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Sentenza

Previsione che, in ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice - Denunciata mancata previsione che la detenzione domiciliare sostitutiva venga espiata con le modalità stabilite dall?art. 284 codice di procedura penale, richiamate dagli artt. 47-ter, c. 4, e 47-quinquies, c. 3, della legge n. 354 del 1975 (che, rispettivamente, in materia di detenzione domiciliare ordinaria e di detenzione domiciliare speciale, non stabiliscono in favore del condannato alcun limite massimo di permanenza nel domicilio impostogli) - Contrasto con i principi e i criteri stabiliti dalla legge di delega n. 134 del 2021 informati all?allineamento della disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare rispetto alla disciplina della sanzione alternativa della detenzione domiciliare - Ingiustificato trattamento privilegiato per il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva - Licenze ai condannati alla detenzione domiciliare - Previsione che per giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive, al condannato alla pena sostitutiva della detenzione domiciliare possono essere concesse licenze per la durata necessaria e comunque non superiore nel complesso a quarantacinque giorni all’anno - Introduzione di un istituto che non trova corrispondenza nella disciplina della misura alternativa della detenzione domiciliare.
Previsione che, in ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice - Denunciata mancata previsione che la detenzione domiciliare sostitutiva venga espiata con le modalità stabilite dall?art. 284 codice di procedura penale, richiamate dagli artt. 47-ter, c. 4, e 47-quinquies, c. 3, della legge n. 354 del 1975 (che, rispettivamente, in materia di detenzione domiciliare ordinaria e di detenzione domiciliare speciale, non stabiliscono in favore del condannato alcun limite massimo di permanenza nel domicilio impostogli) - Contrasto con i principi e i criteri stabiliti dalla legge di delega n. 134 del 2021 informati all?allineamento della disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare rispetto alla disciplina della sanzione alternativa della detenzione domiciliare - Ingiustificato trattamento privilegiato per il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva - Licenze ai condannati alla detenzione domiciliare - Previsione che per giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive, al condannato alla pena sostitutiva della detenzione domiciliare possono essere concesse licenze per la durata necessaria e comunque non superiore nel complesso a quarantacinque giorni all’anno - Introduzione di un istituto che non trova corrispondenza nella disciplina della misura alternativa della detenzione domiciliare.
CORTE COSTITUZIONALE
Sentenza 84/2024
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente - RedattoreBARBERA VIGANÒ
Udienza Pubblica del Decisione del10/04/2024 11/04/2024
Deposito del Pubblicazione in G. U.10/05/2024
Norme impugnate: Art. 71, c. 1°, lett. c), s) e v), del decreto legislativo 10/10/2022, n. 150.
Massime:
Atti decisi: ord. 116/2023
SENTENZA N. 84
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela
NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettere ), ) e ), del decreto legislativoc s v
10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per
l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere
definizione dei procedimenti giudiziari), promosso dalla Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale,
nel procedimento penale a carico di S. B., con ordinanza del 9 maggio 2023, iscritta al n. 116 del registro
ordinanze 2023 e pubblicata nella della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’annoGazzetta Ufficiale
2023.
Visti l’atto di costituzione di S. B., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2024 il Giudice relatore Francesco Viganò;
uditi l’avvocato Luca Andrea Brezigar per S. B. e l’avvocato dello Stato Salvatore Faraci per il
Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 aprile 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 9 maggio 2023, la Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, ha sollevato
– in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71,
comma 1, lettere ), ) e ), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27c s v
settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di
giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), censurando alcuni
aspetti della disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare ivi introdotta (segnatamente, la
durata dell’obbligo di permanenza presso il domicilio designato per l’espiazione della pena; la possibilità di
fruire di licenze; le conseguenze penali dell’ingiustificato allontanamento dal domicilio).
1.1.– Il giudice riferisce che S. B. – condannato in primo grado alla pena di nove anni dia quo
reclusione per il delitto di peculato continuato, commesso in danno di numerosi soggetti dei quali era
amministratore di sostegno – ha presentato in data 22 febbraio 2023 istanza di concordato sui motivi di
appello art. 599- del codice di procedura penale (sulla quale vi è stato consenso del pubblicoex bis
ministero), chiedendo la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in quattro anni di reclusione e
l’applicazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare, ai sensi degli artt. 20- del codice penalebis
e 56 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
La Corte d’appello rimettente ritiene «preliminare» rispetto alla decisione sull’istanza di “concordato in
appello” l’esame delle questioni di costituzionalità sollevate, evidenziandone la rilevanza «a fronte della
effettiva possibilità di disporre la sostituzione della pena detentiva di cui alla richiesta art. 599- c.p.p.ex bis
con la pena della detenzione domiciliare».
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, osserva preliminarmente il giudice che l’art. 1,a quo
comma 17, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale
nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari)
imponeva al legislatore di mutuare la disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare da quella
dell’omonima misura alternativa. Ciò sul presupposto di una «ritenuta, e ribadita», esigenza di omogeneità
di disciplina tra la detenzione domiciliare sostitutiva e la detenzione domiciliare quale misura alternativa;
omogeneità a sua volta finalizzata a «includere, in un’ottica di possibile deflazione processuale, nelle
tipologie di pene a disposizione del giudice della cognizione penale, modalità di espiazione della pena
detentiva già rimesse in via esclusiva alla valutazione della magistratura di sorveglianza». Pertanto,
qualunque difformità di disciplina non «strettamente correlata alla […] natura [delle due misure] e, dunque,
in qualche modo, da tale diversa natura imposta e giustificata» comporterebbe «l’introduzione di una
disciplina normativa manifestamente irragionevole rispetto al medesimo comparto normativo
dell’esecuzione delle sanzioni penali detentive».
1.2.1.– Il rimettente censura in primo luogo – in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 Cost. – l’art. 71, comma
1, lettera ), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui, modificando l’art. 56, primo comma, della legge n.c
689 del 1981, stabilisce che la detenzione domiciliare sostitutiva comporti «l’obbligo di rimanere nella
propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o
accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto
riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del
condannato», prevedendo altresì che «[i]n ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno
quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di
salute, secondo quanto stabilito dal giudice».
Tale disposizione contrasterebbe, in particolare, con il criterio di delega fissato dall’art. 1, comma 17,
lettera ), della legge n. 134 del 2021, che imponeva di «mutuare, in quanto compatibile, la disciplinaf
sostanziale e processuale prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354» per l’omonima misura alternativa.
Il «diritto del condannato a rimanere lontano dal luogo impostogli per l’espiazione della pena per dodici
ore al giorno» e «comunque per almeno quattro ore al giorno», non troverebbe infatti riscontro nella
disciplina prevista dagli artt. 47- , comma 4, e 47- , comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354ter quinquies
(Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
Tali disposizioni infatti – rispettivamente per la detenzione domiciliare “ordinaria” e per quella “speciale” –
fanno obbligo al tribunale di sorveglianza di dettarne le modalità «secondo quanto stabilito» per gli arresti
domiciliari dall’art. 284 cod. proc. pen.; e dunque escludono «qualunque possibilità di allontanamento […]
che non sia giustificato dall’impossibilità da parte del condannato di provvedere in altro modo (ricorrendo
cioè anche all’aiuto di terzi) alle proprie indispensabili esigenze di vita o dalla necessità di esercitare
un’attività lavorativa qualora versi in una situazione di assoluta indigenza».
