Dà alle fiamme la propria camera da letto. Processato e condannato per incendio colposo.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 – 23 gennaio 2015, n. 3339
Presidente Chieffi – Relatore Boni
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 21 giugno 2013 la Corte di Appello di Firenze riformava parzialmente quella del Tribunale di Grosseto del 19 novembre 2010, che, concesse le circostanze attenuanti generiche, aveva condannato l'imputato S.P. alla pena di anni due di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del delitto di incendio, contestatogli per avere dato fuoco alla propria abitazione sita al piano secondo di un edificio condominiale; per l'effetto, la Corte di Appello accordava all'imputato i doppi benefici di legge e confermava nel resto l'impugnata sentenza.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del suo difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi:
a) inosservanza o erronea applicazione di norme processuali in relazione all'inesistenza o alla nullità della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, compiuta con l'inoltro di tre copie dell'atto nei soli riguardi dei difensori dell'imputato, non già di quest'ultimo, non indicato quale destinatario dell'atto, con la conseguente nullità di tutti gli atti successivi, comprese le due sentenze di merito.
b) Inosservanza o erronea applicazione di norme penali sostanziali e vizio di motivazione per la non configurabilità del reato contestato in relazione all'assenza di pericolo concreto per la pubblica incolumità. L'imputazione individua tale pericolo nel coinvolgimento dell'appartamento di tale G.F. , che in realtà non era stato attinto dalle fiamme, ma aveva riportato danni per infiltrazione delle acque utilizzate per domare l'incendio, mentre il richiamo, operato nella sentenza di appello, agli altri profili fattuali dell'intensità delle fiamme e delle esalazioni nocive è inconferente perché non essere stati tali profili inclusi nella contestazione dell'accusa e dimostrati dall'istruttoria dibattimentale, essendo stati piuttosto smentiti. Invero, le fiamme avevano interessato il solo appartamento dell'imputato, il quale aveva prontamente allertato i vicini perché fuggissero dalle loro case, il fuoco era stato domato prontamente dai Vigili del Fuoco senza danneggiare altre unità abitative e non era rispondente al vero che fosse fuoriuscito dalle finestre, circostanza contraddetta dal teste Si. .
c) Inosservanza, erronea interpretazione ed applicazione di norme penali e vizio di motivazione in riferimento assenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, alla sua mancata qualificazione ai sensi dell'art. 449 cod. pen. ed al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 nr. 6 cod. pen.. In modo illogico e contraddittorio la Corte di Appello ha confermato la natura dolosa dell'azione pur nell'assenza di elementi probatori certi: in realtà si era trattato di un incidente verificatosi durante la manovra di accensione del fuoco all'interno del caminetto dell'abitazione, come riferito in modo attendibile e sincero dallo stesso ricorrente nel proprio interrogatorio. Inoltre, dal verbale di intervento dei Vigili del Fuoco era emersa soltanto l'esclusione della causa elettrica dell'incendio, il teste Pecorino aveva negato l'acquisizione di elementi certi per individuare l'origine del fenomeno per la completa distruzione del materiale presente, mentre il teste m.llo M. aveva riferito che per opera dei Vigili del Fuoco mobili e masserizie erano state concentrate nella camera da letto dopo lo spegnimento delle fiamme in fase di bonifica del luogo e le testi Ma. e B. avevano riferito di avere appreso dall'imputato che l'incendio si era sviluppato in via accidentale.
La ricostruzione dell'elemento soggettivo in relazione allo stato psichico dell'imputato nei momenti antecedenti al fatto era arbitraria e non poteva supplire alla carenza di certa volontà del comportamento. Anche gli altri elementi valorizzati dai giudici di merito erano illogici, in quanto:
- non era provato che del materiale combustibile fosse stato volutamente ammassato nella camera da letto dall'imputato;
- era smentito che l'alloggio fosse stato già devastato da costui prima di appiccare le fiamme, in quanto la teste B. lo aveva descritto come non rassettato e non danneggiato;
- l'imputato non aveva reso versioni diverse del fatto, in quanto l'allarme sulla fuga di gas era stato dato per assicurarsi che i vicini si allontanassero prontamente da casa nel timore che se avesse fatto cenno al fuoco nessuno sarebbe uscito, mentre sia in sede processuale, che alle testi B. e Ma. egli aveva detto che le fiamme erano scaturite da erronea manovra di accensione del caminetto ed alla successiva caduta accidentale della lampada a petrolio utilizzata per impregnare le pigne, urtata dopo l'accensione del fuoco.
