Tribunale di Milano: la messa alla prova può riguardare anche una pluralità di reati, tutti rientranti nell’ambito di applicazione dell’istituto.
Tribunale di Milano, sez. III Penale, ordinanza 28 aprile 2015
Giudice Mannucci Pacini
Ritenuto che
ai sensi dell'art. 168 bis, comma 1 c.p. la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova può essere avanzata in relazione:
i) ai “reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria”; ii) ai “delitti indicati dall'art. 550, comma 2 c.p.p.”.
Per ciascuno dei reati contestati all'imputato, singolarmente considerati, la messa alla prova risulta ammissibile, in quanto:
a) il reato di cui all'art. 186 c. 7 d.lgs 285/1992 (punito con la pena pecuniaria e l'arresto da sei mesi ad un anno) e il reato di cui all'art. 341 bis c.p. (punito con la reclusione fino a tre anni) rientrano fra i reati di cui al punto i);
b) il reato di cui all'art. 337 c.p., pur essendo punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni, rientra nel novero dei delitti indicati dall'art. 550, comma 2 c.p.p. e, pertanto, tra i reati di cui al punto ii).
Ai sensi dell'art. 168 bis, comma 4 c.p. “la sospensione del procedimento con messa alla
prova dell'imputato non può essere concessa per più di una volta”. Tale rilievo, tuttavia, non determina l'inammissibilità della richiesta in quanto la sospensione viene qui concessa una sola volta, sebbene in relazione a più reati.
Sarebbe invero fuorviante escludere l'applicabilità dell'istituto allorché all'imputato venga contestata una pluralità di reati anche quando – per ciascuno di essi, singolarmente considerato – sia ammissibile la sospensione con messa alla prova. Tale soluzione interpretativa – giungendo a ritenere la locuzione legislativa “per più di una volta” coincidente con locuzione “per più reati” – comporterebbe un'evidente forzatura in malam partem del tenore letterale della norma, stridendo con il più generale principio di legalità. Essa, inoltre, svilirebbe la portata applicativa del nuovo istituto e si porrebbe in contrasto con la ratio di quest'ultimo, evidentemente volto a perseguire finalità deflattive e ad offrire all'imputato l'occasione per intraprendere una diversa ed onesta condotta di vita, sul presupposto che il diritto penale è l'extrema ratio e il processo penale deve anzitutto essere connotato da una funzione rieducativa e di aiuto sociale della persona.
La richiesta di messa alla prova resterebbe ammissibile anche qualora si ritenga che i reati contestati siano legati dal vincolo della continuazione di cui all'art. 81, comma 2 c.p., peraltro, non ipotizzato nel capo d'imputazione del presente procedimento. Ciò in quanto l'istituto della continuazione non può essere applicato in malam partem e la ratio dello stesso impone di considerare il reato continuato come unico reato o come pluralità di reati a seconda che l'una o l'altra qualificazione risulti in concreto più favorevole per l'imputato.
Anche a voler prescindere da quest'ultima assorbente considerazione, l'ammissibilità della richiesta di messa alla prova – nel caso di specie – non verrebbe in ogni caso esclusa, in quanto:
--‐- considerando il reato continuato come “pluralità di reati” non si potrebbe che constatare come per ciascuno di essi l'istituto della messa alla prova risulti
applicabile;
--‐- ma anche considerandolo come “unico reato” non vi sarebbero ragioni sufficienti per rigettare l'istanza: per nulla peregrina si presenterebbe un'interpretazione sistematica che, volgendo lo sguardo alla disciplina della sospensione condizionale, ravvisi come un'espressione analoga a quella in esame venga utilizzata dal legislatore all'art. 164, comma 4 c.p. allorché esclude, con le note eccezioni, la possibilità di riconoscere tale beneficio “per più di una volta”: se in tale ambito la consolidata giurisprudenza non ha alcun dubbio a non applicare tale clausola limitativa – e dunque a riconoscere il beneficio – in ipotesi di condanna per “reato continuato”, non si scorge ragione per cui un'analoga soluzione non possa essere adottata ai fini dell'ammissibilità della messa alla prova in relazione a reati legati dal vincolo della continuazione.
Pertanto, la presenza di una pluralità di reati contestati, quando – per ciascuno di essi, singolarmente considerato – la richiesta risulti ammissibile, non può di per sé giustificare il rigetto della richiesta di messa alla prova, a prescindere dalla sussistenza o meno di un vincolo di continuazione fra gli stessi.
Nondimeno, la pluralità di contestazioni a carico dell'imputato è un dato che il giudice può – anzi deve – considerare nella formulazione della prognosi in ordine al futuro comportamento della persona e all'astensione di quest'ultima dal commettere ulteriori reati; presupposti, anch'essi, ai quali l'art. 464 quater c.p.p. subordina la concessione della messa alla prova.
Rilevato che la sospensione del procedimento con messa alla prova non è già stata concessa in altri procedimenti; l'imputato non è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ai sensi rispettivamente degli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.p. la richiesta è stata proposta nei termini di decadenza stabiliti dall'art. 464 bis c.p.p.,
dichiara
ammissibile la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato.
11-06-2015 11:13
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