Taranto. Il datore di lavoro minaccia di licenziare i lavoratori che non rinuncino a parte dello stipendio: è estorsione.
MOTIVAZIONE
1. LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO: Con decreto del GIP in sede, ex art. 429
c.p.p., del 24.11.2011, R. C. è stato rinviato a giudizio, dinanzi a questo Tribunale, per
rispondere del reato di cui in epigrafe.
Previa ammissione della loro costituzione in qualità di parti civili, G. P. e P. V. sono state
escusse al dibattimento come testi della Pubblica Accusa.
Sono stati pure sentiti come testi della Parte civile: (omissis).
Al fascicolo del dibattimento, sono stati acquisiti:
a) copie delle buste paga relative al periodo intercorrente tra aprile 2007 e maggio 2010
per la posizione di G. P.;
b) buste paga e ed estratti conto bancario intestati a P. V. relativi al periodo giugno –
ottobre 2009;
c) documentazione riguardante la posizione lavorativa della teste a discarico B. S.
da cui si evince il rapporto di dipendenza della stessa dalla ditta di proprietà della
moglie del R.;
d) scheda di pronto soccorso della G. P. relativa alla data del 28.04.2010;
e) piantina del piano terra dell'albergo ristorante “V. dei P.” dalla quale si evince la
distanza esistente tra la zona nella quale lavoravano le dipendenti G. e P. e quella invece
nella quale operavano i cuochi e i camerieri;
f) documenti riguardanti le comunicazioni di instaurazione, proroga ed interruzione dei
rapporti di lavoro instaurati con le lavoratrici P. e G.;
g) querela del R. nei confronti di N. I., T. N., L. G. e di G. V. per i reati ex artt. 368 e
595, co. 2 e 4, c.p. del 28 gennaio del 2013;
h) querela del R. nei confronti di N. I., T. N., L. G. e di G. V. per i reati ex artt. 368 e
595, co. 2 e 4, c.p. del 12 aprile del 2013.
A seguito delle dichiarazioni spontanee del R., dichiarata chiusa l'istruttoria
dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti contenuti nel fascicolo
del dibattimento, all'udienza del 23.01.2014, le parti hanno formulato ed illustrato le
rispettive conclusioni come risultano trascritte a verbale.
2. IL QUADRO PROBATORIO:
Il presente processo trae origine dalle querele sporte presso la stazione dei Carabinieri
di Castellaneta, nel luglio del 2010, da G. P. e P. R. nei confronti di R. C. che, nella
qualità di amministratore unico e socio di maggioranza della E. s.r.l., le aveva assunte
come segretarie amministrative presso una sala ricevimenti, sita in Laterza, sulla ex
strada statale 580.
Entrambe le querelanti, sia pure in periodi temporali non esattamente
coincidenti, hanno sostanzialmente denunciato di essere state costrette dal loro datore di
lavoro R. ad accettare retribuzioni inferiori a quanto indicato nella busta paga, a
rinunciare alle tredicesime ed alle quattordicesime e a fruire delle ferie nei periodi dal
predetto imposti mediante la minaccia di essere licenziate.
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In particolare, G. P. ha evidenziato che, durante il primo colloquio tenuto nell'
aprile del 2006, il R. le aveva garantito una retribuzione proporzionata alle effettive
giornate lavorative prospettandole di adibirla al front office della sala, nella qualità di
segretaria amministrativa, con le mansioni di accogliere la coppia dei futuri sposi, di
mostrarle la struttura e di organizzare il ricevimento nel suo complesso.
Alle promesse non erano però seguiti i fatti. Ed invero, in primo luogo, senza alcun
preventivo accordo, aveva cominciato ad erogarle la retribuzione di euro 700,00
soltanto a partire dal mese di maggio del 2006 pur avendo cominciato a lavorare il 18
aprile per 7 ore al giorno per 6 giorni alla settimana (o dalle 08.00 alle 15.00 oppure
dalle 15.00 alle 22.00); in secondo luogo la formalizzazione dell'assunzione era
avvenuta soltanto nel 2007 e per giunta, diversamente da quanto prospettattole “a tempo
determinato” anzicchè “a tempo indeterminato” come di fatto avveniva.
In sostanza, pur lavorando per tutto l'anno, formalmente risultava essere assunta quale
segretaria amministrativa soltanto “part time”.
A tanto si aggiungeva che nella busta paga il R. indicava un numero di giornate
lavorative nettamente inferiori alle effettive pari almeno a 28.
Ha evidenziato la G. di essersi più di una volta doluta nei confronti del R. del
trattamento riservatole ben differente da quello concordato ma di non aver ottenuto
nessun concreto risultato con il suddetto atteggiamento.
Ed invero, a parte un modesto aumento conseguito nel 2009 quando l'importo di denaro
di fatto a lei corrisposto in contanti era salito da 700,00 euro a 750,00 euro, nulla era
cambiato sul piano della formalizzazine del contratto di lavoro rimasto a tempo
determinato, sulla indicazione nella busta paga di un numero ridotto di giornate
lavorative, sulla continuata mancata erogazione della tredicesima e della
quattordicesima.
Di fatto, pertanto, si era rassegnata a tali palesi discrasie tra quanto risultante dalla busta
paga e il suo reale rapporto lavorativo atteso che alle sue lagnanze il R. rispondeva con
la minaccia della perdita del posto di lavoro.