In ogni caso avrebbe dovuto essere riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 62 nr. 6 cod. pen., per essersi il S. immediatamente attivato per risarcire il danno al G. , cosa impedita dall'impossibile accesso all'appartamento del vicino per la valutazione dei danni, mentre nella causa civile i pregiudizi subiti dalla parte civile erano risultati di gran lunga inferiori a quelli risarciti dalla compagnia assicurativa e limitati alla tinteggiatura delle pareti dell'abitazione, interessata da modeste infiltrazioni d'acqua.
d) Inosservanza, erronea interpretazione ed applicazione delle norme penali, mancanza di legittimazione della parte civile ed assenza di danno risarcibile per essere stata la parte civile già integralmente risarcita a saldo dei pregiudizi subiti ad opera di compagnia assicuratrice. Le osservazioni, riguardanti l'avvenuto ristoro dei soli danni patrimoniali, operate dai giudici di merito sono arbitrarie in assenza del contratto di assicurazione, per cui l'unico soggetto legittimato a costituirsi parte civile era la predetta impresa Axa-Mps, surrogatasi nei diritti spettati all'assicurato già risarcito, il che avrebbe dovuto indurre a disporre l'estromissione del G. dal processo. In ogni caso la pretesa azionata da G.F. era insussistente, non residuando alcun danno risarcibile rispetto alla somma già liquidata in suo favore e non essendo stato consentito in alcun modo verificare quali pregiudizi il suo immobile avesse riportato.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento.
1. Il primo motivo di gravame ripropone l'eccezione di nullità della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini perché non compiuta nei riguardi dell'imputato odierno ricorrente. I giudici di merito hanno già correttamente rilevato come gli atti processuali provino che dell'avviso prescritto ai sensi dell'art. 415-bis cod. proc. pen. fossero state notificate tre copie, due ai difensori dell'imputato individualmente considerati, avv.ti Giovanni e Marco De Stasio, altra da intendersi diretta all'imputato S.P. al domicilio eletto presso lo studio dei predetti legali, tanto che le sue generalità e la relativa domiciliazione erano state riportate nell'atto, a significare in modo univoco che costui era il destinatario di una delle tre copie conformi all'originale. Deve dunque ritenersi che l'adempimento abbia sortito il suo effetto di portare a conoscenza dell'imputato presso i suoi domiciliatari l'intervenuta conclusione delle indagini senza si sia verificata la nullità denunciata, dovendosi escludere l'assoluta incertezza del destinatario, secondo quanto prescritto quale causa di nullità della notificazione dall'art. 171 lett. b) cod. proc. pen.. Correttamente, si è rilevato che il regime delle nullità è tassativo e non consente di ravvisare tale sanzione al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
2. Col secondo motivo si assume la carenza di un requisito oggettivo, necessario per configurare il delitto di incendio di cosa propria, costituito dalla verificazione di un concreto pericolo per la pubblica incolumità, discendente dalla condotta.
2.1 Va premesso che la formulazione testuale dell'imputazione menziona siffatta situazione di pericolo dopo l'indicazione del coinvolgimento nell'evento anche di altra unità abitativa dello stesso edificio, ma senza correlare il pericolo descritto esclusivamente all'estensione del fenomeno incendiario a tale alloggio; pertanto, la qualificazione giuridica del fatto ai sensi del secondo comma dell'art. 423 cod. pen. non può farsi discendere nella descrizione degli elementi materiali della vicenda contestata unicamente dal danneggiamento di tale ulteriore appartamento. In tal senso i rilievi fattuali contenuti nella sentenza impugnata, che ha in modo fondato e ben argomentato disatteso la censura difensiva, risultano congrui e pertinenti: si è evidenziato al riguardo come le fiamme, sviluppatesi all'interno dell'appartamento dell'imputato, avessero presentato reale capacità diffusiva ed avessero in concreto raggiunto i solai in legno e le tavelle in laterizio del sottotetto non praticabile dell'edificio, che, in assenza del pronto intervento dei vigili del fuoco, avrebbe potuto essere distrutto con conseguente crollo e rovina dell'intero fabbricato. Inoltre, è stato rimarcato che il fuoco aveva danneggiato anche la parete divisoria in prossimità delle porte dell'appartamento sottostante di proprietà di G.F. , che quindi non era stato soltanto interessato dalle infiltrazioni dell'acqua impiegata in quantità copiosa nelle operazioni di spegnimento.
Sul punto è stato poi aggiunto che le fiamme si erano sviluppate in modo considerevole, al punto da essere state visibili dall'esterno e da essere fuoriuscite da due finestre dell'appartamento dell'imputato, che affacciavano su una corte interna, i cui muri erano stati anneriti in corrispondenza: tanto si è dedotto, sia dalla testimonianza del m.llo M. , sia dai rilievi fotografici agli atti e dalla relazione dell'intervento redatta dai vigili del fuoco. Infine, soprattutto la sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella di appello, ha rilevato che la pericolosità del rogo era incrementata dalla presenza nell'appartamento del S. e negli altri compresi nello stabile degli impianti elettrici e di riscaldamento, che, se attinti dalle fiamme, avrebbero potuto dar luogo a fenomeni di esplosione e produzione di gas nocivi.