Diversamente da quanto sostenuto nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 150 del 2022, non potrebbe
d’altra parte ritenersi che la fissazione di limiti per la permanenza nel domicilio della persona condannata,
contenuta nell’art. 71, comma 1, lettera ), del medesimo decreto legislativo fosse imposta dal rispetto delc
principio di legalità della pena. Da un lato, infatti, una simile giustificazione potrebbe al più «attagliarsi
esclusivamente all’individuazione del limite minimo di 12 ore, e non certo a quella del limite massimo di 20
ore di permanenza nel domicilio da parte della persona condannata»; dall’altro lato, tali limiti di permanenza
fonderebbero «veri e propri diritti in capo alla persona condannata, che non trovano rispondenza alcuna
nell’intero sistema dell’esecuzione della pena detentiva, sia infra-muraria sia extra-muraria».
La disciplina introdotta dall’art. 71, comma 1, lettera ), del d.lgs. n. 150 del 2022 creerebbe inoltrec
«proprio ciò che il criterio di delega mirava ad impedire», ossia una irragionevole disparità di trattamento
nelle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare, a seconda che essa sia adottata quale pena
sostitutiva, o quale misura alternativa della detenzione, a dispetto della «omogeneità dello status» tra
condannati che fruiscano dell’una o dell’altra misura, con conseguente violazione anche dell’art. 3 Cost.
Conseguentemente, il giudice auspica una pronuncia che sostituisca al frammento normativoa quo
censurato la previsione secondo cui la detenzione domiciliare sostituiva venga espiata «nelle modalità
stabilite dall’articolo 284 del codice di procedura penale, le quali sono richiamate dall’art. 47 , comma 4,ter
l. 354 del 1975 e dall’art. 47 comma 3 l. 354 del 1975».quinquies
1.2.2.– Parimenti lesiva degli artt. 3, 27 e 76 Cost. sarebbe la disciplina recata dall’art. 71, comma 1,
lettera ), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui, modificando il primo comma dell’art. 69 della legges
n. 689 del 1981, dispone che «[p]er giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla
formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive, al condannato alla pena sostitutiva [...] della detenzione
domiciliare possono essere concesse licenze per la durata necessaria e comunque non superiore nel
complesso a quarantacinque giorni all’anno».
La possibilità, per il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva, di fruire di licenze costituirebbe
«un’innovazione assoluta che non trova rispondenza alcuna» nella disciplina della detenzione domiciliare
quale misura alternativa, poiché la legge n. 354 del 1975 prevede la concessione di licenze solo in favore del
condannato in regime di semilibertà (art. 52), oppure del destinatario di misure di sicurezza detentive (art.
53).
La prevista operatività dell’istituto delle licenze per la detenzione domiciliare sostitutiva
contravverrebbe così al criterio di uniformità di regolamentazione tra i due istituti, posto dall’art. 1, comma
17, lettera ), della legge delega, così violando l’art. 76 Cost.f
Sarebbe altresì vulnerato l’art. 3 Cost., poiché il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva
godrebbe, senza alcuna ragionevole giustificazione, di un trattamento privilegiato rispetto al condannato che
fruisca dell’omonima misura alternativa, potendo egli beneficiare di quarantacinque giorni annui di licenza,
computabili, art. 53- , comma 1, ordin. penit., nella durata della pena, giusta il disposto dell’art. 76,ex bis
primo comma, della legge n. 689 del 1981, come modificato dall’art. 71, comma 1, lettera ) del d.lgs. n.bb
150 del 2022.
1.2.3.– Analoghi dubbi di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost, solleverebbe
infine l’art. 71, comma 1, lettera ), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui, modificando l’art. 76,v
secondo comma [ : l’art. 72, primo comma], della legge n. 689 del 1981, stabilisce che «[i]l condannatorecte
alla pena sostitutiva […] della detenzione domiciliare che per più di dodici ore, senza giustificato motivo,
[…] si allontana da uno dei luoghi indicati nell’articolo 56 è punito ai sensi del primo comma dell’articolo
385 del codice penale».
La disposizione contravverrebbe, questa volta, al criterio dettato dall’art. 1, comma 17, lettera ), dellan
legge delega, che imponeva di mutuare dall’art. 47 ordin. penit. la disciplina relativa alla responsabilità
penale per la violazione degli obblighi relativi alla detenzione domiciliare. Pur rinviando erroneamente
all’art. 47 ordin. penit. – disposizione che regolamenta la diversa misura alternativa dell’affidamento in
prova al servizio sociale – il menzionato art. 1, comma 17, lettera ), avrebbe infatti imposton
un’omologazione di disciplina tra detenzione domiciliare sostitutiva e alternativa, «anche per quanto attiene
la tutela penale dell’eventuale violazione della prescrizione […] di non allontanarsi dal domicilio imposto
per l’espiazione».
In proposito, il censurato art. 71, comma 1, lettera ), del d.lgs. n. 150 del 2022 attribuirebbe rilevanzav
penale al solo allontanamento non autorizzato di dodici ore dal luogo di espiazione della pena del
condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva, laddove l’art. 47- , comma 8, ordin. penit. prevedrebbe,ter
per il condannato che fruisca dell’omonima misura alternativa, che qualsiasi allontanamento non autorizzato
configuri il reato di evasione di cui all’art. 385 cod. pen.
Tale ulteriore disallineamento della disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva rispetto a quella
della detenzione domiciliare alternativa si porrebbe in contrasto con il menzionato criterio di delega di cui
all’art. 1, comma 17, lettera ), della legge n. 134 del 2021, così violando l’art. 76 Cost.; e assiemen
introdurrebbe un «ingiustificato trattamento di favore» per il condannato alla detenzione domiciliare
sostitutiva, in contrasto con l’art. 3 Cost.
In questo caso, il rimettente auspica una pronuncia che riallinei la disciplina delle conseguenze penali
dell’ingiustificato allontanamento dal domicilio a quelle previste dall’art. 47- , comma 8, ordin. penit.ter
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente
inammissibili o, in ogni caso, manifestamente infondate.
2.1.– Quanto alla manifesta inammissibilità, il rimettente avrebbe anzitutto omesso di ricostruire
adeguatamente la fattispecie oggetto del giudizio e di esprimersi sull’effettiva accoglibilitàa quo
dell’istanza di concordato in appello, così non motivando circa la rilevanza delle questioni sollevate, che
apparirebbero premature e ipotetiche.
Sotto un diverso profilo, il giudice invocherebbe una pronuncia «manipolativa o additivaa quo in
sotto il profilo sanzionatorio attuale e/o futuro nell’espiazione della detenzione domiciliaremalam partem
sostitutiva»; il che renderebbe le questioni inammissibili, non essendo consentito a questa Corte – per il
rispetto del principio di riserva di legge enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. – «creare nuove
fattispecie criminose o […] estendere quelle esistenti a casi non previsti, oltre che […] incidere in pejus
sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilità».
