Cittadino pakistano fortemente indiziato di avere consumato una strage in Pakistan con un potente ordigno esplosivo che uccise oltre 100 persone. Confermata dalla Cassazione la misura cautelare in carcere.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-10-2015) 24-11-2015, n. 46600
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VECCHIO Massimo - Presidente -
Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere -
Dott. BONITO F. M. S. - rel. Consigliere -
Dott. CASSANO Margherita - Consigliere -
Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
K.S.W. N. IL (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 65/2015 TRIB. LIBERTA' di CAGLIARI, del 16/05/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;
sentite le conclusioni del PG Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha chiesto dichiararsi la nullità del ricorso;
udito il difensore avv. CARLUCCI CARLO. La Corte:
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con ordinanza del 16 maggio 2015 il Tribunale di Cagliari, adito ai sensi dell'art. 309 c.p.p., rigettava l'istanza di riesame proposta dal cittadino pachistano K.S.W. avverso la misura cautelare della custodia in carcere in suo danno disposta dal GIP dello stesso tribunale, il precedente 2 aprile, perchè gravemente indiziato, in concorso con altri, dei seguenti reati: capo 1) reato di cui agli artt. 110 e 422 c.p., per la strage consumata il (OMISSIS), località pachistana, facendo deflagrare un potente ordigno che cagionò la morte di oltre cento persone, attentato organizzato in (OMISSIS); capo 2) delitto di cui all'art. 270- bis, comma 1, in relazione all'art. 270 sexies c.p. e L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4 per la costituzione di un gruppo transnazionale finalizzato alla consumazione di attentati terroristici all'estero, espressione di fondamentalismo religioso, gruppo coinvolto negli attentati e nelle condotte criminali precisate nel capo di imputazione, consumate per perseguire il rovesciamento del legittimo governo pachistano; capo 4) e capo 5) delitto di cui all'art. 416 c.p., commi 1, 3 e 6, di cui all'art. 416 c.p., commi 2 e 6, e di cui alla L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4 per aver organizzato, promosso e una associazione per delinquere finalizzata ad una diffusa attività di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina ed una associazione finalizzata agli atti di terrorismo internazionale di cui ai precedenti capi; capi 6), 7) ed 8) delitto di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, commi 1, 3, 5 e 5-bis per aver procurato l'ingresso clandestino dei cittadini pachistani individualmente indicati nei capi di imputazione detti, con gli apporti causali e con le specifiche modalità meglio descritte in rubrica; in (OMISSIS) e ad oggi per il reato associativo.
Le gravi e molteplici accuse appena sintetizzate costituiscono il punto di arrivo di complesse ed articolate attività investigative svolte dalla DIGOS di Sassari, iniziate nel 2005 in seguito alla intercettazione degli indagati Z.H.M. e K. S.W., sospettati di appartenere alla jihad (letteralmente "lotta") islamica. Tutte le contestazioni innanzi sintetizzate e, si ribadisce, analiticamente descritte quanto al ruolo ed all'apporto in esse del ricorrente, risultano provate, secondo quanto argomentato nella richiesta di misura cautelare della pubblica accusa, nel provvedimento adottato dal GIP e nella diffusa motivazione del tribunale investito in sede di riesame, da cospicue, per numero e consistenza, intercettazioni telefoniche ed ambientali, nello specifico richiamate dal tribunale in relazione a ciascuna contestazione, e dalla registrazione di significativi, per l'accusa, flussi telematici.
2. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento l'interessato, con l'assistenza del difensore di fiducia, il quale nel suo interesse ne denuncia la illegittimità sviluppando due motivi di impugnazione.
