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Sentenza

La detenzione nella cucina di un ristorante di prodotti congelati o surgelati, senza che nel menu sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentata frode in commercio, poiché si tratta di una condotta idonea a consegnare al cliente un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato.
La detenzione nella cucina di un ristorante di prodotti congelati o surgelati, senza che nel menu sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentata frode in commercio, poiché si tratta di una condotta idonea a consegnare al cliente un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 56105/18; depositata il 13 dicembre
SENTENZA 
sul ricorso proposto da 
P.F.  nato a Genova il ....... avverso la sentenza del 15/01/2018 della Corte di Appello di Genova 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni; 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale 
Antonietta Picardi, che ha concluso nel senso dell'inammissibilità del ricorso 
RITENUTO IN FATTO 
1. Con sentenza del 15 gennaio 2018 la Corte di Appello di Genova, in 
parziale riforma della sentenza del 21 giugno 2012 del Tribunale di Genova, ha 
concesso i doppi benefici di legge a F.P., quale titolare del ristorante "V. al M. " in Genova, già condannato in primo grado alla pena 
di euro 600 di multa per il reato di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen., stante la 
detenzione per la vendita di prodotto ittico congelato senza che di detta 
condizione fosse stato edotto il consumatore nel menu. 
2. 
Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione 
articolato su due congiunti motivi di impugnazione. 
2.1. In particolare, col primo motivo il ricorrente ha sostenuto che non 
poteva dirsi concretizzata quella univocità in concreto degli atti idonei a 
configurare il tentativo di frode in commercio, atteso oltretutto che la questione 
si era posta solamente per due piatti, ossia la sfogliata di polpo e gambero rosso 
e la crudità di scampi di Sicilia e gamberi. In specie, col secondo motivo, e 
tenuto conto della normativa europea di riferimento, il ricorrente ha osservato 
che gli alimenti in questione dovevano essere posti in vendita esclusivamente 
come congelati per espressa disposizione di legge, sì che non doveva neppure 
esserci comunicazione, atteso che la vendita di crudità fresca senza 
congelamento non era consentita dalla legge. 
Non vi era pertanto univocità tesa alla vendita di merce diversa da quella 
dichiarata, mentre comunque era ormai intervenuta la prescrizione del reato. 
3. 
Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità del 
ricorso. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
4. Il ricorso è inammissibile. 
4.1. In relazione all'impugnazione siccome azionata, è appena il caso di 
ricordare, attesa anche la struttura del provvedimento, che integra il reato 
tentato di frode in commercio la mera disponibilità, nella cucina di un ristorante, 
di alimenti surgelati, seppure non indicati come tali nel menu, 
indipendentemente dall'inizio di una concreta contrattazione con il singolo 
avventore (Sez. 3, n. 39082 del 17/05/2017, Acampora, Rv. 270836; Sez. 3, n. 
30173 del 17/01/2017, Zhu, Rv. 270146). Infatti la detenzione di alimenti 
congelati o surgelati all'interno di un ristorante, senza che nella lista delle 
vivande sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentativo di frode in 
commercio, trattandosi di condotta univocamente idonea a consegnare ai clienti 
un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato (Sez. 3, n. 5474 del 
05/12/2013, dep. 2014, Prete, Rv. 259149). 
Al riguardo, infatti, è ormai costante l'insegnamento, che si condivide, in 
forza del quale può infatti concretizzare la fattispecie di reato anche il semplice 
fatto di non indicare nella lista delle vivande, posta sui tavoli di un ristorante, 
che determinati prodotti sono congelati, in quanto l'esercizio dì ristorazione ha 
l'obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori, di tal che la 
mancata specificazione della qualità del prodotto (naturale o congelato) integra 
reato di tentata frode nell'esercizio del commercio, perché la stessa proposta di 
vendita non veritiera, insita nella lista vivande, costituisce un atto diretto in 
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
modo non equivoco a commettere il delitto di cui all'art. 515 cod. pen. (così, in 
motivazione, Sez. 3, n. 899 del 20/11/2015, dep. 2016, Bordonaro, Rv. 265811, 
cfr. ivi anche per gli ulteriori richiami). 
Ciò posto, solamente in sede di legittimità è stata espressamente invocata 
quella che sarebbe la disciplina comunitaria di trattamento dei prodotti ittici. 
L'appello infatti aveva avuto ad oggetto questioni ormai ampiamente 
superate dalla richiamata giurisprudenza, ossia la configurabilità del tentativo, 
connaturato all'avvio della concreta trattativa con l'acquirente oppure collegato 
alla mera omessa indicazione della qualità del pesce nel menu. 
D'altronde, ed anche a prescindere dalla tardività della questione 
formalmente proposta solo in questa sede in relazione alla previsione di cui 
all'art. 609, comma 2, cod. proc. pen., mai risulta venuto meno l'obbligo di 
indicazione (cfr. ad  es. Circolare Mipaaf del 12 dicembre 2014, meramente 
ricognitiva sul punto) dell'eventuale natura del prodotto negli esercizi 
di ristorazione, qualora lo stesso subisca lo scongelamento per l'immediata 
preparazione delle pietanze in immediato favore della clientela. 
Vero è, appunto, che non vi è stata alcuna contestazione circa lo stato 
di conservazione del prodotto ovvero il rispetto delle procedure relative, bensì 
solamente in relazione alla mancata ottemperanza agli oneri informativi. 
5. La manifesta infondatezza dell'impugnazione non può che condurre quindi 
all'inammissibilità del ricorso. 
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte 
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per 
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella 
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria 
dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., 
l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, 
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00. 
P.Q.M. 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle 
spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle 
Ammende. 
Così deciso in Roma il 25/10/2018.
Avv. Antonino Sugamele

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