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Sentenza

Quando la relazione di servizio può essere annoverata tra gli “atti irripetibili”?
Quando la relazione di servizio può essere annoverata tra gli “atti irripetibili”?
Nella complessa fase delle indagini preliminari i poteri riconosciuti alla polizia giudiziaria sono ampi e molteplici, come desumibile dalla generale previsione espressa nell’art. 55 del Codice di rito. Tale norma, delimitando funzionalmente l’attività della polizia giudiziaria, prevede l’obbligo per la stessa di acquisire le notizie di reato, di impedire che fatti criminosi vengano portati a conseguenze ulteriori, di ricercarne gli autori, di compiere qualsiasi atto necessario ad assicurare le fonti di prova e di raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale. Secondo un’impostazione tradizionalmente accolta, l’attività svolta dalla polizia giudiziaria si può distinguere in attività di informazione, attività di assicurazione e attività di investigazione.

Rilevante ai fini della presente trattazione non è tanto l’aspetto relativo all’approfondimento delle singole tipologie di atti che la polizia giudiziaria è autorizzata a compiere - e la conseguente classificazione in base al criterio tripartito sopra specificato - quanto invece, quello di chiarire le implicazioni processuali riferite alle modalità di documentazione delle stesse. Accanto a quelle c.d. “tipiche”, il nostro sistema processuale (art. 357 c.p.p.) riconosce agli organi di polizia giudiziaria il potere di eseguire anche attività c.d. “atipiche”, per le quali non sono previste particolari formalità di documentazione.

Essendo la forma solenne della verbalizzazione riservata solo ad alcune attività “tipiche” preventivamente indicate dal legislatore, la documentazione di ogni altro atto d’indagine può essere certificato attraverso strumenti informali.

Svolta questa breve premessa volta a individuare le linee guida della presente analisi, occorre valutare se - ed entro quali limiti - un atto d’indagine documentato attraverso un’informale annotazione o relazione possa rappresentare “fonte di prova” e, come tale, trasmigrare dal fascicolo del pubblico ministero a quello dell’organo giudicante. Posto poi che solo gli atti c.d. “irripetibili”, ai sensi dell’art. 431 c.p.p., possono essere acquisiti al fascicolo del dibattimento deve essere simultaneamente delimitato il concetto stesso di “irripetibilità”.
Verbalizzazione e annotazione: differenze

La verbalizzazione - come si è avuto modo di osservare poco sopra - rappresenta la forma tipica di documentazione delle attività d’indagine. Essa è prescritta per atti espressamente previsti dalla legge; atti che, data la loro rilevanza procedimentale e il loro possibile utilizzo processuale, necessitano di essere descritti in maniera fedele e rigorosa.

In particolare, ai sensi dell’art. 357 c.p.p., la polizia giudiziaria redige verbale dei seguenti atti:

a) denunce, querele e istanze presentate oralmente;

b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini;

c) informazioni assunte a norma dell’art. 351;

d) perquisizioni e sequestri;

e) operazioni e accertamenti previsti dagli artt. 349, 353 e 354;

f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini.

Il verbale è redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nelle forme e con le modalità previste dall’art. 373.

Inoltre, a seguito dell’entrata in vigore della cosiddetta Riforma Cartabia, si è stabilito anche che quando le indagini riguardano taluno dei delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), oppure quando la persona informata sui fatti ne faccia richiesta, alla documentazione delle informazioni di cui al comma 2, lettera c), si procede altresì mediante riproduzione fonografica a mezzo di strumenti tecnici idonei ad opera della polizia giudiziaria, salva la contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico. Le dichiarazioni della persona minorenne, inferma di mente o in condizioni di particolare vulnerabilità sono documentate integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o fonografica, salvo che si verifichi una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico e sussistano particolari ragioni di urgenza che non consentano di rinviare l’atto. In tali casi, la trascrizione della riproduzione audiovisiva o fonografica è disposta solo se assolutamente indispensabile e può essere effettuata dalla polizia giudiziaria.

Qualsiasi altra attività, invece, per la quale non sia richiesto il rispetto di forme particolari di documentazione può essere semplicemente annotata.
L’omessa o irregolare verbalizzazione

Nell’ipotesi in cui sia previsto che un determinato atto debba essere documentato con formale verbalizzazione - e ciò non si verifichi - si è discusso se detto atto debba essere considerato insanabilmente nullo oppure se possa essere recuperato attraverso il ricorso allo strumento (libero) dell’annotazione.

