Un uomo alla ricerca di prestazioni hard pubblica un numero di telefono su una rivista sbagliando l'ultima cifra. L'ignara vittima viene imperversata di telefonate. Per la Corte manca l'elemento soggettivo. No dolo eventuale.
Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 11 dicembre 2013 – 28 gennaio 2014, n. 3683
Presidente Squassoni – Relatore Andreazza
Ritenuto in fatto
1. La Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano di condanna di D.S.N. per il reato previsto dall'art. 167, comma 2, legge 30/06/2003 n. 196 per avere comunicato e fatto pubblicare i dati personali di C.S. sulle riviste (omissis) e (omissis) .
2. Ha proposto ricorso l'imputato congiuntamente al proprio amministratore di sostegno (come tale nominato dal Tribunale di Voghera in data 21 settembre 2011) lamentando in primo luogo la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dai verbali del procedimento di primo grado e in particolare dall'assunzione della testimonianza della persona offesa. Premette anzitutto che l'imputato aveva chiesto a due riviste mensili di annunci erotici di pubblicare una sua inserzione alla ricerca di prestazioni "hard core" inserendo il numero di telefono intestato alla figlia, tuttavia errando nell'inserire l'ultima cifra di detto numero, tanto che tutte le chiamate in risposta agli annunci venivano inoltrate all'ignaro C. . Ciò posto, rileva che: la persona offesa ha dichiarato di non conoscere minimamente l'imputato; l'imputato soffre da tempo immemore di disturbi dell'attenzione e della personalità; l'imputato ha inviato lo stesso testo a due distinte riviste, accludendo il proprio documento di riconoscimento per essere certo di essere identificato, da tutto ciò derivando esservi dunque stato mero errore nella comunicazione del numero di telefono inserito nell'atto; l'imputato non avrebbe mai potuto trarre alcun vantaggio dalla pubblicazione di un numero telefonico diverso dal suo ed appartenente ad uno sconosciuto; altrettanto certamente l'imputato non può avere agito con la finalità, richiesta dalla norma, di arrecare danno ad altri, non avendo egli mai conosciuto minimamente la persona offesa, con conseguente mancanza del dolo; di qui la inconfigurabilità del reato contestato.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è fondato quanto al lamentato vizio di motivazione inerente l'elemento soggettivo del reato addebitato.
Va anzitutto premesso, in linea generale, che anche il numero di utenza telefonica rientra tra i dati personali come definiti dall'art. 4 lett. b) del d.lgs. n. 106 del 2003 come richiamati dall'art. 167 comma 2 (Sez. 3, 46203 del 23/10/2008, Marchini ed altro, Rv. 241787) e che l'assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguarda tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati i quali sono tenuti a rispettare la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitrii o pericolose intrusioni (Sez. 3, n. 21839 del 17/02/2011, R., Rv. 249992).
Non sussistendo, dunque, alcuna questione, del resto neppure sollevata, in ordine all'elemento oggettivo del reato, va rilevato, quanto all'elemento soggettivo dello stesso, che l'art. 167, comma 2, del d.lgs. n. 196 del 2003 prevede che la condotta di illecito trattamento dei dati debba essere tenuta "al fine di trame per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno", in tal modo venendo chiaramente configurata la necessaria sussistenza di un dolo specifico (cfr., Sez.3, n. 30134 del 28/05/2004, Barone, Rv. 229472; Sez. 3, n. 28680 del 26/03/2004, Modena, Rv. 229465). Ne deriva che della sussistenza di un tale elemento psicologico il giudice debba dare una congrua e logica motivazione.
Nella specie, la Corte milanese ha in primo luogo correttamente posto in rilievo, sul presupposto di un onere in tal senso di D.S. (vedi, infatti, nel senso che, in virtù di un necessario onere di allegazione, l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, fra i quali anche l'errore di fatto, Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng e altro, Rv. 255916), che l'imputato non ha neppure offerto gli estremi del numero di telefono che avrebbe voluto far pubblicare in luogo di quello pretesamente inserito per errore, non consentendo così neppure di verificare, per la somiglianza o meno dei due numeri, il fondamento dell'errore in cui egli sarebbe incorso.
Quanto però alla sussistenza del dolo specifico, la sentenza impugnata ha ritenuto, testualmente, che "l'elemento soggettivo, una volta appurato che D.S. non conosceva C. e quindi ignorava se i messaggi erotici fossero graditi, va oltre la pura coscienza e volontà e si arricchisce di un ovvio aspetto di finalizzazione specifica necessariamente tenuto presente dall'agente"; parrebbe, dunque, che la Corte territoriale abbia tratto la prova della finalità in particolare di danneggiare la persona offesa dal fatto che quest'ultima non era conosciuta dall'imputato, in tal modo, tuttavia, pervenendo a desumere il dolo specifico, ovvero la finalità di danneggiare il terzo, dalla sussistenza, in realtà, del ben diverso dolo eventuale, ovverossia l'accettazione del rischio che si potesse danneggiare il terzo stesso, di cui non era, infatti, come specificato dalla stessa Corte, conosciuto il gradimento circa la ricezione di messaggi erotici.
Sennonché, così facendo, da un lato la sentenza parrebbe confondere due concetti (dolo specifico e dolo eventuale) tra loro ben diversi e, dall'altro, non parrebbe comunque tenere conto del fatto che, come già affermato più volte da questa Corte, la strutturale intenzionalità finalistica della condotta tipica rende incompatibile la forma del dolo eventuale, che postula l'accettazione solo in via ipotetica, seppure avverabile, del conseguimento di un risultato (vedi, con riferimento al reato di cui all'art. 285 c.p., Sez. 2, n. 25436 del 06/06/2007, P.G. in proc. Lauro, Rv. 237153; con riferimento al reato di cui all'art. 422 c.p., Sez. 1, n. 5914 del 29/01/1990, Cicuttini, Rv. 184126; Sez. 1^, n. 11074 del 05/07/1998, Capone, Rv. 179714).
La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano per nuovo giudizio che tenga conto, quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, di quanto appena evidenziato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.
30-01-2014 15:45
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