione non ha il potere di procedere ad una autonoma valutazione, adottando propri e diversi parametri di ricostruzione dei fatti, ritenuti così maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa poichè il giudice di legittimità ha esclusivamente il compito di controllare se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito.
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-09-2020) 21-10-2020, n. 29187

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino - Presidente -

Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere -

Dott. PACILLI Giuseppina - Consigliere -

Dott. SARACO Antonio - Consigliere -

Dott. MONACO Marco Maria - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.A., nato a (OMISSIS);

C.N., nato a (OMISSIS);

M.C.M., nato a (OMISSIS);

R.F.D.E., nato a (OMISSIS);

S.L., nato a (OMISSIS);

V.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 27/09/2018 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARCO MARIA MONACO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ZACCO FRANCA, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
Svolgimento del processo

La CORTE d'APPELLO di TORINO, con sentenza del 27/9/2018, ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di TORINO in data 7/9/2015 e, concesso il beneficio della sospensione condizionale della pene a M.C.M., esclusa la recidiva contestata e ridotta la pena irrogata a C.A., ha confermato nel resto la condanna nei confronti degli stessi e di C.N., R.F.D.E., S.L. e V.G. in relazione a diverse ipotesi di reato di cui all'art. 648 c.p..

1. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati che, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno dedotto i seguenti motivi.

2. Avv. Pesavento per R.F.D.E..

2.1. Vizio di motivazione della sentenza impugnata. Nell'unico motivo di ricorso la difesa evidenzia che la Corte territoriale non si sarebbe adeguatamente confrontata con i motivi dedotti in appello. In particolare, si rileva che in ordine alla conferma della condanna per il capo n 26 non si sarebbe tenuto nella dovuta considerazione la circostanza che il ricorrente al momento dei fatti era in Sicilia e, con riferimento al capo 42, all'assenza dell'elemento psicologico, che sarebbe escluso dal fatto che il ricorrente aveva richiesto di emettere regolare fattura e dall'avere pagato a mezzo assegni.

3. Avv. Voarino per C.A. e C.N..

3.1. Vizio di motivazione. Nell'unico motivo di ricorso la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alle doglienze dedotte nell'atto di appello in relazione al capo 31, per C.A., e in ordine al capo 21 bis, per C.N..

4. Avv. Perga per C.N..

4.1. Vizio di motivazione in relazione a(la mancata esclusione della recidiva. Nell'unico motivo di ricorso la difesa evidenzia che la motivazione inerente la valutazione del certificato penale, dal quale risulterebbe una responsabilità per il compimento di analoghi reati, commessi in epoca coeva ai fatti, sarebbe contraddittoria.

Trattandosi di "fatti coevi", infatti, non si potrebbe parlare di recidiva. Dalla lettura del certificato, d'altro canto, risulterebbe un solo precedente, relativo alla ricettazione di un'arma, peraltro scoperta durante la perquisizione effettuata nel corso dell'esecuzione della misura cautelare disposta per il presente procedimento.

5. Avv. Gubernati per S.L..

5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento ai capi di imputazione di cui ai numeri 30, 40 e 41. Nel primo motivo la difesa rileva: quanto al capo 30), la Corte territoriale avrebbe errato la valutazione delle prova in ordine alla consapevolezza del ricorrente della provenienza illecita degli occhiali che, per come aveva sentito dal M., provenivano da un fallimento; quanto al capo 40), anche in relazione a tale capo di imputazione la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il ricorrente fosse consapevole delle provenienza illecita dei pezzi di ricambio di autovetture, merce per la quale aveva svolto il ruolo di intermediario a richiesta del M.; quanto al capo 41), alle medesime censure, infine, si esporrebbe la conclusione per la ricettazione delle smerigliatici, dei trapani e delle saldatrici, altri beni per i quali lo S. aveva svolto esclusivamente il ruolo di intermediario, incaricato sempre dal coimputato M..

5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Nel secondo motivo la difesa rileva che la motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 648 c.p., comma 2, delle attenuanti generiche, degli aumenti di pena per la continuazione dei reati e la determinazione della pena, sarebbe carente e illogica.

6. Avv. Foti per V.G..

6.1. Vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio. Nell'unico motivo la difesa rileva che la Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, avrebbe "posto una pena base che si discosta notevolmente del minimo edittale", senza neanche ritenere di escludere la recidiva e riconoscere le circostanze attenuanti generiche, pure a fronte dei precedenti penali e della particolare lesività del fatto.

7. Avv. Violo per M.C.M..

7.1. Violazione di legge in relazione all'art. 129 c.p.p.. Nell'unico motivo di ricorso la difesa evidenzia che la Corte territoriale, considerato che gli elementi emersi non erano sufficienti a "giustificare un giudizio di addebitabilità degli episodi contestati", avrebbe dovuto pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p..
Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili.

1. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4/1997, n. 6402, Rv. 207944; tra le più recenti: Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062).