2.2.– Le questioni sarebbero, comunque, manifestamente infondate.
Richiamata diffusamente la giurisprudenza costituzionale relativa al controllo di conformità tra norma
delegante e norma delegata, l’interveniente sostiene che l’introduzione della detenzione domiciliare
sostitutiva, realizzata dal d.lgs. n. 150 del 2022, sarebbe conforme all’art. 76 Cost., «non esondando affatto»
dai principi e criteri di delega di cui all’art. 1, comma 17, lettere ), ), e ), della legge n. 134 del 2021, lettid f n
alla luce del «complessivo contesto normativo» nel quale essi si inseriscono.
La riforma preconizzata dalla legge n. 134 del 2021 sarebbe infatti costruita sugli «assi portanti» della
rivisitazione delle tipologie sanzionatorie e della connessa estensione dell’ambito applicativo della
sostituibilità della pena detentiva; dell’emancipazione delle pene sostitutive dalla sospensione condizionale
della pena; del riorientamento delle sanzioni sostitutive verso finalità più accentuatamente
special-preventive.
Proprio in ossequio a tali direttrici di fondo, la detenzione domiciliare sostitutiva si configurerebbe come
«un istituto ontologicamente diverso dall’omologa misura alternativa da cui si distingue per natura giuridica
e disciplina», costituendo «una vera e propria pena irrogabile dal giudice della cognizione penale in
sostituzione di pene detentive brevi destinata ad essere eseguita immediatamente dopo la definitività della
sentenza senza essere sostituita dal giudice della sorveglianza», come invece avviene per la detenzione
domiciliare quale misura alternativa.
Coerentemente, la detenzione domiciliare sostitutiva sarebbe «caratterizzata da elasticità nei contenuti»
e regolata in modo parzialmente diverso rispetto alla detenzione domiciliare quale misura alternativa,
proprio in ragione della sua natura e funzione di pena sostitutiva della pena detentiva breve, in coerenza del
resto con la delega legislativa che imponeva di mutuare la disciplina dall’omonima misura alternativa alla
detenzione, ma solo nei limiti della compatibilità.
Gli adeguamenti recati dalle disposizioni censurate sarebbero, in definitiva, coerenti con l’impianto
complessivo della delega e con i suoi obiettivi di deflazione processuale e penitenziaria; né comporterebbero
un’irragionevole disparità di trattamento rispetto al condannato che chieda di accedere all’omologa misura
alternativa, in ragione sia della differenza del «complessivo regime giuridico», sia della garanzia di «un
bilanciamento individualizzato con le esigenze di difesa sociale», scevro da «ogni tipo di presunzione
soggettiva o oggettiva».
3.– Si è costituito in giudizio l’imputato nel giudizio , chiedendo che le questioni siano dichiaratea quo
inammissibili o manifestamente infondate.
3.1.– La parte richiama le linee programmatiche della riforma promossa dalla legge n. 134 del 2021,
ossia la razionalizzazione del sistema penale mediante la previsione di pene non carcerarie, certe ed
effettive; l’individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in ossequio al principio rieducativo di cui
all’art. 27, terzo comma, Cost.; il decongestionamento dell’apparato della giustizia penale e la riduzione
delle tempistiche processuali.
La riforma delle pene sostitutive mirerebbe precipuamente a dare attuazione a tali obiettivi, dando vita a
un sistema nel quale, in fase di cognizione, l’imputato consentirebbe a «rinunciare alla sua libertà,
“patteggiando” sulla pena sostitutiva» e andando incontro a una condanna che «verrà certamente eseguita»,
essendo la pena sostitutiva non sospendibile, né modificabile, in fase esecutiva, a differenza di quanto
accade in relazione alle misure alternative alla detenzione, le quali verrebbero applicate al condannato solo
diverso tempo dopo la definitività della condanna, e potrebbero comunque essere sospese o modificate.
L’intervento del legislatore delegante avrebbe comportato una «profonda riconfigurazione dei tipi e dei
contenuti delle sanzioni sostitutive nonché delle procedure di applicazione ed esecuzione, determinando il
loro spostamento dal modello teorico delle “pene in difetto”, connesse e dipendenti dalla pena carceraria di
matrice retributiva, al modello del “sospensivo probatorio”», nel quale la pena sarebbe primariamente
orientata a finalità non afflittive ma risocializzanti.
In questo contesto, la detenzione domiciliare sostitutiva costituirebbe una «anticipazione dell’omologa
pena alternativa», rispetto alla quale presenterebbe «profili risocializzativi più spiccati», comportando per
l’interessato la possibilità di fruire di un periodo minimo di permanenza fuori dal domicilio per provvedere
alle indispensabili esigenze di vita e salute, così promuovendo l’autoresponsabilizzazione e, al contempo, la
preservazione dei legami familiari e sociali. Sarebbe inoltre necessaria l’elaborazione di un programma di
trattamento per il tramite degli Uffici di esecuzione penale esterna.
3.2.– Tutto ciò premesso, la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva, introdotta dalle
disposizioni censurate, non violerebbe in alcun modo gli artt. 3 e 27 Cost.
In primo luogo, i meccanismi “premiali” connessi alla detenzione domiciliare sostitutiva sarebbero stati
introdotti – al precipuo fine di «garantire uguaglianza in concreto e incrementare il fine risocializzativo e
rieducativo della pena» – proprio per incentivare la scelta di tale pena sostitutiva «effettiva e certa», rispetto
all’omologa misura alternativa alla detenzione, che invece non sarebbe «certa nei tempi e nei modi». La
previsione di diverse modalità di esecuzione e di una differente tutela penale per la violazione delle
prescrizioni rispettivamente connesse alla detenzione domiciliare sostitutiva e a quella alternativa sarebbe
dunque conforme al principio di uguaglianza, oltre che a quelli del giusto processo, non essendo comparabili
lo dell’imputato che, in fase di cognizione, chieda la sostituzione della pena e quello del condannatostatus
in via definitiva che chieda di accedere a una misura alternativa alla detenzione.
La pena sostitutiva poi, proprio per le sue caratteristiche, rivitalizzerebbe i fini risocializzativi e
rieducativi della pena, sicché non si configurerebbe alcuna violazione dell’art. 27 Cost.
3.3.– Sarebbe altresì manifestamente infondata la censura prospettata in riferimento all’art. 76 Cost., alla
luce della giurisprudenza costituzionale, secondo cui, ai fini della valutazione circa la sussistenza del vizio
di eccesso di delega, le norme della legge di delegazione che determinano i principi e i criteri direttivi
andrebbero interpretate tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalità ispiratrici della
delega.
In specie, a fronte dei già richiamati obiettivi di fondo della legge delega, e del criterio direttivo di
«mutuare in quanto compatibile» la disciplina delle sanzioni sostitutive da quella delle omologhe misure
alternative, il legislatore delegato «in maniera del tutto oculata» avrebbe modellato la detenzione domiciliare
sostitutiva sull’omonima misura alternativa, ridisegnandone in parte i contenuti, al preciso scopo di
armonizzarla con gli obiettivi, principi e criteri direttivi impartiti dal delegante, il quale avrebbe lasciato
«ampio margine di manovra all’organo tecnico».
