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Sentenza

Per integrare reato e quindi subire la condanna penale è sufficiente una singola emissione di bitcoin.
Per integrare reato e quindi subire la condanna penale è sufficiente una singola emissione di bitcoin.
Basta la singola emissione di criptovaluta senza autorizzazione di Banca d’Italia per essere sanzionati sulla base del Testo unico bancario. Reato di evento quindi, al quale si accompagna l’elemento psicologico del dolo generico. Inoltre, a ulteriore tutela del risparmiatore, constatata comunque l’impossibilità di considerare denaro una criptovaluta, è legittima la contestazione anche dell’esercizio di abusivo di attività finanziaria. A offrire una delle prime riflessioni sistematiche sul versante penale del sistema delle criptovalute è la sentenza n. 5116 del 5 aprile della Seconda sezione penale del tribunale di Milano.

Pronuncia con la quale è stata condannata l’amministratrice di fatto di una srl, delegata ad operare sui conti corrente bancari italiani della società, perché in assenza dei requisiti previsti dal Tub (articolo 106 comma 2, lettera a), svolgeva attività finanziarie non autorizzate, attraverso l’emissione di moneta elettronica denominata «One Coin» in violazione della riserva prevista dall’articolo 114 bis del Tub.

A concretizzarsi era una vendita con caratteristiche piramidali, dove il bene o il servizio rappresentava solo pretesto o occasione per reclutare altri consumatori, per farli entrare a loro volta nella piramide versando un contributo nella speranza dell’ottenimento della criptomoneta OC, nella sua spendibilità e soprattutto nel suo futuro apprezzamento che dovrebbe semplificarsi nel tempo in ragione della diffusione della medesima criptomoneta.

La sentenza sottolinea innanzitutto come «un presupposto sul quale si è raggiunta discreta chiarezza è data dal fatto che la criptovaluta non può essere equiparata al denaro e ciò per il semplice fatto che essa non ha corso legale nel territorio nazionale; pertanto, anche a voler concedere che la funzione di strumento di scambio sia efficacemente conseguita, le altre funzioni tipicamente attribuite alla moneta tradizionale (unità di conto e riserva di valore) sono difficilmente individuabili nelle criptovalute».

Piuttosto, la valuta virtuale deve essere considerata strumento di investimento perché consiste in un prodotto finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme in materia di intermediazione finanziaria, a prescindere dalle modalità di pubblicizzazione adottate da chi la offre.

Quanto ai reati, la fattispecie di emissione di moneta elettronica senza autorizzazione «potrebbe apparire come sintetica e poco espressiva, ad un’analisi più attenta della disposizione in esame, ponendo in connessione questa fattispecie con quelle immediatamente precedenti, si può notare come l’articolo 131 bis punisca, a differenza delle altre aventi ad oggetto l’attività e la condotta di emissione, il singolo evento e, pertanto, la singola operazione di emissione abusiva».

Con riferimento poi al profilo psicologico, il riferimento è al dolo generico, cioè la volontà e consapevolezza di emettere abusivamente moneta elettronica.

Per quanto riguarda l’esercizio abusivo di attività finanziaria, l’altro reato contestato, la sentenza constata la presenza di due orientamenti: per il primo servirebbe l’indirizzo a un numero potenzialmente illimitato di risparmiatori, e lo svolgimento continuativo e non occasionale; per il secondo di maggiori rigidità, invece, basterebbe un singolo atto senza stabile organizzazione e specifica professionalità.
Avv. Antonino Sugamele

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