La Corte, infatti, non ha il potere di procedere ad una autonoma valutazione, adottando propri e diversi parametri di ricostruzione dei fatti, ritenuti così maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa poichè il giudice di legittimità ha esclusivamente il compito di controllare se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito (cfr. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217).

Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), quindi, è esclusivamente quello di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv 235507).

Sotto altro profilo, poi, in generale, appare opportuno ribadire che il contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta, come anche ribadito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).

Tanto premesso in generale.

2. Le doglianze dedotte nel ricorso redatto nell'interesse di R.F.D.E. sono generiche e, comunque manifestamente infondate.

La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha infatti fornito congrua risposta alle critiche contenute nell'atto di appello ed ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun modo coerenti con quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale.

Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto all'inconsistenza delle censure3 contenute nell'atto di appello - oggetto di specifica e attenta valutazione nelle pagine 42, 43 e 44 della sentenza impugnata con puntuali riferimenti al contenuto delle intercettazioni telefoniche- la reiterazione in termini generici e apodittici della medesima critica risulta del tutto inconferente.

3. Le censure oggetto del ricorso presentato nell'interesse di C.A. sono generiche e manifestamente infondate.

La doglianza, contenuta nella mera affermazione secondo la quale la Corte territoriale si sarebbe limitata a ripercorrere le argomentazioni svolte dal primo giudice, senza confrontarsi adeguatamente con i motivi di appello, è infatti, a fronte dell'articolata motivazione contenuta a pag. 39, priva di specificità.

Detto motivo di ricorso è quindi privo dei requisiti di cui all'art. 591, lett. c), in relazione all'art. 581 c.p.p., lett. c), perchè le doglianze in esso contenute non evidenziano alcun elemento di critica "specifica" al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici.

A fronte della motivazione adeguata e coerente della sentenza impugnata sul punto, nella quale vi sono ampi riferimenti agli elementi acquisiti a carico del ricorrente in ordine alla responsabilità dello stesso per il reato di cui al capo 31 (confessione e conversazioni intercettate), d'altro canto, l'atto di ricorso è anche manifestamente infondato.

4. Le censure oggetto del ricorso presentato nell'interesse di C.N. sono generiche e manifestamente infondate.

4.1. Quanto alla doglianza dedotta con il ricorso sottoscritto dall'avv. Voarino valgono le medesime considerazioni di cui al punto 3.

L'atto è il medesimo redatto anche per C.A., con la sola differenza che si riferisce al reato di cui al capo 21 bis.

Anche con riferimento a C.N. la doglianza, contenuta nella mera affermazione secondo la quale la Corte territoriale si sarebbe limitata a ripercorrere le argomentazioni svolte dal primo giudice senza confrontarsi adeguatamente con i motivi di appello, è infatti, a fronte dell'articolata motivazione contenuta a pag. 40 e 41, aspecifica.

Detto motivo di ricorso è quindi privo dei requisiti di cui all'art. 591, lett. c), in relazione all'art. 581 c.p.p., lett. c), perchè le doglianze in esso contenute non evidenziano alcun elemento di critica "specifica" al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici.

A fronte della motivazione adeguata e coerente della sentenza impugnata sul punto, nella quale vi sono ampi riferimenti agli elementi acquisiti a carico del ricorrente in ordine alla responsabilità dello stesso per il reato di cui al capo 21 bis (confessione e dichiarazioni altri imputati), d'altro canto, l'atto di ricorso è anche manifestamente infondato.

4.2. La doglianza oggetto del ricorso redatto nell'interesse dello stesso C.N. dall'avv. Perga è manifestamente infondata.

La censura, evidenziando esclusivamente che il ricorrente avrebbe un unico precedente penale, non si confronta con la complessiva valutazione operata dalla Corte territoriale che, d'altro canto, proprio facendo riferimento alla pronuncia all'ultima condanna, ha dato adeguato conto del proprio ed attualizzato giudizio sulla personalità del ricorrente.

5. Le censure dedotte nell'interesse di V.G. sono generiche.

Nell'atto, infatti, vi è esclusivamente l'affermazione apodittica che la pena base si discosta notevolmente dal minimo edittale e che la recidiva non è stata esclusa, nè le generiche riconosciute, solo "a fronte dei precedenti penali e della particolarità del fatto reato".

Detto motivo di ricorso, che non si confronta in alcun modo con la motivazione della Corte territoriale è privo dei requisiti di cui all'art. 591, lett. c), in relazione all'art. 581 c.p.p., lett. c), perchè le doglianze in esso contenute non evidenziano il necessario elemento di critica "specifica" al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici.

6. Le doglianze dedotte nell'interesse di M.C.M. circa la violazione dell'art. 129 c.p.p. sono generiche e non consentite ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3.