Secondo un primo, risalente, indirizzo giurisprudenziale, la mancata verbalizzazione, da parte della polizia giudiziaria, di atti che, ai sensi dell’art. 357, comma 2, c.p.p., avrebbero dovuto essere verbalizzati comporterebbe che gli stessi, siccome privi di documentazione, siano da considerare inesistenti - indipendentemente da ogni riferimento alle categorie della nullità e della inutilizzabilità - e, come tali, inidonei a essere assunti come elemento utile all’adozione di misure cautelari.

A opposte conclusioni è pervenuto, invece, un successivo indirizzo, che può essere ritenuto espressione consolidata dell’orientamento della Suprema Corte di Cassazione in materia. Si osserva che, qualora la polizia giudiziaria acquisisca informazioni che debbano essere raccolte e documentate a verbale nelle forme di cui all’art. 357, commi 2 e 3, c.p.p. e, ciononostante, esse vengano semplicemente annotate, le stesse possono essere validamente utilizzate quali fonti di prova sulle quali fondare il convincimento del giudice in ordine a provvedimenti da adottarsi in corso d’indagine, non ricorrendo alcuna ipotesi di inutilizzabilità generale di cui all’art. 191 c.p.p., ovvero di inutilizzabilità specifica.

La verbalizzazione inesistente o irregolare degrada, quindi, a semplice annotazione, idonea, in sé, ad assumere rilevanza, sebbene limitatamente con riferimento a provvedimenti interinali.

Annotazione e relazione di servizio: differenze
L’annotazione

L’annotazione documenta informalmente un’attività di indagine che non rientri fra quelle per le quali la legge richieda lo strumento della verbalizzazione. Essa ha rilevanza esterna, dal momento che consente di rappresentare all’Autorità Giudiziaria procedente una serie di rilievi e/o informazioni c.d. atipiche, spesso acquisite nell’immediatezza dei fatti.

Fra questi è possibile annoverare, a mero titolo esemplificativo, l’identificazione della persona arrestata fuori dei casi di flagranza per motivi di ordine pubblico o - ipotesi invero frequente - la raccolta di informazioni dalla persona offesa dal reato.
La relazione di servizio

La relazione di servizio è invece un atto interno, per mezzo del quale l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria informa il proprio superiore gerarchico - o, comunque, il proprio ufficio - dell’attività espletata.

Non si esclude che questa possa assumere, occasionalmente, anche una rilevanza esterna, come quando in essa siano contenute notizie di reato o descritte attività d’indagine: in tal caso, queste ultime vanno documentate nelle forme previste dal Codice di rito. La relazione altro non è se non una segnalazione che «non ha in sé alcuna finalità di prova» e che, quindi, non può «mai sostituirsi ... omissis ... alla documentazione dell’atto d’indagine compiuto durante il servizio».

Il fatto che il Codice di rito non faccia alcuna menzione della relazione di servizio (il vecchio rapporto di polizia disciplinato dall’art. 2 c.p.p. 1930) conferma la conclusione cui si è pervenuti, che riconosce valore alla forma con la quale gli atti di polizia giudiziaria devono essere documentati. Ne consegue che l’ufficiale di polizia giudiziaria ove proceda, durante il servizio cui è preposto, a una serie di attività (ad esempio: all’arresto di un indiziato sorpreso in flagranza, alla sua perquisizione e all’acquisizione contestuale d’informazioni dalla persona offesa), dovrà, prima, riferire al suo ufficio circa tutta l’attività svolta, poi, documentare, con modalità diverse e, preferibilmente, con atti separati - ossia, nell’esempio, con un verbale di arresto, uno di perquisizione e uno concernente le dichiarazioni ricevute dalla vittima del reato - tutti gli adempimenti compiuti.

Resta inteso che, ove la relazione di servizio assuma la forma propria dei verbali, essendo stata osservata la disciplina stabilita dagli artt. 136, 137 e 142 c.p.p., il valore probatorio sarà parificato a quello degli atti legittimamente documentati.

Gli atti irripetibili acquisibili al fascicolo del dibattimento ex art. 431, comma 1, lett. b), c.p.p.

