Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 cod. pen. sussiste solo quando l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una specifica norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25/05/2023) 28-07-2023, n. 33032
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente -
Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere -
Dott. CRICUOLO Anna - Consigliere -
Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere -
Dott. ROSATI Martino - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato il (Omissis);
avverso la sentenza del 20/09/2022 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Angelo Costanzo, letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo in cui si chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
sentito l'avvocato Roberto Brancaleoni, del Foro di Rimini, difensore della parte civile B.B., che chiede il rigetto del ricorso e deposita conclusioni e nota delle spese;
sentito l'avvocato Giuseppe Della Casa, del Foro di Ravenna, difensore di A.A. che chiede l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 66218 del 20 settembre 2022 la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna inflitta a A.A. dal Tribunale di Forlì per il reato ex art. 368 c.p. per avere, con atto di denuncia-querela presentate il 28 Aprile 2015 alla Guardia di Finanza, incolpato B.B. dei reati di cui agli artt. 483 e 640 c.p. pur sapendolo innocente, ma, accogliendo l'appello della parte civile, ha rideterminato la somma dovuta a titolo di risarcimento in via equitativa e definitiva alla parte civile B.B..
Si imputa a A.A. di avere mendacemente affermato nella sua denuncia-querela l'inesistenza di un contratto di locazione di un suo immobile a B.B. e di non avere mai ricevuto da lui somme per la concessione di un appartamento riconoscendo solo l'esistenza di un comodato (per evitare il pagamento di imposte e di spese di registro) così in sostanza incolpando B.B. di truffa e di falso ideologico da lui commesso da privato in atto pubblico nel presentare alla Agenzia delle Entrate una denuncia in cui affermava di pagare in nero un canone di locazione, in base a un accordo verbale, a Drusi a fronte di un simulato contratto di comodato a titolo gratuito.
2. Nel ricorso presentato dal difensore di A.A. si chiede l'annullamento della sentenza per i motivi nel seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come richiesto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio della motivazione circa gli elementi costitutivi del reato, perchè con una erronea valutazione delle acquisizioni istruttorie - recependo le affermazioni di B.B. e della sua compagna C.C. ma senza valutare criticamente i contrasti fra le testimonianze di 4Vici e quelle di E.E. e F.F. e trascurando i contenuti della deposizione di G.G., H.H. e I.I. - è giunta a una ricostruzione inverosimile dello svolgimento dei fatti travisando il significato dei dati acquisiti.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione degli artt. 483, 640 e 368 c.p. e dell'art. 3, commi 8 e 9, D.Lgs. n. 14 marzo 2011 n. 23: a) nell'assumere erroneamente che per integrare l'elemento materiale del reato costituito da una falsa incolpazione per truffa basti prospettare la possibilità che la parte civile abbia indotto in errore una funzionaria della Pubblica amministrazione mentre l'art. 640 c.p. richiede che sia indotta in errore la persona offesa, non altri soggetti, per conseguire un profitto con pari danno per l'offeso; b) nel trascurare che quando A.A. depositò la propria denuncia-querela il 28 aprile 2015 la Corte costituzionale aveva già abolito il commi 8 e 9 dell'art. 3 D.Lgs. n. 23/2011, sicchè la ritenuta falsità di un atto (la denuncia presentata da B.B.) giuridicamente inesistente non avrebbe comunque consentito all'autorità giudiziaria di ravvisare i requisiti per l'esercizio dell'azione penale, e, per quanto riguarda l'elemento psicologico, la Corte ha erroneamente ritenuto che lo scopo di A.A. potesse essere quello di liberare l'immobile in forza del simulato contratto di comodato perchè egli non ha mai inteso dolersi del fatto che la propria azione fosse ostacolata dal provvedimento emesso dall'Agenzia delle Entrate (tanto che il contenzioso civile è stato risolto prescindendo dalle denunce dei due ma ha voluto valersi del contratto quale unico titolo valido fra le parti). Si osserva che al momento dei fatti vi era incertezza circa la regolamentazione dei contratti imposti ex officio sulla scorta della normativa dichiarata incostituzionale sicchè le affermazioni di A.A. non possono valutarsi come consapevole incolpazione di fatti penalmente rilevanti ma, semmai, comportamenti disinvolti e temerari.
2.3. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione degli artt. 62-bis, 132 e 133 c.p. e vizio della motivazione nell'escludere le circostanze attenuanti generiche pur avendo valorizzato, nel determinare la pena, la scarsa capacità a delinquere del ricorrente e valutando negativamente che l'imputato non abbia mostrato resipiscenza o rivolto scuse alla persona offesa.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2197 1226 c.c. e difetto di motivazione nell'accogliere il terzo motivo dell'impugnazione della parte civile, relativo alla rideterminazione equitativa del risarcimento danni, senza precisare in quale parte l'incremento rispetto alla quantificazione in primo grado sia da ascrivere al danno patrimoniale perchè nella sentenza della Corte d'appello si osserva soltanto che il Tribunale aveva considerato il solo danno morale mentre nel caso in esame il danno materiale consisterebbe soltanto nelle spese sostenute per la difesa nel procedimento.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato perchè entra inammissibilmente nel merito delle convergenti valutazioni discrezionali che il Tribunale e la Corte di appello hanno sviluppato sulla base di pertinenti massime di comune esperienza senza incorrere in manifeste illogicità. Infatti, rispondendo alle deduzioni dell'appellante, reiterate nel ricorso che è in questa sede in esame, la sentenza impugnata spiega adeguatamente come dalle dichiarazioni dei testimoni 4Vici, E.E., C.C. e Cerri emerga che mai Drusi intese concedere il suo appartamento a B.B. a titolo di comodato gratuito, così avvalorando le dichiarazioni provenienti dalla persona offesa, mentre le dichiarazioni dei testimoni L.L., I.I., M.M. e G.G. o sono non rilevanti per ricostruire la vicenda oppure riferiscono rappresentazioni dei fatti provenienti dallo stesso imputato (p. 10-13).
