La ricognizione personale non è individuazione informale. Attenzione ai termini per rilevare la violazione delle norme a presidio del diritto di difesa.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 maggio – 24 luglio 2014, n. 32941
Presidente Dubolino – Relatore Lignola
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza resa in data 17 febbraio 2009, confermata dalla Corte d'appello di Bari il 27 febbraio 2013, il G.U.P. del Tribunale di Bari, all'esito di rito abbreviato condizionato all'espletamento di formale ricognizione di persona, condannava alla pena di giustizia B.V., per il delitto di furto con strappo di una borsa contenente denaro ed effetti personali, sottratta con violenza a M.T., dopo aver aperto lo sportello anteriore, lato passeggero, dell'autoveicolo da lei condotto.
1.1 In particolare entrambi i giudici di merito ritenevano certa l'identificazione dell'imputato, fondata sulla immediata individuazione fotografica ad opera della persona offesa, in fase investigativa, e sulla successiva ricognizione personale.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, avv. N.Q., affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, lettera E, in relazione all'art. 213 cod. proc. pen., con riferimento all'efficacia probatoria della ricognizione formale, da ritenersi nulla, per l'omissione degli atti preliminari previsti dalla norma processuale; sul punto si contesta il richiamo alla giurisprudenza affermatasi in tema di incidente probatorio, non applicabile al caso di specie.
Quanto all'individuazione fotografica, si rinnova la censura di inattendibilità del suo esito, poiché alla denunciante fu mostrata una foto scattata successivamente al momento dei fatti. Inoltre si censura la mancata acquisizione del documento, ai sensi dell'articolo 441, comma 5, cod. proc. pen., inutilmente sollecitata al giudice di primo grado; inoltre si censura la motivazione del giudice di appello sui dubbi espressi in sede di impugnazione, che non sono stati efficacemente fugati.
2.2 Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione della decisione di appello, in ordine alla qualificazione giuridica del reato, il quale correttamente doveva essere ricondotto al furto commesso con destrezza, essendo quello il reato progettato dall'imputato; poiché la resistenza della vittima è insorta solo successivamente, allorché la donna si accorse della sottrazione della borsa, ciò non consentiva di configurare l'ipotesi di furto ex art. 624 bis cod. pen..
Considerato in diritto
1. Il ricorso va rigettato.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato, anche se i vizi denunciati sono da escludere per ragioni diverse da quelle indicate nella sentenza impugnata.
È infatti innegabile (essendo testualmente previsto dal comma 3 della disposizione) che l'inosservanza della procedura descritta dall'art. 213 cod. proc. pen. determina la nullità della ricognizione: il giudice invita chi deve eseguire la ricognizione a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento; se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere; se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento. Anche per questo il secondo comma prevede che il verbale dia atto degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese.
1.2 La giurisprudenza richiamata dalla Corte d'appello di Bari non è quindi applicabile alla fattispecie concreta, poiché riguarda il riconoscimento informale, comunemente definito "individuazione di persona" (proprio per distinguerlo dalla "ricognizione di persona"), al quale pacificamente non si applica la disciplina dell'art. 213 cod. proc. pen., trattandosi di prova atipica, inquadrabile tra le prove non disciplinate dalla legge di cui all'art. 189 cod. proc. pen..
1.3 Piuttosto va considerato che secondo la migliore dottrina la violazione dell'art. 213, comma 1, cod. proc. pen. determina una nullità relativa della ricognizione, per cui, essendo intervenuta davanti al giudice dell'udienza preliminare, in presenza del difensore, essa andava eccepita "prima dei suo compimento, ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo", ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., motivo per cui, in caso di mancata tempestiva eccezione, l'atto rimane efficace.
Nel caso di specie il ricorrente ha dedotto il vizio per la prima volta solo con l'atto di appello, sicchè la nullità della ricognizione è rimasta sanata e, di conseguenza, la prima censura è infondata.