L’art. 431, comma 1, lett. b), c.p.p. prevede che siano raccolti nel fascicolo per il dibattimento i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria, stabilendo, così, un’espressa deroga ai principi di oralità e di contraddittorio nella formazione della prova ai quali deve essere informato il processo penale.
La nozione di “irripetibilità”

Le conseguenze processuali che potrebbero determinarsi a seguito dell’inserimento di un determinato atto tra quelli utilizzabili per la decisione impone di circoscrivere un concetto di per sé elastico, quale quello di irripetibilità.

A fronte della prassi diffusa di avvalersi ai fini decisionali di denunce/querele, informative di reato, accertamenti amministrativi (in particolare, fiscali e inerenti la disciplina relativa alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro), il novellato art. 111 della Carta Fondamentale ha offerto l’opportunità di fornire una nuova lettura - orientata ai principi del “giusto processo” - della nozione di atto irripetibile.
Aspetto contenutistico dell’atto espletato

Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale - dominante in epoca antecedente la riforma costituzionale - l’irripetibilità è un concetto unitario e va valutata in relazione al contenuto dell’atto e non alla forma della sua documentazione, che ne costituisce un momento logicamente e cronologicamente distinto. Secondo questa interpretazione devono ricomprendersi tra gli atti irripetibili quelli mediante i quali la polizia giudiziaria prende diretta cognizione, di fatti, situazioni o comportamenti umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale e suscettibili, per loro natura, di subire modificazioni o, addirittura, di scomparire in tempi più o meno brevi, sì da risultare suscettibili di essere, in seguito, soltanto riferiti e descritti.

Il requisito sostanziale - e conservativo - dell’accertamento prevale e, indipendentemente dalla forma utilizzata, il dato documentale, in sé genuino e immune da “vizi di ricordo”, acquista il rango di fonte di prova o comunque di elemento utile ai fini del convincimento del giudice, acquisibile al fascicolo dibattimentale.
Impossibilità materiale e ontologica della rinnovazione in sede dibattimentale dell’atto compiuto

Anche alla luce dei nuovi principi dettati dal legislatore costituzionale in tema di giusto processo, si è affermato un indirizzo più rigoristico, secondo il quale l’irripetibilità di un atto coincide con la sua assoluta non rinnovabilità nel giudizio dovuta a motivi di natura oggettiva.

Posto che la maggiore garanzia desumibile da un impianto processuale di stampo accusatorio è rappresentata dai principi dell’oralità e del contraddittorio, la regola generale impone che la prova si formi nel processo. In quest’ottica, quella precostituita, nata extra processum, deve necessariamente rappresentare un’ipotesi residuale e, come tale, il suo ingresso tra i dati utilizzabili deve essere vagliato con estrema cautela.

Se è vero che nella fase di indagine possono essere raccolti elementi utili, quand’anche acquisiti in modo informale, è altrettanto vero che la rilevanza - ancorché oggettiva - degli stessi non può essere considerata condizione sufficiente per la loro insindacabile acquisizione al fascicolo dibattimentale. In questo senso, la combinata lettura dell’art. 431, comma 1, lett. b), c.p.p. e dell’art. 111, comma 5, Cost. porta a circoscrivere il concetto di irripetibilità, attribuendo tale natura unicamente a quegli atti che, sebbene assunti in corso d’investigazione, non possano essere, per natura e caratteristiche, assolutamente riprodotti in giudizio.

La riconducibilità della relazione di servizio nella categoria degli atti irripetibili

Il concetto di irripetibilità come sopra delineato deve ora essere esaminato con riferimento specifico a quelle attività di polizia giudiziaria che vengano descritte attraverso le relazioni di servizio.

Occorre premettere che le relazioni di servizio presentano contenuti assai ampi. Possono documentare rilievi planimetrici (si pensi all’ipotesi degli incidenti stradali), rilevazioni tecniche eseguite durante i sopralluoghi, prelievi e analisi di campioni, descrizioni di pedinamenti e appostamenti, dichiarazioni raccolte dall’agente infiltrato all’interno di un’associazione criminale, constatazioni e osservazioni in genere.

La valutazione della rinnovabilità o meno degli accertamenti contenuti nelle relazioni di servizio, pur dovendo svolgersi con rigorosa attenzione al caso concreto, deve, in ogni caso, rispettare il limite previsto dalla giurisprudenza: l’impossibilità materiale e ontologica di ripetere, in sede processuale, quanto documentato nella fase delle indagini preliminari.

