Reati tributari: la circostanza aggravante del contributo alla commissione dell’illecito tributario da parte del professionista
L'art. 12, d.lgs. n. 158/2015 – provvedimento che ha portato a termine il riordino della materia penal-tributaria – ha introdotto al nuovo art. 13-bis la circostanza aggravante del contributo alla commissione dell'illecito tributario da parte del professionista (cfr. sulla portata della norma, G. Gambogi, La riforma dei reati Tributari, Giuffrè, 2016, pag. 399).
La nuova circostanza ad effetto speciale. In particolare il terzo comma dell'art. 13-bis prevede che le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II (ovvero tutti i delitti previsti dal d.lgs. n. 74/2000) sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta dal professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.
Si tratta di una circostanza ad effetto speciale che determina un aumento di pena della metà e non fino ad un terzo come è previsto, invece, in via ordinaria per le circostanze aggravanti comuni.
La nuova disposizione è di difficile interpretazione poiché le scelte linguistiche del legislatore non consentono di individuare con esattezza i presupposti applicativi della nuova circostanza aggravante.
Tuttavia, sembra che l'aggravante di cui all'art. 13-bis presupponga il concorso di più persone nel reato tributario e, dunque, la verifica secondo le regole generali di cui all'art. 110 c.p. della sussistenza del contributo causale del concorrente alla realizzazione della condotta criminosa e la volontà del medesimo di cooperare alla realizzazione dell'illecito. Già questo dato suscita qualche perplessità poiché le fattispecie di reato previste dal d.lgs. n. 74/00, nonostante l'uso del prenome “chiunque”, rappresentano reati propri che, dunque, possono essere commessi solo dal cd. intraneus che riveste una posizione qualificata, ovvero il contribuente obbligato nei confronti del Fisco.
L'aumento di pena si verifica qualora il reato sia commesso dal compartecipe e, pertanto, il professionista o l'intermediario deve aver contribuito alla verificazione del fatto con la consapevolezza (e cooperazione) del contribuente che, evidentemente, non può essere ritenuto ignaro dell'apporto causale dato dal medesimo professionista o intermediario. Dunque la pena dovrebbe essere aumentata sia per il contribuente sia per il compartecipe anche se, come rilevato dalla Suprema Corte nella Relazione n. III/05/2015 del 20/10/15 dell'Ufficio del Massimario, data la poca chiarezza delle espressioni linguistiche scelte dal legislatore, non si evince se l'aggravante va estesa a tutti i compartecipi ovvero solo sul professionista/intermediario che abbia elaborato i modelli di evasione. La stessa Corte di Cassazione ricorda, infatti, quanto già statuito nella sentenza 22136/2013 circa l'estensione ai concorrenti, e sempre che questi ne siano consapevoli, delle solo aggravanti soggettive che oltre a non essere “inerenti alla persona del colpevole” a norma dell'art. 70, comma 2, c.p., abbiano in qualche modo agevolato la realizzazione del reato, dovendo procedersi ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 118 c.p.; il che consente di avanzare qualche prudente perplessità sulla legittimità della estensione oggettiva della nuova aggravante quando manchi qualsiasi riscontro della consapevolezza, in capo al fruitore della “consulenza”, non tanto della qualità personale del consulente (da immaginarsi ovviamente conosciuta), quanto della serialità dello schema nel quale rientra la condotta criminosa ideata ed adoperata.
La ratio dell'aggravamento. Certamente, la ratio dell'aggravamento di pena è ravvisabile nella maggiore riprovevolezza della condotta delittuosa posta in essere in concorso con un soggetto professionista o comunque qualificato che abusivi della propria attività o degli strumenti a sua disposizione per porre in essere condotte di evasione fiscale (cfr. G. Gambogi, La riforma dei reati Tributari, Giuffrè, 2016.)
Si intende colpire, dunque, in maniera più severa chi concorre nella realizzazione del reato tributario sfruttando il ruolo e le competenze professionali tenuto conto che la commissione delle condotte previste e punite nel d.lgs. n. 74/2000 risulta indubbiamente più agevolata dalla collaborazione dei soggetti indicati nell'art. 13-bis in quanto quest'ultimi hanno accesso con più facilità agli strumenti di evasione fiscale.
Inoltre, la circostanza di cui all'art. 13-bis presuppone che il compartecipe abbia agito nell'esercizio di attività di consulenza fiscale. Il riferimento a tale espressione rappresenta, nella struttura della circostanza aggravante in esame, un elemento normativo extrapenale che, per essere compatibile con il principio di tassatività, determinatezza e precisione, deve avere un significato univoco.
Nel nostro ordinamento non è facile rintracciare una definizione di consulenza fiscale e, pertanto, ci limitiamo a precisare che con il termine consulenza si intende la prestazione professionale del consulente ovvero del professionista o persona di provata capacità tecnica a cui ci si rivolge per avere informazioni e consigli nella materia di sua competenza.
Più precisamente, l'attività di consulenza fiscale è quella esercitata nei casi in cui un contribuente si rivolga ad un professionista o, comunque, ad un esperto, per risolvere una problematica di natura fiscale, ovvero legata alle materie di imposte, tasse e contributi versati allo Stato.
