Differenza tra crimini di guerra e terrorismo internazionale. Splendido arresto giurisprudenziale.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 novembre 2013 - 21 gennaio 2014, n. 2843
Presidente Bevere – Relatore Vessichelli
Fatto e diritto
Hanno proposto, rispettivamente, appello e ricorso per cassazione, il Procuratore generale della Corte d'appello di Napoli ed il Procuratore della Repubblica della stessa città, avverso la sentenza con la quale, in data 23 giugno 2011, il locale Gup ha dichiarato non luogo a procedere, ai sensi dell'articolo 425 cpp, nei confronti di L.J.A. , T.S. e T.L. , in ordine ai reati loro ascritti, perché il fatto non sussiste.
Unitamente ad altri connazionali dello Sri Lanka, i soggetti in questione erano stati presentati al Gup per il rinvio a giudizio in ordine al reato di cui all'articolo 270 bis commi 1, 2, 3 cp (capo A) ed al reato di estorsione continuata in concorso (capo B), che si assumevano commessi in varie città d'Italia, dal settembre 2006 sino al momento della richiesta di rinvio a giudizio che è del 23 novembre 2009.
La condotta contestata al capo A), in particolare, è stata rappresentata come associazione allo scopo di commettere atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale, realizzata in parte anche in Italia, attraverso la operatività di un organismo che aveva la finalità di raccogliere finanziamenti necessari per il raggiungimento degli scopi del gruppo terroristico: un organismo costituente dunque articolazione nazionale o comunque rete di sostegno della organizzazione terroristica dello Sri Lanka, di etnia Tamil, denominata L. T.T.E., acronimo di Liberation Tigers of Tamil Eelam, ossia Tigri Tamil, che si contrapponeva al governo e ai cittadini dello Sri Lanka per la creazione di uno Stato indipendente. Un'organizzazione operante sulla base di un complessivo programma criminoso, condiviso anche da cellule attive all'estero, contemplante: 1) la preparazione e l'esecuzione di azioni terroristiche da attuarsi contro il governo, forze militari, istituzioni, organizzazioni, cittadini ed altri obiettivi civili dello Sri Lanka; 2) il proselitismo attraverso videocassette e documenti propagandistici per alimentare l'odio etnico della minoranza Tamil contro la maggioranza cingalese; 3) la raccolta dei finanziamenti necessari per il raggiungimento degli scopi dell'organizzazione; 4) la disponibilità di armi da utilizzare per gli attacchi terroristici e la predisposizione, comunque, di tutti i mezzi necessari per l'attuazione del programma criminoso della associazione, finalizzato alla creazione di uno Stato indipendente della minoranza etnica Tamil.
In particolare si contestava, al primo imputato sopra menzionato, la direzione e l'organizzazione del gruppo con funzione di controllo, in tutta l'area del sud Italia, della attività di reperimento dei fondi, mentre, agli altri due, è stata contestata la partecipazione operativa nei territori, rispettivamente, della Liguria e di Palermo.
Gli imputati in questione, a differenza di tutti gli altri - che hanno richiesto il rito abbreviato - hanno visto emettere nei propri confronti la sentenza proscioglitiva sulla base degli stessi elementi raccolti nel giudizio abbreviato, celebrato parallelamente.
Il Gup, sulla base di una articolata motivazione, ha illustrato la tesi, da esso seguita - che di seguito si analizzare più dettagliatamente - secondo cui, in ragione della qualità soggettiva dei componenti della associazione - da ricondurre alla nozione di combattenti in un movimento di liberazione nazionale e comunque di parti impegnate in una contrapposizione armata al Governo insediato, ai fini del riconoscimento di uno Stato autonomo -, le condotte da quelli poste in essere, comprese quelle finalizzate alla commissione di atti di terrorismo internazionale, sarebbero sottratte alla applicazione del diritto penale nazionale, essendo eventualmente materia del diritto internazionale bellico, nella forma, del diritto umanitario.
Il Gup ha anche affermato, come tesi subordinata, che comunque, difetta, nel caso di specie, la prova sia del requisito normativo della trasnazionalità del reato, sia del dolo specifico richiesto dal precetto dell'art. 270 bis cp., da intendersi come volontà partecipativa diretta alla realizzazione di specifici atti terroristici.
Deduce il Procuratore Generale (nell'appello da ritenere riqualificato come ricorso ex art. 568 comma 5 cpp), limitatamente al capo A).
1) la sussistenza delle prove per l'affermazione della responsabilità.
L'impugnante cita la giurisprudenza della Cassazione (sentt. n. 25863 del 2009, n. 4105 del 2010, n. 16549 del 2010 e n. 24194 del 2010) per porre in evidenza come l'associazione con finalità di terrorismo sia configurabile anche quando non sono dimostrati i reati oggetti del programma ma sia comprovata una organizzazione dedita all'acquisizione di fondi strutturata con ruoli e compiti.