2. Invece, il secondo motivo di ricorso è fondato.
2.1. Per quanto riguarda la componente della calunnia relativa al reato di truffa, la Corte d'appello ha osservato che la truffa calunniosamente prospettata dall'imputato avrebbe ben potuto essere integrata se B.B. avesse realmente inteso indurre in errore la funzionaria della Agenzia delle Entrate dichiarando mendacemente di avere pagato somme in nero per la locazione dell'appartamento.
In generale, il delitto di truffa è configurabile anche quando il soggetto passivo del raggiro è diverso dal soggetto passivo del danno e in mancanza di contatti diretti tra il truffatore e il truffato, purchè sussista un nesso di causalità tra i raggiri o gli artifizi attuati per indurre in errore il terzo, il profitto del truffatore e il danno patrimoniale patito dal truffato (Sez. 2, n. 43119 del 21/10/2021, Maresca, Rv. 282304; Sez. 2, n. 43143 del 17/07/2013, Saracino, Rv. 257495) e purchè il terzo ingannato abbia la gestione degli interessi patrimoniali del titolare e la possibilità di compiere atti aventi efficacia nella sfera patrimoniale aggredita (Sez. 6, n. 28957 del 22/09/2020, Astore, Rv. 27968; Sez. 5, n. 18968 del 18/01/2017, F., Rv. 271060).
Tuttavia, nella fattispecie mancano entrambi questi presupposti perchè con la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 3, commi 8 e 9, D.Lgs. n. 23/2011 è venuta meno l'automatica applicazione dell'equo canone a favore del conduttore e altri possibili effetti della dichiarazione del locatario (come gli accertamenti fiscali da parte della Pubblica amministrazione e la regolarizzazione del contratto a canone concordato) sono soltanto possibili e non immediati.
2.2. Per quanto riguarda la componente della calunnia relativa al reato di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico, deve preliminarmente osservarsi quel che segue.
2.2.1. Elementi costitutivi del reato ex art. 483 c.p. sono quelli riconducibili alle nozioni di "atto pubblico" e di "fatti dei quali l'atto pubblico è destinato a provare la verità", richiamate dalla disposizione in esame.
La prima nozione riguarda una gamma di casi più ampia rispetto a quella prevista dall'art. 2699 c.c., e comprende anche atti che, seppure non redatti da pubblici ufficiali possono assumere rilevanza giuridica o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione e anche gli atti preparatori di una fattispecie documentale complessa, senza la necessità che il loro contenuto sia integralmente trasfuso nell'atto finale del pubblico ufficiale o ne costituisca solo il presupposto implicito necessario (ex multis: Sez. 5, n. 37880 del 08/09/2021, Musso, Rv. 282028; Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, Rv. 281041).
Invece, la nozione di "fatti dei quali l'atto pubblico è destinato a provare la verità" si riferisce esclusivamente all'atto pubblico la cui finalità sia, appunto, quella di provare la veridicità della dichiarazione trasfusa dal pubblico ufficiale. Ne deriva che la fattispecie incriminatrice presuppone che il dichiarante abbia il dovere giuridico di esporre la verità, altrimenti le sue dichiarazioni non potrebbero richiamare la fede pubblica e l'atto non potrebbe considerarsi destinato a provare la veridicità dei fatti attestati dal dichiarante. In altri termini: il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 c.p. sussiste solo quando l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una specifica norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (Sez. U, n. 6 del 17/02/1999, Lucarotti, Rv. 212782; Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, dep. 2000, Gabrielli, Rv. 215413; Sez. 2, n. 14369 del 04/03/2021, Zeppola, Rv. 281100).
Questo esito esegetico non soltanto aderisce alla interpretazione letterale della disposizione ma è anche coerente con la sua interpretazione teleologico-sistematica. Infatti, il reato in esame rientra fra i "delitti contro la fede pubblica", perchè tutela l'interesse alla veridicità dei fatti attestati nell'atto pubblico contenente le dichiarazioni alle quali la legge riconduce specifici effetti giuridicamente rilevanti, sicchè la falsa attestazione produrrebbe un danno per i consociati. Ne consegue che nel caso in cui all'atto in questione non si ricolleghi alcun effetto specifico, il bene giuridico sotteso alla norma in questione non viene intaccato, con la conseguente inoffensività della condotta.
2.2.2. Il D.Lgs. n. 14 marzo 2011 n. 23 non impone al conduttore un obbligo di veridicità perchè alla sua dichiarazione non è collegato alcun effetto specifico sicchè questa non può ledere il bene giuridico della fede pubblica e, quindi, non integra il reato ex art. 483 c.p.: in particolare, nella fattispecie in esame dal contenuto della dichiarazione di B.B. relativa all'esistenza di un contratto di locazione di un immobile potevano derivare soltanto mere conseguenze di fatto (come un'eventuale attività di accertamento dell'Agenzia dell'Entrate). Ne consegue che, non essendo penalmente rilevante la dichiarazione mendace trasposta in atto pubblico nel contesto della normativa ex D.Lgs. n. 14 marzo 2021, non si integra neanche la fattispecie di calunnia di cui all'art. 368 per insussistenza del fatto tipico.
3. Da quanto precede deriva che il reato del quale il ricorrente è imputato non sussiste sicchè la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, con conseguente perdita di rilevanza del terzo e del quarto motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2023
13-08-2023 16:25
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