2.2 Per contraddire tali emergenze la difesa richiama la relazione di c.t.u., espletata nella causa civile intentata per la stessa vicenda, nonché le dichiarazioni del teste Si.Ma. sull'assenza di fumo nel vano scale. Tali deduzioni non possono essere prese in considerazione da questa Corte, perché trattasi di elementi probatori non prodotti in allegato al ricorso e nemmeno trascritti nel suo contesto; in tal modo l'impugnazione incorre nel difetto di autosufficienza e pretende un esame diretto degli atti processuali su questioni di merito, precluso nel giudizio di legittimità. In ogni caso, la testimonianza del Si. , già da quanto riportato nello stesso ricorso, non possiede la capacità dimostrativa che la difesa le assegna: l'assenza di fumo nell'androne delle scale al momento dell'allarme dato dall'imputato non esclude in sé che nella fase successiva le fiamme si fossero sviluppate con le caratteristiche descritte dai testi dell'accusa e constatate in modo oggettivo dal personale impegnato nell'attività di spegnimento.
2.3 Deve quindi confermarsi che la qualificazione giuridica del fatto come incendio di cosa propria non viola i parametri normativi sostanziali di riferimento e non travisa nemmeno le emergenze probatorie, richiamate in modo sufficientemente esplicativo e logico dalla sentenza in esame, che ha valorizzato le vaste proporzioni delle fiamme, la distruzione dell'appartamento dell'imputato e la agevole diffusività del rogo ad altre parti dell'edificio ed agli impianti tecnologici, evento quest'ultimo scongiurato soltanto dalla pronta azione dei vigili del fuoco.
2.4 In punto di diritto, va richiamato l'insegnamento di questa Corte, che si condivide e di cui i giudici di merito hanno offerto corretta applicazione, secondo il quale in tema di incendio colposo di cosa propria (art. 423 e 449 cod. pen.), il pericolo per la pubblica incolumità può essere costituito non solo dalle fiamme, di vaste dimensioni e tendenti a propagarsi, ma anche dalle loro dirette conseguenze, quali il calore, il fumo, la mancanza di ossigeno, l'eventuale sprigionarsi di gas pericolosi dalle materie incendiate, quando tali effetti discendano dall'incendio e si siano prodotti senza soluzione di continuità (Cass., sez. 4, n. 44744 del 01/10/2013, Cartasso, rv. 257555; sez. 1, n. 14592 del 16/11/1999, Ascenzi, rv. 216129; sez. 4, n. 1034 del 16/10/1991, Pirolo, rv. 189042).
3. Il terzo motivo di gravame ripropone la tesi difensiva, volta ad escludere un gesto consapevole e volontario dell'imputato ed a ricondurre eziologicamente la causa delle fiamme ad un evento accidentale. La Corte distrettuale ha chiarito, sviluppando un percorso logico argomentativo immune dalle dedotte censure, che il fuoco era stato volutamente provocato dall'imputato, in quanto:
- la sua pretesa origine dal camino era decisamente stata smentita dai rilievi oggettivi dei Vigili del fuoco e dalla deposizione del teste Pecorino, dai quali era emerso che i carboni ivi rinvenuti erano a temperatura ambiente, quindi non ardenti al tatto ed all'aspetto, e che le ante del caminetto e lo sportello di apertura erano persino chiusi, il che di per sé esclude qualsiasi possibilità di una fiammata che da quell'impianto si fosse propagata al resto del locale;
- il punto di origine delle fiamme è stato individuato in una delle camere da letto, ove non erano presenti sorgenti di fiamma viva ed ivi erano stati ammucchiati mobili e suppellettili in assenza di alcuna logica;
- nell'appartamento non vi era una bombola di gas per alimentare i fornelli ed i Vigili del fuoco avevano escluso anche la causa elettrica.
3.1 Oltre a tali emergenze, è stato valorizzato il comportamento tenuto dal ricorrente sia prima del fatto, che nella sua immediatezza. Sotto il primo profilo è stato rimarcato il suo atteggiamento aggressivo, violento e distruttivo sino all'autolesionismo con la manifestazione di propositi suicidi, del tutto compatibile con la volontà di bruciare anche la propria abitazione. Si è poi rilevata la singolarità del suo comportamento nel momento in cui si erano sviluppate le fiamme: oltre ad avere omesso qualsiasi tentativo di circoscriverle, egli, allorché aveva allertato i vicini, aveva prospettato una fuga di gas, circostanza non veritiera e ritenuta non spiegabile con l'intento di fare loro maggiore pressione per allontanarli dalle loro abitazioni, risultato conseguibile anche con l'allarme per il fuoco già sviluppatosi, ma funzionale piuttosto a sviare sin dal primo momento le indagini dalla sua persona, accampando un evento accidentale ed a conseguire l'impunità.