Ricorda, in particolare, il contenuto di intercettazioni riguardanti gli imputati, indicative a suo parere, della soddisfazione per i morti e per la eco mediatica ottenuta in occasione di un attentato terroristico all'aeroporto di Colombo oppure del progetto di far esplodere una bomba per uccidere il presidente dello Sri Lanka. Numerosi sarebbero, d'altra parte, gli episodi registrati in danno non solo di soldati governativi ma anche di Tamil moderati e di uomini politici singalesi, attentati a banche, attacchi suicidi all'aeroporto, bombardamenti sui depositi petroliferi e iniziative contro i cittadini che volevano fuggire dai territori sotto il loro controllo nonché, infine un attentato suicida contro una processione: eventi tutti rivendicati dalle Tigri Tamil.
In tale contesto si collocava il comportamento perseguito nel presente processo, consistito nel richiedere in modo pressante ai connazionali risorse necessarie per finanziare l'azione armata.
Deduce il Procuratore della Repubblica, anch'egli limitatamente al capo A), quanto appresso.
È errata l'affermazione del Gup, secondo cui l'organizzazione in esame non sarebbe qualificabile come associazione terroristica perché sarebbe, invece, un organismo politico che per lungo tempo ha presentato gli elementi costitutivi di un vero e proprio Stato, sia pure non riconosciuto ufficialmente: uno Stato che aveva sede nel nord-est dello Sri Lanka, e, come propria popolazione, la comunità Tamil, la quale lottava per l'indipendenza dal resto dello Stato a maggioranza cingalese. Con la conseguenza che l'organizzazione in esame sarebbe stata impegnata, più propriamente, in un conflitto armato interno, con il governo dello Sri Lanka: un'evenienza contemplata dal diritto internazionale, che rende l'organizzazione in questione assimilabile, semmai, a una realtà statuale o a un movimento di insurrezione, non imputabile di atti terroristici nel senso del diritto internazionale cui si conforma quello nazionale.
L'impugnante ritiene, piuttosto, che la condotta accertata sia corrispondente a quella in relazione alla quale è stata pronunciata, dalla Cassazione, la sent. n. 1072 del 2006 (dep. nel 2007): quella di un'organizzazione che, pure nel contesto di una guerra civile interna, pone in essere azioni indistintamente rivolte contro la popolazione civile inerme, oltre che contro esponenti politici governativi.
Sostiene il ricorrente che la nuova formulazione dell'articolo 270 bis c.p., con la quale è stata estesa la tutela contro organizzazioni con finalità di terrorismo, anche in favore di vittime che si trovino all'estero, copre anche la condotta in esame, nella quale l'articolazione della organizzazione che operi in Italia, si è limitata alla esecuzione della parte della condotta meno grave, come la raccolta dei finanziamenti. Essendo oltretutto irrilevante, per la sussistenza del reato, che vi sia o meno la prova della consumazione effettiva dell'atto di terrorismo alla quale è finalizzato il programma.
Si tratta infatti di un reato di pericolo presunto, finalizzato a garantire non solo la sicurezza interna ma anche la sicurezza internazionale, in conseguenza degli impegni assunti in ambito internazionale, come previsto dall'articolo 11 della Costituzione.
Per convalidare la propria tesi in diritto, il ricorrente ricorda come, sul tema, sia intervenuta anche la sentenza della Corte d'assise di Milano del 6 novembre 2006, che ha avuto modo di affermare - analogamente a quella della Cassazione - come la nozione di atto terroristico sia ricavabile dalla Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, adottata dall'Onu nel 1999 e ratificata in Italia con legge n. 7 del 2003. Tale Convenzione, che per brevità viene definita "di New York", riguarda condotte poste in essere sia in tempo di pace che in tempo di guerra e fornisce una definizione vincolante di terrorismo nel senso che questo deve essere ritenuto integrato (art. 2 lett. b) della Convenzione), oltre che da una serie di eventi dettagliatamente elencati nella Convenzione stessa, anche, in alternativa, da qualsiasi altro atto destinato cagionare la morte o le lesioni personali gravi di un civile o di una persona che non partecipi attivamente alle ostilità nel corso di un conflitto armato, quando lo scopo di questo atto sia, per sua natura o per il contesto, quello di intimorire la popolazione o costringere un governo od un'organizzazione internazionale a compiere o a commettere un atto.
Non rileva, nel senso di escludere la natura di atto terroristico, il fatto che esso sia anche destinato a colpire obiettivi militari, essendo, tali ultimi atti, rilevanti solo come crimini contro l'umanità o crimini di guerra.
Aggiunge il ricorrente che, viceversa, sempre secondo la citata sentenza di merito, per gli atti di terrorismo in tempo di pace, è destinata ad operare la Decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea del 13 giugno 2002 sulla lotta contro il terrorismo (20021475/Gai): una decisione che non si occupa di disciplinare le attività delle forze armate in situazioni di conflitto armato.
Pone inoltre in risalto, poi, che il contenuto della Decisione quadro è stato integralmente recepito nell'articolo 270 sexies, introdotto con decreto-legge n. 144 del 2005, convertito con modificazioni in legge, successivamente anche integrata: una norma seguita all'attentato di Londra del luglio 2005, che, da un lato, come detto, ha recepito il contenuto della Decisione quadro e, per tale aspetto, è operante in relazione ai fatti di terrorismo commessi in tempo di pace mentre, dall'altro, richiama espressamente le Convenzioni internazionali e quindi la Convenzione di New York con la sua definizione di atto di terrorismo internazionale, applicabile anche ai fatti commessi in tempo di guerra, caratterizzata dall'elemento discriminante della qualità della vittima.
