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Sentenza

MISURE DI PREVENZIONE: Provvedimenti di applicazione di misure di prevenzione. Condizioni e criteri.
MISURE DI PREVENZIONE: Provvedimenti di applicazione di misure di prevenzione. Condizioni e criteri.
Tribunale    Napoli 
Data:
    05/10/2012 

                        TRIBUNALE DI NAPOLI
    Sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione
    Il  Tribunale  di  Napoli, Sezione per l'applicazione delle misure di
    prevenzione, riunito in Camera di Consiglio, composto dai magistrati:
    Dr Eugenia Del Balzo   Presidente
    Dr Michele Mazzeo      Giudice relatore
    Dr Alessandra Cantone  Giudice
    -  letta  la  proposta  di  applicazione  della misura di prevenzione
    personale,  avanzata dal Procura della Repubblica presso il Tribunale
    di  Napoli  in data 13.11.1998 (come stralciata con provvedimento del
    Tribunale  di Napoli, sez. M.P. del 27.11.1998), ai sensi della legge
    575/65 nei confronti di:
    C.V.,  nato  a  ...omissis...,  residente  in  Napoli alla via S. A.,
    attualmente detenuto;
    -  esaminati  gli  atti  del  procedimento  e,  segnatamente, tra gli
    altri:  la  nota  in  aggiornamento  fatta pervenire, su richiesta di
    questa  A.G.,  dalla  Questura  di  Napoli  datata  20 marzo 2012, la
    acquisita  sentenza  adottata  dal  Tribunale  di  Napoli, VI sezione
    penale,  nell'ambito  del  proc.  1323/R/1998  P.M. (nei confronti di
    A.E.  +  altri), con le relative annotazioni in ordine agli esiti dei
    gravami  ed  alla  definitività  l'OCC adottata a suo carico dal Gip
    presso  il  Tribunale  di  Napoli  in  data  2.3.2010 nell'ambito del
    procedimento  2699/2010  RGNR,  la  relativa ordinanza del riesame in
    data  30.3.2010  ed  il  decreto  di rinvio a giudizio per i medesimi
    fatti  concernenti  l'omicidio  di  Fo.C.  ed  il  connesso  reato in
    materia  di  armi,  il  pregresso decreto applicativo della misura di
    prevenzione   della  sorveglianza  speciale  di  PS  con  obbligo  di
    soggiorno  in data 20.11.1995 dalla quale stato prosciolto per fine
    misura il 24 agosto 2007;
    raccolte,  all'udienza  camerale  del  26.9.2012,  le conclusioni del
    pubblico ministero e del difensore di fiducia presente;
    - sciogliendo la riserva formulata;
    OSSERVA


    Fatto

    1. I principi applicabili in tema di misura ex lege 575/65.

    Va premesso che alla presente proposta, formulata antecedentemente alla sua entrata in vigore, non si applica la normativa di cui al decreto legislativo n. 159/2011 (c.d. codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), giusto il disposto di cui alla disciplina transitoria dettata dall'art. 117 del predetto.

    La legge 13 settembre 1982 n. 646, nel modificare la legge 31 maggio 1965 n. 575, ha assunto la fattispecie criminosa di cui all'art. 416 bis c.p. (associazione di tipo mafioso) a presupposto comune sia del procedimento penale che di quello di prevenzione, pur se ha continuato ad adottare l'espressione "indiziati" per indicare i soggetti cui sono applicabili le misure di prevenzione.

    La coincidenza, nei procedimenti penale e di prevenzione, nella individuazione della fattispecie strutturale (oggi solo parziale per l'introduzione anche delle persone indiziate dei delitti di cui all'art. 51, comma 3 bis, c.p.p. nonché dell'art. 12 quinques L. 7 agosto 1992 n. 356) , comporta che non vi sia diversità alcuna sul presupposto di applicabilità della normativa che consiste nella prova (e non mero indizio) dell'esistenza di una associazione di tipo mafioso, in una qualsiasi delle forme che può assumere secondo il dettato dell'art. 416 bis c.p.

    Permane, invece, diversità tra i due procedimenti sotto il profilo del grado e del tipo di prova circa il dato della partecipazione del soggetto all'associazione criminale: nel procedimento di prevenzione, a differenza di quello penale, non si richiede la sussistenza di elementi tali da indurre ad un convincimento di certezza, essendo sufficienti circostanze di fatto, oggettivamente valutabili e controllabili, che conducano ad un giudizio di ragionevole probabilità circa l'appartenenza del soggetto al sodalizio criminoso, con esclusione, dunque, di meri sospetti, illazioni e congetture (cfr., in tal senso: Corte costituzionale sent. 22 dicembre 1980 n. 177; S.C. 12 gennaio 1985, T.; sez. I, 18 marzo 1994, L.C.; sez. VI, 26 aprile 1995, G.).

    In definitiva, ai fini dell'affermazione di pericolosità sociale di un soggetto, qualificata dalla sua appartenenza ad un'associazione di tipo mafioso, è necessaria e sufficiente l'esistenza di un fatto noto, come premessa minore di un ragionamento logico di tipo indiziario, all'esito del quale sia possibile risalire al fatto ignoto, come premessa maggiore dell'appartenenza della persona all'associazione di tipo mafioso, in virtù di un giudizio probabilistico.

    Il giudizio di pericolosità deve essere, pertanto, necessariamente basato su "un'oggettiva valutazione di fatti, in modo da escludere valutazioni puramente soggettive ed incontrollabili da parte di chi promuove od applica la misura di prevenzione" (cfr. Corte Cost., 22.12.1980, cit. supra). In senso sostanzialmente conforme, la Suprema Corte (Cass., 22.6.1987, A, in Riv. pen., 1988, 506) ha affermato che la pericolosità sociale del soggetto nel procedimento di prevenzione va rapportata a determinati parametri che, allorché si tratti di pericolosità qualificata dall'appartenenza ad associazione di tipo mafioso, debbono raggiungere la consistenza dell'indizio, con esclusione, quindi, dei sospetti, congetture ed illazioni, che sono mere intuizioni del giudice, mentre l'indizio è fondato sempre su di un fatto certo; dato il minore livello probatorio degli elementi necessari per l'applicazione di misura di prevenzione, è sufficiente che gli indizi dimostrino anche la sola probabilità che il prevenuto sia appartenente ad un'associazione di tipo mafioso.

    Presupposto per l'applicazione di misura di prevenzione è, dunque, l'esistenza di un fatto certo in base al quale, attraverso un procedimento logico di tipo indiziario, si possa affermare la circostanza di fatto - oggetto di un giudizio probabilistico - dell'appartenenza del singolo ad un'associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p.

    Appare utile, infine, ricordare che la giurisprudenza ha individuato tra i fatti concretamente accertati sui quali formulare il giudizio di pericolosità nel procedimento di prevenzione, sia quelli che rilevano come circostanze per sé stesse significative, sia quelli che hanno un sicuro valore sintomatico: tra i primi si possono indicare i rapporti dell'autorità di pubblica sicurezza, i precedenti penali del proposto, le prove assunte nel processo penale, anche se in quella sede ritenute insufficienti per l'affermazione di responsabilità; tra i secondi si possono ricordare le frequentazioni da parte del proposto di pregiudicati e/o persone appartenenti ad associazioni di tipo mafioso o sottoposte a misura di prevenzione (sempre che sussista un rapporto di origine della pericolosità di tale frequentazione), la mancanza di uno stabile lavoro in rapporto al tenore di vita, l'improvviso arricchimento, etc.