Ne consegue - riferendoci alla casistica sopra riportata - che debbano essere considerati irripetibili le relazioni di servizio riproducenti gli accertamenti e i rilievi planimetrici, «qualora queste attività siano state successivamente documentate in un verbale oppure la relazione di servizio abbia tutti i requisiti formali previsti per il verbale (così che possano essere individuate le persone intervenute e sia identificabile il pubblico ufficiale che ha redatto l’atto)»; le rilevazioni eseguite a seguito di sopralluoghi, qualora il fatto documentato potesse essere soggetto a repentina modificazione; le analisi chimiche e biologiche, qualora l’accertamento fosse riferito a un luogo per natura modificabile (si pensi allo sversamento di acque reflue industriali in un torrente) o fosse talmente invasivo per l’oggetto dell’esame da renderne impossibile la rinnovazione in dibattimento; i verbali di osservazione e sopralluogo con annesse riprese fotografiche e filmate; le conversazioni tra presenti acquisite dall’agente infiltrato.

Per converso, non possono qualificarsi irripetibili tutti quegli atti aventi contenuti narrativi, come tali rinnovabili attraverso l’escussione dell’operante, quali: le relazioni di servizio semplicemente descrittive di appostamenti e pedinamenti, dal momento che potrà essere acquisita - se presente - la corrispondente documentazione fotografica o filmata; i brogliacci di ascolto; le relazioni che contengano unicamente generiche constatazioni o osservazioni, ovvero che documentino semplicemente le circostanze di tempo e di luogo in cui è stata acquisita la notizia di reato.
L’orientamento giurisprudenziale

La Suprema Corte di Cassazione è stata costantemente chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità dell’acquisizione di determinati atti d’indagine - ritenuti irripetibili - al fascicolo dibattimentale e alla conseguente loro utilizzabilità ai fini decisionali.

Particolare attenzione è stata proprio riservata alle relazioni di servizio.

Inizialmente, tentando di preservare i risultati acquisiti nella fase delle indagini preliminari al fine di renderli valutabili nel successivo momento dibattimentale, parte della giurisprudenza ha riconosciuto tout court il valore di atto irripetibile alle relazioni di servizio. Ciò, prescindendo del tutto dall’esame dei contenuti dell’atto e dalla specifica valutazione circa l’astratta ripetibilità dello stesso nel contraddittorio tra le parti.

Tale orientamento - sviluppatosi antecedentemente alla novella costituzionale del 1999, ma seguito anche successivamente - non solo ha riconosciuto acquisibili le relazioni di servizio che documentassero, ad esempio, attività squisitamente tecniche, ma anche quelle di mera constatazione.

Successivamente, le Sezioni Unite, aderendo all’orientamento restrittivo fondato anche su una nuova lettura costituzionalmente orientata della nozione di irripetibilità, hanno tracciato una linea di discrimine ancorata al profilo contenutistico della relazione di servizio. Si è osservato che «le relazioni di servizio della polizia giudiziaria sono atti irripetibili, come tali inseribili nel fascicolo per il dibattimento, soltanto se contengono un tipo di accertamento che non è possibile “riprodurre” nuovamente nel dibattimento attraverso l’escussione dell’operante: ciò che si verifica allorquando contengano o la descrizione di un’attività materiale ulteriore rispetto a quella investigativa e non riproducibile ovvero la descrizione di luoghi, cose o persone, soggetti a modificazioni» (Cass., Sez. Un. penali, 18 dicembre 2006, n. 41281).

Il principio massimato permette di chiarire il concetto di «impossibilità materiale», già richiamato in sede di commento.

Il risultato dell’attività di assicurazione delle fonti di prova compiuta dalla polizia giudiziaria in fase di indagine che si risolva in un qualsiasi atto che sia in grado di “fotografare”, per via tecnica, una determinata situazione, facilmente modificabile, in un determinato momento storico, ancorché documentato in un’informale relazione di servizio, può essere legittimamente acquisito ai sensi dell’art. 431, comma 1, lett. b), c.p.p. Sarebbe, infatti, materialmente impossibile il rinnovo dello stesso in una fase successiva. Ogni altro atto - che rivesta carattere descrittivo, che sia il risultato di una osservazione o di una constatazione, o che rappresenti l’interpretazione fornita dalla polizia giudiziaria anche con riguardo ad un’attività, in sé, irripetibile (si pensi alle comunicazioni accompagnatorie) - non può, al contrario, fare ingresso nel processo, siccome materialmente rinnovabile con le garanzie del contraddittorio. I relativi contenuti potranno emergere - come non emergere - nella fase dibattimentale, ove l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria autore della relazione descrittiva dovesse essere escusso in ordine a fatti o circostanze in essa riportati.
L’orientamento dottrinale

In dottrina, si è aspramente criticata la tendenza giurisprudenziale volta a dilatare in maniera eccessiva il concetto di irripetibilità, in quanto una tale impostazione si porrebbe in aperto contrasto con le finalità stesse del processo accusatorio, ispirate alla separazione delle fasi processuali.