Il ruolo del professionista: elaborazione del modello di evasione. Aldilà di tale sforzo ermeneutico, già all'indomani dell'entrata in vigore della nuova disciplina, si è discusso sulla nozione di professionista ed, in particolare, se essa comprenda esclusivamente i soggetti di cui all'art. 7, d.lgs. n. 241/1997 e cioè i soggetti abilitati dall'agenzia delle Entrate alla presentazione delle dichiarazioni o, invece, ciascun soggetto che svolge attività di consulenza fiscale.
Secondo quanto chiarito dall'Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione nella relazione sopra citata, la nozione di professionista deve essere intesa in senso sostanziale e, dunque, comprensiva di chiunque nell'esercizio della sua professione svolge attività di consulenza fiscale (commercialisti, consulenti, avvocati, ecc.).
Pur tuttavia, ai fini dell'applicazione dell'aggravante dell'art. 13-bis non è sufficiente che sussista tale posizione soggettiva essendo altresì necessario che la condotta – indicativa di maggior disvalore tale da determinare l'aumento di pena – sia stata realizzata mediante l'elaborazione di modelli di evasione fiscale.
Nella prima bozza di decreto legislativo i modelli dovevano essere seriali vale a dire utilizzati anche da parte di altri contribuenti assistiti dal medesimo professionista compartecipe. Nel testo definitivo tale termine è stato eliminato e, dunque, si può ritenere che ci sarà aggravamento di pena indipendentemente dal fatto che lo stesso modello sia stato o meno adottato da altri clienti-contribuenti.
Anche sul concetto di modello di evasione fiscale la norma non precisa alcunché. Si potrebbe ritenere che tale modello rappresenti forme di evasione particolarmente complesse ed elaborate riproponibili in casi analoghi. Il termine elaborazione, infatti, implica che il modello sia dotato di un certo grado di complessità nella sua realizzazione e nella sua concreta idoneità ad ostacolare l'accertamento dei fatti da parte dell'Amministrazione Finanziaria.
Certamente, un prototipo di modello di evasione fiscale si potrebbe realizzare attraverso false operazioni con società offshore appositamente precostituite e messe a disposizione del contribuente da parte del professionista compartecipe oppure la predisposizione da parte di quest'ultimo, al quale è affidata la contabilità del proprio cliente-contribuente, di fatture per operazioni inesistenti (intestate a soggetti falsi o ignari fornitori) al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Considerazioni conclusive. Ad oggi, dunque, la formulazione del nuovo art. 13-bis comma 3, d.lgs. n. 74/2000 appare troppo generica e indeterminata e difficilmente sarà destinata ad avere un'effettiva applicazione pratica, così come rilevato dalla medesima Corte Suprema.
Non vi è dubbio che nell'elaborare la circostanza aggravante in esame il legislatore ha cercato di dare riscontro all'esigenza, espressa da più parti, di punire anche il consulente a cui il cliente-contribuente si è affidato. In materia tributaria, infatti, data la complessità degli oneri fiscali e le continue novità legislative in materia, è normale che il professionista rappresenti per il contribuente una fonte qualificata di informazione (attività di consulenza in materia fiscale, contabile e societaria) tal che il cliente confida nella correttezza delle informazioni fornite dal professionista.
In verità, la Suprema Corte aveva già da tempo riconosciuto, ai sensi dell'art. 110 c.p., la punibilità del professionista che concorre con il contribuente nella commissione del reato laddove avesse apportato, con coscienza e volontà, un contributo morale o materiale alla commissione del reato da parte del contribuente, unico obbligato all'adempimento tributario. Di recente, i giudici di legittimità hanno addirittura superato l'orientamento finora costante secondo il quale, in assenza di una collaborazione attiva e cosciente da parte del professionista, la situazione di semplice connivenza di quest'ultimo non assume alcuna rilevanza penale.
La Corte di Cassazione con la sentenza del 14/05/2015 n. 24967 ha stabilito, infatti, che il commercialista che tiene sistematicamente la contabilità del contribuente accusato di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, risponde del reato a titolo concorsuale e, pur non avendo tratto alcun profitto dal reato, rischia il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni personali. In particolare, nella vicenda esaminata dagli ermellini, il professionista era stato chiamato a rispondere del reato tributario per avere, nella sua qualità di tenutario delle scritture contabili dell'impresa e incaricato della redazione e trasmissione delle dichiarazioni dei redditi prestato la propria opera in continuativa difformità rispetto ai doveri professionali ed omettendo, poi, ogni adempimento utile per ripristinare la legalità, pur avendo continuato per lungo tempo ad assistere professionalmente il suo cliente.
Ecco, dunque, che, tenuto conto della peculiare attività che il professionista svolge nel settore tributario, sarebbe stata ben apprezzata una scelta del legislatore più coraggiosa in grado di definire meglio l'ambito di responsabilità penal-tributaria del professionista, ad esempio, con l'introduzione di una nuova fattispecie di reato proprio, specifica per il consulente fiscale, predefinita nei suoi elementi oggettivi e soggettivi.
Di contro, il nuovo art. 13-bis, d.lgs. n. 74/2000 si presenta, prima facie, come una norma dal contenuto indeterminato e di incerta interpretazione, pertanto, non resta che attendere i primi orientamenti giurisprudenziali e anche le future letture dottrinali per capirne meglio il contenuto e individuare esattamente il suo ambito applicativo.
Da diritto e giustizia.
09-07-2016 15:37
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