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Sentenza

L'estorsione è aggravata dal metodo mafioso quando vien fatto esplicito riferimento ad una cosca.  Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22/09/2020) 12-10-2020, n. 28332
L'estorsione è aggravata dal metodo mafioso quando vien fatto esplicito riferimento ad una cosca. Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22/09/2020) 12-10-2020, n. 28332
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22/09/2020) 12-10-2020, n. 28332


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente -

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere -

Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere -

Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere -

Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 18/09/2018 della CORTE APPELLO di CATANZARO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;

udito l'avvocato PIZZUTO FRANCESCO il quale ha concluso depositando conclusioni scritte e nota spese delle quali ha chiesto la liquidazione per tutte le parti civili;

udito, per l'imputato, l'avvocato STRAVINO SERGIO il quale ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l'accoglimento.
Svolgimento del processo

1. La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza del 18/09/2018, confermava la pronunzia emessa in data 19/09/2017 dal G.U.P. del Tribunale di Catanzaro, all'esito di giudizio abbreviato, in forza della quale M.A. era stato ritenuto colpevole del reato di estorsione aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito con L. n. 203 del 1991 e condannato alla pena di giustizia.

2. Contro la suddetta sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputato, a mezzo difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi:

a. violazione degli artt. 56-629 c.p. per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto consumato il reato di estorsione contestato.

Il ricorrente sostiene che nel caso in esame si verteva in una chiara ipotesi di tentativo atteso che, in ragione dell'intervento della P.G., non vi era stato un spossessamento della persona offesa la quale aveva operato quale vero e proprio agente provocatore ed era ben conscia che trattavasi di operazione concordata con le forze dell'ordine al solo fine dell'arresto in flagranza mentre la condotta dell'imputato era stata in concreto inidonea a coartare la vittima;

b. violazione del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito con L. n. 203 del 1991 per avere i giudici di merito ritenuto sussistente detta aggravante nella duplice prospettiva alternativa del metodo mafioso e del fine di agevolazione della cosca di appartenenza.

Viene dedotto che, nel caso de quo, la suddetta aggravante non era configurabile atteso che l'imputato si era limitato a richiamare, del tutto genericamente, la sua amicizia con personaggi di spicco della criminalità, circostanza dimostratasi non vera, ed apparendo decisivo il fatto che la vittima non era stata in alcun modo intimidita dalle richieste maldestramente formulate non potendosi in alcun modo parlare di metodo mafioso;

c. violazione di legge in ordine alla mancata concessione dell'attenuante del risarcimento del danno ex art. 62 c.p., n. 6.

Si assume che la motivazione in punto di diniego di tale circostanza era erronea in quanto la corte di appello aveva fatto riferimento alla circostanza che l'importo offerto, pari ad Euro 500,00, sarebbe stato di entità inferiore al danno patrimoniale subito dalla vittima, non considerando che la somma inizialmente consegnata a seguito dell'intervento delle forze dell'ordine era stata restituita alla vittima.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Osserva il collegio che, secondo quanto ricostruito in fatto dai giudici di merito, la persona offesa M.M., titolare di un locale ristorante-pizzeria in (OMISSIS), è stato costretto dal ricorrente, mediante minacce, a consegnare la somma di Euro mille rinvenuta dagli operanti di P.G. nella tasca posteriore sinistra del pantalone del medesimo a seguito di perquisizione personale appositamente disposta.

Ciò premesso occorre ricordare secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione "deve ritenersi sussistente il delitto di estorsione consumato, e non solo tentato, allorchè la cosa estorta venga consegnata dalla vittima all'estorsore anche se sia predisposto l'intervento della polizia, che provveda immediatamente all'arresto del reo e alla restituzione della cosa estorta alla vittima. Infatti, in tale figura delittuosa la modalità di lesione si incentra sulla coazione esercitata dall'agente sulla vittima perchè tenga una condotta positiva o negativa in ambito patrimoniale, il cui esito è il profitto che il reo intende procurarsi, che non può essere integrato da altre note, quali la disponibilità autonoma della cosa, senza violare la tassatività della fattispecie" (Sez. U, n. 19 del 27/10/1999 - dep. 14/12/1999, PM in proc. Campanella, Rv. 21464201).

Deve, invero, sottolinearsi che le ragioni della scelta di aderire alla pretesa espressa dal soggetto agente riguardano il foro interno della persona lesa e non rilevano ai fini del verificarsi dell'evento. Si è, in particolare, affermato che in tema di delitto di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all'evento del reato, mentre l'ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicchè si ha solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al "facere" ingiunto. (Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012 - dep. 14/03/2013, Lavitola, Rv. 25479801).

La circostanza che la vittima dell'estorsione si adoperi affinchè la polizia giudiziaria possa pervenire all'arresto dell'autore della condotta illecita non elimina lo stato di costrizione, ma è una delle molteplici modalità di reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui essa versa. Il legislatore, con la formula adottata ("... costringendo taluno a fare od omettere qualche cosa") prende in considerazione lo stato oggettivo di costrizione e non distingue le ragioni che possono indurre la persona offesa ad aderire alla pretesa estorsiva. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 44319 del 18/11/2005 Ud. (dep. 05/12/2005) Rv. 232506).

Nel caso di specie non coglie, dunque, nel segno la prospettazione del ricorrente secondo cui egli non avrebbe mai "effettivamente ed in concreto" conseguito la piena disponibilità della cosa oggetto della pretesa in ragione del costante controllo delle forze dell'ordine e del tempestivo intervento delle stesse.

Ed, invero, la corte territoriale, respingendo il relativo motivo di censura, con una motivazione congrua in fatto e corretta in diritto, nel porre l'accento sulla circostanza che il M. si era impossessato del denaro della P.O. (sia pure subito dopo sequestrato dalle Forze dell'Ordine allertate) ha escluso la derubricazione del delitto contestato nell'ipotesi del tentativo (v. ff. 2-3), con argomentazioni che resistono alle censure del ricorrente.

