Ingegnere capo dell'Ufficio del Genio civile agli arresti domiciliari accusato di avere accettato la promessa di somme di denaro per illegittime attestazioni di collaudo e indebiti conferimenti di lavori pubblici ricevendo in corrispettivo i benefici economici rimesso in libertà dalla Corte Suprema.
SENTENZA sul ricorso proposto da: P.G. nato a A. il ............ avverso l'ordinanza del 17/12/2018 del TRIB. LIBERTA' di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO COSTANZO; sentite le conclusioni del PG PERLA LORI per il rigetto del ricorso. sentito l'avvocato LAURIA BALDASSARE che, in difesa di P.G., insiste per l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza n. 2136/2018 del 17/12/2018 il Tribunale di Palermo, ha confermato l'ordinanza con la quale il Tribunale di Palermo ha applicato a G.P., ingegnere capo dell'Ufficio del Genio civile della Provincia di Trapani, la misura degli arresti domiciliari ravvisando gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 317, 319 e 321 (capo D), 319 quater (così riqualificando la condotta descritta nel capo G) e 319, commi 1 e 2, cod. pen. (capo M) - per avere accettato la promessa di somme di denaro per illegittime attestazioni di collaudo e indebiti conferimenti di lavori pubblici ricevendo in corrispettivo i benefici economici descritti nelle imputazioni provvisorie - e l'esigenza cautelare di cui alla lettera c) dell'art. 274 cod. proc. pen.. 2. Nel ricorso proposto dal difensore di P.G. si chiede l'annullamento dell'ordinanza deducendo: a) violazione e falsa applicazione dell'art. 267 commi 1 e 1-bis cod. proc. pen. e 15 Cost., e mancanza di motivazione circa i gravi indizi necessari per autorizzare e prorogare le intercettazioni - riguardanti reato ex art. 338 cod. pen. (violenza o minaccia a un corpo amministrativo) attribuito ai coindagati C., P., I. - da cui sono tratti gli indizi a carico del ricorrente e la loro indispensabilità per il proseguo delle indagini; b) violazione e erronea applicazione dell'art. 274 cod. proc. pen. e vizio di motivazione nel desumere le esigenze cautelari dalla condotta dell'indagato trascurando - quanto alla attualità delle esigenze - la distanza temporale fra la data della richiesta del Pubblico ministero (3/07/2018) e quella (16/11/2018) della emissione dell'ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. L'art. 15 Cost. tutela la libertà della comunicazione garantendo il diritto di escluderne ogni soggetto diverso dal destinatario e tale libertà sarebbe compromessa se la sua garanzia non comportasse il divieto di divulgare o utilizzare successivamente le notizie apprese mediante una legittima autorizzazione di intercettazioni finalizzate a accertare determinati reati: la loro utilizzazione come prova in altro procedimento trasformerebbe l'intervento del giudice richiesto dall'art. 15 della Costituzione in un'inammissibile autorizzazione con oggetto indeterminato e si vanificherebbe l'esigenza che l'atto giudiziale di autorizzazione delle intercettazioni debba essere puntualmente motivato (Corte cost. sentt. n. 34 del 1973 e n. 361 del 1991; per una articolata analisi sul tema, Sez. 6, ord. n. 11160 del 13/02/2019). Su questa base, il caso di "procedimento diverso", da cui dipende l'applicabilità dell'art. 270, comma 1, cod. proc. pen. può ravvisarsi nonostante l'almeno originaria identità formale e, al contrario, escludersi nonostante la separazione formale dei procedimenti: in altri termini, la diversità del procedimento non è collegabile al dato puramente formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato (Sez. U. n. 32697 del 26/6/2014, Floris, Rv. 259777). Ne deriva che, mentre non è diverso il procedimento riguardante indagini strettamente connesse o collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato per il quale il mezzo di ricerca della prova venne predisposto (Sez. 6, n. 2135 del 10/5/1994, Rv. 199917), la diversità è ravvisabile relativamente a una notizia di reato derivante da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, seppure connesso, procedimento (Sez. 2, n. 19730 del 1/4/2015, Rv. 263527) e nella insussistenza, tra i due fatti-reato, storicamente differenti, di un nesso ex art. 12 cod. proc. pen., o di tipo investigativo, o nell'esistenza di un collegamento meramente fattuale e occasionale (Sez. 3, n. 2608 del 5/11/2015, dep. nel 2016, Rv. 266423). In altri termini, se il mezzo di ricerca della prova è stato legittimamente autorizzato entro un procedimento riguardante reati di cui all'art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili, senza limite, per tutti gli altri reati relativi allo stesso procedimento, mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento sostanzialmente diverso - perché concernente una notitia criminis la cui acquisizione è occasionata dalle stesse operazioni di intercettazione, ma non collegate strutturalmente ai delitti per i quali le intercettazioni sono state autorizzate - l'utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall'art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, se risulta indispensabile per l'accertamento di un delitto per il quali è obbligatorio l'arresto in flagranza (Sez. 6, n. 19496 del 21/02/2018, Rv. 273277; Sez. 5, n. 15288 del 09/02/2018, Rv. 272852; Sez. 6, n. 31984 del 26/04/2017, Rv. 270431). 2. Nel caso in esame P. non era indagato per il reato ex art. 338 cod. proc. pen. (violenza o minaccia a un corpo amministrativo) in relazione al quale erano state disposte le intercettazioni. Poiché dalle attività di intercettazione erano emerse sue condotte sospette relative a autorizzazioni all'emungimento di acqua non potabile da alcuni pozzi atte a soddisfare interessi economici privati (p. 6), con decreto del 17/11/2017 furono attivate intercettazioni ambientali all'interno del suo studio tecnico (formalmente intestato al figlio) quando già dovevano ritenersi venuti meno possibili sospetti a suo carico (poiché aveva emesso il decreto di chiusura dei pozzi). I reati oggetto del provvedimento impugnato (concussione corruzione e induzione indebita) risultano di altro genere e con antefatti del tutto diversi rispetto a quello per il quale furono autorizzate le prime intercettazioni perché non emerge un collegamento oggettivo (cioè inerente alla struttura dei fatti oggetto di verifica), o probatorio (cioè relativo all'influenza di taluno di essi sulla prova dell'altro), o finalistico (per eventuale preordinazione di alcuni in funzione della commissione o dell'occultamento di altri) tra i reati per i quali furono autorizzate le prime intercettazionli e quelli per i quali si procede. Ricorre, pertanto, il caso previsto dall'art. 270, comma 1, cod. proc. pen., in base al quale i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto, ipotesi nel caso in esame non ravvisabile con riferimento ai delitti contestati. Ne deriva che il primo motivo di ricorso è fondato. Questo esito comporta l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato - perché gli elementi di valutazione costituenti gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente sono tratti dalle conversazioni intercettate - e la sopravvenuta irrilevanza delle questioni poste con il secondo motivo di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone l'immediata liberazione di P.G., se non detenuto per altra causa. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 cod. proc. pen.. Così deciso il 28/03/2019
20-08-2019 16:34
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