La piena conformità della disciplina delle pene sostitutive ai principi e criteri direttivi stabiliti dalla
legge n. 134 del 2021, oltre che ai principi costituzionali, sarebbe del resto comprovata dalla circostanza che
nessuna delle Commissioni parlamentari che hanno esaminato il disegno di decreto delegato abbia espresso
dubbi in proposito.
4.– L’Unione camere penali italiane (UCPI) ha presentato un’opinione scritta in qualità di amicus curiae
ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ammessa con
decreto presidenziale del 22 febbraio 2024, sostenendo la manifesta infondatezza delle questioni.
Secondo l’ , l’art. 1, comma 17, della legge n. 134 del 2021, nel prescrivere al legislatoreamicus curiae
delegato di «mutuare, in quanto compatibile,» la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva da quella
prevista per l’omonima misura alternativa, non avrebbe imposto di regolamentare la materia in maniera
identica. Il riferimento al criterio della «compatibilità» andrebbe piuttosto letto alla luce della , deiratio
principi ispiratori e delle finalità sottesi alla riforma promossa dalla legge n. 134 del 2021, che avrebbe
inteso perseguire obiettivi di deflazione sul versante sia processuale, sia carcerario.
Tali obiettivi starebbero alla base delle scelte compiute dal legislatore delegato, come risulterebbe dalla
relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022, che evidenzia come la riforma delle pene sostitutive –
realizzata anche attraverso l’allineamento del limite massimo della pena sostituibile con quello entro il quale
in sede di esecuzione può applicarsi una misura alternativa alla detenzione – miri a rivitalizzarne l’uso nella
prassi, consentendo al giudice della cognizione di applicare pene, diverse da quella detentiva, destinate a
essere eseguite immediatamente dopo la definitività della condanna, senza essere sostituite con misure
alternative da parte del tribunale di sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna stessa;
così incentivando, altresì, l’accesso ai riti alternativi al dibattimento.
In tale prospettiva, il carattere più favorevole della detenzione domiciliare sostitutiva (in punto di
presupposti applicativi, modalità di esecuzione, conseguenze in caso di violazione) rispetto all’omologa
misura alternativa costituirebbe «un evidente ed ulteriore incentivo al ricorso ai riti alternativi per ottenere
una riduzione di pena che consenta l’accesso alla pena sostitutiva anche per reati puniti con pene
astrattamente non compatibili».
La citata relazione illustrativa evidenzierebbe poi come l’aggiunta dell’aggettivo “sostitutiva” a ciascuna
delle misure introdotte valga a segnalarne la distinzione, quanto a natura giuridica e disciplina, rispetto alle
omologhe misure alternative alla detenzione.
La detenzione domiciliare sostitutiva sarebbe, in particolare, configurata quale «pena-programma»,
caratterizzata da «elasticità nei contenuti, predeterminati dalla legge, perché funzionale alla
individualizzazione del trattamento sanzionatorio», in funzione della garanzia di rieducazione e
risocializzazione del condannato e, al contempo, di prevenzione speciale. Tale misura – sempre secondo la
relazione illustrativa – sarebbe volta a «soddisfare le esigenze umanitarie proprie della detenzione
domiciliare/misura alternativa alla detenzione, rappresentando una misura dall’applicazione anticipata e
alternativa, rispetto a quella, con migliore e più tempestiva soddisfazione delle esigenze sottese,
nell’interesse del condannato e dei suoi familiari».
Le diverse modalità di esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva – che peraltro non
comporterebbero necessariamente la permanenza all’esterno del domicilio per dodici ore, essendo rimessa al
giudice la determinazione del tempo nel quale l’interessato è autorizzato a lasciarlo, nel rispetto del limite
minimo delle quattro ore giornaliere – troverebbero fondamento nell’imperativo costituzionale di
personalizzazione del trattamento sanzionatorio e non sarebbero irragionevoli, consentendo invece di
«mantenere inalterate le imprescindibili esigenze special-preventive, che peraltro potranno essere assicurate
anche con l’utilizzo di strumenti di controllo elettronici».
Le nuove sanzioni sostitutive previste dal d.lgs. n. 150 del 2022 sarebbero state concepite in «un’ottica
di risocializzazione del condannato in tempi più rapidi e certi, dunque con modalità più efficienti e rispettose
dei diritti costituzionali del condannato, e ciò per porre rimedio alle criticità che ormai da anni manifesta
l’esecuzione penale». Tale riforma rivitalizzerebbe le pene sostitutive, finora scarsamente applicate nella
prassi, conferendo alle stesse «connotati di razionalità e mitezza sconosciuti alla legislazione previgente», in
piena attuazione dei principi costituzionali che il giudice rimettente erroneamente assumerebbe violati.
L’intervento richiesto dal giudice , infine, produrrebbe effetti nella sferaa quo in malam partem
giuridica dell’imputato, il quale, in caso di accoglimento delle questioni, «si troverebbe ad essere sottoposto
ad una misura dalle caratteristiche diverse e meno favorevoli [rispetto a] quella su cui aveva legittimamente
impostato le proprie scelte difensive», in contrasto con la giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto
la «natura sostanzialmente afflittiva di norme dell’esecuzione penale che hanno riflessi sulla libertà
personale» (è citata la sentenza n. 32 del 2020 di questa Corte).
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, ha
sollevato – in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71,
comma 1, lettere ), ) e ), del d.lgs. n. 150 del 2022.c s v
In sostanza, il giudice dubita della compatibilità con i parametri costituzionali indicati di trea quo
disposizioni della riforma del sistema penale operata con il menzionato d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in
cui disciplinano la nuova pena sostitutiva della detenzione domiciliare sostitutiva.
1.1.– La prima di tali disposizioni, l’art. 71, comma 1, lettera ), sostituisce il testo dell’art. 56 dellac
legge n. 689 del 1981, dettando la disciplina generale della pena sostitutiva in questione.
Il giudice censura il primo comma del nuovo art. 56, laddove stabilisce che la detenzionea quo
domiciliare sostitutiva «comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata
dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case
famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di
studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può
lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue
indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice».
A parere del rimettente, tale disposizione si porrebbe in contrasto con il criterio di delega dettato
dall’art. 1, comma 17, lettera ), della legge n. 134 del 2021, che – nella parte che qui rileva – prescriveva alf
Governo, «per la semilibertà e per la detenzione domiciliare», di «mutuare, in quanto compatibile, la
disciplina sostanziale e processuale prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, per le omonime misure
alternative alla detenzione»; con conseguente violazione dell’art. 76 Cost.
La disciplina in esame si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost. – creando una irragionevole
disparità di trattamento nelle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare, a seconda che essa sia
adottata quale pena sostitutiva, ovvero quale misura alternativa alla detenzione – nonché con l’art. 27 Cost.