La già citata sentenza della Cassazione n. 1072 del 2006, poi, ha ugualmente posto in risalto che, per dare corpo alla nozione di terrorismo internazionale introdotta nel 2001 con la modifica dell'articolo 270 bis, deve farsi ricorso alla definizione generale contenuta nella Convenzione di New York, valida sia in tempo di pace che in tempo di guerra, alla quale va aggiunto il requisito della motivazione religiosa, politica o ideologica, conformemente a una norma consuetudinaria internazionale accolta in varie risoluzioni dell'Onu.
La Cassazione ha anche posto in risalto che tale nozione di terrorismo è più ristretta di quella accolta dalla Decisione quadro, però operativa soltanto in tempo di pace: una nozione che include anche la finalità eversiva ossia quella di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali.
L'elemento invece comune alle due definizioni sta nella depersonalizzazione della vittima, in ragione del normale anonimato delle persone colpite dalle azioni violente il cui vero obiettivo è costituito dal fine di seminare indiscriminata paura nella collettività e costringere un governo o(un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere della determinato atto.
In conclusione, secondo l'impugnante, si deve alla Cassazione il riconoscimento che il recepimento della Decisione quadro del 2005 attraverso la formulazione dell'articolo 270 sexies e il richiamo, in questa contenuto, alle convenzioni internazionali passate e future, fa sì che la nozione di terrorismo internazionale accolta nel nostro ordinamento è quella derivante dalla norma appena citata, da integrarsi con la Convenzione di New York e, per l'effetto, la finalità di terrorismo internazionale è configurabile anche quando le condotte siano compiute nel contesto di conflitti armati, anche se consistenti in guerre civili interne e sempre che siano rivolte contro civili, ovvero contro persone non attivamente impegnate nell'ostilità. Resta esclusa, dalla nozione di attività con finalità di terrorismo, soltanto quella diretta contro i combattenti, che è soggetta alla disciplina del diritto internazionale umanitario.
Tale è la situazione accertata nel caso di specie nel quale è stata verificata l'esistenza di una rete capillare di soggetti impegnati a raccogliere fondi per conto dell'organizzazione Tigri Tamil, con lo scopo di consentire la prosecuzione della lotta armata contro il Governo del loro Paese e la creazione di uno Stato indipendente.
L'impugnante ricorda le prove raccolte attraverso la perizia affidata al professor B. sulla storia del movimento dei Tamil, quelle derivanti dalle imprese di tale organizzazione conosciute come fatto notorio, ed infine quella rappresentata dal contenuto dei documenti presenti nel computer di uno dei coimputati, detto K. , nonché dalle intercettazioni telefoniche.
In data 17 e 25 giugno 2013 sono pervenute memorie difensive nell'interesse di tutti gli imputati, con le quali si chiede il rigetto dei ricorsi, condividendosi tutti gli argomenti valorizzati dal Gup ed aggiungendosi che, all'esito del conflitto armato interno con le Tigri Tamil, lo Stato dello Sri Lanka ha applicato ai prigionieri la Convenzione di Ginevra, affidandoli alla Croce Rossa alla fine delle ostilità.
L'avv. Lamberti per T. , in particolare, eccepisce che la disciplina derivante dalla Decisione Quadro Gai del 2002 non potrebbe avere l'effetto di consentire una interpretazione conforme del diritto interno tale da aggravare le previsioni penali. Sostiene inoltre che non vi è nessuna prova in atti della appartenenza di tale soggetto alla associazione in esame.
Il Procuratore Generale presso questa Corte di cassazione ha chiesto, all'esito della discussione, l'accoglimento del ricorso del Procuratore della Repubblica.
1. Il ricorso del Procuratore Generale è, invero, tardivo e per questo va dichiarato inammissibile.
Come rilevato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, il termine di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, pronunciata all'esito dell'udienza preliminare, è quello di quindici giorni previsto dall'art. 585, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e lo stesso decorre, per le parti presenti, dalla lettura in udienza della sentenza contestualmente motivata ovvero dalla scadenza del termine legale di trenta giorni, in caso di motivazione differita e depositata entro tale termine, rimanendo irrilevante l'eventualità che il giudice abbia irritualmente stabilito un termine più ampio per il deposito della suddetta motivazione. Laddove si verifichi tale eventualità deve essere comunicato o notificato alle parti legittimate all'impugnazione il relativo avviso di deposito e che da tale comunicazione o notificazione decorre il termine per impugnare (Sez. U, Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 Cc. (dep. 26/05/2011) Rv. 249670).
Nel caso di specie il Procuratore generale aveva avuto avviso del deposito della sentenza - pubblicata a distanza di più di sei mesi dalla lettura del dispositivo - in data 15 febbraio 2012 ed ha proposto impugnazione non prima del 9 marzo 2012, data apposta in calce all'impugnazione: pertanto ben oltre lo scadere del termine di 15 giorni dalla prima data.