1.4 Quanto poi all'inattendibilità dei riconoscimento, la censura è apodittica e, comunque, attinente al "merito" dell'individuazione, in quanto relativa al suo risultato è l'affermazione che il riconoscimento sarebbe stato inficiato dalla distanza temporale del fatto, Va considerato che la vittima ha reiteratamente riconosciuto l'imputato come l'autore del reato (in sede investigativa, nell'immediatezza dei fatti, sulla base della visione delle foto segnaletiche, peraltro descrivendone anche le caratteristiche fisiche; in udienza preliminare, attraverso la ricognizione formale) e che la doglianza di falsità dell'immagine mostrata alla M. (la foto sarebbe stata scattata in epoca successiva a quella in cui fu mostrata alla persona offesa) non ha alcun riscontro negli atti processuali, così come accettati dall'imputato con la richiesta di giudizio abbreviato subordinato solo alla ricognizione di persona.
1.4 Quanto alla doglianza di mancata riapertura dell'istruttoria, proprio al fine di acquisire tale foto, va ricordato che la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex art. 603, comma 2, cod. proc. pen., è doverosa in caso di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il limite costituito da richieste di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti; diversamente, nell'ipotesi contemplata dall'art. 603, comma 1, cod. proc. pen., la rinnovazione è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell'ambito della propria discrezionalità, "di non poter decidere allo stato degli atti" ed una tale impossibilità può sussistere solo quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l'incombente richiesto rivesta carattere di decisività, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012, Lo Bianco, Rv. 253526; Sez. 2, n. 3458 dei 01/12/2005, Di Gloria, Rv. 233391). La rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all'abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l'indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi.
Va anche richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di giudizio abbreviato: poichè l'imputato, presentando richiesta di rito abbreviato, ha accettato che il procedimento si svolga sulla base degli elementi istruttori acquisiti al fascicolo del Pubblico Ministero, egli non può poi dolersi della mancata assunzione di nuova prova, nemmeno se sopravvenuta e decisiva (tra le ultime, Cass., Sez. 2, n. 25659 del 18/06/2009, Rv. 244163); infatti, se è sempre possibile, da parte dell'imputato che abbia richiesto il rito abbreviato, sollecitare il giudice di appello all'esercizio del potere di ufficio di cui all'art. 603 cod. proc. pen., comma 3, la non incompatibilità dei rito speciale con le assunzioni probatorie comporta che all'assunzione d'ufficio di nuove prove o alla riassunzione delle prove già acquisite agli atti si proceda solo quando e nei limiti in cui il giudice di appello lo ritenga assolutamente necessario ai fini della decisione (Cass., Sez. 6, 24 novembre 1993 n. 1944, ric. De Carolis). In definitiva deve ritenersi escluso che la parte conservi un diritto proprio a prove, alla cui acquisizione ha rinunciato per effetto della scelta del giudizio abbreviato, con la conseguenza che deve escludersi che il mancato esercizio da parte del giudice d'appello dei poteri d'ufficio sollecitati possa tradursi in un vizio deducibile mediante ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 7485 del 16/10/2008, Monetti, Rv. 242905) e che deve ulteriormente negarsi un obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249161).
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La qualificazione giuridica dei fatti è assolutamente corretta, poiché la decisione rileva che se è vero che in un primo tempo l'imputato intendeva commettere un furto con destrezza, introducendosi nell'auto senza farsi notare dalla conducente, nel momento in cui la donna si è accorta della sua presenza ed ha opposto resistenza, tentando di trattenere la borsa, l'imputato, anziché desistere dal proposito criminoso, ha strappato la cosa di mano alla vittima, imprimendo violenza sulla borsa; in tal modo si è consumato un furto con strappo, punito dall'art. 624 bis cod. pen..
La motivazione adottata sul punto dalla Corte territoriale, pertanto, non è né illogica, né contraddittoria.
3. Per tutte le considerazioni svolte, il ricorso dell'imputato va rigettato, con conseguente condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
27-07-2014 18:47
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