2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alle esigenze cautelari ed alla richiesta di revoca o modifica dell'ordinanza cautelare, in particolare deducendo, argomentando e denunciando: i gravi indizi di colpevolezza valorizzati dai giudici territoriali poggiano su intercettazioni telefoniche ed ambientali e su flussi telematici di dubbia ed incerta interpretazione; con particolare riferimento alla strage di (OMISSIS) ed alla costituzione di una associazione con finalità di terrorismo internazionale, il tribunale ha ripreso le identiche espressioni contenute nell'ordinanza del GIP, con ciò evidenziando l'assenza su di esse di un vaglio critico delle argomentazioni difensive; sotto detto profilo in nessuna considerazione è stata tenuta la personalità del ricorrente, che la difesa ha descritto nella sua memoria difensiva del 14.5.2015; con essa è stato evidenziato che il ricorrente si è trasferito in Italia da oltre vent'anni, qui stabilendo la sua residenza, qui intraprendendo una assai fortunata attività commerciale e qui formando la sua famiglia con tre dei cinque figli nati in Italia e cittadini italiani; il ricorrente è filoccidentale, odia i talebani ed il fondamentalismo islamico ed in Pakistan ha espresso sentimenti filogovernativi e non ha mai costituito una associazione terroristica trasnazionale, come dimostrato anche dalla circostanza che due suoi figli sono iscritti ad una scuola militare nei pressi di (OMISSIS) per conseguire brevetti di pilota di aerei; il ricorrente, persona incensurata, è presidente dell'associazione Italpak Forum con sede in Olbia costituita per aiutare l'integrazione tra stranieri ed italiani ed è noto per la sua correttezza, generosità ed altruismo, tanto da divenire un faro per tutta la comunità pachistana e da collaborare con la Questura di Sassari per le problematiche collegate agli stranieri di ogni provenienza; su tali dati relativi alla personalità dell'indagato il tribunale nulla osserva; neppure ha considerato il tribunale che l'istanza di riesame era volta anche ad una modifica della misura; sono decorsi oltre tre anni, per ammissione della stessa procura inquirente e del GIP, dalla cessazione della presunta attività criminosa della cellula olbiese di Al Quaeda e questo rende inattuale ogni negativa valutazione prognostica sul comportamento futuro del ricorrente; nessun rilievo è stato fatto nè può essere fatto sul comportamento dell'indagato in questi ultimi tre anni; l'istanza difensiva di modifica della misura cautelare in atto è stata rigettata con motivazione sostanzialmente omessa sui punti dell'attualità della pericolosità dell'istante, sulla sua personalità, sul suo comportamento più recente, ineccepibile e sul tempo trascorso dalle condotte contestate come criminose (da tre a circa sei anni); il tribunale, nonostante la documentazione presentata e le considerazioni svolte, nulla ha motivato sulla eccezione di nullità e quindi sulla inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione dell'art. 145 c.p.p., comma 2, tenuto conto che gli interpreti utilizzati per tradurre le conversazioni erano conoscenti dell'indagato ed avevano verso lo stesso gravissimi motivi di inimicizia; il primo interprete A. I. è sciita, mentre l'indagato è sunnita, i due hanno coabitato con difficoltà di rapporti e l'interprete, già dipendente dell'indagato, è stato licenziato, maturando per questo un odio profondo verso il suo ex datore di lavoro; l'interprete inoltre parla una lingua-dialetto diversa da quella interpretata e gravava sullo stesso, persona per nulla acculturata, un obbligo di astensione; di qui la nullità delle sue traduzioni; anche per l'altro interprete, H.M. sostanzialmente valgono le stesse considerazioni;
anche sulle considerazioni difensive relative alla confutazione delle accuse relative all'asserita organizzazione dell'attentato di (OMISSIS) e sulla vicinanza dell'indagato alla cellula di Al Qaeda ed al suo capo, O.B.L., nulla ha motivato il tribunale, se non articolando formule di stile e non considerando affatto che la sorella di I.K. ha un figlio che si chiama O. e che le notizie domandate (ed intercettate) si riferivano a questi e non già allo sceicco capo di Al Qaeda; quanto poi alla corretta applicazione dell'art. 275 c.p.p. ed alla misura più idonea da adottare, torna ancora una volta in considerazione la personalità dell'indagato, non valutata per quella che è attualmente, ma per quello che sarebbe stata in un lontano passato;
per quello che oggi è l'indagato non è concepibile una reiterazione di comportamenti delittuosi come quelli contestati, nè alcun pericolo di fuga, tenuto conto che in Patria l'indagato soffrirebbe la povertà e dovrebbe lasciare la sua famiglia, ormai stabilmente insediatasi in Italia, e non è spiegato perchè, comunque, non sono possibili gli arresti domiciliari.