2. Il ricorso del Procuratore della Repubblica è, invece, da rigettare, sebbene la decisione di proscioglimento del Gup, emessa sulla base di una serie assai articolata di considerazioni, sia condivisibile solo in parte qua, che, però, in questa sede, risulta decisiva.
2.a. Certamente è corretta la ricostruzione, che il Gup fa, del panorama normativo nazionale disciplinante la materia.
È corretto ritenere che la norma in contestazione, ossia l'articolo 270 bis c.p., ampliata all'indomani dell'attentato alle Torri Gemelle, con DL n. 374 del 2001, con la previsione della associazione avente finalità di terrorismo anche "internazionale", ossia dotata di un programma di atti di violenza rivolti "contro uno Stato estero o un'organizzazione internazionale", vada letta in coordinamento con l'articolo 270 sexies, introdotto con decreto-legge n. 144 del 2005 (cd. pacchetto Pisanu), convertito nello stesso anno: una norma descrittiva delle "condotte con finalità di terrorismo" che, nel far ciò, ha recepito, dandovi attuazione, la Decisione Quadro sulla lotta contro il terrorismo adottata dal Consiglio dell'Unione europea il 13 giugno 2002 (2002/475/Gai).
In tal senso e sotto tale prospettiva, essendosi al cospetto di una norma nazionale a tutti gli effetti, appare ultronea la denuncia di inoperatività immediata della Decisione Quadro, formulata dal difensore di T. .
È pure indubbio che la norma preveda, per la individuazione delle condotte terroristiche o con finalità di terrorismo, la conformazione dell'interprete alle Convenzioni o alle altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia.
Attesa la indeterminatezza della nozione di terrorismo internazionale, nonostante la definizione comunque generica tentata nell'articolo 270 sexies, il Gup ha poi esattamente ritenuto, conformemente, sul punto, all'insegnamento della Cassazione (sentenza n. 1072 del 2006) di potere e dovere ricercare, nelle fonti internazionali, elementi utili a far luce sul tema.
Ha pertanto indicato tali fonti, oltre che nella già menzionata Decisione Quadro del 2002 e nella Convenzione di New York del 1999, deliberata dall'Onu per contrastare il finanziamento del terrorismo: quest'ultima ratificata dall'Italia con legge n. 7 del 2003.
Nella sentenza, egli ha doverosamente riconosciuto che la nozione di atto terroristico prevista nella Convenzione di New York ha portata generale ed è applicabile ai fatti commessi sia in tempo di guerra che in tempo di pace, quando si tratti di condotte dirette contro la vita o la incolumità di civili oppure, se si tratta di azioni realizzate in contesti bellici, quando queste riguardano persone - anche militari - che non prendono parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato. Occorre che si tratti di condotte finalizzate a diffondere il terrore fra la popolazione e a costringere uno Stato un'Organizzazione Internazionale a commettere od omettere un atto. Ha giustamente riconosciuto, lo stesso Gup, - in ciò allineandosi alla giurisprudenza e alla dottrina - che i detti comportamenti, oltre ad essere connotati dalla qualità della vittima come sopra precisata, debbano essere mossi da una motivazione politica, religiosa o ideologica conformemente a una norma consuetudinaria internazionale accolta in varie risoluzioni dell'Onu.
Il Gup ha fatto quindi notare, esattamente, che la nozione di atto terroristico contenuta nella Decisione Quadro, invece, è per un verso più limitata, perché risulta espressamente circoscritta ai fatti commessi in tempo di pace; per altro verso è più ampia perché include le attività con finalità soltanto eversive.
Il Giudice ricorda anche come la sentenza della Cassazione riconosca che la qualità dei soggetti attivi, in ipotesi combattenti, comporterebbe la inquadrabilità delle condotte da questi poste in essere, tra i "crimini di guerra" ovvero tra i "crimini contro l'umanità", sottoposti alla normativa del diritto internazionale umanitario.
In più, osserva il Gup, posto che, secondo il Supremo Collegio, la convenzione di New York impone di ritenere atti terroristici anche le condotte compiute nel contesto di conflitti armati (ad esempio guerre civili interne) quando siano rivolte contro i civili o contro persone non attivamente impegnate nelle ostilità, resterebbero escluse da quella nozione le azioni dirette contro i combattenti (soggetti passivi), destinate ad essere disciplinate dal diritto internazionale umanitario dei conflitti armati.
2.b Ciò posto, il Gup, pur dando atto che la sentenza menzionata della Cassazione ha trovato più di una successiva conferma nella stessa sede di legittimità, ha ritenuto di distaccarsi da talune conclusioni essa raggiunte, in ragione di norme del diritto internazionale consuetudinario e di diritto umanitario, - integrato essenzialmente dalle 4 Convenzioni di Ginevra e dai Protocolli correlati - da ritenere cogenti in base all'articolo 10 comma 1 Cost.
In particolare, poi, il Gup, conformandosi alla osservazione di numerosi osservatori internazionali, secondo cui non è neppure emersa una nozione di atto di terrorismo in tempo di guerra, valorizzabile all'interno del diritto internazionale consuetudinario, aggiunge che, dall'articolo 21 della Convenzione di New York - vincolante in tutte le sue parti - si evince che "nessuna disposizione della stessa incide sugli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui ai sensi del diritto internazionale, in particolare il diritto internazionale umanitario".
