Cassazione e giudizio di legittimità: non è ammissibile la rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove. La Suprema Corte può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D. E. N. IL
avverso la sentenza n. 2465/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 27/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
Penale Sent. Sez. 4 Num. 11189 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data Udienza: 08/01/2015
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1.
Il Tribunale di Trapani, Sezione distaccata di Alcamo, con sentenza
del 20/2/2012, condannò D. E., giudicata colpevole dei reati di
cui agli artt. 189, commi 6 e 7, c.d.s., 582 e 594, cod. pen., unificati sotto il
vincolo della continuazione, alla pena stimata di giustizia, sospesa alla
condizione che l'imputata risarcisse il danno liquidato in favore della persona
offesa. La Corte d'Appello di Palermo, con sentenza del 27/2/2014, confermò
la statuizione di primo grado, impugnata dall'imputata.
2.
Avverso quest'ultima sentenza la D. ricorre per cassazione
prospettando due motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo viene dedotta violazione di legge e vizio
motivazionale in ordine al vaglio probatorio.
Assume la ricorrente non essere rimasto provato che era stata la
medesima ad avere investito P. A. V., dopo averla apostrofata
con epiteti offensivi. I testi escussi erano giunti dopo il fatto, il medico di base
aveva escluso di aver sottoposto a cure la p.o. per le asserite lesioni; la Corte
territoriale non aveva esaminato le doglianze d'appello.
2.2. Con il secondo motivo la D. denunzia violazione dell'art.
165, cod. pen., in quanto la sospensione condizionale era stata sottoposta alla
condizione che venisse risarcito il danno liquidato in sentenza in favore della
p.o., senza prima verificare la capienza dell'imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3.
Entrambe le censure sono destituite di fondamento.
3.1. Il motivo principale, infatti, volto a contestare la ricostruzione
del fatto operata dal giudice, non mostra di aver tenuto in adeguato conto la
norma processuale la quale consente riesame in sede di legittimità del
percorso motivazionale (salvo l'ipotesi dell'inesistenza) nei soli casi in cui lo
stesso si mostri manifestamente (cioè grossolanamente, vistosamente,
ictu
ocu/i)
illogico o contraddittorio, dovendo, peraltro, il vizio risultare, oltre che
dalla medesima sentenza, da specifici atti istruttori, espressamente richiamati
(art. 606, comma 1, lett. e).
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Peraltro, in questa sede non sarebbe consentito sostituire la motivazione
del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo
apparisse di una qualche plausibilità.
Sull'argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta
dalla sentenza n.15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente
chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il
nuovo testo dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., come modificato dalla I.
20 febbraio 2006 n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di
apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo",
non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di
legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In
questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di
procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via
esclusiva al giudice del merito. Il "novum" normativo, invece, rappresenta il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il
cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione
giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal
procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle
prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde
verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza
travisamenti, all'interno della decisione.
Il Giudice, esaminate le emergenze istruttorie, ha, con motivazione
completa e logica, chiarito le ragioni per le quali aveva inteso attribuire pieno
rilievo probatorio alle dichiarazioni e alla ricognizione della persona offesa
(l'imputata, stante le ridotte dimensioni della cittadina di Castellammare del
Golfo, aveva avuto modo di individuare quale persona vista l'imputata, tanto
da aver saputo indicare la zona urbana di residenza della stessa); nonché
significativa valenza probatoria alle dichiarazioni dei testi C. B.,
G.L. e S. S., i quali, pur sopraggiunti immediatamente
dopo il fatto, avevano avuto modo di verificare lo stato di agitazione della
vittima e della di lei piccola figlia. Inoltre, le lesioni avevano trovato riscontro
nel certificato di pronto soccorso in atti. La D. in definitiva, pretende di
efficacemente contrastare il riferito costrutto motivazionale proponendo
diversa ricostruzione, peraltro neppure dotata di maggiore plausibilità, senza
farsi carico di specificamente contrastare gli argomenti sopra sinteticamente
riportati.
3.2. A ben vedere anche il motivo subordinato non merita di essere
accolto.
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Condivisamente questa Corte di cassazione ha reiteratamente avuto
modo di chiarire che, fermo restando che il giudice della cognizione non è
tenuto a svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche
dell'imputato, compete al giudice dell'esecuzione valutare l'eventuale
sussistenza di assoluta impossibilità ad adempiere che impedisce di far luogo
alla revoca del beneficio (cfr., fra le tante, Cass., Sez. 3, n. 38345 del
25/6/2013, Rv. 256385; Sez. 6, n. 33020 dell'8/5/2014, Rv. 260555).
Peraltro, anche a volere seguire orientamento minoritario più favorevole alla
ricorrente non può farsi a meno di rilevare che su costei gravava per lo meno
l'onere, non soddisfatto, di allegare la propria specifica condizione
d'impossibilità a far fronte all'obbligo risarcitorio, peraltro modesto (C.
3.000,00), in relazione, secondo l'id quod, al reddito di un salariato medio-
basso.
8. All'epilogo consegue condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma 1'8/1/2015.
Corte di Cassazione
04-06-2015 05:38
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