    È opportuno, altresì, ripercorre sinteticamente alcuni passaggi attraverso i quali la giurisprudenza è pervenuta alla affermazione di alcuni principi interpretativi, non sempre univoci, in relazione alla sussistenza del presupposto della "attualità" in materia di applicazione delle misure di prevenzione, ai sensi della normativa antimafia.

    Un iniziale orientamento della Suprema Corte condusse ad affermare che non esiste uno "status" di appartenente ad associazione mafiosa preesistente alla pronuncia giudiziale, precisando anche che deve essere accertata l'attualità della pericolosità.

    Successivamente si è andato affermando l'indirizzo, che ha preso le mosse dalla decisione della Suprema Corte (Cass. Sez. V, 20 ottobre 1993, Alfano, in Cass. Pen. 1995, p. 161, n. 145), cui si sono uniformate numerose ulteriori pronunce della Corte, che ha ritenuto "permanente e latente la pericolosità sociale dell'indiziato di appartenere ad associazione di tipo mafioso", sostenendo, in sostanza, l'impossibilità di recedere da un sodalizio mafioso, mutuando concettualizzazioni di tipo sociologico.

    In tale direzione, invero, sembrano muoversi anche più recenti pronunce della Corte di legittimità, come nel caso in cui è stato affermato che è legittima l'applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza sulla base della sola esistenza di indizi di appartenenza alle associazioni di tipo mafioso, in quanto, in tal caso, la pericolosità del proposto è presunta dal legislatore e non richiede, a differenza di quanto previsto per le misure di cui alla l. 1423 del 1956 (art. 3 comma 1), l'accertamento in concreto della sua pericolosità (Cass. Sez. V, 27 settembre 2004, Ma., in Cass. Pen. 2006, p. 1909, n. 774; Cass. sez. II, 11 ottobre 2005, Me. ed altri, in Cass. Pen. 2006, p. 4174, n.1700; Cass. sez. II, 16 dicembre 2005, L.P., in Cass. Pen. 2007, p. 261, n. 107).

    Tuttavia, più volte questo Tribunale si è orientato -ritenendola maggiormente in sintonia con i principi costituzionali - in conformità di quella giurisprudenza che, pur muovendo dalla considerazione che l'appartenenza ad una associazione di tipo mafioso evidenzia di per sé una particolare pericolosità sociale, ha affermato che anche per gli indiziati di partecipazione ad associazioni mafiose deve essere accertata la presenza, al momento del giudizio, dei sintomi indicativi dell'attualità di una condotta di vita tale da legittimare l'adozione delle misure personali e patrimoniali.

    In armonia con tale principio, è stato affermato che quanto più gli elementi rivelatori della pericolosità siano lontani nel tempo, rispetto al momento della formulazione del giudizio, tanto più è necessaria e doverosa una puntuale motivazione sull'attualità della pericolosità (Cass. Sez. V, 5 giugno 2002, Ofria, in Cass. Pen. 2003, p. 2436; Cass. Sez. VI, 28 gennaio 1999, Sensale, in Cass. Pen. 1999, p. 3235; Cass. Sez. VI, 26 aprile 1995, Gu., in Cass. Pen. 1996, p. 924, n. 546).

    Pertanto, pur se il requisito dell'attualità della pericolosità sociale è da considerare necessariamente implicito nella ritenuta appartenenza del proposto ad una associazione mafiosa, occorre - comunque - che tale appartenenza abbia carattere di attualità, vale a dire che non sussistano elementi, tra cui va ricompreso il decorso del tempo - di per sé non decisivo - dai quali possa ragionevolmente desumersi che l'inserimento nell'organizzazione sia venuto meno.

    Naturalmente, posto che la mera appartenenza ad una associazione di tipo mafioso evidenzia di per sé una particolare pericolosità sociale, i diversi livelli di adesione e di partecipazione si riverberano sulla individuazione degli elementi in concreto sufficienti a desumere il successivo allontanamento dall'organizzazione.

    Come già accennato deve oggi tenersi conto delle modifiche apportate negli anni 2008/2009 alla legge 575/65, laddove il riferimento di cui all'art. 1 è ormai non solo ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni localmente denominate che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, ma anche ai soggetti indiziari di uno dei reati previsti dall'art. 51, comma 3 bis, cpp, e tra questi (per quello che in questa sede interessa) i delitti aggravati dall'art. 7 L: 203/81, ovvero del delitto di cui all'articolo 12 quinques, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.

    Va, pertanto, sottolineato che la distinzione tra le figure soggettive indicate, al di là della introduzione di fattispecie di reato diverse da quelle associative, non assume rilievo determinante in considerazione della piena equiparazione operata dal legislatore tra misure (anche patrimoniali) applicate ai sensi della legge antimafia e della legge 1423/1956, sicché appare lecito interrogarsi (sulla ricordata tecnica normativa e) sull'utilità dell'inserimento nell'ambito dell'art. 1 della legge numero 575 del 1965 delle persone indiziate di uno dei delitti di cui all'art. 51 comma 3 bis c.p.p. che, dovendo essere comunque portatrici della ordinaria pericolosità sociale, potrebbero comunque essere ricondotte nell'ambito dell'art. 1 nn. 1) e 2) della legge 1423/1956.

    2 - L'applicabilità della nuova normativa a condotte poste in essere e a beni acquisiti prima della sua entrata in vigore, anche sulla base di proposte avanzate in precedenza.

    Le profonde innovazioni introdotte dal decreto legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito con la legge 24 luglio 2008 n. 125, impongono un opportuno approfondimento di alcune questioni rilevanti in tema di applicabilità delle misure patrimoniali e personali).

    La nuova normativa trova applicazione anche con riferimento a condotte poste in essere prima della sua entrata in vigore (in particolare, ai nuovi soggetti inseriti nell'art. 1 della legge numero 575 del 1965: "gli indiziati di uno dei delitti di cui all'art. 51 comma 3 bis c.p.p").

    Invero, dovendo essere espresso un giudizio di pericolosità sociale nei confronti del proposto, si deve necessariamente fare riferimento al momento attuale della decisione, anche se le occasioni e le ragioni su cui poggia tale pericolosità sono desunte da comportamenti e circostanze pregresse, le quali, nella logica del sistema creato dalle norme di prevenzione, riverberano sul tempo futuro le conseguenze del loro valore sintomatico.

    In proposito bisogna, infatti, ricordare che per la unanime giurisprudenza (che ha avuto modo di occuparsi dei problema soprattutto a proposito dell'applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali riguardo a beni acquistati anteriormente alla entrata in vigore della legge 646 del 1982), in tema di misure di prevenzione non è invocabile il principio di irretroattività della legge penale previsto dagli artt. 25 Cost. e 2 c.p., giacché le norme in materia sono informate non già ai principi che riguardano le pene bensì a quelli concernenti le misure di sicurezza. Pertanto, in base al disposto dell'art. 200 c.p., esse devono intendersi "regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione".