2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia ancora la difesa ricorrente violazione della legge processuale e vizio della motivazione per il mancato ricorso al giudizio immediato del quale ricorrevano tutte le condizioni, atteso l'obbligo imposto in tal senso, ad avviso della difesa, dall'art. 453 c.p.p..
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Giova rammentare che, ai fini dell'emissione di una misura cautelare personale, per gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (principio ampiamente consolidato; tra le tante: Cass., Sez. 6, 06/07/2004, n. 35671). Orbene, ciò posto ritiene la Corte che legittimamente siano stati considerati gravemente indizianti, attesa la fase processuale in atto, la notevole messe di intercettazioni telefoniche ed ambientali, in uno con i flussi telematici e l'accertata presenza, attraverso tali fonti di prova, della presenza dell'indagato il giorno dell'attentato terroristico di (OMISSIS); il GIP prima ed il tribunale poi hanno infatti analiticamente considerato i vari capi di imputazione, a ciascuno di essi collegando notevoli, importanti e significative intercettazioni di conversazioni estremamente chiare nel loro contenuto, probanti della solidarietà religiosa intercorrente tra i coimputati, tra i quali, sempre in posizione di preminenza, l'attuale indagato, della natura fondamentalista di tale sentire, della proiezione terroristica dei progetti e dei programmi del gruppo, in uno con il loro finanziamento, attraverso rilevantissime risorse economiche indirizzate per tali finalità in Pakistan. Il Tribunale ha poi trattato distintamente le singole contestazioni relative al reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina, individuando le generalità dei vari immigrati, descrivendo le condotte degli imputati, tra cui ovviamente quelle del ricorrente, indicando il denaro versato dai singoli immigrati al ricorrente stesso, contestazioni queste (compresa quella associativa ad esse collegata) sulle quali, peraltro, nulla argomenta il ricorso, se non la inutilizzabilità delle traduzioni acquisite al processo delle conversazioni intercettate.
Per esse, giova ribadirlo, e per ogni altra accusa la difesa ricorrente obbietta di aver provato, con argomenti, documenti ed esiti di indagini difensive (sembra di capire) l'obbligo di astensione che sarebbe gravato sui due interpreti utilizzati per questo, l'uno, di fede religiosa in odio a quella del ricorrente, già suo dipendente e da questi licenziato eppertanto in situazione di foltissimo astio personale verso l'indagato, l'altro, H. M., perchè per lo stesso "valgono le medesime considerazioni di cui sopra" (così, semplicemente, nel ricorso).
Palese, evidente ed inequivocabile la manifesta infondatezza e la inammissibilità della tesi difensiva, verosimilmente neppure tempestivamente proposta ai sensi dell'art. 145 c.p.p., comma 3. Ed invero, deve essere in primo luogo evidenziato la totale genericità delle censure riguardanti il secondo interprete, liquidato con la frase testuale appena riportata. In secondo luogo non ha indicato nello specifico la difesa ricorrente dove e perchè le traduzioni impugnate sarebbero errate e mal eseguite e quale diverso senso dovrebbe essere dato alle medesime. Infine, opportunamente e legittimamente ha ritenuto il tribunale per nulla provate ragioni di astensione degli interpreti nei sensi indicati dalla difesa; il ricorrente e A.I. hanno vissuto insieme ed il loro diverso sentire religioso non lo ha affatto impedito, nè il licenziamento, di per sè, senza le doverose analisi sulle ragioni di esso, consente di trasformare un ordinario momento di vita del rapporto lavorativo in una ragionevole ragione di odio profondo.
