Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani ricorre per cassazione avverso il provvedimento con cui il giudice non ha convalidato l'arresto di una donna, in ordine al reato di cui all'art. 624 bis cod. pen..
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-11-2017) 08-02-2018, n. 6170
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Presidente -
Dott. MENICHETTI Carla - Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - rel. Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TRAPANI;
nel procedimento a carico di:
A.C., nato il (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 21/04/2017 del TRIBUNALE di TRAPANI;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI SALVO EMANUELE;
lette/sentite le conclusioni del P.G..
Svolgimento del processo
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani ricorre per cassazione avverso il provvedimento con cui il giudice non ha convalidato l'arresto di A.C., in ordine al reato di cui all'art. 624 bis cod. pen..
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poichè erroneamente il Tribunale non ha convalidato l'arresto, nonostante la A. sia stata trovata dagli operanti in possesso di una somma di danaro corrispondente a quella oggetto del furto, anche se solo parzialmente, in quanto verosimilmente, essendo stato il fatto commesso da due persone, la parte rimanente era stata consegnata al correo, che, infatti, si è reso irreperibile. E' d'altronde irrilevante che non sia stato trovato il portafogli nel quale il danaro era contenuto, poichè l'art. 382 cod. proc. pen. fa riferimento a cose o tracce dalle quali appaia che il soggetto abbia commesso il reato immediatamente prima e non già al corpo del reato, propriamente inteso. Sussistevano dunque tutti i presupposti per convalidare l'arresto.
3. Con requisitoria scritta, depositata il 28 giugno 2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
4. Con memoria depositata il 3 novembre 2017, l'indagata A.C. ha chiesto rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. La doglianza formulata dal ricorrente è infondata. A norma dell'art. 382 cod. proc. pen., lo stato di flagranza è, infatti, ravvisabile non solo allorquando il responsabile sia stato colto nell'atto di commettere il reato ma anche qualora, subito dopo il fatto, egli venga inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone oppure venga sorpreso con cose o tracce dalle quali si evinca che egli ha commesso il reato immediatamente prima. Ed occorre, al riguardo, osservare come le Sezioni unite abbiano condivisibilmente fornito risposta negativa al quesito se possa procedersi all'arresto in flagranza sulla base di informazioni fornite dalla vittima o da terzi nella immediatezza del fatto, poichè, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di c.d. "quasi - flagranza", che presuppone l'immediata ed autonoma percezione, da parte di chi procede all'arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l'indiziato (Sez. U., n. 39131 del 24/11/2015, Ventrice, Rv. 267591).
2. Nel caso in esame, risulta dalla motivazione del provvedimento impugnato che gli operanti, su segnalazione della Centrale Operativa, si recarono presso l'abitazione di S.M., il quale dichiarò di aver subito il furto del portafogli, contenente documenti personali e la somma di Euro 850, indicando quale responsabile una donna, da lui conosciuta come K., della quale fornì una accurata descrizione, precisando che quest'ultima si era presentata a casa sua insieme ad un giovane a lui sconosciuto. Sulla base di tale descrizione, gli agenti individuarono la responsabile in A.C., da loro conosciuta in ragione dei numerosi precedenti di polizia, anche specifici. Gli operanti si recarono, quindi, immediatamente, presso l'abitazione della A., che trovarono in compagnia di due soggetti, identificati in T.P. e F.A.. La donna ammise immediatamente di essersi impossessata del portafogli del S. e consegnò agli agenti la somma di Euro 285, che dichiarò essere provento del furto. La successiva perquisizione locale e personale non consentì di rinvenire ulteriori somme di danaro.
Da questa ricostruzione, sostanzialmente condivisa dal pubblico ministero ricorrente, in ordine ai lineamenti fattuali della vicenda, si evince che non vi fu alcuna autonoma percezione, da parte degli operanti di polizia giudiziaria, delle cose o tracce del reato. E', infatti, incontroverso che essi siano giunti a casa del S. quando già la A. e i suoi complici erano andati via. Così come è incontroverso che il portafogli della persona offesa non sia stato rinvenuto, se non il giorno dopo l'arresto. La somma di 285 Euro, consegnata dall'indagata, è lontanissima dal corrispondere all'ammontare della refurtiva (Euro 850) e non può pertanto essere valorizzata nell'ottica del rinvenimento, da parte della polizia giudiziaria, di "cose o tracce" del reato. L'arresto è stato dunque effettuato sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che ha poi anche riconosciuto la A. come responsabile del furto, nonchè a seguito delle stesse ammissioni dell'indagata. Queste ultime sono però inutilizzabili, a norma dell'art. 350 c.p.p., comma 6, in quanto derivanti da dichiarazioni assunte nell'immediatezza del fatto, senza l'assistenza del difensore. Ne deriva che, mancando una diretta percezione di cose o tracce del reato da parte della polizia giudiziaria, difetta lo stato di flagranza, che, come precisato dalle Sezioni unite, non può ritenersi sussistere sulla sola base di elementi di fonte dichiarativa. L'arresto non è stato, pertanto, legittimamente effettuato e correttamente esso non è stato convalidato dal giudice.
3. Il ricorso va dunque rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2018
08-05-2018 23:19
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