L'atteggiamento del R. era andato gradualmente peggiorando non soltanto nei suoi
confronti ma anche delle altre sue colleghe quali P. R. ma anche P. M. e B. L., proprio a
seguito delle loro continue fondate lamentele.
In particolare, nei confronti suoi e della P. a partire dal 2010 vi era stato una graduale
riduzione delle mansioni e dei connessi poteri relativi che aveva portato le stesse ad
essere del tutto boicottate dalle nuove segretarie assunte (B. A. e B. S.) che detenevano
i codici di accesso dei computer a loro di fatto ormai non più messo a disposizione. Non
era però riuscito il R. nel suo intento atteso che al pari della P. non si era
volontariamente dimessa ma era stata dallo stesso formalmente licenziata.
Al pari della G. anche la P., nella sua deposizione testimoniale, ha lamentato che
dal 2004 al maggio del 2010 era stata costretta, sotto la continua minaccia del
licenziamento, ad accettare un trattamento non conforme a quanto risultante
formalmente nella busta paga.
Ha messo subito in evidenza la P. che quanto indicato in busta paga, aumentato dalle
iniziali 400,00 euro fino a superare nel 2009 e nel 2010 le 950,00 euro non
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corrispondeva a quanto di fatto percepiva atteso che almeno una discrasia di circa
150,00 euro dall'inizio era stata costretta ad accettare.
Addirittura, in una circostanza, il R. a seguito di alcuni controlli, l'aveva costretta, dopo
il formale accredito sul suo conto corrente dell'importo di euro 950,00 a restituirle la
somma di euro 150,00.
Non aveva potuto opporre il suo diniego alla richiesta prospettatale perchè anche in tale
circostanza il R. le aveva detto che al suo “no” sarebbe conseguito il licenziamento.
Anche per lei come per la G., nonostante le promesse, la regolamentazione del rapporto
di lavoro era stata rimessa al suo mero arbitro: era stata assunta con contratto part time
nel 2004. Poi dopo averla costretta alle dimissioni, il R. l'aveva riassunta a tempo
indeterminato fino al 2010 però non come “quarto livello” ma come “quinto livello”,
non le aveva mai corrisposto la tredicesima e la quattordicesima, né il trattamento di
fine rapporto e le ferie erano praticamente, per imposizione del R., concentrate nel mese
di novembre.
Il suo arbitrio aveva superato ogni limite quando in occasione dell'infarto di suo padre
non le aveva concesso neppure un giorno di permesso per assisterlo, costringendola a
chiedere l'ausilio di un fratello risiedente addirittura a Milano per far fronte
all'emergenza.
Aveva addirittura superato il limite del rapporto di lavoro per trabordare nella
regolamentazione della vita privata costringendola addirittura a sposarsi nella sala “V.
dei P.” nel 2004 e a far ivi sposare sua sorella nel 2009, sotto minaccia di licenziamento.
Di vera e propria costrizione ha parlato la P. che, a seguito di un diverbio un pò più
intenso degli altri in cui la voce alta si era sentita dagli uffici fino addirittura alla cucina
del ristorante, avvenuto il 28 aprile del 2010, si era addirittura sentita male a tal punto
da richiedere l'intervento del locale pronto soccorso ove era stata portata d'urgenza.
Al momento del rientro sul posto di lavoro avvenuto il 03 maggio lo stato di soggezione
e di corcizione psicologica era tale che si era sentita in dovere di chiedere scusa per
essersi sentita male.
Il suo gesto di sottomissione psicologica non era bastato a placare il suo datore di lavoro
che aveva gradualmente emarginato la P., inducendo i suoi colleghi ad allontanarla dal
gruppo, intento questo perseguito anche con la sua sistemazione in una stanza degli
uffici destinata ai disabili ove la stessa era stata costretta ogni giorno a trascorrere il suo
turno di lavoro avendo soltanto a disposizione un tavolo ed una sedia per giunta
scomoda.
Ha evidenziato la P. che l'intento del R. a seguito del diverbio del 28 aprile del 2010 era
evidentemente quello di indurla alle dimissioni a cui aveva opposto ferma resistenza.
Ed invero, resosi conto di non aver raggiunto il suo intento nonostante il vero e proprio
mobbing posto in essere dal 3 maggio del 2010, in data 6 maggio del 2010, le aveva
inviato una lettera di sospensione del rapporto a cui era seguita la missiva di
licenziamento del 21 maggio seguente.
Quanto evidenziato dalla G. e dalla P. ha rinvenuto plurime conferme nelle
deposizioni degli altri dipendenti della E. s.r.l..
In primo luogo, il teste L. G., qualificatosi direttore di sala, “socio lavoratore” del R. dal
1997 fino al suo licenziamento avvenuto nel maggio del 2010, ha evidenziato di essere
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al corrente della situazione di coercizione a cui il R. sottoponeva i suoi dipendenti tra
cui anche la G. e la P..
Trovandosi spesso negli uffici aveva avuto modo, peraltro, di sentire le risposte alle
lamentele formalizzate dalle due segretarie amministrative aventi un chiaro contenuto
minatorio (cfr. pag. 56 del verbale stenotipico dell'udienza dell'11.10.2012: L.: ).
Ha precisato il L. di avere nel corso degli anni 2009 – 2010 sentito per almeno 3 volte il
R. minacciare il licenziamento qualora le sue dipendenti non avessero accettato le
condizioni imposte (cfr. pag. 60 del verbale stenotipico dell'udienza dell'11.10.2012: L.:
30-05-2014 17:14
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