L’auspicata della disciplina dovrebbe effettuarsi, secondo il rimettente,reductio ad legitimitatem
riallineando le relative modalità esecutive a quelle previste per gli arresti domiciliari dall’art. 284 cod. proc.
pen., richiamate tanto dall’art. 47- , comma 4, quanto dall’art. 47- , comma 3, ordin. penit.ter quinquies
1.2.– In secondo luogo, è censurato l’art. 71, comma 1, lettera ), del d.lgs. n. 150 del 2022, ches
sostituisce l’art. 69 della legge n. 689 del 1981.
Il rimettente dubita della legittimità costituzionale del nuovo primo comma dell’art. 69, che prevede,
«[p]er giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle
relazioni affettive», la possibilità che al condannato alla pena sostitutiva della detenzione domiciliare siano
concesse «licenze per la durata necessaria e comunque non superiore nel complesso a quarantacinque giorni
all’anno».
Secondo il giudice , tale previsione non troverebbe alcuna corrispondenza nella disciplina dellaa quo
misura alternativa della detenzione domiciliare. La scelta del legislatore delegato dovrebbe, per tale ragione,
considerarsi contrastante con il menzionato criterio di delega di cui all’art. 1, comma 17, lettera ), dellaf
legge n. 134 del 2021, e pertanto in violazione dell’art. 76 Cost.
Anche in questo caso, inoltre, l’irragionevole disparità di trattamento così creata tra la disciplina della
detenzione domiciliare sostitutiva e dell’omonima misura alternativa darebbe luogo a una violazione
dell’art. 3 Cost., oltre che dell’art. 27 Cost.
1.3.– Infine, il giudice censura l’art. 71, comma 1, lettera ), del d.lgs. n. 150 del 2022, chea quo v
sostituisce l’art. 72 della legge n. 689 del 1981.
La disciplina dettata dal primo comma del nuovo art. 72 – secondo cui «[i]l condannato alla pena
sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare che per più di dodici ore, senza giustificato
motivo, rimane assente dall’istituto di pena ovvero si allontana da uno dei luoghi indicati nell’articolo 56 è
punito ai sensi del primo comma dell’articolo 385 del codice penale» – sarebbe difforme da quella prevista
dall’art. 47- , comma 8, ordin. penit., a tenore della quale ogni allontanamento dal luogo di detenzione dater
parte del condannato, indipendentemente dalla sua durata, darebbe luogo a una sua responsabilità per il
delitto di evasione di cui all’art. 385 cod. pen.
Tale discrasia determinerebbe la violazione del criterio di delega dettato dall’art. 1, comma 17, lettera n
), della legge n. 134 del 2021, che prescriveva al legislatore di «mutuare dagli articoli 47 [ : 47- ] e 51recte ter
della legge 26 luglio 1975, n. 354, […] la disciplina relativa alla responsabilità penale per la violazione degli
obblighi relativi alle pene sostitutive della semilibertà [e] della detenzione domiciliare»; con conseguente
violazione dell’art. 76 Cost.
Il rimettente si duole altresì della violazione dell’art. 3 Cost., che deriverebbe dalla irragionevole
disparità di trattamento del condannato alla pena sostitutiva rispetto al condannato ammesso alla
corrispondente misura alternativa.
E il rimedio auspicato è, qui, il riallineamento della disciplina dell’allontanamento non autorizzato a
quella prevista dall’art. 47- , comma 8, ordin. penit.ter
2.– In punto di ammissibilità delle questioni, occorre rilevare quanto segue.
2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, anzitutto, un difetto di motivazione sulla rilevanza di
tutte le questioni prospettate, non avendo il rimettente adeguatamente ricostruito la fattispecie oggetto del
giudizio .a quo
L’eccezione è solo parzialmente fondata.
Il rimettente si trova a vagliare un’istanza di concordato con rinuncia ai motivi di appello art. 599-ex bis
cod. proc. pen., nella quale le parti hanno chiesto l’applicazione della pena di quattro anni di reclusione,
sostituita nella pena della detenzione domiciliare sostitutiva prevista dal nuovo art. 56 della legge n. 689 del
1981. La decisione se accogliere o meno tale richiesta ai sensi dell’art. 599- , comma 3, cod. proc. pen.bis
necessariamente include anche una valutazione sulla sussistenza dei presupposti per la sostituzione della
pena detentiva nella misura concordata dalle parti, nonché sulla congruità dell’applicazione al condannato
della detenzione domiciliare sostitutiva, avuto riguardo alla sua specifica disciplina.
Fra le tre disposizioni all’esame – gli artt. 56, 69 e 72 della legge n. 689 del 1981, come sostituiti dal
d.lgs. n. 150 del 2022 – deve però ritenersi che il giudice sia chiamato a vagliare la possibilea quo
applicazione del solo art. 56. Quest’ultima disposizione detta, infatti, la disciplina che sarebbe
immediatamente applicabile al condannato, senza alcuna necessità di ulteriori provvedimenti giudiziari, non
appena la sentenza di condanna a pena sostituita pronunciata nei suoi confronti diventi esecutiva.
Viceversa, non spetta alla Corte d’appello rimettente fare applicazione degli artt. 69 e 72 della legge n.
689 del 1981. Non dell’art. 69, le licenze ivi disciplinate essendo di competenza del magistrato di
sorveglianza; e non dell’art. 72, la cui applicazione sarà riservata al giudice penale che debba eventualmente
provvedere sulla responsabilità penale del condannato che si sia indebitamente allontanato dai luoghi in cui
era ristretto.
Ne consegue l’inammissibilità, per irrilevanza nel giudizio , di tutte le questioni concernenti lea quo
disposizioni che modificano gli artt. 69 e 72 della legge n. 689 del 1981 ( , punti 1.2. e 1.3.).supra
2.2.– Quanto alle questioni concernenti il nuovo testo dell’art. 56 della legge n. 689 del 1981,
l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce parimenti la loro inammissibilità, stante il divieto di pronunce di
illegittimità costituzionale in materia penale.in malam partem
Anche in questo caso, l’eccezione è solo parzialmente fondata.
2.2.1.– L’eventuale accoglimento delle questioni prospettate inciderebbe, in effetti, in senso
peggiorativo sulla risposta punitiva nei confronti del condannato, determinando un inasprimento del regime
sanzionatorio connesso all’applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva, che negli auspici del
rimettente dovrebbe essere riallineato – attraverso una pronuncia sostitutiva ( , punto 1.1. in fine) – asupra
quello oggi applicabile all’omonima misura alternativa alla detenzione.
La costante e risalente giurisprudenza di questa Corte afferma che «l’adozione di pronunce con effetti in
in materia penale risulta, in via generale, preclusa dal principio della riserva di legge sancitomalam partem
dall’art. 25, secondo comma, Cost., il quale, rimettendo al “soggetto-Parlamento” (sentenza n. 5 del 2014),
che incarna la rappresentanza politica della Nazione (sentenza n. 394 del 2006), le scelte di politica
criminale (con i relativi delicati bilanciamenti di diritti e interessi contrapposti), impedisce alla Corte, sia di
creare nuove fattispecie o di estendere quelle esistenti a casi non previsti, sia di incidere sullain peius
risposta punitiva o su aspetti inerenti, comunque sia, alla punibilità ( , sentenze n. 17 del 2021, n.ex plurimis
37 del 2019, n. 46 del 2014, n. 324 del 2008, n. 394 del 2006 e n. 161 del 2004; ordinanze n. 219 del 2020,
n. 65 del 2008 e n. 164 del 2007)» (sentenza n. 8 del 2022, punto 4 del , nonché – nelloConsiderato in diritto
stesso senso – ordinanza n. 29 del 2022).