Nessuna norma infine sanzione di nullità ovvero di inutilizzabilità gli esiti operativi dell'interprete tenuto ad astenersi. Superata tale eccezione, non può non rilevarsi che la difesa ricorrente nulla aggiunge rispetto ai capi di imputazione relativi al reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina, alle modalità di consumazione di tale reato in essi (capi di imputazione) descritte con puntualità e precisione ed al reato associativo collegato a siffatta attività delittuosa, mentre in riferimento al reato associativo finalizzato ad atti di terrorismo ed all'attentato dell'ottobre 2009, il ricorrente articola motivi anche in questa occasione generici, riferiti soprattutto alla personalità attuale dell'istante, descritto in termini largamente elogiativi, nulla obbiettando però, di preciso ed apprezzabile, sulla ricostruzione accusatoria fondata, momento per momento, sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali, fino al tragico scoppio stragista, quando l'indagato, secondo le fonti probatorie partitamente indicate, si trovava sul luogo del crimine, ovviamente per potervi assistere in piena sicurezza personale.
Nè può dolersi la difesa ricorrente della mancata considerazione delle prove da ultime addotte ad illustrazione della personalità dell'indagato, descritto come buon padre di famiglia, impegnato nel volontariato solidale verso i suoi connazionali, generoso e collaborativo con le autorità italiane, implicitamente confutate (e comunque correttamente richiamate dal tribunale) posto che dalle intercettazioni in atti si evidenzia una personalità ben diversa, intrisa del più abbietto integralismo religioso, costantemente tesa a lucrare in una infaticabile attività illegale di favoreggiamento della immigrazione clandestina, sensibilissimo alla lezione fondamentalista ispirata da H.Z., forse il più integralista del gruppo, lucidamente proteso all'appoggio ed al finanziamento di un movimento crudele, in guerra col mondo civile, intollerante di ogni diverso opinare al di fuori di quello folle del suo capo. Di qui la oggettivamente debole tesi difensiva sulla incensuratezza del ricorrente e sul suo quieto vivere di questi ultimi tre anni. L'essere stato un militante di Al Qaeda, come ipotizzato con qualche ragione indiziaria dalla pubblica accusa, rende il ricorrente espressione tipica, nei suoi livelli più elevati, della pericolosità sociale, la sua nazionalità straniera ed i comprovati contatti con funzionari corrotti del suo Paese (oggettivamente allarmanti per qualità e radicamento istituzionale) e con attivisti del fondamentalismo islamico illuminano intensamente il pericolo di fuga logicamente e correttamente palesato dai giudici di merito, mentre l'una (la pericolosità) e l'altro (il pericolo di fuga) evidenziano al di là di ogni ragionevole dubbio che l'unica misura adeguata alla persona ed alla sua storia passata e presente è la quella massima consentita dall'ordinamento.
Tutto ciò peraltro, con argomentare logico, lodevolmente diffuso e puntuale ha motivato il tribunale, oltre il cui dire la difesa ricorrente o nulla ha replicato, o genericamente ha censurato ovvero inammissibilmente ha dedotto svolgendo tesi alternative nel merito.
3.2 Infondato è, altresì, il secondo motivo di doglianza, di natura processuale, illustrato dalla difesa ricorrente.
Nessun obbligo di iniziativa procedimentale incombeva infatti sul P.M. in ordine al giudizio immediato, ordinario ovvero custodiale (Cass., Sez. 3, n. 52037 del 11/11/2014, Rv. 261519). Anzi, in costanza della istanza di riesame, come ricorda Cass. Sez. 5, n. 51245 del 30/09/2014, Rv. 261734, non è proponibile la richiesta di giudizio immediato custodiale.
4. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato ed al rigetto consegue, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2015
15-12-2015 23:41
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