Egli trae da tale norma, cioè, una "clausola di esclusione" della applicazione della Convenzione di New York, quando la condotta di terrorismo sia posta in essere da un movimento di liberazione nazionale, e dunque nell'ambito di un conflitto armato, sempre che sia comunque rispettosa del diritto umanitario.
Proprio tale punto, ad avviso del giudice, consentirebbe, nel caso di specie, lo scostamento dai principi enunciati dalla Cassazione.
La nozione di "diritto internazionale umanitario" - egli prosegue - ha trovato riconoscimento, inizialmente, in un parere della Corte internazionale di giustizia del 1996 (sulla liceità della minaccia ed uso delle armi nucleari) come sistema di regole sulla condotta delle ostilità tra i belligeranti inter sé e tra i belligeranti ed i terzi, nonché sul trattamento delle vittime di guerra.
Si tratta di un sistema di precetti enucleabili da convenzioni internazionali e che pacificamente, ossia per loro espressa dizione, riguardano i conflitti armati non solo internazionali ma anche "interni" ossia quei conflitti insorti tra il governo e gruppi ribelli dotati di un livello di organizzazione tale da potere condurre operazioni militari prolungate nel tempo.
Esso è applicabile anche nei confronti di un movimento insurrezionale che, appunto, si configura come soggetto di diritto internazionale nella misura in cui controlla effettivamente e in modo sufficientemente stabile una parte del territorio dello Stato e si propone di trasformarsi nel nuovo legittimo governo dello Stato ovvero di formare un diverso Stato che si distacchi del preesistente.
Si tratta, più in particolare, di un sistema di diritto internazionale che si occupa anche degli effetti delle azioni poste in essere, con l'uso delle armi, dai belligeranti, sulla popolazione civile.
In conclusione, ad avviso del Gup, la Convenzione di New York non esaurisce la trattazione della materia quando si tratti di comportamenti anche aventi natura terroristica ed in tempo di guerra, ma costituenti anche materia ricadente nel diritto internazionale umanitario: è infatti riconosciuto, - sostiene il Gup -, che il diritto umanitario non comprende esplicitamente il terrorismo ma può affermarsi che le infrazioni gravi al diritto internazionale umanitario, queste, sì, comprese le norme che vietano condotte definibili come terroristiche, possono costituire crimini internazionali perché rientranti nelle categorie dei crimini di guerra o dei crimini contro l'umanità.
E, una volta dimostrata la coincidenza della nozione di atto terroristico presa in considerazione tanto dalla Convenzione di New York che, nei sensi detti, compatibile col diritto internazionale umanitario, il Gup conclude nel senso che tali atti, posti in essere da soggetti belligeranti, nel corso di un conflitto armato, sia pure rivolti a ferire o ad uccidere civili ed allo scopo di intimidire la popolazione, vadano puniti come crimine di guerra o crimine contro l'umanità, dalle Corti internazionali.
Ciò in quanto, la intangibilità del diritto internazionale umanitario sancita dall'articolo 21 della Convenzione di New York implicherebbe che le condotte appena descritte, quando poste in essere da soggetti appartenenti alle forze armate dello Stato o da un movimento insurrezionale o da un movimento di liberazione nazionale, non possono considerarsi semplicemente terroristiche anche se idonee a diffondere il terrore tra la popolazione civile.
2.c. Ebbene tale conclusione, come bene sottolineato anche dal Procuratore Generale di udienza, non può dirsi conforme allo stato della normativa vigente, per le ragioni illustrate dal PM impugnante, essenzialmente riprese dalla sentenza di questa Corte n. 1072 del 2006.
Non sembra sostanzialmente posto in discussione, invero, nella sentenza impugnata,a parte taluni profili di cui si dirà, che la adesione, da parte degli imputati, anche mediante il semplice finanziamento, alle finalità di una organizzazione che si proponeva il compimento di atti di violenza, finalizzata al terrorismo contro lo Stato dello Sri Lanka, potesse integrare anche la obiettiva materialità della condotta, rilevante per il diritto domestico, descritta nell'articolo 270 bis c.p..
E ciò in quanto può ritenersi ormai condivisa la nozione sufficientemente specifica di "terrorismo internazionale", desumibile dall'art. 2 comma 1 lett. b) della Convenzione di New York nel 1999, deliberata dall'assemblea Generale delle Nazioni Unite per contrastare il finanziamento del terrorismo (resa esecutiva in Italia con L. n. 7 del 27 gennaio 2003) come già affermato, condivisibilmente, nella citata sentenza di questa Corte del 2006: una norma che ha fornito una nozione di portata ampia, capace di dare una definizione generale, applicabile sia in tempo di pace che in tempo di guerra, e volta a punire le descritte forme di agevolazione di condotta organizzata, diretta contro la vita o l'incolumità di civili o, in contesti bellici, "contro ogni altra persona che non prenda parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato", al fine di intimidire una popolazione o di costringere uno Stato o un'organizzazione internazionale a compiere od omettere un atto.
