REATI E PENE.
La questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, co. 5, della legge n. 81/1993 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale) – che punisce con la sanzione della multa le pubbliche amministrazioni che, in violazione del divieto loro imposto dal successivo comma 6, svolgano attività di propaganda di qualsiasi genere, anche se inerente alla rispettiva attività istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l'inizio della campagna elettorale per le elezioni amministrative locali, e per tutta la durata della stessa – sollevata per la presunta disparità di trattamento rispetto a condotte, asseritamente identiche, poste in essere dalle stesse amministrazioni in prossimità di elezioni regionali, politiche ed europee ed esenti da qualunque sanzione in virtù dell'art. 9 della legge n. 28/2000 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), non è fondata.
Le fattispecie poste a raffronto dal giudice a quo non sono, infatti, omogenee e l'art. 9, co. 1, della legge n. 28/2000 non è correttamente utilizzabile quale tertium comparationis a sostegno dell'asserita disparità di trattamento.
In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 68/2012: nell'ambito dell'ampia discrezionalità concessa al legislatore nell'individuazione delle condotte punibili e nella configurazione del relativo trattamento sanzionatorio, le scelte legislative sono sindacabili ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione.
21-04-2016 23:06
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