Parimenti censurato quell’indirizzo che, svuotando totalmente il principio delle forme - pur previsto dal codice -, cui dovrebbe attenersi la documentazione delle attività svolte dalla polizia giudiziaria, porta a “recuperare” qualsiasi atto privo dei requisiti formali, giustificandone l’utilizzabilità, almeno con riferimento a provvedimenti (cautelari) da adottarsi in fase di indagine (Fanuele).

In questo contesto, ove i contenuti e la sostanza devono prevalere sempre sulle forme, si pone il problema della valutazione e dell’efficacia processuale da riservare alle relazioni di servizio. Si osserva che tale adempimento non è previsto nel nuovo Codice di procedura penale, ma soltanto nei regolamenti di servizio delle forze di polizia. Lungi dal trattarsi di una dimenticanza, «la lacuna codicistica può essere considerata come derivante da un’importante innovazione del c.d. “codice Vassalli” in ordine all’attività informativa della polizia giudiziaria: difatti, il “rapporto” di quest’ultima, previsto dall’art. 2 c.p.p. 1930, è stato sostituito dalla comunicazione disciplinata dall’art. 347 c.p.p. 1988. Questa soluzione sembra essere dipesa dal fatto che - rispetto al precedente sistema - si voleva far restare la comunicazione de qua nell’ambito di una mera informazione iniziale, diretta al pubblico ministero, circa l’acquisizione di una notizia di reato, evitando che la medesima potesse tradursi in un “rapporto”, ossia in un documento suscettibile di contenere una valutazione finale dei fatti e delle attività compiute, da parte della polizia giudiziaria, durante la sua attività investigativa» (Fanuele). In quanto atto non disciplinato e di mera rilevanza interna, la relazione di servizio non dovrebbe essere utilizzata in fase procedimentale, salvo il caso in cui i fatti in essa descritti e relativi a determinati accertamenti siano documentati nelle forme prescritte dal codice (verbale o annotazione) (Zacchè). La distinzione tra relazione di servizio e attività finalizzata ad assicurare la prova deve essere ferma e rigorosa, altrimenti si correrebbe il concreto rischio di eludere la normativa di garanzia che prevede che determinate attività, proprio perché incidenti ai fini processuali, debbano essere documentate con particolari forme. Pertanto, qualora l’ufficiale di polizia giudiziaria, durante il servizio proceda a una serie di attività (ad esempio, perquisizioni, assunzione di informazioni dalla persona offesa, ecc.), dovrà, prima, riferire al suo ufficio circa tutta l’attività svolta e, successivamente, documentare, con modalità diverse tutti gli adempimenti compiuti (D’Ambrosio-Vigna).
Considerazioni conclusive

La relazione di servizio, ancorché non disciplinata dal vigente Codice di rito e ancorché atto interno, può assumere rilevanza esterna non solo in seno alla fase delle indagini preliminari (ove, ad esempio, vengano richieste o debbano essere adottate misure cautelari), ma anche, quando documenti un’attività irripetibile, nel successivo giudizio dibattimentale.

Al fine di poter essere acquisita al fascicolo di cui all’art. 431, comma 1, lett. b), c.p.p., la stessa deve contenere accertamenti compiuti nella fase delle indagini preliminari materialmente impossibili da rinnovare nella naturale sede processuale.

La relazione di servizio non può, in alcun caso, essere qualificata come atto irripetibile quando si limiti a riflettere una mera attività di constatazione e osservazione, ovvero documenti le circostanze di tempo e di luogo in cui è stata acquisita la notizia di reato, dovendosi in tali ipotesi ritenere possibile la rinnovazione descrittiva del contenuto dei menzionati atti, da parte degli operanti, nel contraddittorio delle parti.
Avv. Antonino Sugamele

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