2.2.2.– Tale principio soffre, peraltro, rilevanti eccezioni, gradatamente enucleate dalla giurisprudenza
di questa Corte (per una rassegna di tali eccezioni, sentenza n. 37 del 2019, punto 7.1. del Considerato in
, e ivi puntuali riferimenti ai precedenti rilevanti).diritto
Una di esse concerne le censure concernenti i vizi di formazione degli atti aventi forza di legge in
materia penale (in materia di decreto-legge, sentenze n. 8 del 2022, punto 5 del , e n.Considerato in diritto
32 del 2014, punto 6 del ; in materia di delegazione legislativa, sentenze n. 105 delConsiderato in diritto
2022, punto 6.3. del , n. 189 del 2019, punto 9.4. del , e n. 5 delConsiderato in diritto Considerato in diritto
2014, punto 5.2. del ): censure che questa Corte considera senz’altro ammissibili ancheConsiderato in diritto
laddove il loro accoglimento possa produrre effetti in materia penale. Infatti, «[s]ein malam partem
l’esclusione delle pronunce mira a salvaguardare il monopolio del “soggetto-Parlamento”in malam partem
sulle scelte di criminalizzazione, sarebbe illogico che detta preclusione possa scaturire da interventi
normativi operati da soggetti non legittimati, i quali pretendano di “neutralizzare” le scelte effettuate da chi
detiene quel monopolio – quale il Governo, che si serva dello strumento del decreto legislativo senza il
supporto della legge di delegazione […], o le Regioni, che legiferino indebitamente in materia penale, loro
preclusa (sentenza n. 46 del 2014)» (ancora, sentenza n. 8 del 2022, punto 5 del ).Considerato in diritto
La censura formulata in riferimento all’art. 76 Cost. deve, pertanto, considerarsi ammissibile.
2.2.3.– A un esito opposto si deve, invece, pervenire per ciò che concerne le censure formulate in
riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. (quest’ultima, peraltro, inammissibile anche in ragione della totale assenza
di motivazione nell’ordinanza di rimessione).
Rispetto a tali censure non è invocabile l’eccezione al generale principio dell’inammissibilità di
questioni in materia penale, concernente le questioni su norme penali di favore, purein malam partem
consolidata nella giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 148 del 1983; eccezione che
riguarda, come chiarito in particolare dalla sentenza n. 394 del 2006, quelle «norme che sottraggano
determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque più
generale, accordando loro un trattamento più benevolo». Ipotesi, queste ultime, rispetto alle quali
l’ablazione, ad opera di questa Corte, della comporta l’«automatica riespansione della normalex specialis
generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di una incostituzionale disciplina
derogatoria»; tale riespansione costituendo nient’altro che «una reazione naturale dell’ordinamento –
conseguente alla sua unitarietà – alla scomparsa della norma incostituzionale […], senza che in siffatto
fenomeno possa ravvisarsi alcun intervento creativo o additivo della Corte in materia punitiva» (punto 6.1.
del ).Considerato in diritto
Ora, la disposizione che in questa sede viene all’esame – l’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del
1981, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, disciplinante la pena sostitutiva della detenzione
domiciliare – non costituisce rispetto agli artt. 47- e 47- ordin. penit., chelex specialis ter quinquies
disciplinano l’omonima misura alternativa. Le discipline che vengono qui in considerazione attengono,
infatti, a istituti diversi, regolati ciascuno nell’ambito di un differente normativo (la legge n. 689 delcorpus
1981, da un lato, e la legge sull’ordinamento penitenziario, dall’altro), e applicabili in un caso dal giudice
della cognizione, nell’altro dal tribunale di sorveglianza. Inoltre, l’eventuale ablazione, da parte di questa
Corte, della disposizione oggi censurata, non determinerebbe affatto l’automatica riespansione della
disciplina dettata dalla legge sull’ordinamento penitenziario: tant’è vero che lo stesso giudice rimettente
auspica non già una pronuncia meramente ablativa, bensì una pronuncia che sostituisca l’attuale disciplina
dettata dall’art. 56 della legge n. 689 del 1981 con quella prevista dagli artt. 47- e 47- ordin.ter quinquies
penit.
Dal che l’inammissibilità anche delle censure artt. 3 e 27 Cost. relative all’art. 56, primo comma,ex
della legge n. 689 del 1981, come sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2022.
2.3.– In definitiva, la sola censura che deve essere vagliata nel merito è quella relativa al menzionato
nuovo testo dell’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981 in riferimento all’art. 76 Cost.
3.– Tale censura non è fondata.
3.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, di recente estesamente ricapitolata, «[i]l
controllo sul superamento dei limiti posti dalla legge di delega va […] operato partendo dal dato letterale per
poi procedere ad una indagine sistematica e teleologica per verificare se l’attività del legislatore delegato,
nell’esercizio del margine di discrezionalità che gli compete nell’attuazione della legge di delega, si sia
inserito in modo coerente nel complessivo quadro normativo, rispettando la della norma deleganteratio
(sentenze n. 250 e n. 59 del 2016; n. 146 e n. 98 del 2015; n. 119 del 2013) e mantenendosi comunque
nell’alveo delle scelte di fondo operate dalla stessa (sentenza n. 278 del 2016)» (sentenza n. 22 del 2024,
punto 8 del ). Nella medesima pronuncia, si è altresì precisato che «[t]ra l’elementoConsiderato in diritto
letterale e quello funzionale-teleologico esiste un rapporto inversamente proporzionale: meno preciso e
univoco è il primo, più rilevante risulta il secondo»; e che «[l]a verifica di conformità della norma delegata a
quella delegante richiede lo svolgimento di un duplice processo ermeneutico che, condotto in parallelo,
tocca, da una parte, la legge di delegazione e, dall’altra, le disposizioni emanate dal legislatore delegato, da
interpretare nel significato compatibile con la delega stessa» (ancora sentenza n. 22 del 2024 punto 8 del
).Considerato in diritto
3.2.– Nel caso ora all’esame, come già rammentato, l’art. 1, comma 17, lettera ), della legge n. 134 delf
2021 aveva dettato il seguente criterio di delega: «per la semilibertà e per la detenzione domiciliare mutuare,
in quanto compatibile, la disciplina sostanziale e processuale prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, per
le omonime misure alternative alla detenzione».
Già sul piano letterale, la presenza della clausola «in quanto compatibile» indica che il Governo non
fosse affatto tenuto, nell’ottica del legislatore delegante, a riprodurre pedissequamente la disciplina della
misura alternativa parimenti denominata “detenzione domiciliare”, ma che avesse il potere di operare tutte le
modifiche necessarie affinché quella disciplina, calibrata sulla fase esecutiva della pena, potesse essere
adattata alla fisionomia di una pena sostitutiva da applicare già con la sentenza di condanna, e dunque già in
fase di cognizione.
