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Sentenza

Certifica di essere disoccupata per ottenere prestazioni sanitarie gratuite: non e
Certifica di essere disoccupata per ottenere prestazioni sanitarie gratuite: non e
Corte di Cassazione Sez. Seconda Pen. - Sent. del 03.04.2012, n. 13697

Presidente Carmenini - Relatore Taddei

1. La Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza del 28.09.2010 ha confermato la sentenza 26.02.2009, del Giudice monocratico del Tribunale di Palmi che aveva affermato la responsabilità penale di M.R. in ordine ai reati di cui agli artt. 483 e all'art. 640, comma secondo, cod. pen. in danno della A.S.L. n. (…) di Palmi; per avere autocertificato, con dichiarazione falsa resa alla predetta ASL, di essere disoccupata e che il suo nucleo familiare aveva percepito per l'anno 2003 redditi non superiori a quelli previsti dalla legge per l'attribuzione del diritto alla fruizione deIle prestazioni mediche in regime di esenzione contributiva, così procurandosi l'ingiusto profitto costituito dal risparmio sulla quota di partecipazione alla spesa con correlato danno per l'ente pubblico .In Gioia Tauro il 07.12.2006 e, riconosciute circostanze generiche prevalenti sull'aggravante contestata per il delitto di truffa, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81, comma secondo, cod. pen., la aveva condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi cinque di reclusione ed euro 150,00 di multa.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, il quale ha chiesto l'annullamento della sentenza deducendo la necessità di adeguarsi alla decisione delle SS.UU. n. 7537 del 2011 che in un caso del tutto analogo aveva ravvisato la sussistenza del solo reato p. e p. dall'art. 316 ter cod.pen.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è fondato.

2.1 Questa sezione, adeguandosi alla decisione n. 7537 del 2011, ha già applicato la regola giurisprudenziale individuata dalle Sezioni Unite, ad un caso analogo a quello in esame, affermando che .” La condotta ascritta all'imputato, va ricompresa nell'ambito di operatività dell'art. 316 ter c.p. essendo volta al conseguimento - com'è specificato nello stesso capo d'imputazione - di un “contributo integrativo” per l'affitto di un alloggio. In ordine al rapporto fra l'art. 640 bis c.p. - art. 640 c.p., comma 2, n. 1 - art. 316 ter c.p., questa Corte (ex plurimis Cass. 21609/2009 - Cass. 8613/2009 riu 243313 Cass. 1162/2008 riu 242717 - Cass. 32849/2007 n. 236966 Cass. 45422/2008 242302 Cass. 10231/2006 n. 233449 Cass. 23623/2006 n. 234996), ha avuto modo di affermare che la fattispecie criminosa di cui all'art. 316 ter c.p. ha carattere residuale rispetto alla fattispecie della truffa aggravata e non è con essa in rapporto di specialità, sicché ciascuna delle condotte ivi descritte (utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, e omissioni di informazioni dovute) può concorrere ed integrare gli artifici ed i raggiri previsti dalla fattispecie di truffa, ove di questa fattispecie criminosa siano integrati gli altri presupposti. Al riguardo si è infatti posto in evidenza come la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla tematica de qua, nella ordinanza n. 95 del 2004, dopo aver rammentato la coincidenza della questione con quella in passato sollevata per la previsione punitiva di cui alla L. 23 dicembre 1986, n. 898, art. 2, ha rilevato che “il carattere sussidiario e “residuale ” dell'art. 316 ter c.p., rispetto all'art. 640 bis C.p., - a fronte del quale la prima norma è destinata a colpire fatti che non rientrino nel campo di operatività della seconda -costituisce dato normativo assolutamente inequivoco”. Ha in tal modo escluso la automatica sovrapponibilità delle condotte individuate nell'art. 316 ter c.p. (dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere) con quelle di cui all'art. 640 c.p., cioè con gli artifici e raggiri. Ha tuttavia espressamente riservato all'ordinario compito interpretativo del giudice accertare, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie delineata dall'art. 316 ter c.p., integri anche la figura descritta dall'art. 640 bis c.p., facendo applicazione in tal caso solo di quest'ultima previsione punitiva”. E ciò perché lo stessa Corte ha ritenuto evidente, anche in ragione delle preoccupazioni espresse dal legislatore nel corso dei lavori parlamentari, che l'art. 316 ter c.p. sia volto ad assicurare agli interessi da esso considerati una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella già offerta dall'art. 640 bis c.p., “coprendo”, in specie, gli eventuali margini di scostamento, - per difetto - dal paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode “in materia di spese”. Ciò sta dunque a significare che nella valutazione della fattispecie concreta è rimesso al giudice stabilire se la condotta che si è risolta in una falsa dichiarazione, per il contesto in cui è stata fomrulata, ed avuto riguardo allo specifico quadro normativo di riferimento nella cui cornice il fatto si è realizzato, integri l'artificio di cui all'art. 640 c.p. e se da esso sia poi derivata l'induzione in errore di chi è chiamato a provvedere sulla richiesta di erogazione. La condotta descritta dal richiamato art. 316 ter c.p. si distingue, dunque, dalla figura delineata dall'art. 640 bis c.p. per le modalità, giacché la presentazione di dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere deve essere “fatto” strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, e si distingue altresì per l'assenza di induzione in errore. La sussistenza, dunque, della induzione in errore, da un lato, e la natura fraudolenta della condotta, dall'altro, non possono che formare oggetto di una disamina da condurre caso per caso, alla stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto: in termini SS.UU. le quali con la sentenza n. 16568/2007 n. 235962, hanno proprio affermato che “l'ambito di applicabilità dell'art. 316 ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, ome quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale”.
2.2 Orbene, applicando i suddetti principi alla concreta fattispecie in esame, deve concludersi per la fondatezza del ricorso: infatti, la Corte territoriale si è riportata integralmente alla decisione del primo giudice, escludendo la qualificazione ai sensi dell'art. 316 ter cod.pen. senza indicare, in realtà, quali fossero stati gli artifizi o raggiri adoperati dall'imputato La suddetta motivazione è, però, censurabile in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che la semplice presentazione di un'autocertificazione inveritiera (comportamento già previsto e sanzionato dall'art. 316 ter c.p.) costituisca, di per sé, un artificio o raggiro, senza considerare che quel comportamento diventa sussumibile nell'ipotesi delittuosa della truffa solo ove presenti un quid pluris che lo caratterizzi e qualifichi come un comportamento di natura fraudolenta.
2.3 Va anche precisato che,in ossequio al principio del favor rei, non essendo stato determinato il reale importo della visita ortopedica usufruita con esenzione dall'imputata, si deve ritenere che tale importo non abbia superato il livello di rilevanza penale, pari ad € 3999,96, di cui all'art.316 ter cod.pen., secondo comma.

3. La sentenza va pertanto annullata senza rinvio, perché , qualificati i fatti ai sensi dell'art.316 ter cod.pen., il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Va disposta la trasmissione degli atti al Prefetto di Reggio Calabria per l'applicazione della sanzione amministrativa ai sensi dell'art.316 ter co 2 cod. pen.
P. Q. M.

Qualificati i fatti come fattispecie ex art. 316 ter cod.pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Dispone la trasmissione degli atti al Prefetto di Reggio Calabria, per l'applicazione della sanzione amministrativa, prevista dal secondo comma dello stesso art. 316 ter cod.pen.

Depositata in Cancelleria il 03.04.2012
Avv. Antonino Sugamele

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