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Sentenza

I beni dei parenti non sfuggono alla confisca.
I beni dei parenti non sfuggono alla confisca.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 28 febbraio - 5 giugno 2013, n. 24530
Presidente Teresi – Relatore Graziosi

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 31 luglio 2012 il Tribunale di Alessandria ha respinto l'appello presentato da G.M. , S.S. e S.E. avverso ordinanza del gip del Tribunale di Acqui Terme emessa il 27 giugno 2012, che ne aveva rigettato la richiesta di restituzione del controvalore di Euro 95.000 di titoli depositati in un dossier titoli sottoposto a sequestro preventivo a seguito di provvedimento del 24 marzo 2012 sempre del gip del Tribunale di Acqui Terme relativo ai beni nella disponibilità, tra gli altri, di S.L. - coniuge di G.M. e padre delle altre due istanti -, indagato per i reati di cui agli articoli 110 c.p., 2, 8 e 10 d.lgs. 74/2000. Il Tribunale di Alessandria ha ritenuto che di tali titoli S.L. avesse la disponibilità in forza della delega rilasciatagli dai propri familiari, delega di cui questi non avevano significativamente spiegato i motivi del rilascio, non indicando neppure la provenienza dei titoli.
2. Contro l'ordinanza ha presentato ricorso il difensore di G.M. , S.S. e S.E. , sulla base di un unico motivo: violazione dell'articolo 322 ter c.p. in relazione alla inconfiscabilità dei beni appartenenti a terzi estranei al reato, quali sarebbero i titoli in questione. L'ordinanza avrebbe ritenuto sufficiente la delega a operare sul conto e il rapporto coniugale con G.M. , non compiendo alcun approfondimento per provare la ritenuta discrasia tra la intestazione formale e l'effettiva disponibilità sui beni - in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. V, 22 febbraio 2012 n. 6962) -, limitandosi dunque a una mera presunzione.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
L'articolo 322 ter c.p. prevede al primo comma la confisca per equivalente - cui è prodromico il sequestro - "di beni, di cui il reo ha la disponibilità". Non facendo riferimento alla proprietà dei beni - quale istituto civilistico - la norma si rapporta dunque non a una loro intestazione formale, bensì a una situazione di potere di fatto su di essi, che qualifica "disponibilità". Esiste, in effetti, una nozione penalistica della proprietà (contigua sul piano civilistico ben più al possesso nel senso di contenuto del potere del proprietario, che alla proprietà quale titolarità del diritto) che, anche ai fini della interpretazione della fattispecie criminose, si identifica nella disponibilità del bene (p.es. Cass. sez. VI, 18 aprile 2012 n. 40597): a tale nozione si connette la cautela del sequestro per equivalente - finalizzato a una misura, quale la confisca, che non presuppone infatti alcuna forma di responsabilità civile (Cass. sez. III, 3 settembre 2012 n. 40364) - investendo i beni che si trovano comunque nella disponibilità, appunto, dell'indagato, anche qualora siano formalmente intestati a terzi estranei (da ultimo, per una fattispecie di contestazione v. Cass. sez. III, 19 ottobre 2011 n. 45353). La scissione tra titolarità formale/proprietà e potere di fatto/disponibilità che è il presupposto della valenza di quest'ultima comporta tuttavia la necessità di una verifica, tale da escludere che il titolare formale abbia anche il potere di fatto sul bene, essendo questo invece in capo all'indagato. L'onere probatorio, secondo i principi generali, è della parte pubblica che chiede disporsi il sequestro su beni qualificati come nella disponibilità dell'indagato, se a tale disponibilità non sia congiunta anche la intestazione formale di proprietà civilistica. Ciò è stato sostanzialmente confermato dalla giurisprudenza invocata dal ricorrente (Cass. sez. V, 22 febbraio 2012 n. 6962, anche se il riferimento all'onere della prova della discrasia riguarda un passo della motivazione relativo all'esposizione dei motivi del ricorso) che, in un'ipotesi di sequestro su conto intestato al coniuge del soggetto indagato per cui quest'ultimo aveva delega, ha ritenuto la insufficienza di questa - peraltro qualificandola "presunzione" - a dimostrare la disponibilità dell'indagato di quanto giacente sul conto intestato al coniuge. A prescindere dal rilievo che in tal modo la citata pronuncia si è approssimata a una cognizione di fatto in ordine alla idoneità dell'elemento probatorio (la delega) a dimostrare la disponibilità (in un contesto in cui non poteva neppure farsi valere il vizio motivazionale ex articolo 606, primo comma, lettera e, c.p.p. ex articolo 325 c.p.p.), si osserva che, se si vuole intendere correttamente come affermazione di principio di diritto il suo contenuto nel senso di necessità di un adeguato accertamento di fatto sull'esistenza della disponibilità, incorrendosi altrimenti nella violazione della norma laddove indica la disponibilità quale presupposto della cautela, nel caso in esame si deve dare atto che non è stato violato il precetto normativo. L'ordinanza impugnata, invero, non ha limitato il fondamento della disponibilità al rapporto coniugale e all'esistenza della delega, come sostiene il ricorso, bensì ha espletato proprio l'approfondimento che il ricorso lamenta omesso, utilizzando una serie di indici su cui costruire quella che, si ricorda, è una cognizione sommaria (accanto alla delega e alla parentela, il fatto che la G. operasse nella società di cui il marito era legale rappresentante, come risultante dagli esiti istruttori già acquisiti, nonché la mancanza di indicazione, nel ricorso al giudice di merito, non solo delle ragioni della delega ma soprattutto - a differenza, si nota per inciso, del caso esaminato da Cass. sez. V, 22 febbraio 2012 n. 6962 - della fonte di provenienza dei titoli).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna di ogni ricorrente, ai sensi dell'art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che ogni ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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