Deve intendersi per atto di terrorismo internazionale, in altri termini, quello che si connota, anche se posto in essere in tempo di guerra, per la identità delle vittime (che debbono essere civili o soggetti comunque non impegnati nelle operazioni belliche), per la motivazione politica, religiosa o ideologica (secondo una norma consuetudinaria internazionale accolta in varie risoluzioni dall'assemblea generale dell'Onu) e, infine, da quel dato intrinseco alla nozione di terrorismo che è costituito dall'anonimato delle persone colpite dalle azioni violente, come di arguisce dal rilievo che deve trattarsi della finalità di seminare indiscriminata paura nella collettività.
Nonostante tale previsione, il Gup ha avvertito un punto di insuperabile frizione, ai fini della operatività della norma dell'articolo 270 bis cp, interpretata alla luce dei precetti appena evocati, nella osservazione che la condotta oggetto del precetto penale domestico potrebbe costituire, contestualmente, nel caso di specie, una condotta di rilievo anche per il diritto internazionale umanitario, al quale il primo dovrebbe cedere il passo sia sul piano giurisdizione che della normativa da applicare in via esclusiva.
In altri termini, secondo il Gup, posto che l'associazione - con finalità pur rientranti nella nozione di terrorismo internazionale di cui sopra - si esprimeva, nel Paese straniero, attraverso l'attività di un movimento insurrezionale o di liberazione che aveva acquisito il controllo stabile di una porzione importante di territorio, avrebbe dovuto ritenersi che le manifestazioni di essa, anche se ricadute sulla popolazione civile, con le caratteristiche di cui sopra, fossero regolate dal diritto internazionale ed eventualmente da quello in materia di crimini di guerra o contro l'umanità, dinanzi all'organo giurisdizionale proprio.
Con la ulteriore osservazione - a conferma di tale rilievo - che, nel concorso fra il diritto internazionale umanitario e il diritto domestico, l'articolo 21 della Convenzione di New York prevedrebbe, appunto, una clausola derogatoria, a favore del primo, ove stabilisce che "nessuna disposizione della presente convenzione incide sugli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e dei singoli che hanno rilevanza del diritto internazionale... in particolare sul diritto internazionale umanitario..".
É però da osservare che una simile interpretazione finisce per sostanziare una disapplicazione del precetto penale nazionale, non imposta da alcuna specifica disposizione avente carattere cogente: e ciò, nonostante che la nozione di atto con finalità di terrorismo, desunto dalla Convenzione di New York, direttamente operativa nel diritto penale nazionale, sia stata forgiata proprio con lo specifico riferimento della sua operatività in caso di conflitto armato - invece non prevista nella Decisione Quadro recepita nella formulazione dell'articolo 270 sexies cp - e del connotato, essenziale, dato dalla identità delle vittime - civili o comunque soggetti non operanti come belligeranti nel conflitto -.
Ciò che ha consentito anche alla pregressa giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 1072 del 2006) di ritenere che la nozione di atto con finalità di terrorismo internazionale, da essa accolta, operi anche in un contesto bellico e non comprenda ed anzi escluda (si argomenta a contrario) i soli comportamenti volti a colpire un obiettivo militare, quando comunque sia assente la finalità di intimidire la popolazione o di costringere il governo a un atto diverso da quello che avrebbe compiuto.
Sulla base di tale considerazione di fondo, è da intendere la disposizione dell'articolo 21 Conv.,citata dal Gup, - del tutto diversa, peraltro, dall'XI "considerando" introduttivo della decisione quadro della UE, che esplicitamente esclude la operatività della nozione di atti terroristici in essa contenuta, in relazione alle attività delle forze armate in tempo di conflitto armato.
Una disposizione, la prima, che, viceversa, si limita a richiamare alla osservanza degli obblighi derivanti del diritto internazionale umanitario: quelli destinati, cioè, ad operare sugli aspetti di diretta competenza, seppure connessi a condotte con finalità terroristiche anche penalmente rilevanti per il diritto domestico.
La formula utilizzata nell'art. 21, simile per struttura a quella contenuta nel punto 6 dell'art. 7 precedente, esprime cioè la finalità di evitare interferenze preclusive tra i principi sanciti nella Convenzione che, informano di sé le norme oggetto delle giurisdizioni domestiche, nonché, dall'altro, quelli di diritto internazionale, dai quali derivino "altri" diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e dei singoli.
Anche nel preambolo della Convenzione tale finalità è esplicitata, ove si indica lo scopo della Convenzione e della disciplina in essa stabilita, nella necessità avvertita dagli Stati, di rivedere l'ambito delle norme internazionali vigenti in materia di prevenzione, repressione ed eliminazione del terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, al fine di garantire l'esistenza di un quadro normativo generale che copra tutti gli aspetti della questione.
D'altra parte, anche la dottrina pone in evidenza che non tutti i trattati internazionali contengono una clausola espressa di esclusione degli atti commessi dalle forze armate di uno Stato, così come riconosce la estrema difficoltà, in assenza di una norma che preveda in modo univoco e concordato, il terrorismo in sé, come violazione del diritto internazionale e come reato a livello internazionale, di far rifluire, in termini oltretutto condivisi sul piano internazionale, il terrorismo tra i crimini di guerra o fra i crimini contro l'umanità.
