La vittima che stimola la condotta omicida con espressioni offensive esclude l’aggravante dei futili motivi. Cass, Penale sez. I sentenza 21 febbraio 2012 n. 6796 Pres. Siotto – est. Vecchio
1.- Con sentenza, deliberata l'8 ottobre 2010 e depositata il 13 ottobre 2010, la Corte di assise di appello di Brescia ha confermato la sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale di quella stessa sede, 19 settembre 2009, di condanna alla pena della reclusione in anni sedici, nel concorso di circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla ritenuta aggravante dei motivi futili, a carico di H. L. imputato del delitto di omicidio, commesso in danno di M. R., in Cividate Camuno, l'11 novembre 2008.
I giudici di merito hanno accertato che L., mediante ripetuti colpi inferti con una sbarra di ferro al capo, aveva cagionato la morte di R., suo datore di lavoro, in seguito alla animata discussione originata dal rimprovero che l'imprenditore aveva rivolto al prevenuto circa l'adempimento delle mansioni nello scarico dei lavorati metallici.
Con riferimento ai .motivi di gravame (circa la esclusione della aggravante dei motivi, gradatamente circa la comparazione delle circostanze e, in ogni caso, per la riduzione della pena) e in relazione. a quanto assume rilievo nel presente scrutinio di legittimità, la Corte di assise di appello ha osservato quanto appreso.
Sono esatte, nei termini che seguono, le deduzioni in punto di fatto dell'appellante.
L. lavorava “in condizioni di semisfruttamento” (dopo alcuni mesi di di impiego senza copertura assicurativa, prestati nella azienda, l'assunzione era stata parzialmente regolarizzata solo febbraio 2008, con un contratto di lavoro a tempo definito, mentre L. prestava la propria opera a tempo pieno, remunerato col compenso di sei euro all'ora per le prestazioni effettuate “in nero”).
Effettivamente il fatto di sangue si correla, piuttosto che al rimprovero mosso dal datore di lavoro, al contesto della discussione, concitata e accesa, che ne seguì.
La vittima, di carattere irascibile e incline all'insulto, adusa a riprendere inurbanamente gli operai, profferì all'indirizzo del giudicabile frasi irriguardose e offensive (“non mi rompere il cazzo, vai a casa, esci di qui, fuori dei coglioni”), suscettibili di essere, peraltro, interpretate come “prodromiche” del licenziamento; e alla “particolare durezza verbale dell'intervento” associò l'atto di “sospingere il dipendente fuori del capannone”.
Mentre l'espressione “merda, usata dalla vittima” non era diretta a insultare l'operaio, costituendo, piuttosto, interiezione espressiva della “reazione di sdegno ed insoddisfazione”, scevra da “ogni intenzionalità offensiva dell'altrui onore”.
Orbene è, innanzitutto da escludere, sulla base delle dichiarazioni del giudicante, pienamente confesso, che la mortale aggressione si correli al timore e alla “rabbia commista a disperazione” per il licenziamento; lo stesso L. ha spiegato che reagì alla umiliazione provata per le volgari espressioni del R. “ritenute offensive della propria dignità”.
Ma tanto non vale a escludere l'aggravante del motivo futile.
Al di la della considerazione che l'imputato ben conosceva le “note caratteriali del proprio datore di lavoro”, il quale dopo le intemperanze e le “sfuriate verbali” era solito scusarsi con gli operi e ristabilire “un clima di pacificazione”, la enorme sproporzione tra la reazione delittuosa e lo stimolo, assolutamente insufficiente “per la generalità delle persone” a provocare la perpetrazione dell'omicidio, consente di affermare che “la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l'azione commessa”, sicché risulta perfettamente integrata, alla luce della giurisprudenza di legittimità, la aggravante ritenuta dal primo giudice.
A dispetto delle prospettazioni difensive (circa la vita anteatta, le condizioni individuali, familiari e sociali, la condotta susseguente al reato, il dolo di impeto che animò l'azione e il suo esaurimento “in un lasso temporale fulmineo”) osta alla postulata comparazione in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla aggravante - e, comunque, alla riduzione della pena - la considerazione del “carattere abnorme e primitivo della violenza” omicida, della estrema micidialità del mezzo, del funzionamento assai debole dei freni inibitori, del mancato accenno di soccorso alla vittima nella immediatezza e della assenza “di ogni manifestazione di contrizione per l'atrocità della azione commessa e di commiserazione per la morte della vittima e del dolore dei familiari” del R..
2. - Ricorre per cassazione l'imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato P. D.Z., mediante atto recante la data del 22 novembre 2010, col quale sviluppa due motivi, coi quali dichiara promiscuamente di denunciare, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), c.p. p., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione: agi articoli 577, comma 1, numero 4, e 61, comma 1, numero 1, del Codice Penale (primo motivo) e in relazione agli articoli 61, comma 1, numero 1 [69] 133 e 577, comma 1, numero 1 del Codice Penale (secondo motivo), nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
2.1- Col primo motivo il difensore si duole della ritenuta. aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, numero 1, del Codice Penale, deducendo: la Corte territoriale ha riconosciuto le prospettazioni difensive circa la irascibilità della vittima, circa le pregresse intemperanze verbali di costui, circa le espressioni offensive profferite nei confronti del giudicabile, circa la condizioni lavorative di semisfruttamento, circa la condizione personale e psicologica di L.; mentre è evidente - alla stregua del processo verbale (allegato in copia al ricorso) delle spontanee dichiarazioni rese dall'imputato l'11 novembre 2008 - che l'appellativo “merda” usato dal R. non era una espressione generica, ma costituiva una contumelia rivolta al ricorrente; la Corte territoriale,. pur dando conto “della pluralità dei motivi”, ha considerato - e, peraltro, svalutato solo l'offesa all'onore, trascurando il dato culturale del paese di provenienza del giudicabile caratterizzato dall'”esacerbato” sentimento dell'onore.