Quanto alle finalità complessive della riforma delle pene sostitutive perseguite dal legislatore delegante,
esse emergono, in particolare, dalla relazione finale della Commissione di studio istituita con d.m. 16 marzo
2021 per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in
materia di prescrizione del reato, sulla base della quale è stato formulato l’emendamento 1.502 del 14 luglio
2021 di iniziativa governativa al disegno di legge A.C. 2435, che è all’origine della delega conferita dall’art.
1, comma 17, della legge n. 134 del 2021.
Tale relazione aveva auspicato, tra l’altro, che «l’istituto della sostituzione della pena detentiva,
contestuale alla condanna da parte del giudice di cognizione, possa essere opportunamente rivitalizzato, con
impatto positivo sulla deflazione penitenziaria e processuale». La stessa relazione, conseguentemente, aveva
proposto tra l’altro di «modificare la tipologia delle pene sostitutive in modo tale da valorizzare contenuti
sanzionatori sperimentati con successo in altri contesti normativi; ciò nella consapevolezza che il carcere
non deve rappresentare l’unica risposta al reato e che, anzi, per gli effetti desocializzanti che comporta, deve
essere evitato quando possibile in favore di pene da eseguirsi nella comunità. Se corredate di contenuti
sanzionatori positivi, le sanzioni sostitutive possono rivestire il ruolo di vere e proprie pene sostitutive delle
pene detentive. Una riforma delle pene sostitutive promette d’altra parte ripercussioni positive altresì in
termini di deflazione processuale, se si valorizzano quelle pene come incentivo ai riti alternativi –
procedimento per decreto e patteggiamento, in particolare – il cui ruolo è di primaria importanza in vista
della deflazione del carico giudiziario e della riduzione dei tempi medi di durata del processo penale».
Come puntualmente osservato – sostanzialmente all’unisono – dall’Avvocatura generale dello Stato, dal
difensore della parte e dall’Unione camere penali italiane, intervenuta in qualità di , il disegnoamicus curiae
complessivo perseguito dal legislatore delegante si articolava dunque attorno alla finalità di rivitalizzare un
istituto – quello delle pene sostitutive – introdotto nel 1981 ma ancora scarsamente utilizzato nella prassi. E
ciò per perseguire due obiettivi di fondo, chiaramente emergenti dalla relazione citata.
In primo luogo, quello di mettere a disposizione del giudice di cognizione – già in fase, dunque, di
commisurazione della pena – risposte sanzionatorie alternative alle pene detentive brevi o comunque di
durata contenuta, la consapevolezza dei cui effetti desocializzanti era stata all’origine della stessa
introduzione delle pene sostitutive oltre un quarantennio fa: e ciò in coerenza sia con il principio del minimo
sacrificio necessario della libertà personale, più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte
(sentenza n. 22 del 2022, punto 5.2. del e ivi ulteriori riferimenti), sia con laConsiderato in diritto
necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., che deve accompagnare la
pena «da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (sentenza
n. 313 del 1990, punto 8 del ), e dunque anche nella fase di determinazione delConsiderato in diritto
trattamento sanzionatorio appropriato da parte del giudice della cognizione. Principio, questo, di speciale
rilievo in un contesto caratterizzato dalla situazione di significativo sovraffollamento in cui, nuovamente,
versano le carceri italiane.
In secondo luogo, quello di incentivare definizioni alternative del processo – attraverso la prospettiva di
ottenere l’applicazione di pene sostitutive del carcere, anche per effetto degli sconti di pena connessi alla
scelta dei riti alternativi –, con conseguente alleggerimento complessivo dei carichi del sistema penale. E ciò
in funzione dell’obiettivo ultimo, imposto dall’art. 111, secondo comma, Cost., di assicurare (al singolo
imputato e alla generalità degli imputati) tempi più contenuti di definizione dei processi.
3.3.– È, pertanto, alla luce di queste due finalità del legislatore delegante che debbono essere esaminate
le variazioni introdotte dal legislatore delegato nella disciplina della pena sostitutiva in esame rispetto a
quella prevista dall’art. 284, comma 3, cod. proc. pen. per gli arresti domiciliari, a sua volta richiamata
dall’art. 47- , comma 4, ordin. penit. per la detenzione domiciliare “ordinaria” e 47- , comma 3,ter quinquies
ordin. penit. per la detenzione domiciliare “speciale”.
Chi sia sottoposto agli arresti domiciliari, ovvero alla detenzione domiciliare alternativa alla detenzione,
“ordinaria” o “speciale” può essere autorizzato dal giudice, allorché non possa «altrimenti provvedere alle
sue indispensabili esigenze di vita» ovvero versi «in situazione di assoluta indigenza», ad assentarsi dal
luogo di esecuzione della misura soltanto «per il tempo strettamente necessario alle suddette esigenze
ovvero per esercitare una attività lavorativa» (art. 284, comma 3, cod. proc. pen.).
Viceversa, ai sensi del censurato nuovo testo dell’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981, il
condannato ha l’obbligo di rimanere nel luogo in cui la pena deve essere espiata per un termine minimo di
dodici ore al giorno, stabilito caso per caso dal giudice in relazione a «comprovate esigenze familiari, di
studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato»; e in ogni caso deve essere
autorizzato ad allontanarsi da tale luogo per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per
provvedere alle proprie «indispensabili esigenze di vita e di salute».
3.3.1.– Ora, la disciplina qui censurata – indubbiamente più favorevole per il condannato – risulta
anzitutto funzionale a conferire spiccata finalità rieducativa alla pena sostitutiva, che nelle intenzioni del
legislatore (delegante e delegato) non dovrebbe servire soltanto a evitare i noti effetti desocializzanti della
pena detentiva breve, ma anche – in positivo – ad assicurare il mantenimento, e in ipotesi il potenziamento,
dei legami del condannato con il proprio contesto lavorativo, educativo, affettivo e in generale sociale. E ciò
sulla base di uno specifico «programma di trattamento elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna,
che prende in carico il condannato e che riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di
reinserimento sociale» (art. 56, secondo comma): in un’ottica complessiva che l’ amicus curiae
efficacemente definisce in termini di “pena-programma”, caratterizzata da «elasticità nei contenuti,
predeterminati dalla legge, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio», in
funzione della garanzia di rieducazione e risocializzazione del condannato e, al contempo, di prevenzione
speciale.
Una tale ottica, invece, non solo è assente – come è ovvio – nel regime degli arresti domiciliari, applicati
a persone ancora presunte innocenti; ma è anche scarsamente percepibile, sul piano della concreta disciplina
legislativa, nelle due forme di detenzione domiciliare attualmente previste come misure alternative alla
detenzione: la cui attuale configurazione è soprattutto funzionale ad assicurare l’espiazione della pena al di
fuori del carcere a persone particolarmente vulnerabili (in ragione della loro giovane età o, all’opposto,
dell’età avanzata o ancora delle precarie condizioni di salute), oppure a chi debba avere cura di figli in
tenera età o comunque particolarmente bisognosi; e dunque appare oggi ispirata a ragioni in senso lato
umanitarie o solidaristiche, piuttosto che autenticamente rieducative (in questo senso, sia pure con
riferimento specifico all’ipotesi della detenzione speciale per i condannati ultrasettantenni di cui all’art. 47-
, comma 01, ordin. penit., sentenza n. 56 del 2021, punto 2.1. del ).ter Considerato in diritto
3.3.2.– Per altro verso, il regime disegnato dalla disposizione censurata risulta funzionale anche alla
seconda perseguita dal legislatore delegante, e cioè alla finalità deflattiva del carico della giustiziaratio
penale, perseguita mediante l’incentivazione del ricorso a riti alternativi da parte degli imputati.