In altri termini non sembra da convalidare, la tesi del Gup che assegna, all'art. 21 della Convenzione, una unica possibile valenza e cioè quella che imporrebbe all'interprete di disapplicare la nozione di "terrorismo in tempo di guerra" derivante dalla Convenzione tutte le volte nelle quali la condotta implicata potrebbe in ipotesi ricadere anche in una previsione del diritto internazionale umanitario.
E ciò in quanto, a prescindere da considerazioni (che non a caso non si rinvengono nella sentenza impugnata) sulla possibile sovrapposizione della giurisdizione domestica e di quella penale internazionale, affrontagli alla luce del principio della "complementarità" che normalmente le connota e comunque del principio del ne bis in idem che ricorre nello Statuto delle Corti internazionali, la possibile sovrapposizione fra la materia oggetto del diritto nazionale interpretato alla luce dei principi convenzionali e quella oggetto di disciplina del diritto internazionale umanitario non comporterebbe, applicati i primi, che gli obblighi derivanti dal secondo siano in qualche modo "pregiudicati".
Ed invero, il pericolo di pregiudizio va esaminato ed escluso, nel caso di specie, proprio e solo con riferimento agli "obblighi" e alle "responsabilità" derivanti dal diritto umanitario, posto che, con riferimento alla materia del terrorismo internazionale, non sono neppure indicati nella sentenza impugnata, con la dovuta chiarezza, possibili "diritti" derivanti da quello ed in generale dallo jus belli, ossia, per intendersi, i diritti essenzialmente rappresentati dalla immunità dalla persecuzione penale per gli atti commessi nel rispetto del diritto internazionale umanitario.
Basta qui ricordare, come fa la dottrina ancor più approfonditamente, che norme di diritto internazionale umanitario, come la quarta Convenzione di Ginevra del 1949 (art. 33) e il II Protocollo addizionale (art.4 n. 2) vietano gli atti di terrorismo in tempo di guerra, da parte degli eserciti, contro persone nelle mani degli avversari, e sebbene si sia osservato che le violazioni delle norme che vietano atti di terrorismo alla luce delle Convenzioni di Ginevra e dei relativi Protocolli non possono essere giudicati dalla Corte penale internazionale perché il relativo Statuto non li annovera, per ora, fra i crimini di guerra, non per questo può affermarsi che altri Tribunali del medesimo "livello" non possano provvedervi, in una previsione sanzionatoria multilivello destinata solo a trovare adeguata forma di integrazione e coordinamento.
Nel senso qui accolto, si è espressa, come detto, anche la sentenza di questa Corte del 2006 - emessa in relazione al fenomeno del reclutamento e all'invio di volontari del fondamentalismo islamico in campi di addestramento prima di essere trasferiti in Iraq per combattere contro gli americani e i loro alleati - la quale ha condivisibilmente escluso dalla finalità di terrorismo internazionale, le sole azioni - poste in essere anche da formazioni clandestine ma - dirette esclusivamente contro combattenti, che restano soggette alla disciplina del diritto internazionale umanitario, mentre, nel caso di atti terroristici destinati contro civili o contro persone non impegnate attivamente nelle ostilità, con il movente e le finalità sopra dette, a prescindere dalla qualità soggettiva dell'agente, la stessa sentenza, al pari di reiterata giurisprudenza di merito, ha ritenuto non disapplicabile la normativa di diritto comune, per la inesistenza di incompatibilità fra terrorismo e situazioni di conflitto armato.
In tal senso non è neppure da condividere l'affermazione del Gup secondo cui la Cassazione, nella sentenza del 2006 più volte citata, avrebbe trascurato proprio il profilo della prevalenza del diritto internazionale umanitario derivante dalla qualità soggettiva della organizzazione favorita, equiparabile a un combattente. La conclusione in diritto contenuta nella sentenza impugnata, in tema di giurisdizione, non può dunque essere condivisa.
3. Tuttavia vi è un secondo, portante, argomento utilizzato da Gup per prosciogliere, che non è censurabile in sede di legittimità, alla stregua dei motivi di ricorso proposti.
3.a Il Gup, facendosi forte proprio delle motivazioni della sentenza della Cassazione del 2006, ha evidenziato come il reato in contestazione preveda un dolo specifico che consiste nella consapevolezza e volontà indirizzate al perseguimento della peculiare finalità di terrorismo che connota l'associazione.
In particolare lo stesso giudice ricorda come la Cassazione, nella citata sentenza, abbia preteso una specifica motivazione, in tal senso, disponendo l'annullamento con rinvio, a proposito del collegamento fra le cellule operanti in Italia e quelle con le organizzazioni attive all'estero e impegnate in attività con finalità di terrorismo.
In più, la Cassazione ha ritenuto tale specifica dimostrazione tanto più cogente in un caso di svolgimento, in Italia, delle attività di supporto logistico, attraverso la raccolta di fondi, a favore dell'associazione operante all'estero, essendo imprescindibile la prova che il collaborante abbia agito nella convinzione di essere inserito in un'organizzazione transnazionale con finalità di terrorismo.