    Del resto i principi ricordati trovano fondamento nella natura e funzione delle misure di prevenzione, che sono applicate non quale diretta conseguenza di un determinato fatto (come accade per i reati), bensì per l'intera condotta di vita del soggetto sviluppatasi nel tempo, tale da fare desumere una pericolosità sociale che deve essere attuale, cioè sussistere nel momento in cui il giudice della prevenzione provvede. Poiché proprio a questa pericolosità in atto, anche la legge eventualmente sopravveniente intende porre rimedio, ne consegue l'applicabilità della disciplina prevista dalla norma in vigore nel momento in cui la misura viene concretamente irrogata.

    In questi termini si è espressa la costante giurisprudenza della S.C. (Sez. I, 9.12.1986, L.P.; Sez. I, 16.2.1987, Ci.) ed anche la Corte d'Appello di Napoli (dec. n. 123/97, Ga.), nonché questo Tribunale (ad esempio dec. n. 385/99, emesso nei confronti di S.C., Pres. ed est. Menditto).

    Le conclusioni raggiunte in ordine ai profili personali sono riferibili alle proposte di sequestro e confisca avanzate ai sensi della nuova normativa, nel senso che possono essere oggetto della misura patrimoniale i beni che risultino acquisiti al patrimonio del soggetto in epoca precedente all'entrata in vigore della legge 125/2008 citata.

    Anche in questo caso operano i principi elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui è consentita la confisca dei beni acquisiti dai soggetti indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa anche prima dell'entrata in vigore della legge numero 646 del 1982, che ha introdotto tali misure sempre che, ovviamente, ricorrano le ulteriori condizioni poste dal legislatore (tra le tante: S. C. sent. nn. 680/86, 423/87, 329/89, 3070/92, 4436/93).

    Tali conclusioni si desumono, non solo dall'estraneità del principio di irretroattività della legge penale alla materia delle misure di prevenzione, ma anche da ulteriori considerazioni della dottrina e della giurisprudenza, secondo cui "la regola dell'applicabilità della legge in tema di misure di prevenzione patrimoniali anche ai cespiti acquisiti prima della sua entrata in vigore, si giustifica in quanto il provvedimento ablatorio è norma intimamente collegata a ricchezze accumulate e consolidate attraverso gli anni precedenti il momento in cui la normativa in questione è divenuta operante".

    Ne consegue che potranno essere oggetto di misura patrimoniale beni acquistati anche prima dell'entrata in vigore della legge 125/2008 da soggetto ritenuto pericoloso ai sensi del nuovo testo dell'art. 1 della legge numero 575 del 1965 (indiziato di uno dei delitti di cui all'art. 51 comma 3 bis c.p.p) ovvero ai sensi dell'art. 1 nn. 1) e 2) della legge numero 423 del 1956.

    Le conclusioni raggiunte valgono anche per le proposte avanzate prima dell'entrata in vigore della nuova normativa da organo competente sulla base della previgente disciplina.

    Invero, dette proposte debbano ritenersi validamente avanzate perché introdotte sulla base della legge vigente all'atto dell'esercizio del potere.

    La Suprema Corte, infatti, ha costantemente ritenuto applicabile in materia processuale, in mancanza di espresse disposizioni transitorie, il pricipio tempus regit actum, Tale principio è stato ribadito anche con specifico riferimento alle norme che modificando la competenza: "in assenza di un'apposita norma transitoria, si deve far riferimento al principio generale del "tempus regit actum", secondo cui la nuova disciplina processuale, anche se immuta la competenza precostituita, trova immediata applicazione nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, sempre che, naturalmente, il giudice non sia stato già legittimamente investito del relativo giudizio, in quanto, in tal caso, essendosi già radicata la competenza, la nuova disciplina processuale non ha efficacia" (cfr. ad es.: Sez. 1, n. 20940 del 15/04/2008, Sez. I, n. 21890 del 15/06/2006, Sez. 6, n. 10373 del 16/01/2002 ; Sez. 1, n. 2537 del 07/04/1997).

    Dall'applicazione dei principi enucleati discendono le seguenti conclusioni:

    - le proposte personali e patrimoniali avanzate, ai sensi della legge numero 575 del 1965, prima dell'entrata in vigore del nuova normativa dal Procuratore Circondariale, all'epoca competente rimangono validi ed efficaci;

    - le proposte avanzate ai sensi della legge antimafia, anche prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, consentono l'adozione di misure patrimoniali qualora la persona si ritenga pericolosa ai sensi del nuovo testo dell'art. 1 della legge numero 575 del 1965 ("indiziato di uno dei delitti di cui all'art. 51 comma 3 bis c.p.p") ovvero dell'art. 1 nn. 1) e 2) della legge numero 1423 del 1956, sempre che la persona sia posta in condizione dì difendersi. La misura patrimoniale potrà avere ad oggetto anche beni acquistati in epoca precedente all'entrata in vigore della nuova normativa (sussistendo i relativi presupposti in tema di disponibilità e provenienza illecita);

    - le proposte patrimoniali avanzate dall'autorità all'epoca competente ai sensi dell'art. 14 della legge numero 55 del 1990, oggi abrogato, anche se è già stato emesso decreto di sequestro o (in grado di appello) di confisca, potranno essere ricondotte:

    - nell'ambito del nuovo testo dell'art. 1 della legge numero 575 del 1965, per i soggetti originariamente ricompresi nell'art. 14 della legge numero 55 del 1990 le cui condotte rientrino nell'indizio di commissione di uno dei delitti di cui all'art. 51 co. 3 bis c.p.p. (associazioni di cui all'art. 74 del DPR 309/90, artt. 600, 601, 602, 630 c.p, contrabbando);

    - con riferimento a una pericolosità espressa ai sensi dell'art. 1, nn. 1) e 2) della legge 1423/1956, per i soggetti originariamente ricompresi nell'art. 14 della legge numero 55 del 1990 le cui condotte non rientrino nell'ambito dell'art. 51 comma 3 bis c.p.p. (artt. 629, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale).

    Va, peraltro, sottolineato che la distinzione tra le due figure soggettive ora indicate non assume rilievo determinante in considerazione della piena equiparazione operata dal legislatore tra misure (anche patrimoniali) applicate ai sensi della legge antimafia e della legge 1423/1956, sicché appare lecito interrogarsi (sulla ricordata tecnica normativa e) sull'utilità dell'inserimento nell'ambito dell'art. 1 della legge numero 575 del 1965 delle persone indiziate di uno dei delitti di cui all'art. 51 comma 3 bis c.p.p. che, dovendo essere comunque portatrici della ordinaria pericolosità sociale, potrebbero comunque essere ricondotte nell'ambito dell'art. 1 nn. 1) e 2) della legge 1423/1956.

    3. Il "clan CO." e la posizione di C.V.

    Quanto alla valutazione di merito, ritiene il collegio che, sulla base degli elementi acquisiti, debba pervenirsi all'affermazione della attualità della pericolosità sociale del C.V. ai sensi dell'art. 1 e segg. della L. 575/65, in tal senso deponendo il curriculum vitae del proposto e, nell'attualità, gli elementi in aggiornamento indicati dal sig. Questore con nota in data 20 marzo 2012.

    3.1. Nella originaria proposta del sig. Procuratore della Repubblica di Napoli, cumulativamente avanzata nei confronti di numerosi soggetti (ritenuti vicini, ovvero aderenti, al clan "CO.") e di seguito stralciata per singole posizioni, si affermava la sussistenza di elementi di fatto di sicuro valore sintomatico in ordine alla pericolosità del predetto, segnatamente ritenuto riconducibile alle figure soggettive di cui all'art. 1 L. 575/65, tratti dagli episodi delittuosi dei quali si sarebbe reso nel tempo responsabile: in particolare, lo si indicava come aderente al clan CO. e, segnatamente, si evidenziava come fosse stato destinatario di una OCC di custodia cautelare adottata in data 17 ottobre 1997, su richiesta della direzione distrettuale antimafia, in ordine al reato ex art. 416 bis cp ed altro.

    Si allegava, inoltre, il certificato del casellario giudiziale, dal quale risultava, alla data della proposta, già condannato definitivamente per rapina da minorenne ed altresì sottoposto con decreto del tribunale di Napoli del 5.3.1996 sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

    3.2. Univoci elementi emergono, anzitutto, con riferimento all'esistenza ed operatività del "clan CO.", particolarmente attivo (non solo) in Napoli (segnatamente nei quartieri San Carlo Arena, Mercato, Arenacela, Poggioreale e Vicaria, con roccaforte nel centro strategico rappresentato dal "Rione Amicizia").

    IL clan CO., attivo dagli anni '80, ha visto infatti la sua massima affermazione nel momento in cui si è confederato nella organizzazione tristemente nota come "Alleanza di Secondigliano", nella quale confluirono i clan LR., L., B. e MA. di Giugliano.

    Il sodalizio aveva quale obiettivo primario l'acquisizione del controllo di tutti i quartieri cittadini, dai quali andavano scalzati e soppiantati i clan storici ivi operanti, tra cui i clan AL., MI., M., LA., SA. etc.

    Funzionali e necessarie a tale scopo divenivano le alleanze che l'organizzazione stipulava con altri clan o con esponenti di spicco che decidevano di acquisire autonomia dal gruppo madre, venendone in contrapposizione.

    Si assisteva, pertanto, ad una lunga faida che vedeva i clan alleati dell'organizzazione contrapporsi a quelli di origine o a quelli coesistenti.

    Nella zona di Ponticelli il clan D.L.B. si contrapponeva al clan SA., del quale il promotore era stato esponente apicale; nel quartiere sanità, il clan T.-V. si contrapponeva al clan MI.-PI.; nei quartieri Vomero e AR. il clan CA.-CI. si contrapponeva al clan AL., del quale i promotori erano esponenti di spicco, nel quartiere Posillipo l'organizzazione faceva emergere la figura di C.A., il cui omonimo sodalizio diveniva un'articolazione

    dell'Alleanza di Secondigliano; nei Quartieri Mercato e Poggioreale, il clan CO. si contrapponeva al clan MA., nel quartiere Pianura l'alleanza forniva il proprio appoggio al clan MAR., che si contrapponeva al clan LA.

    Durante la faida che aveva visto il tentativo, poi fallito, posto in essere dall'organizzazione di scalzare e soppiantare i clan storicamente operanti nel centro città, nella zona del Mercato e del rione Case Nuove, in particolare, emergeva la figura di R.N., al cui gruppo il proposto venne accusato di aderire, quale elemento di punta del sodalizio nella faida con il clan MA., relazionandosi ad E.E., detto "Ettoruccio", nipote di B.P., alter ego di CO.E.

    Il suddetto ed il suo elevato carisma trovavano pervero riscontro nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 2504/97-7888/97 RGPM, n. 5463/97 RG GIP e n. 335/97 emessa il 17.10.1997 dal Tribunale di Napoli - Officio G.I.P. Sezione VI a carico di R.N. + 29, che vedeva quest'ultimo indicato quale promotore ed organizzatore dell'associazione camorristica denominata clan "CO.", dell'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, di diversi delitti di estorsione e tentata estorsione, violazione disciplina armi, di diversi episodi di cessione di sostanze stupefacenti, ed altro.

    La condanna definitiva ad anni OTTO e mesi SEI di reclusione per i reati innanzi descritti, forniva la prova documentale della organica partecipazione del R. alle attività illecite del clan e del ruolo apicale da lui assunto nell'organigramma del sodalizio, perpetuato anche dopo la scarcerazione.

    Il fallimento di tale tentativo di soppiantare i gruppi autoctoni faceva venir meno le motivazioni che avevano spinto i clan a confederarsi, con il conseguente dissolvimento dell'alleanza e la ripresa di operatività dei singoli sodalizi.

    A confermare la perdurante operatività del clan CO. sono poi intervenuti i seguenti ulteriori dati giudiziari:

    - in data 5.7.2004 il Tribunale di Napoli Ufficio G.I.P. Sezione XXXIII, emetteva l'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 57523/00, n. 100839/01 GIP e n. 3507/04 O.C.C., a carico di CO.E. + 96, per associazione mafiosa (promossa diretta ed organizzata da CO.E., L.V., L.M., L.P. e T.A., contraffazione e uso di marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di opere di ingegno e di prodotti industriali, riciclaggio del denaro illecitamente acquisito, con l'aggravante di cui all'art. 7 legge n. 203/91;

    il 19.12.2006 CO.E. veniva colpito dall'ordine di carcerazione n. 1372/04 R.E.S. e n. 609/06 Cum emesso dalla Procura Generate della Repubblica per l'espiazione della pena cumulata di anni 19, mesi 1 e giorni 25 di reclusione per associazione di tipo mafioso, estorsione, violazione della disciplina sugli stupefacenti ed altro;

    - il 26.2.2007, il Tribunale di Napoli Sezione G.I.P. Ufficio XXVI emetteva l'ordinanza di custodia cautelare n. 43915/02 R.G.N.R., n. 39648/03 GIP e n.142/07 O.C.C, nei confronti di 202 persone, tra cui i reggenti del momento, A.E. e B.P.

    Il 9.2.2009 il Tribunale di Napoli, Ufficio G.I.P., nell'ambito del procedimento penale n. 21165/08 R.G.N.R., a carico di CO.E., M.L., L.R.M., S.C. e C.R. (per l'omicidio di F.G. avvenuto il 21.01.1982), emetteva l'ordinanza di custodia cautelare n. 79/09 R.O.C.C.;

    - il 20.10.2009 la Corte di Appello di Napoli, con sentenza n.6397/09 Reg. Ins. Sent. e n. 5724/08 R.G. App.,

    condannava CO.E. alla pena di anni DICIASSETTE di reclusione per l'associazione di stampo camorristico denominata "Alleanza di Secondigliano" promossa, diretta ed organizzata da CO.E., V.P. e M.L., T.A. e da altre persone, sentenza confermata dalla Corte di cassazione il 13.7.2011;

    - l'8.3.2010 B.E., figlio del capoclan B.P., veniva tratto in arresto dai carabinieri del Reparto Operativo di Napoli in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 2699/10 R.G.N.R., n. 7341/10 R.GIP e n. 161/10 R.G. O.C.C., emessa dal Tribunale di Napoli Ufficio G.I.P. sezione XXXVIII, perché ritenuto responsabile dell'omicidio del diciassettenne F.C., assassinato il 24.9.2009, procedimento conclusosi con la condanna definitiva ad anni VENTICINQUE di reclusione, eseguita dalla Procura Generale con provvedimento n. 797/11 SIEP del 27.5.2011.

    3.3. Accertata inequivocabilmente l'esistenza della predetta associazione di tipo camorristico, va rilavato come il proposto, C.V.(1), risulti essere stato condannato (alla pena di anni sette di reclusione) per la partecipazione al suddetto sodalizio (capo 1) giusta sentenza adottata in data 9.7.2001 dal Tribunale di Napoli, VI sezione penale, nell'ambito del proc. 1323/R/1998 P.M. (nei confronti di A.E. + altri), riformata in appello quanto alla pena su concorde richiesta del PG dell'imputato e della difesa, e definitivamente ridotta in anni quattro mesi dieci di reclusione, (cfr. anche in casellario pronuncia irrev. il 16.12.2002), giusta sentenza adottata dalla Corte di Appello di Napoli il 19.7.2002.

    Questo uno stralcio delle motivazioni sviluppate dal tribunale di Napoli circa il ruolo del proposto e di altri adepti a lui vicini in seno alla consorteria mafiosa de quo vertitur:

    - OMISSIS -

    F.U., M.R., C.V.

    L'organicità degli imputati, dei quali si sta esaminando la posizione, al sodalizio criminoso in contestazione è testimoniata dalle circostanziate dichiarazioni del GU., globalmente e positivamente riscontrate dalle ulteriori risultanze acquisite.

    In primo luogo il collaborate in ordine ai prevenuti, ed in particolare al C.V. ed al FA., ha fornito alcune indicazioni (relative alle abitazioni, ai familiari, alla detenzione del C.V. al momento dell'ingresso nel gruppo del collaborante) che sottolineano una conoscenza non generica o casuale, ma sicuramente resa solida dalla quotidiana frequentazione e che contribuiscono, dunque, ad attribuire un particolare credito alle dichiarazioni accusatorie, onde appaiono verosimili le affermazioni del collaborate che ha indicato nei tre prevenuti i ragazzi "più validi" dell'intero gruppo, nel MU. e nel FA. gli uomini di fiducia del R., coloro che lo accompagnavano costantemente, nel FA. il braccio destro del R. ed il "Killer" dell'organizzazione, nel C.V. la persona indicatagli dal R. quale il suo "bomber".

    Ed, invero, tutte le propalazioni rese dal GU., già sintetizzate in precedenza (v. supra sub paragrafo "Le dichiarazioni del collaborante A.GU.") e che saranno partitamente esaminate nell'affrontare le specifiche imputazioni da cui i prevenuti sono stati raggiunti, appaiono coerenti e conseguenziali alle citate premesse: MU., FA. e C.V. sono gli associati che collaborano con il R. nel settore del traffico della cocaina, sovrintendono all'arrivo dei carichi, curano l'attività di deposito e custodia dello stupefacente, si occupano della sua suddivisione e dello smistamento ai soggetti destinati a reimmettere la sostanza al consumo; partecipano (il FA. ed il MU.) all'attività estorsiva realizzata in danno di cantieri e commercianti locali; si occupano (il C.V.) della custodia delle armi; sono indicati quali partecipi ad episodi di eccezionale gravita, ma anche di significativa importanza nella vita del gruppo (tentato omicidio in danno di B.E.); sono presenti quando il capo comunica delicate deliberazioni e conferisce incarichi di fiducia (commissionata gambizzazione di D.I.R.); fanno costantemente parte delle scorte armate.

    E appena il caso di sottolineare al riguardo che le conclusioni cui il Tribunale è pervenuto nei riguardi degli imputati in ordine alla loro partecipazione ai singoli episodi delittuosi in contestazione, illeciti tutti riconducibili al sodalizio criminoso, è assolutamente ininfluente ai fini delle verifica da operarsi in tale sede e diretta a valutare gli elementi emersi in ordine alla configurabilità e sussistenza dell'intraneità dei prevenuti all'associazione de qua. Ed, invero, la condotta partecipativa sussiste quando vi sia consapevolezza e volontà da parte dell'associato di far parte di un sodalizio criminoso durevole e di essere disponibile ad operare, fornendo un qualsivoglia apporto, per l'attuazione del comune progetto delinquenziale, anche a prescindere dalla concreta realizzazione dei delitti programmati, i quali, d'altro canto, di per se soli considerati, sono indici sintomatici dai quali trarre argomento di prova, ma non già prova essi stessi della sussistenza dell'organizzazione e della partecipazione alla stessa.

    Se l'anzidetto principio, pacifico e consolidato, è valido in generale, appare ancora più valido nel caso particolare e cioè rapportato alla concreta vicenda al vaglio di questo Tribunale che è pervenuto ad assoluzioni assolutorie per i reati fine non all'esito di un giudizio di inattendibilità o di inaffidabilità del dichiarante, risultato invece del tutto attendibile e riscontrato in ordine alla ricostruzione del fatto materiale ed alla riferibilità soggettiva del medesimi ad alcuni dei soggetti indicati quali partecipi, ma per l'incompletezza del prescritto procedimento acquisitivo rispetto alle posizioni processuali dei prevenuti, posto che il difetto di une specifico elemento individualizzante corroborativo non ha consentito di ritenere, nei loro confronti, perfezionata la fattispecie probatoria di cui all'art. 192 III comma c.p.p. Ciò premesso le dichiarazioni del collaborante in ordine all'intraneità dei prevenuti risultano, sotto il profilo esterno, esaustivamente corroborate dall'accertata, costante frequentazione dei medesimi con gli altri associati, ma soprattutto con i capi dell'associazione.

    Nell'ambito dell'esposizione generale nonché in riferimento alle posizioni già trattate si è approfondito il significato da attribuire ai controlli sul territorio operati dalla P.G. relativi a tutti i soggetti raggiunti dall'imputazione sub 1). In tale sede va solo ribadita la particolarità di alcuni di essi, nel corso dei quali non ci si è limitati a constatare la compresenza, in una data ora e in un dato luogo, di più soggetti, ma nel medesimo luogo ed in prossimità dei controllati, è stato possibile il rinvenimento ed il recupero di armi, solitamente pronte all'uso ed occultate all'interno di cassette della Telecom ubicate negli androni dei palazzi e, quindi, facilmente accessibili dalla strada. E singolare, oltre che significativa, è la coincidenza che tutte le volte in cui si è proceduto al sequestro delle armi, si è constatata sia 1' identità delle cautele di occultamento adottate, sia la vicina presenza degli odierni imputati (il FA. nell'operazione del 3/4/1997, il FA. ed il C.V. in quella del 9/4/1997).

    Così come significativo è il controllo, eseguito in data 10/2/1997, di FA. e MU. in attesa sotto 1' abitazione del R. presso la quale si trovavano anche il Diffido ed il detenuto agli arresti domiciliari E.E., accertamento che, apprezzato unitamente alle dichiarazioni fornite al riguardo dal collaborante ed alle ulteriori emergenze acquisite, ha indotto il Tribunale all'affermazione della penale responsabilità del FA. e del MU. in ordine al reato loro contestato al capo 26) di rubrica.

    Il GU. ha riferito che, specie dopo la morte di R.G. e l'acuirsi dei contrasti con i gruppi dei M. e dei MA., aveva condiviso con C.V. il locale terraneo di proprietà di F.D. ed ubicato nel palazzo blindato del medesimo. In data 29/4/1997, durante un' operazione di P.G., i verbalizzanti constatavano la presenza del GU. e del C.V. all'interno del terraneo nel quale, tra l'altro, vi erano due lettini da poco utilizzati. Alla vista delle Forze dell'Ordine, il C.V. aveva esclamato: "Brigadiere, meno male che siete voi, credevo che fosse un agguato".