3.2 Inoltre, i giudici di merito con corretto procedimento valutativo, immune da qualsiasi censura, hanno riscontrato anche l'oggettiva ed inconciliabile diversità delle versioni dei fatti, fornite dall'imputato, che le argomentazioni prospettate col ricorso non riescono a negare, né a giustificare razionalmente, e che depone per la inattendibilità complessiva delle sue spiegazioni.
3.3 Quanto poi alle deposizioni del m.llo M. e delle testi Ma. e B. , della prima non si ha contezza per la mancata produzione del relativo verbale di esame e la non autosufficienza del ricorso, le altre, secondo il contenuto riportato in ricorso, sono prive di qualsiasi oggettività, avendo soltanto riferito quanto affermato dall'imputato, interessato ad esimersi da responsabilità per la distruzione degli effetti anche della ex moglie, in procinto di separarsi e solo da poco allontanatasi dall'abitazione coniugale.
Deve dunque concludersi che la riconduzione dell'incendio ad un fenomeno accidentale e non voluto è stata respinta dai giudici di merito con motivazione compiuta, analitica ed intrinsecamente coerente, non smentita che dalle interessate ed indimostrate affermazioni dello stesso imputato.
4. Va poi respinto anche il motivo che censura il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 cod.pen., n. 6. Giova al riguardo considerare che detta disposizione contempla due distinte previsioni, ossia l'avere l'imputato, prima del giudizio, riparato integralmente il danno con il risarcimento o le restituzioni, se possibili, oppure l'essersi adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o "attenuare" le conseguenze dannose o pericolose del reato. La richiesta difensiva riguarda la prima ipotesi ed è stata disattesa sulla base di un duplice rilievo: da un lato il S. non aveva rimborsato la società assicuratrice di quanto essa aveva corrisposto alla parte civile, nei cui diritti si era surrogata; dall'altro nemmeno dalla documentazione agli atti risultava che l'omesso risarcimento fosse imputabile alla condotta della persona offesa G.F. .
Ha quindi osservato che non vi era prova che egli si fosse in alcun modo attivato per elidere o attenuare le conseguenze del delitto commesso.
4.1 Ebbene col ricorso soltanto in modo generico si afferma il contrario, ma non si specifica in alcun modo quale fosse il contenuto della corrispondenza intercorsa con la parte civile e si afferma che l'ammontare dei danni accertato dal c.t.u. nella causa civile intentata dalla compagnia assicuratrice, che aveva agito in surroga nei confronti dell'imputato per la stessa vicenda, era inferiore a quanto erogato alla parte civile. Tale obiezione è comunque priva di forza dimostrativa, dal momento che quanto stimato eventualmente in sede civile dall'ausiliario del giudice non è stato oggetto di pronuncia di accertamento giudiziale e comunque non ha ricevuto alcun seguito con un adempimento da parte dell'imputato nemmeno per l'importo inferiore così individuato. Resta dunque escluso che prima del giudizio costui abbia riparato integralmente il pregiudizio arrecato e che ne sia stato impedito per fatto altrui, sicché anche sotto questo profilo il ricorso è privo di fondamento.
5. Quanto alla legittimazione di G.F. a costituirsi parte civile, le sentenze di merito hanno già rilevato che, per quanto risarcito dall'impresa assicuratrice, egli aveva titolo per ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali e di quelli morali cagionati dal reato, che non erano stati ristorati in forza del contratto di assicurazione, secondo quanto emergente anche dallo stesso atto di citazione proposto da tale impresa nel parallelo procedimento civile, ove è chiaramente dedotto che l'indennizzo erogato riguardava esclusivamente i pregiudizi di natura patrimoniale subiti dal G. . Né per smentire la validità di tale constatazione è sufficiente sostenere che egli era stato risarcito "a saldo" dalla propria compagnia, perché tale specificazione attiene ai limiti di operatività del rapporto contrattuale tra gli stessi stipulato, ma non equivale a negare la sussistenza di ulteriori pregiudizi non coperti dalla polizza in questione, che fondatamente sono stati ritenuti sussistenti, anche se da accertare in modo compiuto nella più appropriata sede civile.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto per l'infondatezza di tutte le sue deduzioni; ne discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
27-01-2015 14:00
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