Nell'atto, infatti, il ricorrente si limita ad affermare in termini apodittici, che la Corte avrebbe dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e la censura -peraltro formulata a fronte di un atto di appello nel quale erano stati dedotti esclusivamente motivi in ordine alla quantificazione degli aumenti in continuazione e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, quest'ultima accolta dalla Corte territoriale- non è pertanto consentita.

7. Le doglianze oggetto del ricorso redatto nell'interesse di S.L. sono manifestamente infondate.

7.1. Nel primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per i reati di cui ai capi 30, 40 e 41.

Tali doglianze, nelle quali si evidenzia sotto vari profili che la Corte territoriale sarebbe "incorsa in un errore di valutazione delle prove", tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.

Le censure esposte con il ricorso, infatti, a ben vedere si confrontano direttamente con i dati processuali e non già con la motivazione della sentenza secondo il paradigma stabilito dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in forza del quale il vizio della motivazione per avere rilievo in sede di legittimità deve essere desumibile dal testo del provvedimento impugnato. L'inosservanza della regola comporta che le censure attengano al merito della decisione impugnata, sollecitando una non consentita rivalutazione in fatto (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217).

Tanto premesso, d'altro canto, la motivazione della sentenza impugnata, che si salda ed integra con quella pronunciata dal giudice di primo grado, fornisce adeguata risposta alle doglianze dedotte nell'atto di appello e, con il riferimento alle ragioni per le quali la dichiarazione di reità risulta credibile, appare coerente con gli elementi emersi.

Capo 30). A pagina 45 della sentenza impugnata la Corte territoriale dà conto dei rapporti intercorsi tra il ricorrente e il M. e delle ragioni per le quali da tali contatti, anche oggetto di intercettazioni, si desume la sussistenza dell'elemento psicologico.

Capo 40). A pagina 46 della motivazione il riferimento alle intercettazioni, dalle quali si desume che i ricambi erano stoccati in un campo nomadi e che lo stesso ricorrente aveva fornito le notizie sulle modalità di spartizione della merce, risulta adeguato e coerente alla conclusione cui è pervenuto il giudice d'appello in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico.

Capo 41). Anche in questo caso il riferimento alle intercettazioni e ai rapporti intercorsi tra il M. e il ricorrente non appena gli oggetti erano stati rubati, contenuto nelle pagine 46 e 47, è adeguato a fondare un giudizio di sussistenza dell'elemento psicologico, non sindacabile in questa sede se non a fronte di una diversa e non consentita valutazione delle prove.

Quanto ai criteri di valutazione di tali elementi, d'alto canto, il rinvio ai principi stabiliti dalle Sezioni Unite e dalla successiva e pacifica giurisprudenza di legittimità in relazione all'accertamento dell'elemento psicologico è corretto (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324; Sez. 1, n. 27548 del 17/06/2010, Screti, Rv. 247718).

7.2. Nel secondo motivo la difesa rileva la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio e, in specifico, quanto al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 648 c.p., comma 2 e delle attenuanti generiche con criterio quanto meno di equivalenza rispetto agli aumenti operati in continuazione.

Le doglianze, dedotte anche nei termini della violazione di legge ma che si riferiscono alla completezza e alla logicità della motivazione, sono manifestamente infondate.

7.2.1. La conclusione della Corte territoriale quanto al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di ricettazione, nella quale si fa corretto riferimento ai principi enucleati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, non è sindacabile in questa sede.

La motivazione -fondata sia sul valore delle merci oggetto dei reati (1000 paia di occhiali, numerosi ricambi di autovetture, dei costosi attrezzi da lavoro) che sulla personalità del ricorrente- infatti, è adeguata è coerente agli elementi emersi.

7.2.2. La mancata motivazione quanto alla richiesta di procedere a un bilanciamento tra le riconosciute attenuanti generiche, per le quali è stata anche applicata la riduzione, e l'aumento di pena per la continuazione ex art. 81 c.p., comma 4, non determina alcun vizio.

La richiesta, che correttamente non era stata oggetto dei motivi di appello, infatti, fa riferimento a istituti tra loro non omogenei.

Le circostanze del reato prevedono un aggravamento o una attenuazione della pena in considerazione della minore o maggiore gravità del fatto.

La continuazione stabilisce i criteri per determinare la pena qualora il soggetto sia imputato di più reati, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

Gli aumenti e le diminuzioni di pena previsti in virtù di tali diversi istituti, pertanto, non possono costituire oggetto del giudizio di bilanciamento che, per l'appunto, l'art. 69 c.p., prevede per le sole circostanze aggravanti e attenuanti.

In merito alla diversa richiesta contenuta nell'atto di appello, cioè di ridurre la pena quantificata a titolo di aumento applicato in continuazione, d'altro canto, la Corte, con il richiamo alla "misura imposta dalla disciplina" ha motivato con giudizio di merito non sindacabile in questa sede.

All'inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, ai sensi dell'art. 616 c.p. e considerati i profili di colpa, si ritiene di quantificare in Euro duemila.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza