Interessante sentenza sulla persona offesa e imputato con disturbi di personalità schizoide e sulla credibilità frazionata.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 giugno - 3 settembre 2013, n. 35991
Presidente Marasca – Relatore Bevere
Fatto e diritto
Con sentenza 18.1.2012, la corte di appello di Milano ha confermato la sentenza 3.3.2011 del tribunale della stessa sede con la quale O.R. era stato condannato,previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ex art. 61 n. 2 ed ex art. 36 L. 5.2.1992 n. 104 e alla recidiva, alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione, al risarcimento dei danni, al pagamento di una provvisionale di Euro 10.000 e al rimborso delle spese in favore della parte civile, perché riconosciuto colpevole dei reati, uniti dal vincolo della continuazione, di sequestro di persona, lesioni, maltrattamenti, in danno di R.B. .
Con la medesima sentenza, il tribunale aveva assolto l'O. dal reato di violenza sessuale ex artt. 609 bis, 609 septies co. 4 n. 4 c.p. per insussistenza del fatto. Nell'interesse dell'imputato è stato presentato ricorso per i seguenti motivi: 1. vizio di motivazione: i giudici di merito non hanno dato adeguata giustificazione alla diversa e contrastante valutazione delle dichiarazioni accusatorie della R. : la credibilità è stata negata alle sue dichiarazioni accusatorie in ordine al reato di violenza sessuale, mentre è stata riconosciuta a quelle concernenti gli altri tre reati. La corte di merito ha richiamato il criterio della ed credibilità frazionata, senza tener conto che, nei casi simili a quello in esame, (narrazione di avente ad oggetto accadimenti che si sono protratti nel tempo) la giurisprudenza ha escluso l'operatività di tale principio ermeneutico laddove esista un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato, per cui non sia possibile ritenerlo credibile in parte qua e non credibile in altera parte. La decisione della corte di merito,al pari di quella del tribunale, ha preso atto dell'inattendibilità delle dichiarazioni della R. con riguardo all'imputazione di violenza sessuale, mentre assegna piena credibilità ad affermazioni inscindibilmente connesse alle prime, senza dare valida giustificazione a tale diversa valutazione. I giudici di merito non spiegano,cioè, dopo aver "smontato" la credibilità della persona offesa in relazione al delitto di violenza sessuale, per quale ragione possano ritenere attendibile il suo racconto sugli altri fatti contestati, nel momento in cui emergono in modo evidente contraddizioni e incongruenze a fronte di un racconto fornito dall'imputato compatibile con le risultanze istruttorie.
In tema di lesioni, non è giustificata la credibilità riconosciuta alla donna, sebbene le dichiarazioni sullo strangolamento con la collanina non abbiano avuto conferma documentale; in tema di sequestro di persona, l'accertamento della sussistenza del reato è contraddetta da alcune circostanze (esclusivo possesso delle chiavi dell'abitazione, da parte della donna; libero uso del telefono fisso e del telefono cellulare; attività lavorativa,svolta presso un pensionato; fine del sequestro di persona, su autonoma iniziativa della sequestrata, il ..., giorno in cui si recò presso la portinaia) che sono assolutamente incompatibili con l'asserita segregazione coatta nell'abitazione, protrattasi per 15 giorni. Il giudice di appello non ha dato adeguata risposta alle critiche formulate nell'atto di impugnazione, essendosi limitato al richiamo delle argomentazioni del prima sentenza, senza dar giustificazione sull'uso del criterio della credibilità frazionata e senza dare rilievo alla patologia da cui è affetta la persona offesa.
2. vizio di motivazione in riferimento all'asserita ma inesistente conferma delle dichiarazioni della R. , da parte di altre testimonianze (le dichiarazioni della portiera C. , degli agenti di polizia intervenuti il ..., di S.I. );
3. vizio di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio: i giudici di merito hanno negato la sospensione condizionale della pena, configurando un prognosi negativa sui futuri comportamenti dell'O. , senza tener conto che il fatto risale al XXXX e che da allora egli è stato sempre seguito e monitorato dal CPS, come confermato dal teste D.P. , all'udienza 2.12.2010.
Il ricorso merita accoglimento nei limiti che saranno di seguito esposti.
Va preliminarmente rilevato che le due sentenza di merito, avendo seguito un iter argomentativo comune, sono da considerare un unico risultato di un organico e inscindibile accertamento giudiziale.
Il primo giudice ha correttamente esaminato i profili psicologici e psichiatrici della persona offesa e dell'imputato, il cui rapporto di convivenza -svoltosi nell'abitazione della donna per circa due settimane - è stato originato dal loro incontro nel CPS di via (omissis) . Con particolare riguardo alla R. - che ha costituito una fondamentale fonte conoscitiva dei fatti in esame-, nella sentenza di primo grado si è preso atto:
- dei suoi disturbi di personalità schizoide;
- dell'accertata sua tendenza a manipolare la relazione soprattutto in termini comunicativi, portando a conoscenza eventi o fatti solo a lei favorevoli;
- una tendenza ad assumere,nel corso delle testimonianze, atteggiamenti "rivendicatori" ovvero "oppositivi";
- della sua capacità di rendere testimonianza, in considerazione della generale irrilevanza di tali caratteristiche ai fini della utilizzazione delle sue dichiarazioni a fini processuali.
Quanto all'imputato O. , il tribunale ha preso atto di un disturbo borderline di personalità con una interpretatività quasi psicotica, con tendenza a leggere comportamento dell'altro come degli attacchi e della inidoneità di tale stato a incidere sulla sua capacità di intendere e di volere. Quanto alla generale attendibilità delle dichiarazioni dei protagonisti di questa complessa vicenda, il tribunale ha rilevato che, se un disturbo schizoide o borderline non incide sulla capacità di percezione del reale, di rievocarlo e di narrarlo, le tendenze manipolatorie e rivendicative (R. ) o qualche (sia pure sporadico) atteggiamento interpretativo dell'O. "segnalano l'assoluta necessità di una più stringente analisi critica sulla validità processuale delle loro dichiarazioni".
Proprio in conformità a questa premessa generale sulla specifica esigenza di valutazione particolarmente diligente e approfondita delle dichiarazioni della principale fonte di accusa, il tribunale.
1. ha preso atto che "il reato di cui all'art. 609 bis poggia l'intera struttura sulle sole dichiarazioni della R. che necessitano, dunque, passare attraverso un'attività di verifica che consentano di reggere un vaglio critico rigoroso sulla loro tenuta logica, sulla loro credibilità ed attendibilità intrinseca";
2. ha concluso che,al di là della mancanza di riscontri, "è la subita violenza che manca del tutto nel racconto processuale della R. , la quale non offre una narrazione di fatti, ma raccoglie tutto nell'affermazione stereotipa di violenza carnale, mera definizione di un fatto che la teste non racconta, non esprime, non evoca...".
A questa assenza di narrazione,di rievocazione, da parte della R. , in relazione al reato di violenza sessuale, non possono contrapporsi, in relazione agli altri reati, precise e convincenti narrazione rievocative, provenienti dalla medesima persona offesa, in relazione ai fatti qualificati come sequestro di persona e maltrattamenti, in modo da giustificare il richiamo, da parte della corte di merito, al principio interpretativo della credibilità frazionata, nel senso che l'accertata inattendibilità, riferita ad alcune parti della narrazione testimoniale, non inficia la credibilità delle altre parti del racconto.
In ordine al delitto ex art. 605 c.p., i giudici non hanno tenuto conto che proprio dalla narrazione della donna sono emerse le circostanze fattuali (esclusivo possesso delle chiavi dell'abitazione, da parte della donna, libero uso del telefono fisso e del telefono cellulare, attività lavorativa, svolta presso un pensionato, fine del sequestro di persona, su autonoma iniziativa della sequestrata, il ..., giorno in cui si recò presso la portinaia), valutate dalla difesa - e non smentite da emergenze processuali e da convincenti interpretazioni alternative - come assolutamente incompatibili con una situazione di coercizione, di limitazione di libertà personale, di segregazione coatta nella propria abitazione. Va anche rilevato che è proprio la donna a narrare, al di là dell'allontanamento da casa per motivi di lavoro (sia pure in compagnia del convivente),le ripetute uscite dallo stabile di entrambi: anche se la portiera ha smentito di averli notati uscire dal portone principale, rimane l'ammissione della donna segregata, di essere ripetutamente uscita, anche se non vista dalla suddetta testimone.
Deve quindi concludersi che, nel caso di specie,a fronte dell'affermazione, da parte della R. , di "sequestro di persona", non solo è assente una precisa indicazione di tale stato di privazione di libertà, ma è presente una narrazione di circostanze incompatibili con la sussistenza di costrizione psichica e con condizioni di sostanziale impossibilità di locomozione, causate da un freno materiale o dall'esposizione ad un pericolo per l'incolumità personale. È di tutta evidenza la possibilità, offerta alla donna dalle modalità di convivenza con l'imputato, non solo di tenere normali rapporti con l'esterno e con altri soggetti, ma anche di comunicare a questi, con la massima facilità, eventuali condizioni di costrizione e di segregazione, al fine di un'immediata liberazione. La sentenza impugnata, in ordine al reato di sequestro di persona, va quindi annullata senza rinvio, per evidente vizio di "travisamento della prova", in quanto il giudice di merito ha fondato il proprio convincimento sulla responsabilità dell'O. su risultanze processuali, la cui razionale interpretazione conduce a un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Quanto al reato di maltrattamenti la sentenza di appello conferma quanto accertato dal giudice di primo grado in ordine alla costante percezione soggettiva della donna "di essere stata maltrattata per tutto l'apprezzabile tempo della convivenza", e alla conseguente sofferenza, "dovuta alla personalità aggressiva, a tratti violenta ed ossessivamente gelosa dell'O. ". Sussistenti sono correttamente considerati i fatti di lesioni,segnalati dalle effusioni e dalle ecchimosi, attestate nella cartella clinica, redatta presso la Clinica Mangiagalli, a seguito di visita effettuata il ... e fatte risalire dalla teste So.Lo. ad almeno una settimana/cinque giorni prima della visita. In ordine al reato di cui al capo 3) della rubrica, la sentenza merita conferma. Ulteriori atti rientranti nell'elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti descritto nel capo di imputazione, sono costituiti - dopo l'esclusione della sussistenza di quelli relativi ai reati di violenza sessuale e sequestro di persona - dalle umilianti ingiurie e dalle espressioni minacciose ivi indicate. Questi episodi di violenza fisica e morale non risultano narrati, sia da parte delle persona offesa sia da parte dei testimoni a cui li ha riferiti, con quei profili di cadenza temporale e di ripetitività idonei a conferire continuità a questo atteggiamento aggressivo ed offensivo dell'imputato e conseguentemente a configurare l'abitualità della condotta criminosa, necessaria per il riconoscimento della sussistenza del delitto in esame.
La sentenza impugnata afferma la sussistenza di "una quotidianità di maltrattamenti e sofferenza a causa della personalità aggressiva e gelosa di O. " dimostrata - oltre che dalla cartella clinica e dalle valutazioni tecniche della teste So.Lo. concernenti le lesioni, da "deposizioni testimoniali quanto all'immediato e reiterato racconto dei fatti – dep. D.A. , S. , M. , R.F. -...". La genericità di questo richiamo alle suddette testimonianze reitera pari genericità della sentenza di primo grado, che qualifica la narrazione relativa ai maltrattamenti "ricca di dettagli", emergenti, oltre che dalla cartella clinica e dalle dichiarazioni della teste So.Lo. , dalle non precisate dichiarazioni testimoniali del fratello, dei poliziotti, degli operatori sociosanitari, a cui la R. , nelle immediatezze dei fatti, narrò immediatamente e reiteratamente "le aggressioni e i maltrattamenti".
Appare quindi fondata la censura del ricorrente, laddove rileva il vizio di motivazione per evidente travisamento della prova, che ricorre nel caso in esame, in quanto il giudice di appello ha fondato il proprio convincimento sulle prove dichiarative (le testimonianze suddette) che non risultano fornire, in maniera decisiva, alcuna conferma a quelle della persona offesa, conferma, la cui esigenza si profila:
a) nell'ambito della "assoluta necessità di una più stringente analisi critica sulla validità processuale" delle dichiarazioni della R. , di cui sono state accertata dai giudici di merito le tendenze manipolatorie e rivendicative;
b) all'esito dello specifico spessore fragile di attendibilità, dimostrata dalla medesima fonte, in ordine ai reati di violenza sessuale e sequestro di persona.
L'inefficacia persuasiva delle dichiarazioni accusatorie di questa particolare teste, in ordine alla dimostrazione della sussistenza di questi reati, non comporta razionalmente un negativo pregiudizio in ordine all'efficacia persuasiva di altre dichiarazioni accusatorie. Comporta necessariamente l'attuazione di quella più stringente analisi preliminarmente annunciata dall'accertamento giudiziale di merito.
La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio, in ordine al reato di sequestro di persona, perché il fatto non sussiste; va annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano, per nuovo esame, che, in ogni caso, riguarderà la quantificazione della pena per il residuo reato di lesioni.
L'accoglimento del ricorso su questi punti della motivazione comporta l'assorbimento delle altre doglianze.
Sulle spese processuali si deciderà all'esito della pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio in ordine al reato di cui all'art. 605 c.p. perché il fatto non sussiste e con rinvio per nuovo esame, in ordine ai residui reati, ad altra sezione della corte di appello di Milano.
06-09-2013 14:15
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