3.b Ebbene il Giudice a quo ha sostenuto, in primo luogo, che, sulla base della perizia storica disposta, potesse affermarsi che la LTTE aveva dato luogo ad un organismo politico che, per lungo tempo aveva presentato gli elementi costitutivi di un vero e proprio Stato, sia pure privo del riconoscimento ufficiale della comunità internazionale: uno Stato dotato di popolo, territorio, forze armate, strutture tipiche dello Stato apparato, produzione normativa, attività diplomatica, sicché può affermarsi che le operazioni militari dello stesso non sono destinate esclusivamente al perseguimento di finalità terroristiche.
Ha dunque motivato la impossibilità di superare l'incertezza che riguarda l'elemento soggettivo del reato, nel senso che è mancata la prova che la raccolta dei fondi o la fornitura di documenti falsi fossero dimostrative della consapevole volontà orientata alle attività terroristiche, non essendo sufficiente, alla stregua degli stessi principi enunciati dalla Cassazione della sentenza del 2006, la generica consapevolezza di finanziare un'associazione che persegua finalità di terrorismo internazionale. Il partecipe all'associazione deve, cioè, essere anche consapevole e condividere le attività terroristiche che l'associazione persegue e che si vogliono agevolare attraverso il finanziamento.
Sul punto le intercettazioni telefoniche hanno dimostrato che la raccolta dei fondi in parte era anche indirizzata alla sopravvivenza del popolo Tamil in madrepatria e, per altro verso ad assicurare i mezzi finanziari indispensabili a sostenere le iniziative militari: iniziative però che non necessariamente si esaurivano nelle azioni terroristiche.
La sentenza impugnata fornisce anche una dettagliata ed esaustiva motivazione a proposito della impossibilità di pervenire, in dibattimento, all'ulteriore accertamento della indimostrata sussistenza del dolo specifico che deve connotare il comportamento dei soggetti imputati del il reato in contestazione.
3.d Ciò posto, al riguardo deve convenirsi, con la sentenza di questa Corte del 2006 più volte citata, nel senso di ritenere che il reato in contestazione è caratterizzato da dolo specifico e cioè la partecipazione o anche il semplice finanziamento alla associazione che agisce con finalità di terrorismo, devono essere, a loro volta, assistiti dalla prova della consapevolezza e volontà, del finanziatore, che il proprio apporto è finalizzato al perseguimento proprio dalla finalità di terrorismo che connota l'attività dell'intera associazione. E cioè dell'obiettivo di spargere terrore tra la popolazione oppure di costringere gli Stati o le organizzazioni internazionali a fare od omettere un determinato atto.
Si tratta della prova di un atteggiamento psicologico che non deve essere certo confuso con la volontà, del finanziatore, di finalizzare, il supporto logistico assicurato, alla singola attività terroristica che l'associazione persegua, come si desume dal semplice rilievo che il reato in esame è di pericolo presunto e, per la sua integrazione, non è neppure richiesta la dimostrazione del compimento degli atti criminosi rientranti nel programma: tanto meno può essere richiesta la prova la volontà di tale compimento ad opera del partecipe all'associazione terroristica.
Tuttavia, e solo entro tali precisi limiti, appare non censurabile l'affermazione del Gup secondo cui tutti gli elementi probatori raccolti dall'accusa non riescono - e nemmeno sono atti, nella previsione dello sviluppo dibattimentale - a dimostrare con la dovuta chiarezza che il singolo imputato avesse la consapevolezza e volontà di finanziare e contribuire agli scopi terroristici dell'associazione e non, piuttosto, che egli agisse nella convinzione di contribuire all'ala non militare dell'organizzazione e, altresì, alle attività dell'ala militare, ma legittimate dallo jus belli.
L'organizzazione delle Tigri Tamil anche infatti era costituita da organi per così dire civili, quali un partito politico, gruppi studenteschi, organizzazioni umanitarie e di sviluppo economico.
3.e E ciò che impone la declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso, sul punto articolato dal PM, è la caratura integralmente in fatto delle sue denunzie.
Egli, nel ricordare le fonti probatorie raccolte (perizia di ufficio, fatti notori, intercettazioni, materiale informatico) ne propone una ricostruzione, in termini di capacità dimostrativa, alternativa a quella motivatamente argomentata dal Gip.
Certamente questa Corte non è posta, dal legislatore, nelle condizioni operative per rivalutare i risultati di prova e tanto meno per effettuarne un "montaggio" di questi, capace di fornire un quadro riepilogativo complessivo, diverso da quello in ordine al quale il giudice del merito abbia fornito - come nella specie, una compiuta delineazione, rispondente ai criteri della logica e della plausibilità.
È per tale ragione che l'art. 606 lett. e), nella specie evocato inammissibilmente, consente alla Cassazione la valutazione del vizio di motivazione ma non anche la possibilità di verificare la rispondenza della valutazione stessa ai risultati di prova, salvo il caso, non dedotto nella specie, della contraddittorietà della motivazione con il contenuto di atti, che debbono essere, però, specificamente indicati ed allegati e debbono apparire capaci di disarticolare il ragionamento seguito dal giudice.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale e rigetta il ricorso del Procuratore della Repubblica.
22-01-2014 21:31
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