Dal momento che il novero degli imputati cui la pena sostitutiva in parola risulta applicabile – quelli,
cioè, esposti al rischio di una pena detentiva contenuta entro il limite dei quattro anni, anche per effetto delle
riduzioni di pena connesse ai riti alternativi – coincide con la platea dei condannati ai quali il tribunale di
sorveglianza potrebbe concedere l’affidamento in prova al servizio sociale, il legislatore delegato doveva
necessariamente rendere in qualche modo conveniente per l’imputato la possibilità di negoziare sin da subito
con il giudice della cognizione l’applicazione di una pena sostitutiva di per sé più gravosa rispetto
all’affidamento in prova.
Per conseguire tale obiettivo, il legislatore delegato ha connotato la pena sostitutiva in parola in modo da
assicurare al condannato possibilità di allontanarsi dal domicilio durante la giornata più ampie rispetto a
quelle concesse a chi si trovi agli arresti domiciliari o fruisca dei benefici di cui agli artt. 47- e 47-ter
ordin. penit., nell’ambito del programma individualizzato di trattamento di cui si è detto. In talquinquies
modo, il Governo ha confidato sulla possibilità che l’imputato possa accettare, in sede di patteggiamento,
l’obbligo di permanenza nel domicilio per una parte della giornata in cambio del vantaggio di sottrarsi
all’alea della possibile determinazione di una pena superiore al limite di quattro anni in esito a un processo
ordinario, ovvero – nell’ipotesi di pena comunque applicata entro il limite dei quattro anni – all’alea di una
decisione favorevole da parte del tribunale di sorveglianza sull’istanza di applicazione di una misura
alternativa. Decisione, peraltro, che spesso interviene a svariati anni di distanza dal passaggio in giudicato
della sentenza di condanna, con conseguente creazione di un enorme numero di cosiddetti “liberi sospesi”: e
cioè di circa novantamila persone condannate in via definitiva, la cui pena è attualmente sospesa art. 656,ex
comma 5, cod. proc. pen. in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza sulla misura alternativa
richiesta (come emerge dalla risposta scritta del Ministro della giustizia all’interrogazione 4-00072,
pubblicata lunedì 13 febbraio 2023 nell’Allegato B ai resoconti della seduta n. 50 della Camera dei
deputati).
3.4.– Le scelte del legislatore delegato qui censurate, infine, si inseriscono coerentemente, dal punto di
vista sistematico, nel quadro di un complessivo intervento legislativo volto anche – come concordemente
sottolineano la difesa della parte privata e l’ – ad assicurare risposte sanzionatorie al reatoamicus curiae
certe, rapide ed effettive, ancorché alternative rispetto al carcere.
Tale risultato è conseguito sia mediante la regola dell’inapplicabilità della sospensione condizionale alle
pene sostitutive (art. 61- della legge n. 689 del 1981), sia mediante la disciplina dell’esecuzione dellebis
stesse dettata dall’art. 62 della stessa legge n. 689 del 1981: esecuzione che segue immediatamente il
passaggio in giudicato della sentenza di condanna, e durante la quale non possono essere concesse misure
alternative alla detenzione (art. 67 della legge n. 689 del 1981), fatta salva la possibilità – per il condannato
alla semilibertà o alla detenzione domiciliare sostitutive – di accedere all’affidamento in prova dopo
l’espiazione di metà della pena (art. 47, comma 3- , ordin. penit.).ter
In tal modo, come osserva la relazione illustrativa del d.lgs. n. 150 del 2022, la riforma intende
realizzare «una anticipazione dell’alternativa al carcere all’esito del giudizio di cognizione», essa stessa
funzionale a un più efficace perseguimento di obiettivi di prevenzione generale e speciale, realizzati
attraverso l’immediata applicazione di misure che consentono anche di controllare l’eventuale pericolosità
sociale del condannato sin dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna (se del caso,
mediante specifiche procedure di sorveglianza elettronica ai sensi dell’art. 56, quarto comma, della legge n.
689 del 1981). Controllo che sarebbe invece rinviato anche per vari anni dopo il passaggio in giudicato di
una condanna a pena detentiva non sostituita e non superiore a quattro anni, la cui esecuzione resterebbe
sospesa sino a che il tribunale di sorveglianza decida sull’istanza di applicazione di una misura alternativa al
condannato in forza del citato art. 656 comma 5, cod. proc. pen., nel testo risultante a seguito della sentenza
n. 41 del 2018 di questa Corte.
3.5.– In conclusione, le scelte qui censurate del legislatore delegato:
– sono certamente compatibili con il dato letterale della legge delega, che imponeva di mutuare soltanto
«in quanto compatibile» la disciplina della detenzione domiciliare stabilita dalla legge sull’ordinamento
penitenziario;
– appaiono corrispondere alle due essenziali sottese al disegno del legislatore deleganterationes
(mettere a disposizione del giudice di cognizione risposte sanzionatorie non carcerarie a spiccato
orientamento rieducativo, e incentivare definizioni alternative del processo);
– e si inseriscono, altresì, in modo coerente all’interno di un quadro normativo volto nel suo complesso
ad assicurare risposte certe, rapide ed effettive al reato, ancorché alternative rispetto al carcere.
Conseguentemente, deve escludersi che il legislatore delegato abbia ecceduto dai limiti della delega
nell’esercizio del fisiologico margine di discrezionalità connaturato all’istituto stesso della delegazione
legislativa: margine che è specialmente ampio – fatte salve eventuali puntuali indicazioni su singoli profili
che la legge delega abbia comunque fornito – nel caso in cui il Governo sia chiamato a riforme normative di
ampio respiro, come quella oggetto della legge n. 134 del 2021 e poi attuata con il d.lgs. n. 150 del 2022, le
quali richiedono interventi su distinti normativi e complesse operazioni di coordinamentocorpora
sistematico tra le molteplici discipline su cui la riforma deve necessariamente incidere.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettere ) e ),dichiara s v
del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante
delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e
disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27 e
76 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, con l’ordinanza indicata in
epigrafe;
2) inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettera ), deldichiara c
d.lgs. n. 150 del 2022, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dalla Corte d’appello di Bologna,
sezione terza penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettera ), deldichiara c
d.lgs. n. 150 del 2022, sollevata, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Corte d’appello di Bologna, sezione
terza penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2024
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sono pubblicate nella prima serie speciale della Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana (a norma degli artt. 3 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 1985, n. 1092) e nella Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a norma dell'art. 29 delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956).
Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale fa interamente fede e prevale in caso di divergenza.
Avv. Antonino Sugamele

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