    GU. riferisce che l'abitazione di FA.U., presso la quale si era più volte recato a consegnare il danaro per il R. oppure a lavarsi, era munita di blindatura e di vetri anti-proiettili e che presso la stessa si era negli ultimi tempi trasferito il R., in quanto si sentiva in pericolo anche a ritornare la sera presso la propria abitazione, sita a via S. I testi ufficiali di P.G. hanno precisato che l'abitazione del FA. presentava un sistema di blindatura uguale a quello in uso agli istituti di credito e che, in occasione di un controllo, R.N. aveva dichiarato di essere reperibile proprio presso l'abitazione del FA.

    Gli esiti delle intercettazioni dei colloqui tra il detenuto R. ed i suoi familiari offrono ulteriori conferme in tal senso.

    Enzuccio a miseria (C.V.) è il detentore di uno degli orologi del valore di svariati milioni che N. elenca al padre perché li recuperi e li custodisca; sono tre gli orologi "al pacchetto" quelli cioè che si trovano presso l'istituto di detenzione siccome lo stesso R., F.D.e C.V. li portavano sul polso al momento dell'arresto.

    Il padre di U. (FA.G. che GU. ha indicato quale stabile frequentatore del gruppo (cfr. udienza del 27/5/1999) e che e stato più volte controllato con gli odierni imputati) è il soggetto che insieme a T.R. (D.G.) è "il sicuro fallimento" di ciò che è accaduto.

    MU.R. è colui che scrive al R. ogni giorno ed è a lui che Pietro R. deve rivolgersi per essere accompagnato da Franchetiello dietro l'Ausonia e da Tonino o' biondo.

    Alla convergenza ed univocità dei dati processuali testé indicati consegue la dichiarazione di colpevolezza degli imputati in ordine al delitto di cui all'art. 416 bis c.p.

    - omissis -

    4. Attesa la necessità di attualizzare i dati valutativi a disposizione, il tribunale, oltre ad aver acquisito contezza delle motivazioni adottate dal giudice di merito attraverso la sentenza di condanna nei confronti del proposto nell'ambito del procedimento nr. 2504/97 - 7888/97 RG PM, concernente appunto le vicende legate al clan CO., ha richiesto un aggiornamento in ordine alle più recenti condotte di vita del C.V., nonché l'acquisizione di certificati aggiornati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti ed, ancora, degli atti di cui era cenno nella nota in aggiornamento del sig. Questore (cfr. infra), ovvero dell'OCC n. 161/2010 - 7341/10 R. GIP e 2699/10 RGNR adottata nei confronti del proposto dal Gip in sede in data 2.3.2010 e correlato provvedimento ex art. 309 cp del riesame (cfr. ordinanza 2021 in proc. 2211/10 RIMC del 30.3.2010), nonché del decreto di prevenzione del 2.11.2005.

    Il sig. Questore, con la nota in data 20 marzo 2012, ha in particolare segnalato per il periodo successivo ai fatti di cui alla citata sentenza di condanna le seguenti circostanze sul conto del proposto:

    detenuto per effetto del citato titolo cautelare n. 2504/97-7888/97 RG PM, n.5463/97 RG GIP e n. 335/97 O.C.C, emesso dal Tribunale di Napoli - Ufficio G.I.P. Sezione 6^ e della correlata condanna definitiva alla pena di anni QUATTRO e mesi DIECI di reclusione fino al 20.04.2004 (all. n. l) e quindi sottoposto alla liberta controllata per la durata di mesi DICIOTTO, successivamente ad un ordine di carcerazione in data 1.10.2004 (con relativo decreto di sospensione del medesimo n. 800/2004) in relazione alla condanna definitiva a mesi QUATTRO di reclusione per violenza o minaccia a P.U. (notificatogli il 21.1.2005 dal Commissariato Vicaria-Mercato - all.n.2), in data 6.11.2005, prosciolto dalla liberta controllata, veniva contestualmente risottoposto alla sorveglianza speciale della P.S. (all.n.3). Segnalava altresì quanto segue:

    "....La necessità di mantenere i contatti con gli ambienti malavitosi riconducibili al clan "CO.", portavano il proposto a sfidare il rischio di incorrere nei controlli delle FF.PP., con conseguenti denunce alla competente A.G. Infatti, in data 9.5.2005 veniva denunciato dall'Ufficio Prevenzione Generale perché sorpreso in compagnia del pluripregiudicato D.G., nato a Napoli il …omissis…, ritenuto un esponente di spicco del clan CO., pregiudicato per associazione di tipo mafioso e violazione disciplina stupefacenti, gravato da segnalazioni di reato per estorsione (attualmente risulta latitante per tale reato), contrabbando di tabacchi lavorali esteri, evasione, detenzione e porto illegale di armi, reati finanziari, furto, guida senza patente, invito alla prostituzione, reati contro la persona, falsi in genere (all. n. 4).

    In data 3.8.2006 veniva denunciato dal Commissariato Vicaria-Mercato perché sorpreso privo della carta di permanenza ed in compagnia di C.L. nato a Napoli il …omissis…, recentemente tratto in arresto da personale della Squadra Mobile in esecuzione di o.c.c. per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, violazione della disciplina sugli stupefacenti, gravato inoltra da segnalazioni di reato per ricettazione, falsità materiale, appropriazione indebita, partecipazione al giuoco d'azzardo, truffa, contrabbando di tabacchi lavorati esteri, possesso e fabbricazione di documenti falsi, sostituzione di persona, favoreggiamento personale, porto di armi od oggetti atti ad offendere (all. n. 5).

    In data 3.5.2007 denunciato dall'Ufficio Prevenzione Generale perché sorpreso il giorno precedente in compagnia del pregiudicato F.D., nato a Napoli il …omissis…, ritenuto un esponente di rango apicale del clan "CO.", pregiudicato per associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, gravato da segnalazioni di reato per associazione di tipo mafioso, estorsione, sostituzione di persona, contraffazione di sigilli o di strumenti destinati a pubblica autenticazione, falsità materiale, guida senza patente, minaccia, oltraggio, resistenza, violenza a P.U., detenzione e porto illegale di armi, lesioni personali, dichiarato delinquente abituale dal Magistrato di Sorveglianza di Napoli in data 23.1.2009, con applicazione della misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro (all. n. 6).

    In data 4.7.2007 denunciato dal Commissariato Vicaria-Mercato perché sorpreso in compagnia di altre sei persone con precedenti (all. n. 7).

    In data 24.8.2001 veniva prosciolto dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S. (all.n.8).

    In data 26.5.2008 veniva denunciato dalla Polizia Municipale di Napoli perchè sorpreso a condurre un'auto sebbene privo della patente di guida.

    Sorpreso nuovamente da personale del Commissariato Vicaria-Mercato a condurre un motociclo, veniva denunciato per guida senza patente in data 24. 6.2008 (all.n.10). In quest'ultima circostanza si trovava in compagnia di CA.S., nato a Napoli il …omissis…, gravato da segnalazioni di reato per associazione per delinquere, furto, ricettazione, esercizio dei giuochi d'azzardo ed altro (all.n.11).

    In data 8.9.2009 veniva controllato da personale della Squadra Mobile in compagnia di diverse persone (all.n.12), tra cui To.V. nato a Napoli il …omissis…, elemento apicale dell'estinto omonimo clan operante nel rione Sanità, uscito perdente dallo scontro con il clan Mi. ed oggi ritenuto vicino al clan CO., a cui codesto Tribunale, in data 15. 7.1996, con decreto n.352/96 R.D., applicava la sorveglianza speciale della P.S., ai sensi della normativa antimafia, per la durata massima di anni cinque.

    In data 8.3.2010 veniva tratto in arresto dai carabinieri del Nucleo Investigativo C di Napoli in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 2699/2010 RGNR, n. 7341/2010 R.GIP e n. 191/2010 R.G. O.C.C, emessa dal locale Tribunale Ufficio G.I.P. Sezione 38* a carico di C.V. + 2 (all.n.13) .

    Tra i destinatari del provvedimento figura BO.E., figlio di BO.P. che, unitamente a CO.E., rappresenta il vertice del clan CO.. La misura cautelare scaturiva dalle indagini effettuate dai militari dell'Arma in relazione all'omicidio di FO.C., assassinato il 24.4.2009.

    In data 30.3.2010 C.V. veniva scarcerato su provvedimento n. 2211/2010 R.I.M.C. emesso dal Tribunale di Napoli 8* Sezione Riesame (all.n.14) .

    In data 24.6.2010 veniva sorpreso ancora una volta da personale dell'Ufficio Prevenzione Generale alla guida di un'auto in compagnia del già citato DI.G., ragione per cui veniva nuovamente denunciato per guida senza patente (all.n. 15) ...".

    Come detto, dunque, il suo curriculum criminale ha origine remota, attesi i precedenti definitivi in parte sopra citati e gli altri di cui al certificato del casellario giudiziale acquisito aggiornato all'attualità per rapina (fatti del 1991), furto tentato in concorso del 1992, furto e furto tentato in concorso del 1993, rapina in concorso del 1995, furto in concorso del 1996, violazione delle misure di prevenzione ex art. 9 L. 1423/56 del 1997, violenza e minaccia a p.u. del 2000, associazione per delinquere di tipo mafioso (è la sentenza sopra citata del 9.7.2001 relativa a fatti fino al 1997), ingiurie del 2000. La sua pericolosità pregressa, benché "semplice", è peraltro testimoniata inequivocabilmente da provvedimento di sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno che già questa AG ha adottato nei suoi confronti nel lontano 1995 e dal quale è stato prosciolto, a seguito di interruzioni prolungate per carcerazioni, solo nell'anno 2007.

    Conclamata la sua partecipazione associativa, come detto sulla base della sentenza sopra citata, che ha visto condannati (sia pur per fatti in qualche modo datati) numerosi esponenti del clan CO., la perduranza del suo agire illecito in ambito organizzato è testimonianza proprio dal richiamato procedimento penale nr. 2699/10 RGNR di cui si è detto, nell'ambito del quale il C.V., oggi peraltro rinviato a giudizio per quelle vicende, è stato raggiunto da titolo cautelare restrittivo, quale esecutore materiale, in relazione all'accusa di omicidio (e connesso reato in materia di armi) in danno di Fo.C. su mandato di Bo.E., per la finalità ancora una volta di agevolazione del gruppo camorristico "CO.", quale punizione nei confronti della vittima insofferente al controllo territoriale e criminale dello stesso clan; se è vero, infatti, che il Tribunale del riesame ha annullato il titolo predetto per mancanza di specifici ed individualizzanti riscontro a carico dell'odierno proposto in ordine alla dichiarazione accusatoria resa dal collaborante D.F.V., asserendo il carattere estremamente generico e non diretto ed oggettivo delle circostanze poste dal Gip a riscontro della chiamata ed il contenuto proveniente da notizie apprese de relato e da fonti inaffidabili, delle intercettazioni e delle dichiarazioni di D.R.A., nonna della vittima, ciò nondimeno deve tenersi conto dei diversi principi che ispirano il processo di prevenzione rispetto a quello penale, il quale ultimo non assume peraltro alcun carattere ostativo ad una diversa valutazione delle circostanze fattuali accertate, primi tra i quali la non necessaria applicabilità dei principi di cui all'art. 192 co. 3 cpp.

    Ma, senza voler necessariamente voler rapportare quanto riferito dal collaboratore alla vicenda oggetto dell'ordinanza cautelare ed al ruolo che l'odierno proposto avrebbe assunto quale esecutore materiale dell'omicidio del Fo.C., ciò che senza tema di smentita appare potersi trarre dagli elementi d'indagine confluiti nel titolo custodiale è sicuramente la persistenza dell'indicazione del C.V. come soggetto che continuava ad essere estremamente vicino al contesto ambientale e delinquenziale del cosiddetto clan CO. e la persistente assidua frequentazione da parte del medesimo di soggetti aderenti all'organizzazione medesima, come risultato non solo di fondi di carattere investigativo, ma altresì di fonti dichiarative ed intercettattive (il collaborante indica peraltro "Enzo a Miseria" come affiliato al clan CO. con funzioni di killer ancora alla data dell'omicidio) .

    Tutto ciò intensifica e rinverdisce il profilo della sua pericolosità "qualificata" già in passato conclamata in sede penale rispetto al suddetto ambito organizzato, attualizzando -al di là della responsabilità per il concorso nel fatto omicidiario- inequivocabilmente il giudizio estremamente negativo in termini prognostici che l'importante curriculum criminale pregresso di per sé induce a formulare, essendo le vicende e le indagini di che trattasi intervenute fino al periodo dell'aprile 2009.

    Del resto, come rilevato dal sig. Questore, la pericolosità criminale e la forte trasgressività del prevenuto si è manifestata senza sosta anche successivamente alla scarcerazione avvenuta nel 2004 (in relazione al fine pena della condanna per il reato associativo): innumerevoli (cfr. in premessa) sono stati infatti nel tempo i controlli e le frequentazioni con pregiudicati e segnatamente con soggetti gravati da pregiudizi e condanne estremamente gravi anche in ambito associativo organizzato od in materia di stupefacenti e, tra questi, molti con esponenti anche di primo piano proprio del clan cui da tempo è ritenuto aderire, così come plurime risultano le denunce per violazione alle prescrizioni imposte con la misura di prevenzione a lui applicata e/o ai divieti di guida conseguenti alla revoca della parente di guida alla medesima connessa.

    Fatti e circostanze che testimoniano della perseveranza non solo dell'azione nel campo degli illeciti di significativo spessore ed in ambito di criminalità organizzata, ma vieppiù di una non comune callidità criminosa, trasgressività e riottosità al rispetto dei dettami dell'autorità.

    Il proposto è. dunque, senz'altro inquadrabile nell'ambito di una delle categorie criminogene descritte dalla L.575/65, quale intraneo ad uno specifico contesto mafioso.