2.1 - Col secondo motivo il difensore censura il diniego della prevalenza delle attenuanti generiche e la dosimetria della pena, deducendo: L. è una persona dedita al lavoro immune da pretedenti penali, il fatto di sangue e caratterizzato dal dolo di impeto e dell'esaurimento della azione “in un momento brevissimo”; la Corte territoriale ha trascurato di valutane la capacità ia delinquere e i parametri dell'articolo 133 del Codice Penae.
3.- Fondato (e assorbente dello scrutinio del secondo mezzo di impugnazione) risulta il primo motivo del ricorso.
3.1 - Innanzitutto, con riferimento alla ricostruzione della condotta verbale della vittima nella imminenza del fatto di sangue, la negazione della Corte territoriale che la espressione scatologica proferita dal R. fosse rivolta al giudicabile (costituendo, piuttosto, una interiezione impersonale), è frutto di travisamento del dato probatorio, specificamente denunziato e opportunamente documentato dal ricorrente nella osservanza del principio della autosufficienza del ricorso.
Risulta evidente dal contesto stesso della interlocuzione tra i protagonisti della vicenda che l'epiteto della tragica “tempesta verbale” (v. p. 12 della sentenza impugnata) era specificamente rivolto .alla persona dell'imputato. E nella rievocazione di costui dell'accaduto - reputata dai giudici di merito affatto “corretta” e meritevole della concessione della attenuanti generiche - la testuale citazione della frase pronunciata dalla vittima dà inequivocabilmente conto che l'appellativo costituì il predicato nominale (della proposizione pronunciata dal R.) riferito al soggetto L.: “Sei una merda!”.
3. - Pacifica e costante è nella giurisprudenza di questa Corte suprema di legittimità l'affermazione del principio di diritto, secondo il quale “la circostanza aggravante dei motivi futili sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale” (Sez. 1, 30 gennaio 1996, n. 7034, Sassano, massima n. 205325; Sez,. I, 19 gennaio 1999, n. 3465, Zumbo, massima n. 212871; Sez. 1, 14 dicembre 2000, n. 5864, Gattellari, massima n. 218082; Sez. I, 8 maggio 2009, n. 29377, Albanese, massima n. 244645; e, da ultimo, Sez. I, 13 ottobre 2010, n, 39261, Mele, massima n. 248832).
Orbene, a dispetto del richiamo dell'ulteriore corollario tratto da questa Corte a tenor del quale “il motivo è futile quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l'azione commessa” (Sez. I, 4 luglio 2007, n. 35369, Zheng massima n. 237686; e, in precedenza, v. in ter mini Sez. I, 17 dicembre 1998, n. 4819/l999, Casile, massima n. 213378), la Corte territoriale è incorsa nella erronea applicazione della legge penale, non avendo fatto buon. governo dei principi di diritto fissati nella materia dalla giurisprudenza di legittimità.
L'apprezzamento della plausibilità della correlazione, sul piano empirico della reattività, tra “l'antecedente psichico della condotta,ossia [dell'] impulso che ha indotto il soggetto a delinquere” (Cass., Sez. 1, 14 dicembre 2000, n. 5864, Gattellari, cit.), deve essere innanzitutto “ancorato agli elementi concreti della fattispecie, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, nonché del contesto sociale in cui si è verificato il tragico evento dei fattori ambientali che possono aver condizionato la condotta criminosa” (Cass. , Sez. I, 14 giugno 2007, n. 26013, Vallelunga, massima n. 237336 e Sez. I, 17 dicembre 1998, n. 4819/1999, Casile, cit.).
Sicché, nel caso di specie, la ricostruzione fattuale della vicenda e, segnatamente, del profilo criminologico del giudicabile, operata dai giudici di merito, esclude palesemente che lo stimolo arrecato alla condotta omicida dalle espressioni offensive proferite dalla vittima - ferma la evidente sproporzione tra la contumelia patita e il bene primario leso - sia invero affatto irrisorio a tal segno da costituire addirittura, piuttosto che la “causale”, soltanto la mera occasione ovvero il contingente “pretesto” o “scusa” per lo sfogo [della] personalità criminale” dell'agente (v. sentenza impugnata, p.4).
Dell''imputato, infatti, i giudici di merito hanno valutato positivamente la personalità e, sulla base dell'espresso apprezzamento della “pregressa condotta di vita osservata dal prevenuto”, hanno riconosciuto il concorso delle circostanze attenuanti generiche.
3.3 - Conseguono l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, limitatamente alla aggravante del motivo futile, la esclusione della medesima e la trasmissione degli atti alla Corte di assise di appello di Brescia per la determinazione della pena principale.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente alla aggravante del motivo futile che esclude; e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di assise di appello di Brescia per la determinazione della pena.
27-02-2012 00:00
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