Pertanto, non essendo evidenziabile la paventata violazione di legge il motivo è da ritenere manifestamente infondato.

3. Osserva, quindi, il collegio che la ricostruzione in fatto di cui alle sentenze di merito consente di disattendere in quanto generiche e comunque manifestamente infondate anche le censure dedotte in ordine alla configurabilità della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 (articolo abrogato dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 7, comma 1, lett. i), ed ora sostituito dall'art. 416-bis 1 c.p., "Circostanze aggravanti ed attenuanti per reati connessi ad attività mafiose") ritenuta comprovata, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa del ricorrente, limitatamente al metodo mafioso e non anche con riferimento alla condotta agevolativa (v. f. 3).

Va premesso che la Corte Suprema di Cassazione ha osservato che il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito in L. 12 giugno 1991, n. 203, configura due ipotesi di circostanze aggravanti: la prima - che ricorre nel caso di specie - riguarda il reato commesso da colui che - appartenente o meno all'associazione di cui all'art. 416 bis c.p. - si avvale del c.d. "metodo mafioso", per la cui sussistenza non è necessaria la prova dell'esistenza dell'associazione criminosa, essendo, invece, sufficiente l'aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l'agente appartenga a tale associazione; la seconda, al contrario, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attività di un'associazione mafiosa, implica necessariamente l'esistenza reale - e non semplicemente supposta - di essa, richiedendo, pertanto, anche la prova della oggettiva finalizzazione dell'azione a favorire l'associazione medesima (Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Maccariello, Rv. 26551501).

La ratio legis sottesa alla prima ipotesi risiede, dunque, nella evidente finalità di contrastare in maniera più decisa l'atteggiamento di quei soggetti che, stante la loro maggiore pericolosità e proclività a delinquere, partecipi o non partecipi di un'associazione criminosa, utilizzino "metodi mafiosi", ossia si comportino "da mafiosi" oppure ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sulla vittima quella particolare coartazione e pressione psicologica, nonchè quel particolare effetto intimidatorio proprio delle organizzazioni in questione.

Osserva il collegio che ai fini della sussistenza dell'aggravante è sufficiente che l'associazione, in quanto evocata dall'agente, pur rimanendo sullo sfondo, spinga la vittima a piegarsi, solo in apparenza "spontaneamente", al volere dell'aggressore e ad abbandonare ogni velleità di resistenza o difesa per timore di ritorsioni o, comunque, di più gravi conseguenze. Difatti, l'aver ingenerato nella persona offesa la consapevolezza che l'agente appartenga ad un'associazione mafiosa - sia questa esistente o meno (Sez. 2, n. 49090, cit.) - o che agisca su suo mandato (Sez. 1, n. 22629 del 05/03/2004, Sessa, Rv. 228195) è alla base del peculiare stato di soggezione, omertà e vulnerabilità, che facilitano l'esecuzione del reato, rendendone più difficoltosa la repressione, e che lasciano la vittima inerme di fronte alla forza prevaricatrice e sopraffattrice dell'associazione medesima.

Tuttavia va puntualizzato che ciò non significa che, ai fini della configurazione dell'aggravante de qua, sia necessario che l'autore del reato riesca poi effettivamente a coartare la volontà della persona offesa, giacchè la capacità soverchiante della condotta aggressiva evocativa del sodalizio criminoso deve essere valutata ex ante come astrattamente idonea ad incidere maggiormente sulla libertà di autodeterminazione della vittima (Cass. Sez. 1 del 6 marzo 2009, n. 14951, Izzo, Rv. 243731).

Orbene la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi di diritto sin qui evocati.

Con argomentazione del tutto logica, oltre che giuridicamente corretta, la corte territoriale, nel confermare l'iter motivazionale della sentenza di primo grado, ha osservato che l'avere fatto l'imputato riferimento ad una specifica cosca di 'ndrangheta denominata " R.- Z." (dalla quale, peraltro, in passato la vittima aveva ricevuto richieste estorsive), assumendo un atteggiamento di esplicita arroganza minacciosa era da ritenere una condotta tale da ingenerare nella vittima il timore di conseguenze pregiudizievoli tipiche appunto di determinati contesti mafiosi.

Va detto, del resto, che secondo consolidata giurisprudenza della Corte Suprema "la circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso è configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto" (Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013, De Paola, Rv. 257065) a nulla rilevando, pertanto, la contestazione secondo cui in realtà alla luce delle indagini ed in particolare delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, tale L.D., il M. non sarebbe risultato legato ad alcun clan di 'ndrangheta.

Le censure formulate dall'imputato sul punto, a fronte di una congrua motivazione giudiziale, devono, dunque, ritenersi manifestamente infondate, al limite inquadrabili in una valutazione di merito del tutto preclusa in questa sede.

4. L'ultimo motivo è manifestamente infondato avendo la corte di appello, nell'esercizio dei poteri discrezionali di sua competenza, ritenuto non congrua la somma offerta a titolo di riparazione del danno - secondo la unanime giurisprudenza deve essere integrale riguardando tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, giudizio in fatto che resiste alle generiche censure formulate dall'imputato in questa sede.

5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila.

L'imputato va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Fai - Antiracket, Associazione Antiracket Lucio Ferrami Onlus e M.M. liquidate, per ciascuna parte, in Euro 1.755,00 oltre accessori di legge ciascuno.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Fai - Antiracket, Associazione Antiracket Lucio Ferrami Onlus e M.M. che liquida in Euro 1.755,00 oltre accessori di legge ciascuno.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020
Avv. Antonino Sugamele

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