    Ritiene infatti questo Collegio che sia stata in tali sensi ineludibilmente conclamata la prolungata e perdurante azione del proposto in campi dell'agire illecito di elevato spessore: il curriculum criminale del C.V. risulta assolutamente allarmante, i fatti per cui è la citata ultima condanna in ambito camorristico conclamando, al di là di ogni ragionevole dubbio e senza necessità di scomodare i diversi principi applicabili in materia di prevenzione, il profilo di una personalità assolutamente negativa, che lo vede già condannato e ritenuto responsabile della partecipazione ad un allarmante sodalizio di stampo camorristico, mentre la commissione di numerosi reati di particolare allarme in epoca antecedente ai fatti di cui alla menzionata condanna (tanto da giustificare l'imposizione già nel lontano 1995 della misura di prevenzione) , unitamente alle circostanze giuridiche e fattuali rappresentate per il periodo successivo (fino all'ultima denuncia per giuda senza patente del 24.6.2010 -cfr. all. 15), si saldano perfettamente rappresentando un profilo personalogico assolutamente negativo in capo al proposto, che trova attualizzazione fino ai giorni nostri. Ergo, si tratta di un protagonista delle attività illecite verificatesi sul territorio di pertinenza, con un ruolo, ormai riconosciuto in sede penale, di assoluto rilievo nelle dinamiche associative di cui si è dato conto e durante un arco temporale continuato e prolungato.

    Se ne desume, pertanto, per un verso, l'inserimento in un contesto malavitoso di inequivocabile ed assoluto allarme e, per altro, il profilo di una personalità assolutamente deviata, con scelte definitivamente operate a favore di un contesto criminale estremamente preoccupante e la chiara disponibilità ad azioni illecite ed opzioni di elevato spessore delinquenziale.

    Ed invero, in una tale cornice, il quadro indiziario offerto dai numerosi elementi di ordine fattuale sin qui sinteticamente evidenziati rende a dir poco validata l'ipotesi accusatoria in questa specifica sede processuale sostenuta dal Procuratore della Repubblica di Napoli, ribadita (alla luce delle conclusioni rassegnate all'esito dell'udienza del 25 settembre 2012) dallo stesso rappresentante del P.M. presente in aula: i rapporti personali con soggetti anche apicali del clan; il ruolo svolto nell'ambito delle attività illecite di cui si è dato conto, tra l'altro funzionali all'affermazione ed al mantenimento del potere di un gruppo camorristico, le inequivoche risultanze procedimentali più recenti ancora in ambito camorristico relative a fatti dell'anno 2009, sintomatiche della condivisione di programmi delittuosi caratterizzati da assoluto disvalore sociale ed elevata pericolosità e comunque di estrema vicinanza a determinati contesti costituiscono, in definitiva ed in una valutazione unitaria di tutte le emergenze del presente procedimento, elementi di fatto per ritenere la sussistenza non solo dei richiesti indizi di commissione di uno dei delitti di cui all'art. 1 della legge 575/65, ma anche per ritenere la sussistenza dell'attualità della pericolosità sociale del proposto.

    I riferimenti temporali innanzi rammentati in relazione alla gravità ed all'allarme delle vicende, anche associative, descritte, consentono di ritenere, contrariamente alle deduzioni difensive, che comportamenti del genere di quelli accertati possano, infatti, effettivamente ancora ripetersi attraverso le medesime forme, atteso che, a fronte di emergenze estremamente allarmanti sia pur non recentissime (le condotte associative datano alla fine degli anni '90), si sono succeduti in epoca recentissima fatti illeciti e comportamenti allarmanti ad opera del proposto e, vieppiù, non risultano agli atti oggettivi elementi di segno contrario, del tutto collidenti, che indichino come mutate le prospettive esistenziali del prevenuto

    Né appaiono elisive del giudizio testé effettuato le circostanze rappresentate dalla difesa in ordine al percorso che anche in ambito di studio e lavorativo il C.V. avrebbe tentato di intraprendere: il conseguimento della licenza media nell'anno 1999 e la frequentazione di corsi di studio (classe terza del corso "SIRIO") in ambito superiore presso il Centro penitenziario o la partecipazione a corsi di arti teatrali (cfr. certificazione prodotta) non ha prodotto evidentemente alcun effetto dissuasivo e di autentica resipiscenza, viste le frequentazione (oltre alle violazioni commesse) che il proposto ha continuato costantemente a mantenere una volta libero, mentre -sebbene debba darsi conto del tentativo di inserimento in gruppi di ex detenuti e la partecipazione (o la richiesta di partecipazione) a progetti di lavoro o formazione per ex detenuti, non risulta -conformemente del resto a quanto rilevato dal sig. Questore- che il C.V. si sia effettivamente mai dato ad una stabile e lecita attività lavorativa.

    6. L'entità della misura applicata.

    In ordine all'entità della misura, ritiene il Tribunale, sulla base di tutte le circostanze di fatto evidenziate, in considerazione della natura e del grado della sua pericolosità sociale, che debba essere applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata che si ritiene congruo determinare in anni tre mesi sei.

    7.1. Ai sensi della disposizione di cui all'art. 3 bis della legge 575/65 va, poi, obbligatoriamente imposto al proposto di depositare a titolo di cauzione una somma di danaro il cui ammontare, sulla base della natura e del grado di pericolosità sociale accertata e delle condizioni economico-finanziarie desumibili dalla dedizione ad attività illecite, va determinata nella misura di settemila euro (euro 7.000,00).
    PQM
    P.Q.M.

    IL TRIBUNALE

    letti gli artt. 1 e 2 della legge 31 maggio 1965 n. 575;

    DISPONE

    che C.V., come sopra generalizzato, sia sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di anni tre mesi sei;

    PRESCRIVE al suddetto

    - di vivere onestamente, rispettando le leggi;

    - di non dare ragioni di sospetto;

    - di fissare la propria dimora, entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione del presente provvedimento, nel comune di soggiorno obbligato e di non allontanarsene;

    - di comunicare il luogo dell'abitazione scelto nel comune di soggiorno obbligato all'autorità locale di pubblica sicurezza;

    - di non andar lontano da tale abitazione senza il preventivo avviso all'autorità preposta alla sorveglianza;

    - di non uscire da tale abitazione prima delle ore 7 e di non rientrarvi dopo le 20, nel periodo che va dal 1° ottobre al 31 marzo, e, rispettivamente, prima delle ore 6 e dopo le ore 21, nel periodo che va dal 1° aprile al 30 settembre, senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all'autorità locale di pubblica sicurezza;

    - di non associarsi abitualmente a persone condannate o sottoposte a misure di sicurezza o di prevenzione;

    - di darsi alla ricerca di un lavoro;

    - di non detenere né portare armi;

    - di non trattenersi abitualmente nelle osterie, nelle bettole ed in case di prostituzione;

    - di non partecipare a pubbliche riunioni;

    - di presentarsi, ogni domenica, tra le ore 9 e le ore 12, e comunque, ad ogni chiamata, all'autorità di pubblica sicurezza proposta alla sua sorveglianza;

    - di portare sempre con se e di esibire ad ogni richiesta di ufficiali od agenti di pubblica sicurezza la carta di permanenza che gli verrà consegnata;

    IMPONE

    al suddetto di versare, alla Cassa delle Ammende, a titolo di cauzione, la somma di euro 7.000,00 (settemila/00), entro il termine di quindici giorni dalla sottoposizione alla misura.

    Così deciso nella camera di consiglio del 25.9.2012.

    (1)assolto, viceversa, da una serie ulteriore di contestazioni in materia estorsi va (capo 6), violazione della disciplina sugli stupefacenti (capi 17, 18 19), armi (25 26. 32 e 33). 34 e 35 (omicidio), prevalentemente per difetto di elementi di riscontro anche di carattere individualizzante.
Avv. Antonino Sugamele

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